Per prima cosa bisogna dire che spesso «ipertensione in gravidanza» equivale ad indicare una sindrome che può insorgere nella seconda metà della gravidanza stessa e che va sotto il nome di «gestosi». Quest’ultima è infatti caratterizzata, nella sua espressione clinica più completa, da 3 sintomi principali che sono: edemi (E), proteinuria (P; cioè presenza di proteine, di albumina in particolare, nelle urine), ipertensione (H). Infatti nella sua accezione più completa, la gestosi polisintomatica (cioè con tutti e tre i sintomi) viene anche indicata come EPH gestosi.
Questo spiega perché occorre distinguere tra l’ipertensione indotta dalla gravidanza e l’ipertensione precedente la gravidanza (e che può, ma non necessariamente, vedere sovrapporsi le caratteristiche cliniche della prima).
Anche per quel che riguarda la frequenza, ci sono differenze tra le due forme: infatti si calcola che l’incidenza complessiva dell’ipertensione in gravidanza si aggiri intorno al 6%, mentre le manifestazioni ipertensive che caratterizzano la EPH gestosi varino dal 3% al 5% circa (anche se secondo qualche autore l’incidenza di tutte le sue forme considerate oscillerebbe dal 3% al 13%).
Dal punto di vista della diagnosi differenziale per quanto non sempre agevole, possiamo affermare che, un elemento sufficientemente discriminante è dato dal fatto che la donna gravida che va incontro alla gestosi presenta un’anamnesi negativa per quel che riguarda l’ipertensione, è in genere una primigravida, ha un’età sotto i venti o sopra i trentacinque anni, e sviluppa una situazione ipertensiva a partire, in genere, dalla 20° settimana di gravidanza (nella donna con ipertensione precedente la gestione c’è un’anamnesi positiva, alti valori pressori possono essere rilevati prima della 20° settimana e possono persistere a tempo indefinito dopo il parto).
In caso di ipertensione in gravidanza, per il feto esiste un maggior rischio di morte endouterina, di basso peso alla nascita e di parto prematuro. D’altra parte non bisogna dimenticare che l’ipertensione in corso di gravidanza rappresenta la più frequente causa di mortalità materna nel periodo gravidico-puerperale (circa il 20% sul totale delle morti materne). La prognosi risulta particolarmente severa quando, in caso di gestosi, si passa da una situazione definita di «preeclampsia» (lieve o grave), caratterizzata da cefalea, disturbi visivi, dolore epigastrico a barra, acufeni ad una complicanza estremamente seria indicata col termine di «eclampsia o attacco eclamptico», caratterizzata da perdita di coscienza, convulsioni ed anche coma.
Per ciò che riguarda le cause ed i possibili fattori di rischio, abbiamo già detto in precedenza che permangono ancora incertezze e ipotesi discordanti. Sono stati chiamati in causa fattori costituzionali, razziali, geografici, climatici, dietetici, ma tutti, per un motivo o per l’altro, discutibili. Altri autori hanno sottolineato il ruolo svolto da processi coagulativi intravasali o da talune sostanze vasoattive come la renina e l’angiotensina. Altri ancora hanno avanzato teorie immunologiche o basate su alterazioni dell’equilibrio del tono vasale nonché dell’aggregazione piastrinica. L’ipotesi, comunque, sulla quale esiste la maggiore uniformità di opinioni è quella proposta da Page nel 1972 in base alla quale si prevede l’esistenza di un circolo vizioso patogenetico su cui intervengono, in misura e a livelli diversi, fattori predisponenti o coadiuvanti.
Profilassi e terapia
Non è certo casuale che la frequenza delle complicazioni legate alla gestosi (eclampsia convulsiva, distacco di placenta normalmente inserta, coagulazione intravascolare disseminata, apoplessia utero-placentare) si sia sensibilmente ridotta da quando la pratica di un periodico controllo clinico in corso di gravidanza si è diffusa tra la popolazione. D’altra parte un controllo medico attuato già in epoca pre-concezionale permette di indivuduare e di trattare quelle condizioni patologiche preesistenti alla gravidanza e favorenti l’insorgenza di ipertensione: tra queste ricorderemo le malattie renali (specialmente la glomerulonefrite acuta e cronica), le vasculopatie ipertensive (ivi compresa l’ipertensione essenziale), il diabete e l’obesità.
Per quel che riguarda il trattamento, va detto che esistono alcune regole generali che debbono essere scrupolosamente attuate; esse sono rappresentate da: riposo (a letto, eliminando tutti gli stimoli esterni che possono risultare fastidiosi per la paziente quali la luce ed i rumori); dieta (controllata ma senza eccessive restrizioni); controllo metabolico, idroelettrolitico e della funzione intestinale.Ricordando che in caso di preeclampsia grave la terapia migliore resta l’espletamento del parto (quando naturalmente ciò è possibile), nei casi in cui le condizioni materne lo consentano, se non vi è sofferenza fetale e quando l’epoca gestazionale è incompatibile con la maturità fetale, si può ricorrere al trattamento farmacologico. Il discorso qui potrebbe farsi molto lungo ed impegnativo, ma basterà ricordare che possiamo disporre di alcuni gruppi di farmaci (beta-bloccanti, vasodilatatori periferici come l’idralazina, simpaticolitici centrali come l’alfametildopa e la clonidina) che, se usati in modo mirato e con cautela, possono garantire una prosecuzine pressoché normale della gravidanza, almeno fino ad un’epoca in cui le possibilità di sopravvivenza del feto siano decisamente buone.
Sandro Viglino
Specialista in Ginecologia e Ostetricia
Università di Genova
Pubblicazione Febbraio 1984