Psicologia

Incomprensioni di coppia nell’era dei social

Stando ai dati, dal 1995 le separazioni sono aumentate del 61% e sono più che raddoppiati i divorzi. Quanta responsabilità hanno le nuove tecnologie nella mancanza di saper “so-stare” nella vita a due 2.0, al tempo del “tutto e subito”? Quanto basta: secondo un’indagine condotta dal sito Divorce-Online, i social media e gli strumenti di messaging sarebbero una delle 7 principali cause per cui i partner decidono di dividere le loro strade. «La tecnologia ci fa sentire più vicini e meno soli e in tanti casi può aiutare a mantenere contatti con persone lontane, ma tutto sta in come la si usa e da quanto ci si lascia sedurre da un ex del passato, da corteggiatori conosciuti da amici di amici, dalle fotografie più o meno esplicite… Una crisi è un piatto che può essere servito con molta facilità. La tecnologia è un mezzo di servizio, non può sostituire tutto ciò che può dare la metacomunicazione. Guardarsi negli occhi, vedere le espressioni facciali, o sentire l’odore della persona che si ha di fronte, permette di cogliere anche ciò che non viene esplicitato dalle parole. Essere fraintesi con un messaggio o con un post, poi, è estremamente semplice: non sempre con la scrittura si riesce a essere efficaci come si vorrebbe», commenta il Professor Giuseppe Lavenia, Presidente dell’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo, psicologo e psicoterapeuta esperto anche in tematiche di coppia.

Ci sono atteggiamenti sospetti di uno dei partner che innescano il bisogno di controllo nell’altro, come per esempio guardare quando ha aperto WhatsApp l’ultima volta e continuare a rimuginare sul perché non ha letto il messaggio che gli abbiamo inviato, verificare chi è entrato nella lista dei suoi nuovi amici su un social media, o cercare di scoprire con un app se ha detto la verità sul dove si trovava nel momento in cui non ha ripetutamente risposto al telefono. Il controllo, però, fa più male a chi lo fa, rispetto a chi lo riceve: cosa si nasconde dietro questo atteggiamento? «Tanta insicurezza: quando nella vita a due mancano ingredienti fondamentali come fiducia e rispetto, e non si riesce a fare in modo che diventino le fondamenta della coppia, allora bisognerebbe farsi delle domande. “Perché penso che qualcun altro sarà sempre meglio di me?”, “Perché ho bisogno di mettere i puntini sulle i su tutto quello che dice?”, “Perché appena ne ho l’occasione vado a vedere il suo telefono?”… Ci potrebbero essere motivazioni personali, magari frutto di un passato mai elaborato, o una mancanza di comunicazione verbale tra i due partner che non fa altro che insospettire. Ogni caso è a sé, e andrebbe indagato», spiega il Professor Lavenia.

Come possiamo superare le incomprensioni di coppia nell’era dei social media? Ecco i 5 consigli dell’esperto.

1. LA TECNOLOGIA NON È UNA NEMICA

Gli strumenti di comunicazione online sono utili strumenti di servizio e non vanno demonizzati a prescindere. Spesso, per mancanza di tempo, si possono usare per darsi un appuntamento, condividere foto, mandare video o momenti che si sarebbero voluti condividere insieme all’altro. Bisogna, però, rileggere i messaggi prima di inviarli. E avere anche un momento successivo per condividere vis à vis, magari arricchendo la narrazione dei fatti con le emozioni che si sono provate. Le parole sono la cornice di un quadro, non la tela con il dipinto.

2. RIDARE VALORE ALLA RELAZIONE

Ogni essere umano è in continua evoluzione, e di conseguenza lo è anche la coppia. La condivisione del punto in cui ci si trova, quindi, è sempre importante. Altrimenti ci si perde di vista. Per farlo pienamente, però, bisogna imparare a dis-connettersi dai social e dalle chat e connettersi con la persona che si ha davanti. Così, si può dare fiducia alla persona con cui si sta condividendo il percorso di vita. Non rifiutare e non sfuggire a chiamate se arrivano mentre si sta chiacchierando, potrebbero dare adito a sospetti. Lasciare il cellulare sul tavolo, senza portarlo ovunque (anche in bagno, magari per aprire l’app di un gioco), è un modo per dire “non ho niente da nascondere”. Le vacanze possono essere un buon allenamento a ri-trovare una comunicazione non mediata dalle nuove tecnologie.

3. ASCOLTARSI

Le vacanze dovrebbero farci ritrovare anche un ritmo più lento, più vicino ad assecondare il nostro bisogno di relax. Dovremmo trovare un momento di silenzio ogni giorno, concedendoci dieci minuti solo per noi, da dedicare all’ascolto interiore. Ma spesso non è possibile, a causa di una cattiva organizzazione del proprio tempo, o per sbrigare urgenze lavorative a cui non si può dire di no. Approfittiamo delle vacanze per chiedere a noi stessi e al partener: “Che cosa possiamo fare per migliorare l’intesa di coppia?”. “Quali desideri si possono realizzare insieme?”. Mettere a tacere gli smartphone può essere utile anche per capire a che punto del progetto della vita a due si è.

4. RIACCENDERE IL DESIDERIO

Il desiderio è in calo? Non portiamo a letto tablet, pc, smartphone&Co. La dipendenza tecnologica, tra i suoi effetti, presenta anche astenia sessuale data dall’abbassamento del livello di testosterone, l’ormone responsabile della libido maschile. Secondo uno studio americano, sembra che il 16% degli uomini soffrono di totale assenza di stimoli sessuali nei confronti della partner per via del troppo tempo passato a postare e twittare. Navigare continuamente, poi, fa scemare anche le fantasie sessuali di coppia con una conseguente crisi all’interno della relazione. Onde evitare che il malessere nella vita a due si protragga è consigliabile riappropriarsi della propria intimità, magari cominciando dalle vacanze, evitando di portare a letto gli strumenti tecnologici. In vacanza non si ha nemmeno la scusa della sveglia: il cellulare può rimanere in un’altra stanza.

5. RITROVARE IL PIACERE DI MOMENTI CONVIVIALI

Se è vero che oggi non si può prescindere dalle nuove tecnologie, è altrettanto vero che bisogna trovare un equilibrio tra vita reale e vita mediata dallo schermo. Altrimenti si rischia di trascurare ciò che si ha intorno nella vita reale. Il tempo dedicato a una cena fuori con il partner, o a casa, deve essere off limits per pc, cellulare, videogiochi, tablet…. Deve, quindi, rimanere tutto spento (a parte il telefono se ci sono necessità famigliari) per accendere l’attenzione su chi si ha di fronte. No al cellulare a tavola mentre si pranza o si cena: questi due momenti devono essere dedicati al confronto e all’ascolto dell’altro.

Nomofobia, dipendenza da smartphone

La dipendenza da smartphone è una malattia, si chiama nomofobia.
Si tratta del timore ossessivo di non essere raggiungibili al telefono cellulare. È molto simile a tutte le dipendenze, in quanto causa interferenze nella produzione della dopamina, che regola il circuito celebrale della ricompensa. Secondo gli esperti la maggior parte delle persone colpite sarebbero giovani adulti con bassa autostima e problemi nelle relazioni sociali.

Ansiosi per la batteria del cellulare scarica, nervosi per l’esaurimento del credito telefonico o agitati per la mancanza della rete. L’ossessione per lo smartphone, definita dagli esperti “Nomofobia”, oggi colpisce milioni di persone in tutto il mondo compresi molti italiani, notoriamente sempre attaccati al telefono. Secondo i dati diramati dell’Università di Granada, la fascia di età più colpita sarebbe quella tra i 18 e i 25 anni, giovani adulti con bassa autostima e problemi nelle relazioni sociali, che sentirebbero il bisogno di essere costantemente connessi e in contatto con gli altri attraverso il telefono cellulare. Nonostante i sintomi siano molto simili a quelli dell’ansia, uno studio condotto da ricercatori dell’Università Federale di Rio de Janeiro sembra indicare che la Nomofobia sia da considerare una dipendenza patologica piuttosto che un disturbo d’ansia. E nonostante ci siano all’attivo ancora un numero ridotto di ricerche sul tema, già nel 2014 gli italiani Nicola Luigi Bragazzi e Giovanni Del Puente, studiosi dell’Università di Genova, avevano proposto di inserire la Nomofobia nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.

Come si cura questa patologia
Secondo gli esperti lo psicodramma è la terapia ideale per guarire da questa sindrome. Un approccio ‘creativo’ che si manifesta con la messa in scena di una situazione attraverso verbalizzazione ed azione. Una terapia di gruppo che, attraverso il Teatro della Spontaneità – lo psicodramma ideato da Moreno –realizza un lavoro di gruppo che sfrutta la messa in scena del proprio vissuto per una rielaborazione. Libera emozioni che sono legate al vissuto quindi aiuta la presa di coscienza di contenuti latenti.
È quanto è emerso da uno studio della Scuola di Psicoterapia Erich Fromm, realizzata in occasione del XVIII Congresso Mondiale di Psichiatria Dinamica, attraverso il monitoraggio e l’analisi di oltre 100 testate internazionali di settore e su un panel di 150 esperti di psichiatria dinamica.

“L’abuso dei social network può portare all’isolamento come conseguenza della Nomofobia – afferma il dott. Ezio Benelli, presidente del Congresso Mondiale di Psichiatria Dinamica e dell’International Foundation Erich Fromm -, ovvero la paura di perdere il collegamento dalla rete. L’utilizzo smodato e improprio del cellulare come di internet può provocare non solo enormi divari fra le persone, ma anche portarle a chiudersi in se stesse, sviluppare insicurezze relazionali o alimentare paura del rifiuto, a sentirsi inadeguate e bisognose di un supporto anche se esterno e fine a se stesso. Ma lo smartphone, se usato in modo appropriato e intelligente, può assolvere a tre importanti funzioni psicologiche:
regola la distanza nella comunicazione e nelle relazioni,
gestisce la solitudine e l’isolamento assumendo quasi il ruolo di antidepressivo multimediale,
permette di vivere e dominare la realtà, regalando l’idea di poter essere presenti e capaci di fermare lo scorrere del tempo con uno o più scatti”.

La Nomofobia
Fa parte di una serie di dipendenze che si riferiscono a una vasta gamma di comportamenti disfunzionali e anomali quali il gioco d’azzardo patologico, la dipendenza da TV, da internet, lo shopping compulsivo, le dipendenze dalle relazioni affettive, le dipendenze dal lavoro e alcune devianze del comportamento. Per questo si può parlare di Nomofobia quando una persona prova una paura sproporzionata di rimanere fuori dal contatto di rete mobile, al punto da sperimentare effetti fisici collaterali simili all’attacco di panico come mancanza di respiro, vertigini, tremori, sudorazione, battito cardiaco accelerato, dolore toracico, nausea.
Una problematica analizzata in passato anche dall’ente di ricerca britannico YouGov, dove emerge che più di sei ragazzi su dieci tra i 18 e i 29 anni vanno a letto in compagnia del telefono e oltre la metà degli utenti di telefonia mobile (53%), tendono a manifestare stati d’ansia quando rimangono a corto di batteria, di credito o senza copertura di rete oppure senza il cellulare. La ricerca evidenzia inoltre che gli uomini tendono ad essere più ansiosi e che circa il 58% di loro e il 48% delle donne soffrono di questa nuova sindrome. Andando Oltreoceano, uno studio americano effettuato da Morningside Recovery, centro di riabilitazione mentale di Newport Beach, ha dimostrato che milioni di americani, circa i 2/3 della popolazione, sono affetti da Nomofobia e che molti di loro raggiungono stati elevati di agitazione incontrollata se vengono a conoscenza di non possedere il proprio cellulare.
“Questo fenomeno è in forte crescita – afferma il dott. Giuseppe Rombolà Corsini, psicologo e psicoterapeuta e Vice Direttore della Scuola di Psicoterapia Erich Fromm -. Questo tipo di tecnologie come lo smartphone sono psicoaffettive: alterano l’umore e scatenano sensazioni. Il fatto di poter ricevere un messaggio o una mail piacevole, ma non sapere quando la riceveremo, ci spinge a tenere in mano il cellulare continuamente. Quindi c’è un discorso di attesa, stimolo e gratificazione. Il cellulare non ha solo un utilità pratica, ma anche delle valenze affettive. Il problema è che queste persone non si rendono conto che il cellulare può essere uno strumento consolatorio e illusorio. Infatti ci allontana dall’impatto diretto con le emozioni.

Un intervento utile
Utile per le persone che soffrono di questa sindrome può essere proprio la psicoterapia. Del resto, attraverso una tecnica specifica come lo psicodramma, terapia di gruppo che spinge il soggetto a compiere un’azione che in qualche modo possa richiamare la sua storia personale, si può portare alla luce il proprio inconscio. È un lavoro emozionale, un teatro della spontaneità attraverso cui i partecipanti possono interagire tra loro, scambiarsi sguardi e parlarsi. Una condivisione di emozioni con cui riprendere contatto con il presente e prendere coscienza di quanto è stato rimosso. Come ci dice Moreno, con il teatro dell’improvvisazione si favorisce il recupero critico. Quindi lo psicodramma è un lavoro di gruppo dove il vissuto è agito, non solo parlato. Ed è quindi una prassi trasformativa dal momento che non c’è solo il racconto, ma anche la messa in scena, attraverso cui condividere emozioni e far emergere vissuti inconsci che determinano i sintomi patologici..

Quali sono i campanelli d’allarme
Come riuscire a capire che si sta cadendo in questa sindrome? Usare regolarmente il telefono cellulare, trascorrere molto tempo su di esso, avere uno o più dispositivi, portare sempre un carica batterie con sé per evitare che il cellulare si scarichi, sentirsi nervosi al pensiero di perdere il proprio portatile, guardare lo schermo del telefono per vedere se sono stati ricevuti messaggi o chiamate. In quest’ultimo caso si parla di un particolare disturbo che definito “ringxiety”, mettendo insieme le parole inglesi squillo e ansia.

Dormire bene consigli pratici e Mindfulness

Dormire bene durante il riposo notturno è molto importante poiché il sonno porta con sé diversi benefici per la nostra salute e il nostro benessere psicofisico e, giorno dopo giorno, un riposo corretto ci garantisce le giuste energie per vivere la nostra vita al meglio.

Non è, però, raro che le persone lamentino di non riposare bene: in alcuni momenti della vita, magari in concomitanza con situazioni personali
e lavorative particolarmente stressanti, può capitare di non riuscire a prendere sonno, di svegliarsi troppo presto la mattina, oppure ancora di alzarsi dal letto ancora stanchi e provati…

L’esperienza di una o più notti insonni è certamente fastidiosa, sebbene abbastanza comune, e crea una condizione di disagio che tende ad avere effetti negativi sulla qualità della vita.

 

Quando si parla di Insonnia?

Per insonnia si intende la difficoltà ad addormentarsi, a mantenere il sonno e a svegliarsi troppo presto la mattina; si parla di insonnia anche quando la persona percepisce il proprio sonno insufficiente e/o insoddisfacente perché dorme troppo poco o male con conseguente stanchezza, irritabilità, inefficienza.

Spesso l’insonnia è causata da altri tipi di disturbi di natura medica e/o psicologica o da ulteriori difficoltà legate al sonno stesso; per alcuni pazienti, invece, essa rappresenta il problema principale ed è indipendente dalla presenza o meno di altre patologie.

Si tratta di un disturbo dove la soggettività è centrale: l’insonnia, infatti, non viene diagnosticata sulla base di rilevazioni oggettive (pur sempre possibili), ma in relazione a quanto lamentato dalla persona, sia rispetto all’intensità del problema, sia rispetto alle difficoltà correlate.

Inoltre, poiché persone diverse necessitano di diverse quantità di sonno, essa non può essere de nita in termini di ore “dormite” o in termini di rapidità nell’addormentarsi. Al contrario, tutto dipende dalla qualità del nostro sonno e da come ci sentiamo al risveglio.

 

Cosa possiamo fare se non dormiamo bene? 

Se la nostra qualità del riposo notturno non è soddisfacente, può essere molto utile iniziare a rispettare le cosiddette norme di igiene del sonno.
Si tratta di un’insieme di “buone abitudini”, consigliate anche dall’Associazione Italiana di Medicina del Sonno e fondate su principi di natura scientifica, che chi soffre di insonnia può da subito impegnarsi ad adottare per eliminare alcuni fattori ambientali e comportamentali che interferiscono con il sonno.

E’ ormai documentato, infatti, che nella maggior parte delle insonnie, a prescindere dalla loro eziologia, le norme di igiene del sonno non sono rispettate e che ciò costituisce un fattore di cronicizzazione e/o di peggioramento del disturbo.

Anche imparare una tecnica di rilassamento può essere molto utile per riuscire a “lasciarsi andare”, raggiungendo uno stato di distensione che aumenta la probabilità che il sonno sopraggiunga. In altre parole il rilassamento favorisce la riduzione dello stato di attivazione cognitiva e fisiologica necessario all’addormentamento a cui tutte le attuali teorie sull’eziologia dell’insonnia riconoscono, ormai, un ruolo chiave sia come fattore predisponente, sia come fattore di mantenimento del disturbo. La pratica del rilassamento ben si integra con il rispetto delle norme di igiene del sonno: può essere molto utile imparare a ritagliarsi un periodo di tempo, dopo cena, per riflettere sulla giornata appena trascorsa e per pianificare quella successiva, portare a termine le attività circa 60/90 minuti prima di andare a letto e praticare gli esercizi di rilassamento veri e propri. Il sonno è estremamente sensibile allo stress e alla sofferenza emotiva: eventi importanti, come una separazione difficile o la morte di una persona cara, e altri agenti stressanti di minore rilevanza, ma quotidiani (come difficoltà interpersonali o pressioni lavorative…), possono influire sui pattern del sonno, incrementando il livello di attivazione prima dell’addormentamento e durante i risvegli notturni.

Per questo motivo un valido aiuto nel trattamento dell’insonnia, e soprattutto nella prevenzione delle ricadute, è rappresentato dalla pratica della Mindfulness. Con questo termine ci si riferisce ad un esercizio sistematico di osservazione non giudicante di tutto ciò che accade fuori e dentro di noi, compresi i nostri pensieri. Si tratta di uno “stato mentale” in cui la nostra consapevolezza si focalizza su ciò che ci accade momento per momento, incrementando la nostra capacità di essere presenti a noi stessi. Grazie alla pratica della Mindfulness è possibile contrastare l’impulso spontaneo a definire, giudicare, valutare la nostra esperienza e a ricorrere in modo automatico a processi di pensiero irrazionali che causano, poi, reazioni emotive e comportamentali abituali. Questo è molto importante non soltanto perché, come abbiamo detto, nella maggior parte dei casi, l’insonnia è scatenata da eventi stressanti, ma anche perché, indipendentemente da ciò che può avere inizialmente causato il problema, la sfiducia appresa nella propria capacità di dormire è uno dei principali fattori che alimentano e perpetuano il disturbo. Rimuginare sulla propria difficoltà a dormire aumenta la preoccupazione e più siamo preoccupati di non dormire meno riusciamo a bene! Attraverso la Mindfulness è possibile riconoscere i nostri pensieri come pensieri liberandoci dalla realtà distorta che essi spesso creano.

NORME AMBIENTALI
• Limitare il rumore e la luce

• Controllare la temperatura della stanza

• Migliorare la qualità dell’aria

• Migliorare il comfort del letto

NORME DIETETICHE
• Limitare caffeina, nicotina e alcool

• Controllare la dieta (coricarsi né troppo sazi né a
stomaco vuoto)

• Prediligere i carboidrati alle proteine

NORME AMBIENTALI
• Limitare il rumore e la luce

• Controllare la temperatura della stanza

• Migliorare la qualità dell’aria

• Migliorare il comfort del letto

 

Autore: Dott. Lara FERRARI

Psicologa, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale

laraferrari@centrokairos.it |  www.centrokairos.it

 

Dormire-bene-consigli

 

 

 

 

 

Ulteriori approfondimenti sulla Mindfullness

Video ed esercizio del respiro: https://www.youtube.com/watch?v=ei9VPNaxEKg

Consapevolezza del respiro: http://www.istitutomindfulness.com/mindfulness/esercizi/esercizio-di-consapevolezza-del-respiro/

Mindfulness guide pratiche: http://www.mindfulnessitalia.org/guide-online/mindfulness