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ANEURISMI ARTERIOSI

Sopratutto non è così immediato percepire la gravità di una malattia le cui complicanze possono essere disastrose.
Definizione
L’aneurisma e’ una dilatazione localizzata, abnorme e permanente di un’arteria, dove le pareti del vaso abbiano perso il loro naturale parallelismo. In particolare si può parlare di aneurisma nel caso di un’ arteria che presenti una dilatazione localizzata il cui diametro superi almeno della metà il valore del diametro di settori normali. Se l’aorta addominale di un soggetto presenta un diametro di 2 cm. un settore dilatato si dice aneurismatico se il rispettivo diametro supera i 3 cm. Dilatazioni di calibro minore sono dette “ectasie”

ANATOMIA & FISIOLOGIA
Le arterie sono condotti dotati normalmente di pareti robuste in grado di resistere alle pressioni generate dalla pompa cardiaca. Sono costituite da tre strati (”tonache”) sovrapposte.
La più interna si chiama “intima” ed e’ a diretto contatto con il sangue , la più esterna si chiama “avventizia” ed aderisce ai tessuti e agli organi vicini alle arterie. Lo strato principale delle arterie di grosso e medio calibro e’ la tonaca ”media” che è formata da fibre elastiche e cellule muscolari lisce.
Grazie alle proprietà elastiche di questo strato l’arteria si distende sotto l’impulso di ogni battito cardiaco, e riprende poi il suo calibro iniziale contribuendo così alla progressione e alla velocità del sangue ricco in ossigeno che scorre verso le cellule di tutti gli organi.
Se nella parete arteriosa si verifica un mancamento, un cedimento delle caratteristiche elastiche, la pressione vigente all’interno del condotto tenderà ad aumentarne il diametro.
E’ la stessa cosa che si verifica nelle camera d’aria dei pneumatici difettosi o troppo compressi. Un settore del condotto tende a rigonfiarsi in modo più vistoso (adesso abbiamo imparato che si potrebbe dire “aneurismatico”). Quando questo fenomeno si verifica basta un piccolo aumento di pressione per aumentare sempre più il diametro del settore bozzoluto, dove la parete si assottiglia vieppiù, fino all’inevitabile scoppio.
Esistono leggi fisiche che stanno alla base di questi eventi, come ad esempio la legge di Laplace o il teorema di BemouIli che fanno comprendere come l’equilibrio tra pressione, diametro dell’arteria e tensione sviluppata dalle caratteristiche elastiche della parete possa modificarsi per il variare anche di uno solo di questi parametri. Questo spiega come un aneurisma tenda inesorabilmente a crescere di diametro progressivamente nel tempo, come la sua parete tenda a resistere sempre meno a pressioni interne, assottigliandosi sino alla inevitabile rottura.

CLASSIFICAZIONI
La classificazione di una malattia consente di interpretarla con maggiore precisione, analizzarne le cause e le localizzazioni. Nel caso della malattia aneurismatica delle arterie e’ adottato questo schema:
CLASSIFICAZIONE ANEURISMI ARTERIOSI

 

Degenerazione
Aneurismi arteriosclerotici
Necrosi cistica della tonaca media
Fibrodisplastici
In corso di gravidanza

Infiammazione
Micotici
Batterici

Da cause meccaniche
traumatici
post stenotici
anastomotici

Congeniti
Sindrome di Marfan
Ehlers – Danlos

 

 

Forma
Sacculare
Fusifome

 

 

Localizzazione
Centrale (aorta)
Periferica
Renale
Splacnica
Cerebrale

 

 

Struttura
Veri aneurismi
Falsi Aneurismi

 

La maggioranza degli aneurismi ha cause degenerative, imputabili alla malattia arterioscIerotica. Per quanto riguarda l’aorta il 95 % dei casi di aneurisma è riconducibile a questa malattia
E’ dimostrata in questi casi una predisposizione ereditaria, con una maggiore probabilità di sviluppare la malattia tra consanguinei, fratelli e sorelle.
A determinare la comparsa dell’aneurisma concorrerebbero fattori biomeccanici (progressivo deterioramento con debolezza della parete arteriosa) e fattori congeniti geneticamente determinati come è il caso di particolari enzimi attivi contro il collagene e l’ elastina.
I pazienti colpiti presentano nella loro maggioranza un’ età superiore ai 60 – 65 anni, rappresentano il 2 -10% della popolazione di quell’età e sono prevalentemente maschi.
Gli aneurismi degenerativi non arterosclerotici sono molto rari.
Quelli legati alla gravidanza riconoscerebbero come causa l’aumento nel sangue di un enzima elastolitico, la relaxina, che potrebbe determinare maggiore cedevolezza di alcune arterie viscerali ed in special modo dell’arteria splenica.
Gli aneurismi infiammatori possono essere di natura sifilitica per distruzione delle tonache dell’aorta da parte del Treponema Pallidum. Sono forme attualmente molto rare.
Nei pazienti immunodepressi o portatori di endocardite batterica si possono avere emboli settici (materiale con colonie di batteri che viene trasportato dal flusso del sangue) e infiammazione della parete arteriosa (“arterite”) con distruzione parziale della media e relativo sfiancamento della stessa.
Anche cause traumatiche possono danneggiare le arterie e portare a queste manifestazioni. Tipico è il caso di gravi traumi che coinvolgono il torace e l’aorta, determinando la comparsa di aneurismi anche a distanza di tempo.
Gli aneurismi congeniti dipendono da una debolezza della parete arteriosa presente sino dalla nascita per anomalie importanti e molto rare del tessuto connettivale.
Per quanto riguarda la forma l’aneurisma può manifestarsi come una “sacca” per cedimento di una limitata porzione di arteria. Si presenta come una bozza talvolta sferiforme con un limitato colletto di comunicazione con l’arteria più sana. Oppure la degenerazione si estende longitudinalmente per estesi tratti e quindi l’aneurisma si presenta come un fuso aumentando progressivamente di diametro dai settori meno ammalati via verso i settori più alterati che presentano diametro maggiore per maggiore debolezza.
Nella maggioranza dei casi l’aneurisma colpisce l’aorta sia nella sua porzione toracica che in quella addominale. Quest’ultima localizzazione è la sede dell’80% di tutti i casi di aneurisma, con interessamento di una o di entrambe le arterie iliache.
Meno frequentemente si verificano aneurismi nelle arterie periferiche degli arti e in questi casi le sedi più tipiche sono le arterie poplitee e le arterie femorali comuni e superficiali.
Molto rare sono le localizzazioni delle arterie viscerali (arteria epatica, renale, splenica) o alle arterie a destino cerebrale (carotide comune, interna ed esterna e vertebrale)
Gli aneurismi delle arterie dell’arto superiore (arteria ascellare e succlavia) sono anch’essi rari e spesso secondari a compressioni od esiti traumatici.
La distinzione tra Vero e Falso Aneurisma distingue tra la dilatazione di un tratto di arteria ove sono presenti tutte e tre le tonache del vaso (aneurisma vero) e aspetti dilatativi in esiti di puntura o trauma dove la tumefazione non e’ altro che la reazione infiammatoria o cicatriziale senza che i costituenti della parete siano chiaramente riconoscibili (falso aneurisma o ematoma pulsante).

SINTOMI E COMPLICANZE
Tratteremo inizialmente l’aneurisma aorto-iliaco, il più frequente nella popolazione E’ abbastanza frequente il riscontro di questa malattia in soggetti assolutamente privi di ogni sintomo.
Solo una piccola parte degli aneurismi viene riconosciuta durante una visita medica. Infatti la palpazione dell’addome permette al medico attento di riconoscere aneurismi di dimensioni già cospicue ,almeno 4-5 centimetri di diametro.
In soggetti poco collaboranti oppure obesi la palpazione non e’ significativa.
Talvolta è il paziente stesso che avverte una abnorme pulsazione addominale all’inguine oppure al cavo popliteo e si presenta per questo al Chirurgo.
E’ molto frequente che l’ aneurisma venga incontrato occasionalmente durante l’ esecuzione di un esame ECOGRAFICO o di una TAC dell’addome eseguiti per valutazione di sintomi non correlati o per il controllo di malattie concomitanti (problemi urologici o calcolosi biliare ad esempio ). Talvolta la radiografia della colonna lombosacrale o dell’addome mette in evidenza calcificazioni aortiche che fanno sospettare la presenza dell ‘aneurisma.
Purtroppo molto spesso il riconoscimento dell’aneurisma coincide spesso con l’accadere della sua più temibile complicanza: la rottura.
La quota di aneurismi che si presentano con la rottura varia dal 10 al 30%. La rottura dell’aneurisma causa emorragia più frequentemente verso lo spazio retroperitoneale (posteriormente ai visceri addominali) o nel cavo peritoneale. In questo caso la perdita di sangue è massima, ed il paziente può giungere a morte in pochi minuti.
Se la rottura è limitata e l’emorragia tende a Iimitarsi il paziente può sopravvivere, lamentando tuttavia dolore violento alla regione dorso lombare o al fianco. Si verifica ipotensione, pallore, anemia, tachicardia e spesso sudorazione profusa. Il malato si presente intensamente sofferente ed angosciato.

Un altro sintomo legato alle complicanze dell’aneurisma è la comparsa di ischemia(“mancanza di sangue”) alla periferia.
All’interno della sacca aneurismatica tende ad accumularsi sangue trombizzato che si deposita progressivamente. Frammenti di trombo parietale possono staccarsi ed essere trasportati dal flusso ematico sino in periferia.
Si verificano cioè embolie.
Accade anche che aneurismi in arterie di calibro più piccolo (arterie femorali o poplitee) si occludano per trombosi. In entrambi i casi il paziente accusa dolore alle estremità. Il piede o un dito di questo si presentano pallidi e freddi, qualche volta si apprezza anche un colore bluastro (cianosi).
Come in tutti i casi in cui l’apporto di sangue non e’ sufficiente può verificarsi la necrosi dei tessuti con gangrena.

DIAGNOSI
Di fronte ad un sospetto di aneurisma con i seguenti esami strumentali si ottiene una diagnosi di certezza e la definizione delle caratteristiche della malattia.
ECOGRAFIA
E’ l’esame strumentale forse meglio conosciuto e diffuso in molti campi della Medicina. Gli uItrasuoni possono penetrare nei tessuti ed essere riflessi dalle strutture del corpo. Opportune sonde ed apparecchi permettono cioè di “guardare ” all’interno del corpo umano. Il Medico si addestra a riconoscere i vari organi e a capirne la consistenza, i limiti e le forme osservando le immagini ottenute su un monitor.
Non e’ necessaria alcuna manovra cruenta ed è un esame ripetibile senza disagio e con bassi costi. La tipica immagine ottenuta in caso di aneurisma è una dilatazione dell’ arteria che presenta pareti più o meno ispessite. E’ bene individuabile la presenza di trombi. Ovviamente possono essere effettuate misurazioni dei diametri massimi.
Con gli apparecchi dotati di analisi Doppler con codici di colore (ECO COLOR DOPPLER) si possono visualizzare i flussi di sangue all’interno delle vene e delle arterie e quindi sono possibili migliori definizioni delle trombosi e dei rapporti con le arterie e le vene che sono vicine aIl’aneurisma. L’esame Ecografico può essere effettuato in pochi minuti, direttamente sul lettino del Pronto Soccorso anche in pazienti con condizioni critiche e permette di diagnosticare la rottura dell’aneurisma e la presenza di emorragia interna.
Si tratta della metodica più affidabile che viene utilizzata sia in esami di screening della popolazione sia come monitoraggio nel tempo di piccoli aneurismi o di ectasie.

TOMODENSITOMETRIA
E’ un esame più complesso e costoso. Permette di definire con esattezza i rapporti dell’aneurisma con le strutture e gli organi vicini.
Ottiene precise misurazioni dell’aneurisma e della trombosi endoluminale .
E’ una tecnica insostituibile nello studio dell’aorta toracica dove gli ecografi non possono ottenere immagini di qualità per tutta la sua estensione.

RISONANZA MAGNETICA
E’ un esame che permette di visualizzare con precisione le strutture interne del corpo solo sfruttando ed amplificando i campi magnetici dei tessuti. Non sono normalmente necessari mezzi di contrasto. E’ un esame molto costoso, riservato a casi dubbi e complessi.

ANGIOGRAFIA
E’ un esame “invasivo” che prevede la puntura di una vena del braccio o di una arteria (normalmente l’arteria femorale all’inguine) e l’introduzione di un liquido radio-opaco (mezzo di contrasto) all’interno delle arterie da esaminare.
Vengono così a definirsi i contorni del lume delle arterie e la geometria del loro decorso.
Si evidenziano le occlusioni, le trombosi endoluminali e i settori di arteria non colpiti dalla malattia.
Le pareti non sono visualizzate, sono intuite .E’ come se si vedesse il liquido contenuto in una bottiglia senza vedere il contenitore. E’ un esame che viene riservato ai pazienti candidati all’intervento chirurgico. Nel caso di aneurismi toracici o addominali permette di identificare le arteria renali ed evidenziarne il loro coinvolgimento nel processo patologico o di lesioni stenosanti associate.

TERAPIA
La sola terapia possibile il caso di rottura dell’aneurisma è l’intervento chirurgico urgente, effettuato in Centri qualificati da equipes esperte. Secondo alcuni studi almenoiIl 50 % dei pazienti colpiti non giunge vivo in ospedale. La mortalità dei pazienti che arrivano vivi ma in condizioni critiche e che sono operati è del 50-70%. Il decorso post operatorio dei sopravvissuti è gravato da molte complicanze essenzialmente legate alla ipoperfusone di importanti organi determinatasi prima e durante l’intervento. Possono comparire ad esempio infarto miocardico e cerebrale, insufficienza renale, ischemia intestinale ed insuffilcienza respiratoria.
La rottura dell’ aneurisma dell’aorta addominale rappresenta l’1,2% delle cause di morte degli uomini che hanno superato i 65 anni. Negli Stati Uniti è la causa di morte al tredicesimo posto e dovrebbe essere la causa di almeno un terzo delle morti improvvise dell’uomo.
Come sappiamo ogni aneurisma è destinato a crescere di diametro sino alla rottura oppure può determinare complicazioni emboliche o ischemiche.
I risultati del trattamento chirurgico degli aneurismi addominali senza rottura sono molto validi con una mortalità inferiore al 5% (nelle casistiche più moderne è del 2-3%). Le complicazioni post operatorie sono infrequenti e normalmente bene controllare nelle sale di terapia intensiva post-chirurgica.
Da quanto detto appare evidente che il comportamento corretto è quello di trattare chirurgicamente tutti gli aneurismi diagnosticati, evitando al paziente il rischio della rottura.
Nella maggioranza dei Centri specializzati si tende a sottoporre ad intervento chirurgico tutti i pazienti che presentino un aneurisma dell’aorta addominale di diametro uguale o superiore a 4 cm. e gli aneurismi più piccoli che presentino ai ripetuti controlli strumentali una crescita superiore al 0,5 cm all’anno (considerata come valore “normale”).
I pazienti che incorrono in queste condizioni presentano un rischio di rottura statisticamente maggiore e quindi non appare logico e prudente procrastinare per essi la corretta terapia
Gli aneurismi, addominali e periferici, che siano divenuti sintomatici per ischemia dovrebbero essere trattati con urgenza, possibilmente dopo valutazione generale del paziente e dopo studio agiografico

TECNICHE CHIRURGICHE
Il segmento di Arteria aneurismatico viene sostituito da un innesto, una protesi in materiale plastico che viene collegata ai settori di arteria sana. Il chirurgo isola l’arteria ammalata per tutta la sua estensione e nel caso dell’aorta addominale deve spostare molti visceri per arrivare alla sua sede.
Prima di sostituire l’arteria viene interrotto il flusso ai due capi con speciali pinze: l’arteria viene quindi sezionata senza importanti emorragie e sostituita da un tubo di calibro e forma adeguata.
Nel caso di rottura già in atto il chirurgo si trova nella necessità di isolare l’aorta in pochissimi minuti, ostacolato da una grande quantità di sangue già presente nell’addome e da una attiva emorragia dal punto di lacerazione del vaso.
Quando finalmente sono posizionate le pinze che interrompono l’emorragla si può procedere alla sostituzione come precedentemente iIIustrato.
Anche nel caso di aneurismi isolati delle arterie femorali o poplitee si procede con identica modalità: isolamento, sezione e sostituzione delle zone aneurismatiche. Quando è’ possibile viene utilizzata la vena safena prelevata dallo stesso individuo.
Recentemente sono state messe a punto protesi miniaturizzate che vengono collocate dall’interno delle arterie senza la necessità di incidere la parete addominale ed eseguire l’intervento chirurgico tradizionale.
Attraverso particolari strumenti è possibile praticare una piccola incisione o una puntura dell’arteria femorale all’inguine e così raggiungere l’interno dell’aneurisma aortico.
Qui viene dispiegata la particolare protesi, senza sostituire l’arteria ammalata, impedendone così la rottura. Sono procedure consigliate per pazienti ad alto rischio operatorio e con aneurismi piuttosto piccoli. Sono in corso di realizzazione protesi di questo tipo sempre più perfezionate ed è lecito attendersi importanti sviluppi di questa modernissima tecnica.

CONCLUSIONI
La malattia aneurismatica delle arterie e’ un evento relativamente frequente dopo il 65 anni, i sintomi sono quasi sempre assenti o molto modesti.
La diagnosi può essere facilmente ottenuta con esami ecografici che rendono possibili anche frequenti controlli periodici di iniziali dilatazioni.
La terapia razionale degli aneurismi è il trattamento chirurgico che in mani esperte e dopo adeguata preparazione del paziente presenta un rischio molto basso, sicuramente inferiore all’elevata probabilità di morte in caso di rottura.

Vittorio Villa -Specialista in Chirurgia Vascolare
pubblicazione 1996

I FIORI DI BACH E L’ETA’ DEL PENSIONAMENTO

E’ mia norma assoluta non generalizzare mai perciò ammetto che ci siano persone liete di smettere di lavorare.
In caso contrario, la fine dell’ attività lavorativa porta lo spettro del tempo futuro che a molti sembra di non saper come riempire e la paura della perdita di un certo riconoscimento sociale. Eppure l’uomo può essere “felice” a qualunque età intendendo per felicità la pace con se stessi, il raggiungimento di un equilibrio psichico, di una serenità mentale.
Nei momenti dei grandi cambiamenti come quello che si vive con il pensionamento, propongo ai miei pazienti il fiore di Bach di nome Walnut. Dà coraggio e determinazione, ci aiuta a essere liberi, svincolati da luoghi comuni.
Non più costretti a “timbrare il cartellino” riempiremo il tempo libero con ciò che ci piace.
Perché non uno sport? Assolutamente non agonistico in quanto non voglio più dimostrare, neppure ai miei coetanei, un’eventuale superiorità. Non amo più la differenza penalizzante tra i più bravi e i meno bravi, tra vinti e vincitori. Lascio tutto questo a chi é ancora e soltanto all’inizio di un cammino spirituale. “lo sono cresciuto, non invecchiato” dice il saggio che é maturato interiormente. Insieme a Walnut prescrivo sovente il farmaco omeopatico adatto a ognuno dei miei pazienti. Da questi ascolterò il racconto del loro passato ma non sempre lo ascolterò tacendo. Considero mio dovere da medico dare un consiglio, dire al paziente della necessità di trovare il senso della vita e la propria identità. Dare senso, dare significato, non separare il corpo dalla psiche.

 

Bach flower remedies
Necessario é quindi ricercare non soltanto quali sono i sintomi fisici ma anche quali i pensieri, le preoccupazioni che hanno provocato tali sintomi.
Ai demotivati prescrivo il fiore di Bach Gentian. Aiuta a ritrovare fiducia, ottimismo, voglia di crescere.
Il personaggio Gentian ha quel tipo di diffidenza che gli impedisce di aprirsi al mondo intero. Si isola per proteggersi da delusioni e ferite. Ogni disagio gli porta sensi di fallimento, di insicurezza, di pessimismo che possono, nei casi più gravi, sfociare in depressione.
Da non sottovalutare, soprattutto per migliorare il tono dell’umore, l’efficacia della “Pet therapy”. La presenza di un animale che ci ama e che ci chiede in cambio così poco, può dare serenità a persone sole o tristi.
Con tutte le risorse che l’uomo, creatura divina, ha in sé, con tutti i mezzi che la terapia medica sa usare, ci si può riaprire alla socialità, agli amici, al sole, all’ossigeno della natura e dell’ anima. Alla vita, in sostanza.

Maria Vittoria BRIZZI TESSITORE
Dott. in Medicina e Chirurgia
Dott. in Lingue e Letterature Straniere
Prof. in Materie Letterarie
Genova
pubblicazione del 2005

ESERCIZIO AEROBIOTICO PER RIDURRE IL PESO

E’ stata studiata una popolazione femminile dai venti ai quarant’anni, sana e solo lievemente sovrappeso.
La percentuale di grasso corporeo era stimata attorno al 30%-40%; si raccomandò a tutte le donne di continuare la dieta abituale durante il trattamento. Un gruppo di donne camminava a passo veloce, un altro pedalava sulla cyclette ed un altro ancora nuotava; dopo circa sei mesi il primo gruppo aveva perso il 10% del peso corporeo, il secondo il12%; quelle che avevano nuotato in piscina non erano dimagrite.
Lo spessore delle pliche cutanee dell’ avambraccio era ridotto nelle cicliste e nelle marciatrici, mentre era invariato nelle nuotatrici.
Fu notato che piccole perdite di peso si manifestavano già nel periodo iniziale e che quando il tempo dedicato all’ esercizio superava la mezz’ ora al giomo, il peso continuava a ridursi in modo progressivo e continuo di circa mezzo chilo alIa settimana.
II nuoto ha evidenziato di essere una forma gradevole di attività, procura benessere e mantiene la forma fisica, ma non è in grado di ridurre il peso corporeo ed il tessuto adiposo.

a cura dell’Istituto di
MEDICINA DELLO SPORT
di Genova della F.M.S.I.
Pubblicazione Giugno 1996

AIDS & METISOPRINOLO

L’AIDS è una malattia di origine virale e per non diventare un malato di AIDS nella fase conclamata il sieropositivo non deve essere colpito da infezioni opportunistiche cioè da quelle malattie che trovano la “opportunità” di penetrare nell’organismo a causa delle cattive condizioni immunitarie presentate dal sieropositivo.
Pare che in alcuni casi sia stato dimostrato anche che la carenza del sistema immunitario permetta la riattivazione di infezioni acquisite in anni precedenti e rimaste latenti nell’organismo.
In una recente conferenza internazionale tenutasi a Roma tutti gli esperti sono stati concordi nel sostenere che, se una speranza c’e, essa consiste nell’aumentare il più possibile le difese immunitarie del sieropositivo.
Una speranza in più si ha con l’impiego del Metisoprinolo che ha dimostrato di mantenere più a lungo una certa efficienza del sistema immunitario e pare abbia anche una qualche azione diretta sul virus HIV.
La più recente proposta terapeutica consisterebbe pertanto nell’attaccare l’AIDS con un cocktail di farmaci (AZT e Metisoprinolo o simili) in cui si abbia la doppia azione di “curare” il sistema immunitario (AZT) e di aggredire il virus (Metisoprinolo.). Purtroppo ogni medaglia ha il suo rovescio infatti bisogna tener presente l’ alta tossicità dell’ AZT che non permette lunghi periodi di cura.
Pare che l’associazione con il Metisoprinolo consenta di diminuire il dosaggio dell’ AZT e quindi un periodo di cura di più lunga durata.
Il vaccino risolverebbe indubbiamente il problema alla radice ma purtroppo siamo ancora molto, molto lontani.

LA RICETTA DEL SESSUOLOGO

E’ mia opinione che chi si occupa di Sessuologia dovrebbe sempre dedicare la prima parte del suo intervento ad identificare qual’è l’ atteggiamento cul­turale ed educativo di chi ha di fronte e partire da lì.
Ancora poco tempo fa, chi soffriva di disturbi psichici (fossero anche sempli­cemente di natura nevrotica) si rivolgeva raramente ed in casi estremi allo psichiatra o allo psicanalista: preferiva recarsi da un neurologo perché ciò gli confermava indiretta­mente di soffrire di un disturbo prevalentemente organico e che, su questa base, sarebbe stato affrontato e risolto. La stessa cosa avviene ancora oggi nei confronti del sessuologo cui si accede come estrema ratio, superando con fatica il disagio di varcare la porta del suo studio.
Quando una persona che ha un problema sessuale si presenta al proprio medico di famiglia o al ginecologo (se donna), la richiesta di “aiuto” è sempre mascherata da altre richieste o viene presentata per ultima, quasi per caso. Questa della sofferenza è una caratteristica comune a tutti coloro che presentano disturbi psico­sessuali: un soggetto che soffre a causa di un disturbato del comportamento ses­suale soffre proprio perché lo giudica inadeguato e ciò incide sempre di più nella valutazione di sè e questo rende sempre più inadeguato quel comportamento. Si instaura cioè un circolo vizioso tale che certi atteggiamenti, dirette conseguenze del sintomo, finiscono proprio per rafforzare il sintomo stesso.
D’ altra parte i vari disturbi sessuali sono caratterizzati da profili anamnestici e da storie individuali di sviluppo che pos­sono presentare delle analogie legate, ad esempio, al fatto che la sessualità appare come un’ area debole del sistema che cede prima di altre, ma sono in genere sostenute da esperienze individuali del tutto opposte (ca­ratterizzate ad esempio da ansia, rabbia, colpa, depressione, ecc) nei confronti di uno stesso obbiettivo (che potrebbe essere l’ atteggiamento nei confronti delle donne). Comune è soltanto il meccanismo etiopato­genico che, ad esempio, in caso di impotenza erettiva maschile è dovuto ad un’iperattivazione del sistema nervoso simpatico che finisce per antagonizzare il sistema parasimpatico responsabile della va­sodilatazione e, quindi, in ultima analisi dell’ erezione.
Gli esami che si potrebbero fare sono numerosi (sia per l’uomo che per la donna) ma ciò che preme sottolineare è che colui che soffre di un disturbo sessuale venga messo dal terapeuta sessuale nelle condizioni di comprendere che psiche e soma sono un’ unità imprescindibile e che solo armonizzando queste due componenti è possibile affrontare la soluzione del proprio disagio.
Da questo punto di vista il medico sessuologo ha forse una marcia in più rispetto, ad esempio, allo psicologo o allo psicoterapeuta: la possibilità di visitare, di esaminare, di richiedere indagini diagnostiche da interpretare, dà al o alla paziente (o alla coppia) la garanzia di avere o non avere un disturbo organico. Tale valutazione richiede un periodo di tempo durante il quale il/i soggetti interessati hanno modo di capire se si trovano di fronte alla persona giusta oppure no, se accettare il “contratto terapeutico” che viene proposto oppure no: questo è estremamente importante per la soluzione del problema, indipendente­mente dalla causa e dalla metodologia di intervento adottata.
In una società “miracolistica” come la nostra, dove sembra esserci una soluzione tecnica per tutto (e subito), comprendere che, ad esempio, dietro un’impotenza erettiva, un’eiaculazione precoce, un’impossibilità a raggiun­gere l’orgasmo ci stanno senza dubbio fattori di ordine nervoso, vascolare, biochimico, endocrino, ecc. ma anche la propria educa­zione, la propria storia personale, la propria relazione di coppia è fondamentale per superare il pro­blema. Nel contempo bisogna comprendere che non esiste sempre la pillola che fa “guarire” presto e bene, che spesso non si può medicalizzare tutto, ma che ogni tanto occorre fermarsi a riflettere un po’ su noi stessi, sulla nostra vita, sulle nostre relazioni con gli altri, sulle nostre prospettive. Ricordo un paziente che venne da me per un problema di eiaculazione precoce, presente da molto tempo ma che si era accentuato negli ultimi tempi; la descrizione che egli faceva della sua vita sembrava giustificare pienamente il disturbo: professione impegnativa che si era accresciuta ultimamente di nuove responsabilità, conflitti con i figli adolescenti, incomprensioni sul lavoro con i propri superiori, pochi periodi di riposo durante l’anno, ecc. A questo andava aggiunto l’uso eccessivo di tabacco, il ricorso a numerosi caffè, una preoccupante (per lui) ipercoleste­rolemia non giustificata dalla dieta. I colloqui condotti dapprima con lui e poi insieme alla moglie dimostrarono che egli, in pratica, viveva “di corsa”; la sua giornata “doveva” essere piena, non esisteva spazio per fermarsi a riflettere, per tirare il fiato, per tenere un po’ di tempo per sè: pochissimo tempo in bagno al mattino, velocissima colazione, spostamenti rapidissimi in auto, pranzi e cene rapidi e senza gusto. Anche il rapporto di coppia, che veniva da entrambi descritto come molto buono, si rivelò, ad un maggiore approfondimento, problematico: i “gusti” di entrambi si rivelarono molto diversi in termini di interessi culturali, di metodi educativi dei figli, di tempo libero e, ovviamen­te, di sesso. Il difetto reale stava nella difficoltà di comunicare con franchezza, a verbalizzare ciò che era racchiuso nel cuore o nel cervello, ad esprimere con natura­lezza ciò che si desiderava o si sarebbe desiderato dall’altro. Per la cronaca si dirà che in un periodo di tempo non troppo lungo, il problema di lui fu superato ma non senza migliorare prima la relazione di di coppia. Non sempre queste storie finiscono bene, ma spesso ciò accade.
Tutto dipende dalla “ricetta” che si segue: un insieme ben amalgamato di ingredienti spesso difficili da ricono­scere e da descrivere ma in grado di raggiungere l’obbiettivo.
pubblicazione del 1994

AIDS – ALCUNE IPOTESI

II prof. Zagury considera l’A.I.D.S. una malattia come un’altra, solo molto più potente e giudica estremamente positivo il fatto che il primo gruppo colpito, gli omosessuali, abbiano provocato polemiche e clamori, poiché questo ha impedito la diffusione vastissima e inavvertita attraverso le donazioni di sangue dei sieropositivi, e ha consentito di dare l’allarme prima che la situazione diventasse ancora più tragica di quello che già è, dati anche i lunghissimi tempi di incubazione.
Si sa infatti che il virus può dimorare 5 o 10 anni prima che le difese annullate facciano esplodere le infezioni proprie della malattia.
Proprio per questa lunga incubazione si considera inattendibile l’ipotesi che il virus sia opera di ingegneria genetica utilizzata a fini bellici, infatti non avrebbe nessuna funzione immediata.
Alla fine dell’85 si accese una polemica, con accuse reciproche tra Unione Sovietica e Stati Uniti.
Per i russi il virus proviene da un incidente, con fuga del virus stesso, nell’ ambito della ricerca spietata e cinica di armi batteriologiche da parte degli Stati Uniti. Alle ricerche, condotte utilizzando per gli esperimenti la feccia della società rinchiusa nelle carceri, è probabilmente sopravvissuto qualcuno che, liberato, ha diffuso il contagio. Gli Stati Uniti non si difendono che contrattaccando e indicando come sospetti i laboratori sovietici.
C’e anche chi crede – ed è un premio Nobel, Francis Crick, che ha scoperto le strutture del DNA ­che il virus nascerebbe da spore provenienti dallo spazio.
Luc Montagnier dell’Istituto Pasteur, ritiene che sia assurdo pensare alla costruzione in laboratorio del virus per due motivi: il primo è che il virus è molto simile a quelli della pecora e del cavallo quindi non c’e nulla di assolutamente nuovo; il secondo motivo è che per produrre un virus i cui effetti mondiali si osservano ora, occorreva già nel settanta avere conoscenze che solo nell’ottanta si sono fatte strada nella scienza.
Ogni pericolo che varca le frontiere -come Chernobyl- ci ripropone l’interrogativo sull’uso che l’uomo può fare delle sue conoscenze e la conseguente riflessione su come non si possa dimenticare l’elemento grezzo costituito dal pianeta e dal corpo in cui viviamo. La contraddizione enorme tra il potere della mente e la fragilità del corpo insieme alla imprevedibilità degli eventi naturali dovrebbe aumentare l’umiltà con cui accoglie il sapere intorno a tutto ciò che è elemento naturale. Invece sembra che la logica del dominio sia prioritaria. Dominare gli elementi, dominare le malattie.
E’ chiaro che l’uomo non accetta di morire, vorrebbe essere immortale, e per illudersi si nasconde l’evenienza della morte con un vitalismo vuoto. Ogni evento, e l’A.I.D.S. ne è un esempio, che lo mette di fronte alla sua possibile fine lo spaventa. Tra qualche anno probabilmente la libertà legale di scegliere la morte garantirà paradossalmente, ancora una volta e solo apparentemente, il dominio dell’uomo sulla natura.

Antonina Nobile Fidanza (psicoterapeuta)
pubblicazione del febbraio 1988

CHE COS’E’ L’OSTEOPETROSI

Nell’ambito delle forme infantili la forma più grave segue una trasmissione genetica autosomica recessiva ed esordisce nel primo anno di vita con grave compromissione oculare per restrizione dei forami ottici, epatosplenomegalia e sintomatologia ematologica rappresentata da anemia grave, piastrinopenia e leucopenia.
Il quadro osseo é rappresentato dalla comparsa di aumento della densità ossea
generalizzato, gravi deformità scheletriche e fratture patologiche. Compare inoltre ipoacusia per progressiva ostruzione dei forami acustici. I pazienti presentano una sopravvivenza media del 30% al sesto anno di età.
Un’altra forma meno grave della precedente é la cosiddetta forma intermedia: i soggetti raggiungono l’età adulta ma i disturbi ortopedici e neurologici possono essere invalidanti.
DeIl’ osteopetrosi sono state descritte numerose altre varianti nelle quali non é presente la compromissione ematologica ma solo quella ossea con fratture patologiche frequenti ed occlusioni dei forami acustici ed ottici con conseguente ipoacusia e riduzione della acuità visiva.
Fino a pochi anni or sono non esistevano possibilità terapeutiche per questi pazienti. Nel 1997 Ballet et al. ottennero un significativo miglioramento delle alterazioni ossee di un bambino con osteopetrosi tramite l’infusione di midollo osseo di un fratello HLA identico.
Da allora il trapianto di midollo osseo ha rappresentato una strategia terapeutica vincente in questi soggetti.
Nella nostra Unità di trapianto di midollo osseo sono stati trapiantati negli ultimi 10 anni tre soggetti affetti da osteopetrosi grave.
Nessuno ha presentato gravi problemi sia di GVHD acuta che cronica e soprattutto abbiamo evidenziato, nel follow-up di questi bambini, una completa ripresa del rimaneggiamento osseo con netta riduzione delle deformità ossee che erano presenti nel periodo pre-TMO. Tutti i nostri pazienti hanno avuto un’ ottima ripresa ematologica con totale ripristino della funzionalità midollare.
Pertanto il trapianto di midollo osseo allogenico rappresenta ora l’unica terapia per i pazienti affetti da osteopetrosi grave ed intermedia con risultati a breve e lungo termine decisamente soddisfacenti.

M. FARACI
Pediatria II
Istituto G. Gaslini (GE)
Luca MANFREDINI
Pediatria IV
Istituto G. Gaslini (GE)
Pubblicazione del 1998

OSTEOMELITE DEL MASCELLARE

La nostra esperienza è stata infatti quella di trattare un numero cospiquo di pazienti con l’osteomelite del mascellare complicata con sovrainfezione batterica, tipo gram positivo antibiotico resistente , con l’ Ossigeno-Ozono terapia per via topica (insufflazione) e sistemica (autoemotrasfusione), prima di prendere in considerazione un eventuale trattamento chirurgico.
I risultati sono stati, che tale trattamento ha dato nel 30% dei casi una completa risoluzione del processo, con chiusura delle fistole e completa eradicazione batterica. Nel 70% dei casi si è invece avuto una notevole riduzione della infezione batterica che ha consentito sucessivamente un più appropriato intervento chirurgico. In conclusione possiamo dire che la Ossigeno-Ozono terapia per via topica che sistematica ha un ruolo decisivo nella guarigione di una grande percentuale di pazienti affetti da osteomelite da mascellare complicata da sovrainfezione batterica antibiotico resistente.

dr. Luigi MONTANO
Seconda Università di Napoli

LATTAZIONE NEI NEONATI FONDAMENTALE E’ LA STIMOLAZIONE

Dagli studi delIa Human Lactation Research Group il punto sulla lattazione pretermine nel corso del congresso internazionale “Nutrizione con latte umano” tenutosi a Venezia i gicrni 7e 8 maggio 2010, promosso da Medela.
L’alimentazione con latte materna possiede indubbi benefici sia per il bambino che per la mamma, per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità da sempre la incoraggia fortemente insieme all’allattamento al seno esclusivo dalla nascita per 6 mesi completi.
I dati epidemiologici documentano il fatto che l’alimentazione naturale e utile non solo per i nati sani a termine, ma anche per i nati che necessitano di cure assistenziali speciali (prematuri, neonati di basso peso, neonati patologici). I prematuri, se nutriti con latte materno, vanno meno soggetti ad infezioni gravi (sepsi, meningiti) ed ad enterocolite necrotizzante, tutte patologie ad elevata mortalità e con possibili conseguenze sulla salute a lungo termine. Nonostante questi innumerevoli vantaggi, l’allattamento esclusivo viene messo in pratica in una percentuale ridotta di casi. Non si tratta solo del fatto che generalmente il bambino pretermine ha difficoltà ad attaccarsi al seno. Infatti, prima che lui sia eventualmente pronto a farlo, manca un incisivo, sistematico incoraggiamento e supporto alle mamme dei bambini prematuri per intraprendere la lattazione, ritenuta magari troppo stressante o addirittura erroneamente controindicata, nel caso in cui le mamme debbano assumere farmaci al parto e nei primi giorni dopo il parto.
Diventa quindi sempre più importante non solo intervenire nella rimozione di eventuali ostacoli all’allattamento, ma promuovere la nutrizione con il materna nelle Unita di Terapia Intensiva Neonatale (UTIN) incentivando le mamme a spremere il proprio latte senza perdere giorni preziosi.
“Riuscire ad allattare un bambino nato alia 30° o alla 27° settimana di gravidanza, a volte anche prima, non è facile, ma e sicuramente possibile, nonostante tutti gli ostacoli – afferma Riccardo Davanzo, Pediatra presso la neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale dell’IRCSS Burlo Garofalo, Trieste –
II primo è rappresentato dalla separazione del neonato pretermine dalla mamma: è difficile allattare da “lontano”, ma e importante riuscirci. Per un buon avvio è fondamentale che il bambino inizi a poppare subito e costantemente, ma ad un neonato ricoverato in terapia intensiva questo non accade quasi mai; perciò la parola d’ordine è: stimolare il seno. L’ideale, se le condizioni di salute della mamma lo permettono, e provare a tirare o spremere il latte nelle prime ore dopo il parto, cominciando così a prendere confidenza con l’operazione di estrazione e assicurando le prime gocce di colostro al bambino. Tutte le mamme potenzialmente producono latte, ma vari fattori, quali lo stress o fattori di tipo organizzativo vanno a diminuirne la qualità .
Ogni giorno in Italia nascono in media 13 nuovi bambini con peso alla nascita inferiore a 1500 grammi che vengono “attaccati ad una macchina anzichè al seno della madre: sono circa 5.000 l’anno.
Le percentuali delle nascite premature sono in aumento, in compenso migliorano le loro condizioni di salute: oggi sopravvive il 90% dei neonati con peso inferiore ai 1.500 grammi, negli anni ’60 non si arrivava al 25%.
“L’alimentazione con latte materno magari mediante sondino è molto importante per un neonato in terapia intensiva – continua Davanzo – perchè gli fornisce una maggiore protezione contro le infezioni, riduce l’incidenza di patologie a carico dell’intestino, stimola la crescita e lo sviluppo neurologico.

II rischio relativo di enterocolite necrotizzante per i nati pretermine nutriti con formula rispetto al latte umano aumenta di 2.46 volte, mentre si riduce dello 0.47% iI rischio di sepsi/meningiti.
Inoltre, allattare aiuta la madre a sentirsi attiva e partecipe, in un momento in cui i genitori sperimentano un forte senso di impotenza. In seguito, l’allattamento al seno potrà contribuire a recuperare un senso di “normalità.
Ma illatte materno è sufficiente a fornire i nutrienti necessari al bambino pretermine?
Recenti studi hanno comparato il latte a termine e quello pretermine ed hanno mostrato che quest’ ultimo tende ad avere alti valori proteici, un contenuto molto diverso di acidi grassi e maggiori livelli elettroliti (ad esempio sodio e potassio). II latte materno è composto da diversi fattori protettivi necessari allo sviluppo che sono indiscutibilmente benefici per il bambino prematuro e, in media, il latte delle madri che partoriscono prima del termine ha una densità calorica maggiore di quello delle madri di bambini nati a termine. Tuttavia la composizione e la densità nutrizionale del latte pretermine variano a seconda della prematurita e in particolare da madre a madre, pertanto nella maggioranza dei casi si rende necessaria l’aggiunta di fortificanti.
“Nascere prematuri implica un brusco arresto della crescita e delle sviluppo intrauterini. II neonato prematuro si configura di conseguenza come un’emergenza anche dal punta di vista nutrizionale, la presa in carico di questi neonati rappresenta una “sfida” per il neonatologo ed il nutrizionista”­afferma Paola Roggero, Pediatra Gastroenterologa della Terapia Intensiva Neonatale delia Clinica Mangiagalli di Milano. – II contenuto proteico ed energetico del latte materno, i cui benefici sono indiscussi, non è sufficiente a supportare la crescita dei neonati prematuri ad un ritmo paragonabile alla crescita fetale. Ne deriva pertanto la necessita di “fortificare”il latte materno per poter garantire una migliore crescita. Dei fortificanti disponibili in commercio, quelli derivati dal latte bovino presentano una composizione in aminoacidi differente rispetto al latte materna e possono essere meno tollerati rispetto ai fortificanti derivati dal latte umano, su cui la ricerca sta concentrando i suoi sviluppi.”

ANATOMIA DEL SENO “AL LAVORO”
La mammella
La mammella è formata da ghiandole lattifere, destinate cioè alla produzione del latte, circondate da tessuto adiposo e da tessuto connettivo (legamenti di Cooper). II latte prodotto dalle ghiandole viene trasportato al capezzolo tramite dotti lattiferi. Durante i mesi di gravidanza, il seno
si prepara all’allattamento e nella maggior parte dei casi aumenta in dimensioni e diventa più teso. Particolari ghiandole, dette di Montgomery, concentrate nell’areola, si ingrossano e iniziano a secernere una sostanza oleosa che lubrificherà e proteggerà il capezzolo durante la poppata.
L’areola diventerà più scura ed è anche possibile che i capezzoli si facciano più prominenti.
II seno e un insieme di diversi tessuti e ognuno di essi ha una sua funzione specifica:
• Legamenti di Cooper: tessuto connettivo e adiposo che sostiene il seno e lo ancora al torace
• Grasso retrommario: cuscinetto adiposo posizionato nella parte posteriore del seno
• Tessuto ghiandolare: produce il latte
• Grasso sottocutaneo: tessuto adiposo che si trova appena sotto la pelle
• Lobulo contenente gli alveoli: ogni lobulo contiene dai 10 ai 100 alveoli raggruppati
• Dotto lattifero: deputato al trasporto del latte

L’alveolo
II tessuto ghiandolare è composto di alveoli. Ogni alveolo è una sorta di sacchettino che contiene il latte prodotto che sarà riversato nei dotti lattiferi. Più alveoli si uniscono a formare i lobuli.
Un modo per visualizzare le strutture del seno e disegnare un albero. Gli alveoli sono le foglie e i dotti sono i rami. Molti rami più piccoli si uniscono a pochi rami più grandi che infine diventano il tronco dell’albero.
La “spremitura” del latte avviene attraverso le cellule mio epiteliali che spremono gli alveoli e forzano il latte ad uscire dalla mammella.
Il lattocita è la cellula produttrice di latte. E’ una sorta di piccola fabbrica deputata alla produzione ed invio del latte nell’alveolo. II dotto lattifero, invece, e il canale che consente al latte di lasciare gli alveoli e passare, attraverso il seno, al bambino.

II lattocita
II lattocita si comporta come una piccola fabbrica in funzione ed ogni sua componente gioca un ruolo importante.

Nucleo: contiene il DNA della cellula, è responsabile di come la cellula appare e di ciò che contiene.
E’ una parte molto complessa, responsabile del metabolismo della cellula stessa.

Reilcolo endoplastico: è una sorta di rete che agisce come un filtro nei confronti delle molecole, soprattutto proteine e lattosio.

Apparato del Golgi: è responsabile del “trasporto” delle proteine

Giunzioni: hanno 3 funzioni principali:
adesione (tengono unite le cellule),
occlusione (controllano it passaggio di alcune sostanze),
comunicazione

II latte materno è vivo e spalanca affascinanti percorsi di ricerca
Gli studi dello Human Lactation Reasearch Group de/l’University of Western Australia hanno fatto luce sulla straordinaria complessità della composizione del latte materno, sul suo mutare costantemente durante le diverse fasi della poppata ma anche nei diversi periodi dell’allattamento, con i conseguenti benefici per il bambino e la mamma.
Dai lavori, infatti, emerge che il latte materno muta in risposta alle esigenze del bambino nelle diverse fasi di crescita, fornendo un nutrimento eccezionale al neonato, che migliora la resistenza alle malattie, oltre a potenziare lo sviluppo intellettuale e altre funzioni vitali. I risultati hanno anche evidenziato i vantaggi fisiologici per la madre.
Gli studi confermano ancora una volta quanta il fluido sia dinamico, adattabile e “vivo” nel vero senso della parola. Negli anni scorsi, i pochi che si occupavano di ricerca in questo settore, credevano che il latte materno fosse un liquido statico e immutabile, simile al latte prodotto in serie che si acquista nei negozi. II latte materno è invece il miglior artista della trasformazione: non sta mai fermo. Per esempio fornisce sempre il giusto apporto energetico. Contiene più calorie nelle prime settimane, quando il bambino cresce velocemente e poi sempre meno, man mano che la crescita rallenta. In seguito, quando il bambino ha bisogno di maggiori energie per gattonare e imparare a camminare, il latte diventa
nuovamente più energetico.
In particolare, il latte materna sembra offrire proprio l’esatto livello di protezione immunitaria.
E’ sempre sufficiente per proteggere i neonati, ma allo stesso tempo non è mai troppo, tale da impigrirne il sistema immunitario e impedirne lo sviluppo.
Per esempio, il colostro, il latte denso e ricco prodotto subito dopo la nascita, abbonda di anticorpi che proteggono il neonato quando il suo sistema immunitario non si e ancora sviluppato. Poi, quando i bambini crescono e il loro sistema immunitario si rafforza, la percentuale di questi anticorpi si riduce.

Riccardo Davanzo, Pediatra presso la Neotologia e Terapia Intensiva Neonatale dell’IRCSS burlo Garofalo, Trieste.

In cosa consista il calo di peso postatale , quando è fisiologico e in alcuni casi si può parlare di calo eccessivo?
Il calo di peso postatale dei nati ani a termine di peso appropriato è fenomeno ben noto, ma poco documentato in letterature.
Esiste un calo di peso massimo comunemente accettato del 10% con un successivo recupero del peso entro 2-3 settimane dalla nascita.
I cali di peso eccessivi sono quelli >10% e dipendono, il più delle volte, da un’alimentazione sub ottimale associata a fattori materni quali primiparità, travaglio prolungato, ritardo della montata lattea e uso di farmaci durante il travaglio nelle multipare.
Tale calo si accompagna ad alterazioni dei sali e, quindi, a disidratazione. Ne sono soggetti maggiormente i neonati allattati al seno, poiché la lattazione umana non implica un successo del 100%.
Va evitata, laddove è possibile, l’aggiunta di latte artificiale che, come è noto, ostacola l’avvio di una buona suzione da parte del bambino. Il latte artificiale, infatti, dovrebbe essere prescritto dal pediatra solo in casi particolari.
Purtroppo, invece, si somministra 2la formula” soltanto per far dormire maggiormente il bambino di notte o per permettere a persone diverse dalla mamma di alimentarlo.
Per uscire a trovare un compromesso tra le buone pratiche neonatologiche e l’entusiastica promozione dell’allattamento è importante la messa in atto di un protocollo di sorveglianza che consenta di monitorare tempestivamente il calo di peso sostenedo , nel contempo, l’allattamento al seno.
In cosa consista il protocollo di sorveglianza attivo presso l’IRCCS Burlo Garofalo?
Il protocollo è attivo con l’obbiettivo di promuovere l’allattamento, ridurre il ricorso a supplementazioni di latte artificiale non necessarie ed evitare la disidratazione ipernatricmica neonatale. Nei casi di peso >10% o nei cali di peso dell’8-10%, ma con neonato con segni di disidratazione l’intervento consiste in:
* supporto all’allattamento al seno (correzione della poppata, al caso),
* spremitura del latte materno e somministrazione al neonato,
* controllo della sodiemia,
* controllo di peso dopo 8-12 ore.
*eventuale supplementazione con formula, quando ritenuto necessario.
La disponibilità di un protocollo operativo ci ha permesso di gestire meglio il supporto alle mamme e, soprattutto, di decidere quando e se dare le aggiunte di formula.
Il calo fisiologico si può riscontrare anche tra i neonati prematuri? Ci sono differenze rispetto ai neonati pretermine. Se si quali?
I neonati pretermine tendono ad avere un calo di peso maggiore rispetto ai nati a termine in quanto hanno molto più acqua corporea. Non è esattamente noto quale sia il loro calo di peso fisiologic, datoo che sono alimentati per via parentale e somministrazione col sondino di latte.
Anche per questi neonati si fa riferimento ad un calo di peso non superiore al 10%.

Pubblicazione giugno 2010

SIDS: COSA NE SANNO I GENITORI

L’obbiettivo era verificare il grado di conoscenza della SIDS da parte dei genitori presenti, la qualità delle informazioni, come vengano diffuse e da quali canali vengano apprese. Questi numeri si vanno ad aggiungere a quelli gia raccolti nei mesi scorsi durante le tappe di Milano e di Bari di Bimbinfiera (in totale i genitori coinvolti sono stati 5.300) e sembrano confermare, in parte, i dati della città pugliese, risultati che si discostano, più meno lievemente a seconda delle domande, da quelli del capoluogo lombardo. In particolare, dai dati romani, risulta evidente che solo una piccola percentuale di genitori ha sentito parlare in modo esaustivo di SIDS. Inoltre, pur avendone sentito parlare, ancora molti genitori hanno risposto di non sapere che e la prima causa di morte dal ventottesimo giorno al primo anno di vita. Evidente quindi che ancora molto c’e da fare e la campagna promossa da MAM Association, con il coordinamento scientifico del dottor Carlo Gargiulo, vuole proprio rappresentare un primo passo in questa direzione, cioè di una miglior conoscenza del problema e la conseguente adozione degli opportuni e semplici comportamenti in grado di ridurre sensibilmente il numero di queste morti ed evitare il dramma di una SIDS. I genitori, infatti, pur sapendo che esi­tono alcune precauzioni, non hanno le idee troppo chiare su quali siano. E così alla domanda “qual è secondo te la giusta posizione per far dormire il bambino per evitare la SIDS durante la nanna?”, ben il 53% dei genitori intervistati a Roma (in linea con la percentuale di Bari, ma quasi il doppio rispet­to a quella di Milano) ha risposto ancora quella di lato. Tra gli altri dati emersi, interessante è quello che riguarda l’uso del succhietto: la metà dei genitori conosce la sua utilità e efficacia, nonostante sia stato tra le ultime raccomandazioni a essere incluse nei comportamenti anti-SIDS. Segno che una corretta e accurata informazione su questa tema è fondamentale per aiutare mamme e papàa a far dormire sonni tranquilli ai laoro piccoli.
I questionari compilati da 5.300 persone a Roma, Milano e Bari in occasione di Bimbinfiera parlano chiaro: nonostante si senta sempre più spesso parlare di SIDS c’e ancora molto da fare per sensibilizzare le mamme e i papà italiani sull’importanza dell’adozione di alcune sane “abitudini” per il bene dei loro piccoli MAM Association nasce in Italia per promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione sulla SIDS (Sindrome della morte imprvvisa del lattante) al fine di dare il proprio contributo nella riduzione del rischio di questa fenomeno. L’Associazione lavora a stretto contatto con importanti organizzazioni e associazioni internazionali impegnate nel settore della salute e dell’infanzia e si propone di portare nel nostro Paese i contributi di specialisti di fama mondiale, frutto dei più aggiornati studi e delle ricerche più innovative.
Per ulteriori informazioni:
Media60 (Ufficio stampa campagna anti-5IDS)
tel. 035 5788871
ufficiostampa@media60.it
pubblicazione aprile 2010