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1978 – 1987 ESPERIENZE DI ABORTO FARMACEUTICO

Insomma, non è affatto consoli­dato il semplice meccanismo per cui ad ogni richiesta di intervento abortivo (entro i novanta giorni di gravidanza) corrisponda l’otteni­mento della prestazione richiesta: dipende dall’area geografica, dal­l’organizzazione sanitaria del luo­go, dal rapporto obiettori-non obiettori della struttura sanitaria, dalla presenza o meno di un servi­zio autonomo di interruzione della gravidanza piuttosto che dalla con­fluenza dello stesso nel novero di tutti gli altri complessi servizi di un reparto di ostetricia-ginecologia, nonché dal numero di donne che richiedono la prestazione. Insom­ma l’esecuzione dell’intervento è una risultante del tutto contingente a fattori molteplici che rendono disomogenea la distribuzione degli interventi abortivi eseguiti, ed il numero complessivo costante degli aborti è piuttosto l’ espressione di un perdurare di questo intreccio di variabili e non certo indice di oscil­lazioni di tendenze nei confronti della pratica abortiva.
In effetti la regolamentazione dell’aborto in vigore in Italia ben rappresenta l’ibrido tra la sorpas­sata concezione penalizzatrice e la sconfitta posizione depenalizza­trice.
Come uscirne fuori?
A tal proposito e stato significa­tivo il recente convegno “L’inter­ruzione volontaria di gravidanza: problemi, tendenze, prevenzione”, tenutosi a Roma presso l’Istituto Superiore di Sanità, a cui ho parte­cipato con una comunicazione in qualità di coordinatore dell’Asso­ciazione per l’aborto non chirurgi­co e per l’autodeterminazione del­la donna, che da anni si batte tra l’altro per l’introduzione degli ana­loghi di prostaglandine – che con­sentono l’aborto farmaceutico ­nella Farmacopea Ufficiale. Ebbe­ne la Schering ha finalmente regi­strato il suo analogo di prostaglan­dine – sulprostone – che sotto for­ma di fiale è a disposizione in Italia nelle farmacie ospedaliere.
Possiamo essere soddisfatti di tale risultato a cui abbiamo contri­buito con anni di impegno ed iniziative (l’ultima rilevante delle quali è stata la consegna al Mini­stero della Sanità delle migliaia di firme raccolte sulla petizione po­polare per l’introduzione degli analoghi di prostaglandine nella Farmacopea Ufficiale).
L’impegno adesso ha da riguar­dare il passaggio successivo: l’a­borto di gravidanza iniziale è in grado di essere sottratto per merito degli analoghi di prostaglandine dalla gestione chirurgica e quindi ospedaliera, divenendo praticabile ambulatoriamente se non addirittura domiciliarmente sotto un me­ro controllo medico e senza defati­ganti procedure.
Dunque o cambia la legge 194 sull’aborto nel senso di una reale depenalizzazione o le donne an­dranno in ospedale (a termine di un iter obbligato) per effettuare delle semplici iniezioni o per la mera somministrazione di ovuli va­ginali di analoghi di prostaglandi­ne!, cose cioè che potrebbero be­nissimo fare anche in ambulatorio oppure a casa loro (come avviene in Svezia) sotto un normale con­trollo sanitario).
Insomma la scienza ha compiuto il suo compito offrendo alle donne l’aborto farmacologico; un prodot­to a base di analoghi di prostaglan­dine è entrato nella Farmacopea Ufficiale Italiana: si tratta ora di fronteggiare le resistenze, i pregiu­dizi, gli interessi, le mentalità e la stessa legge 194 che impediscono il valido e pieno utilizzo di tale im­portante acquisizione per la salute e l’autodeterminazione della donna.
Maurizio Mottola
pubblicazione del 1987

ABORTO NON VUOL DIRE CONTRACCEZIONE

II problema è certamente urgen­te, anche per porre un freno ai 209.954 aborti (1985) «ufficiali» ed ai quasi 300.000 clandestini, questi ultimi in gran parte riguardanti minorenni o comunque, giovanissime.
Tale aumento della sessualità tra i giovanissimi è indubbiamente favorito da fattori biologici, quali l’anticipazione della libertà e dell’età fertile, come documentato da diversi Autori.
Negli ultimi decenni si è infatti osservata nei paesi europei e nordamericani, la tendenza all’anticipazione del menarca di 3-4 mesi ogni decade, probabilmente per le migliorate condizioni alimentari ed igienico-sanitarie.
L’età media di comparsa del menarca è attualmente di 14-15 anni nei paesi rurali in via di sviluppo, mentre e di 12,5-13,5 anni nelle aree urbane di tutto il mondo.
Questi dati di fatto fanno ragio­nevolmente concludere che l’uso della pillola nelle giovanissime sia giustificato.

Luci ed ombre della contraccezione in Italia
Per contraccezione si intende il controllo della fertilità impedendo la fecondazione in via temporanea.
La contraccezione rappresenta pertanto uno dei mezzi per il controllo della fertilità (altri mezzi sono: l’aborto indotto, l’astinenza sessuale, la sterilizzazione).
Solo una certa percentuale di donne in età fertile desidera avere figli; per molte la gravidanza costituisce un ostacolo o un problema per le più diverse ragioni (professione, situazione economica, problemi di alloggio, ecc.) o addirittura un rischio (età avanzata, rischi genetici, malattie di cuore o di reni, ecc.). La scelta contraccettiva è adeguata solo quando il soggetto ottiene dalla società tutte le informazioni riguardanti le varie metodiche (scuola, Sistema Sanitario Nazionale, mass media), così da poter rapportare il rischio al beneficio relativamente alla propria situazione.
La mancanza di adeguate informazioni, ad esempio, ha determinato in molte nazioni il fallimento dei programmi di contraccezione per le giovanissime.
Le scelte contraccettive sono profondamente mutate negli ultimi vent’anni e la linea di tendenza moderna privilegia chiaramente i metodi più efficaci, primo in assoluto la pillola.
Purtroppo il nostro Paese vede sempre un notevole numero di interruzioni volontarie della gravidanza.
Notevoli sono poi le variazioni regionali riguardanti l’uso della pillola: si va dal 14,4% del Trentino-Alto Adige al 2,8% della Basilicata. Genericamente si può dire che l’uso della pillola è strettamente legato alla realtà socio-economica di ogni singola regione.
Sulla contraccezione in Italia, l’International Health Foundation ha compiuto un interessante studio su un campione di donne tra i 15 ed i 45 anni. Ne sono emerse informa­zioni interessanti, ma anche segni di disinformazione e di pregiudizio incredibili. L’indagine risale a qualche anno fa e molti dati che vi emergono sono da conside­rarsi superati, grazie soprattutto all’affidabilità ed all’innocuità delle pillole di ultima generazione.

LA PILLOLA IN ITALIA (1985)…. E GLI ABORTI INDOTTI

 

Aborti (per 1000 donne) (15 – 49 anni)

Pillola percentuale d’uso (15 – 45 anni)

Italia Settentrionale
Piemonte

18.4

7.0

Valle D’Aosta

18.5

12.6

Lombardia

14.9

8.1

Trentino Alto Adige

10.0

14.4

Veneto

6.7

6.6

Friuli

16.6

6.8

Liguria

17,5

8.5

Emilia

20.9

7.3

Italia Centrale
Toscana

19.0

6.1

Umbria

21.1

4.2

Marche

14.7

4.1

Lazio

19.0

5.1

Abruzzo

15.9

4.7

Sardegna

11.8

8.6

Italia Meridionale
Molise

14.6

3.3

Campania

11.0

3.1

Puglia

27.7

3.7

Basilicata

11.1

2.8

Calabria

8.0

2.9

Sicilia

11.6

4.7

 

LA PILLOLA IN EUROPA (1985)

 

PAESE

%

Belgio

38.4

Olanda

36.9

Francia

33.0

Svezia

31.6

Germania

31.0

Austria

26.2

Svizzera

22.0

Inghilterra

21.9

Portogallo

21.0

Finlandia

14.0

Spagna

13.6

Irlanda

11.0

ITALIA

7.3

Turchia

3.9

Grecia

1.9

 

Metodo anticoncezionale seguito:
30 % non segue alcun metodo
27% coito interrotto e/o astinenza periodica
23% profilattico
20% altri metodi

L’informazione alla donna viene fornita da:
64% Ginecologo
13% Consultorio
12% Amiche
11% Altri

Mini storia della pillola
La pillola anticoncezionale – ben presto diventata «la pillola» per antonomasia – nacque nel luglio 1960 quando Gregory Pincus la presentò a Co­penaghen al Congresso Internazio­nale sul controllo della fertilità.
Gli anni non sono passati invano. Almeno quattro generazioni di pillole si sono succedute, sempre con continui miglioramen­ti, tanto che le pillole moderne hanno ormai dosaggi ormonali bas­sissimi e sono pressoché prive di qualsiasi effetto collaterale.
Grazie a questi progressi, la pil­lola andava incontro ad un rapido successo nei paesi industrializzati ed in tutte quelle società avanzate che vedevano in essa il mezzo più efficace ed economico per attuare una procreazione responsabile a prova di errore.
Ma non fu un cammino privo di ostacoli. Cominciarono ad appari­re studi, rivelazioni, articoli che sottolineavano diversi aspetti ne­gativi della concentrazione orale ed i rischi potenziali per le donne che usufruivano di questa forma di controllo delle nascite.
La conseguenza fu ovvia e com­portò un massiccio ripensamento da parte della classe medica e delle donne nei confronti dell’uso della pillola.
Fu un castello che bisognò smontare pezzo dopo pezzo, avvalendosi di studi estremamente qualificati e degli indubbi progressi che il passare degli anni comportava nella formulazione della pillola.
Gli esempi possibili sono tanti.
Nel 1981, in Gran Bretagna, venne pubblicato da «Lancet» uno studio multicentrico che dimostrava un costante e sensibile declino della mortalità da malattie cardiocircolatorie nelle donne in età fertile, tra il 1961 ed il 1976, quando cioè l’uso della pillola era estremamente diffuso tra le inglesi.
L’ultimo episodio ha fatto cadere anche l’accusa che la pillola favorisca l’insorgere del cancro al seno. L’accusa, nata negli USA, dove 1 donna su 13 può aspettarsi di essere colpita da un cancro al seno, è rimbalzata in Europa, con­tribuendo non poco a mettere ancora nel dubbio le donne che ricorrevano alla contraccezione orale.
Gli studi compiuti in passato, sia per confutare che per confermare tale tesi, avevano il difetto di essere stati compiuti su campioni fem­minili troppo ridotti ed erano troppo a ridosso dell’assunzione di an­ticoncezionale. Poi l’autorevole «The New En­gland Journal» ha pubblicato i ri­ultati di uno studio compiuto su 4.711 donne tra i 20 ed i 54 anni che avevano avuto un tumore al seno ed un gruppo di controllo di 4.754 donne scelte a caso nelle stesse fasce d’età.
I risultati della grande indagine sono stati rassicuranti: le donne che hanno preso la pillola per periodi più o meno lunghi non hanno maggiori probabilità di sviluppare un tumore della mammella rispetto alle donne che non hanno mai usato la pillola.
Le quattro qualità indispensabili per una buona contraccezione sono:
l’efficacia,
l’innocuità,
la reversibilità (Ia donna ridiventa fertile sospendendo la pillola),
l’accettabilità.
Efficacia:
La pillola è al primo posto con una percentuale di sicurezza che rasenta il 100%, come testimoniano gli oltre 100 milioni di donne che oggi prendono la pillola. Da quando esiste, la pillola ha subìto una vera rivoluzione, pervenendo a formulazioni con sempre minore dosaggio di principi attivi. Un progresso in questo settore è rappresentato dalla pillola trifasica, che unisce i vantaggi della più bassa dose di ormoni in assoluto (il 30% in meno rispetto alle monofasiche moderne: un grammo di ormoni in 30 anni di trattamento) con quello di uno schema di somministrazione che riproduce l’andamento fisiologico del ciclo mestruale. Nel ciclo mestruale fisiologico, infatti, la quantità di ormoni prodotti nel corpo della donna non è costante nell’arco del ciclo, ma varia nelle tre fasi del periodo femminile: la fase che segue immediatamente la mestruazione, quella che coincide con l’ovulazione, quella che precede la mestruazione successiva.
Innocuità:
è legata alle caratteristiche della trifasica, fedele all’andamento naturale del ciclo, tanto da annullare possibili effetti collaterali. Questa pillola non solo non da effetti collaterali, ma migliora gli eventuali disturbi esistenti prima del trattamento: acne, nausea, mal di testa, tensione mammaria, dismenorrea; inoltre non produce aumenti della pressione del sangue e non altera il metabolismo dei grassi e degli zuccheri. Vengono così a cadere le controin­dicazioni per la donna diabetica, per quella che ha problemi di varici, per l’adolescente, per la quarantenne. Alla Trifasica la scienza medica riconosce tre vantaggi:
- non fa ingrassare
- non provoca la comparsa di peluria
- migliora l’acne preesistente
Reversibilità:
é una caratteristica peculiare della trifasica che permette il più completo ripristino della fertilità dopo 10-15 giorni dalla sospensione del trattamento.
Accettabilità:
le ultime statistiche danno un incremento nei consumi della pillola di circa il 20%.

pubblicazione del marzo 1987

IL METODO BILLINGS

Mentre il periodo postovulatorio è pressoché costante, il periodo preovulatorio può essere variabile, e la sua lunghezza dipende dal tempo richiesto perché il follicolo ovarico giunga a maturazione e si abbia il rilascio della cellula uovo o ovulazione. Il follicolo in maturazione produce estrogeni che stimolano il collo dell’utero a produrre il muco. La secrezione mucosasubisce tipiche modificazioni in rapporto all’aumento progressivo degli estrogeni in circolo. Infatti il muco da opaco, denso, vischioso quale appare all’inizio, diventa via via più elastico, filante, trasparente. Avvenuta l’ovulazione, oltre agli estrogeni viene prodotto il progesterone. Questo ormone determina un brusco cambiamento delle caratteristiche del muco cervicale che torna ad essere denso e vischioso (fig. 1). Il merito del metodo dell’ovulazione consiste nell’aver scoperto che la donna può accorgersi da sola della comparsa del muco e delle sue caratteristiche modificazioni. Il muco prodotto dal collo dell’utero si porta infatti per gravità ai genitali esterni dove la sua presenza può essere rilevata sia visivamente (senza ricorrere ad indaginose esplorazioni interne), sia indirettamente in base alle caratteristiche sensazioni che ne rivelano la presenza. Il muco cervicale non è solo un sintomo di ovulazione, è anche un fattore di fertilità, in quanto consente la sopravvivenza degli spermatozoi ed il loro transito verso la cavità uterina. In assenza di muco l’ambiente acido della vagina altera gli spermatozoi in brevissimo tempo.
Il muco prodotto sotto lo stimolo estrogenico, se osservato almicroscopio elettronico, presenta una caratteristica struttura a larghe maglie che favorisce la penetrazione e la progressione degli spermatozoi (Fig. 2).
Per effetto del progesterone il muco modifica non solo il suo aspetto macroscopico, ma anche la sua ultra struttura che presenta delle fitte maglie tali da ostacolare o addirittura impedire il passaggio degli spermatozoi (Fig. 3).

Il metodo dell’ovulazione, a differenza del metodo Ogino Knaus, non si affida a previsioni fondate su calcoli probabilistici che non sempre riproducono nella realtà la possibile variabilità dei cicli, ma è basato su solidi fondamenti scientifici. A differenza del metodo della temperatura basale, fornisce non solo informazioni sull’infertilità postovulatoria, ma anche sull’eventuale infertilità preovulatoria, che in alcune condizioni particolari (cicli irregolari, stress, allattamento, premenopausa, sospensione della Pillola…) può prolungarsi anche per mesi. Il metodo, pertanto, risulta applicabile in tutte le situazioni della vita riproduttiva.

Uno studio dell’OMS, condotto in cinque paesi del mondo di diverse condizioni economiche, sociali, sanitarie; India, Nuova Zelanda, Filippine, Irlanda, EI Salvador; ha riportato per il Metodo Billings un’efficacia del 97,8%, pari ad un indice di gravidanza del 2,2% anni donna (indice di Pearl)*

Alcune statistiche riportano tassi di gravidanza più alti perché includono anche le gravidanze riferibili all’uso consapevole di giorni fertili. Chiaramente questo tipo di gravidanze non può essere attribuita al fallimento biologico del metodo. La scelta di un metodo naturale implica che la responsabilità della pianificazione familiare sia affidata soprattutto alla coppia, che riconoscendo le indicazioni di fertilità decide liberamente e consapevolmente di evitare la gravidanza o di aprirsi alla possibilità di un concepimento. La decisione di avere o no un figlio in un dato momento, viene condiviso dai coniugi e non è affidato ad un mezzo esterno che può gravare fisicamente o psichicamente su uno dei due partners. La coppia viene stimolata a riscoprire tutta la ricchezza della sua sessualità che non si esaurisce soltanto nel rapporto sessuale. In questa ottica l’astinenza eventualmente richiesta dal metodo nella fase fertile, ove vi siano seri motivi per evitare una gravidanza, non risulta più una mortificazione, ma uno stimolo positivo a sviluppare la creatività stessa dell’amore.

Indipendentemente dalla necessità e dalla decisione di regolare la fertilità, la conoscenza del metodo dell’ovulazione potrà aiutare la donna a capire meglio il proprio corpo. È auspicabile che questa “conoscenza di sé” venga acquisita precocemente, fin dall’adolescenza. Il metodo ha infine una importanza sanitaria nel campo della medicina preventiva: non solo consente di regolare la fertilità della coppia senza l’uso di farmaci o dispositivi estranei all’organismo, ma fa si che la donna possa accorgersi precocemente di eventuali alterazioni della sua fisiologia e rivolgersi tempestivamente al medico.

* Indice di Pearl = n. di gravidanze x 100 anni-donna
n. mesi di uso del metodo

Angela Maria Cosentino Farmacista
Elena Giacchi Ginecologa
pubblicazione del 0983

L’ADOLESCENTE E IL GINECOLOGO

Da alcuni anni, invece, grazie al miglioramento delle tecniche diagnostiche e chirurgiche da un lato e della sensibilizzazione delle famiglie dall’altro, sempre più numerose sono le adolescenti (accompagnate o no) che si rivolgono al ginecologo per problemi anche di modesta entità.
In questo articolo, anche per la necessità di restare negli spazi consentiti, prenderemo in considerazione soltanto i quadri di maggior interesse perché più diffusi.

Quadri malformativi
In questo contesto voglio citare soltanto l’imperforazione imenale perché rappresenta un quadro relativamente frequente. Si tratta di un’anomalia dell’imene (che, appunto, appare imperforato) di cui ci si rende conto soltanto quando essa è causa di ostacolo al defluire di liquidi contenuti nella vagina: “mucocolpo e idrocolpo” (spesso già evidenti nella neonata e dovuti alla ritenzione di muco e secrezioni delle ghiandole, in genere, cervicali) ed “ematocolpo” (che può presentarsi, ad esempio, in coincidenza con la prima mestruazione e che è dovuto alla ritenzione di sangue, in questo caso mestruale, in vagina).
La diagnosi è relativamente semplice (talvolta già all’ispezione) mentre il trattamento consiste essenzialmcnte nel drenaggio della raccolta (mucosa o ematica).

Flogosi vulvo-vaginali (vulvo-vaginiti)
Premesso che la vagina è sterile soltanto nei primi giorni di vita postatale per poi essere colonizzata da varie specie di microrganismi (così come in tulta la restante vita fertile), le flogosi vulvovaginali sono decisamente più frequenti a partire dall’adolescenza, soprattutto perché in questa fase della vita possono avere inizio i rapporti sessuali. Così come nella donna adulta, anche nell’adolescente la vagina possiede propri mezzi di difesa che sono, principalmente, rappresentati dalla possibilità per la flora lattobacillare di utilizzare il glicogeno presente nelle cellule vaginali (sfaldate per l’effetto del progesterone prodotto nella fase postovulatoria) al fine di produrre acido lattico e quindi di mantenere il pH vaginale a quel grado di acidità che consente di attuare una vera e propria bariera nei confronti di eventuali microrganismi patogeni. Da quanto esposto si può comprendere che la presenza di secrezioni vaginali lattiginose e trasparenti deve essere considerata nella norma e anzi, rappresenta un indice dello stato di salute dell’apparato genitale. Di qui l’avvertenza di non sottovalutare l’importanza dell’igiene intima quotidiana già a partire da questa età: i primi rapporti sessuali e l’uso, ad esempio di assorbenti interni espone anche le adolescenti ad alterazioni dell’ambiente vaginale, per cui è importante istruire la giovane paziente sul corretto uso di saponi o prodotti in genere, per l’igiene intima che possano mantenere, appunto l’ambiente vaginale nelle idonee condizioni di acidità (pH 4.0-4.5). Questo dell’acidità dell’ambiente vaginale rappresenta uno dei sistemi principali di difesa ma non il solo: ci sono, infatti, altri tipi di difesa legati alle caratteristiche proprie dell’anatomia e della fisiologia dell’apparato genitale esterno, in genere. Tuttavia, come ho già detto con l’inizio dei rapporti sessuali, la vagina va più facilmente incontro ad alterazioni della normale flora commensale e, quindi, è più facile che microrganismi patogeni prendano il sopravvento su altri e diventino, così. responsabili di vere e proprie flogosi vulvovaginali. Queste sono decisamente numerose, ma mi limiterò ad elencare i quadri principali.

Vulvovaginite da Gardnerella vaginalis.
La Gardnerella è un bacillo aerobio che raramente prima del menarca (prima mestruazione) è in grado di provocare una vaginite ma che con l’inizio dei rapporti sessuali, può colonizzare la vagina e dar luogo ad una vera infezione batterica, caratteristica anche sul piano diagnostico perché si accompagna, in genere, ad una leucorrea dal tipico odore di pesce o di ammoniaca, tant’è che in alcuni casi si può fare diagnosi addirittura con il semplice olfatto. La terapia prevede la somministrazione di farmaci sia derivati dal metronidazolo che antibiotici.

Vulvovaginite micotica.
E’ questa una flogosi sempre più frequente in questi ultimi anni che interessa, prevalentemente, la donna adulta ma che può interessare anche la bambina e, ancor di più, l’adolescente, E’ legata alla presenza e alla quantità di colonie di miceti presenti in vagina: soprattutto si tratta di Candida albicans, un fungo che può normalmente trovarsi in vagina allo stato di saprofita (non patogeno) ma che, in particolari condizioni sia locali che generali (pillola, antibioticoterapie, diete squilibrate uso di indumenti troppo attillati o contenenti fibre sintetiche, inquinamento da parte dell’acqua di mare o di piscina) può essere responsabile di stati flogistici estremamente fastidiosi caratterizzati, oltre che da una leucorrea densa, abbondante, che ricorda la ricotta, anche da un fastidioso prurito in genere esteso alla regione vulvare e perineale. La diagnosi è relativamente semplice: si basa su quegli elementi clinici prima ricordati e sulla normale diagnostica di laboratorio oltre che sulla, possibilità di ricorrere a specifici tests rivelatori. La terapia consiste nell’uso di antimicotici sia per via orale (si ricordi che l’intestino rappresenta un’ importante fonte di ricolonizzazione della vagina da parte dei miceti) che localmente: a questo proposito va aggiunto che la candidosi vulvovaginale soltanto in una percentuale ridotta di casi è legata ai rapporti sessuali (in questo caso va trattato anche il partner). Li terapia va seguita scrupolosamente proprio perché alto è il numero delle recidive, specie in soggetti con difese immunitarie locali deficitarie.

Vulvovaginite da Trichomonas vaginalis.
Si tratta di una vulvovaginite causata da un protozoo (il Trichomonas vaginalis, appunto) che può rendersi responsabile di questa forma di flogosi in una percentuale di casi variabile tra il 5 ed il 10% delle vaginiti che colpiscono l’adolescente ed è quasi sempre legata ad una trasmissione di tipo sessuale, anche se non viene negata un possibilità trasmissiva da parte di servizi igienici e dell’acqua delle piscine. La sintomatologia è caratterizzata da bruciore vulvovaginale che spesso si accompagna a dispareunia (dolore in occasione di rapporti sessuali). Anche in questo caso è possibile porre la diagnosi con una certa facilità, talvolta anche prima della corrente diagnostica di laboratorio. La terapia consiste nell’uso di farmaci specifici antitrichomoniasici; In questo caso e sempre opportuno estendere il trattamento anche al partner, in considerazione del tipo di trasmissione prevalente.

Vulvovaginite herpetica.
Si tratta di una vulvovaginite causata da un herpes (in particolare dal virus Herpes simplex 2). Queste infezioni, molto rare in età prepubere, sono decisamente più frequenti in età adolescenziale perché principalmente legate ai rapporti sessuali. Si calcola che, in adolescenti sessualmente attive, le v.v. herpetiche intervengono in una percentuale di casi variabile tra l’1 ed il 6%. Dopo un breve periodo di incubazione, preceduto, in genere, da sensazioni parestesiche di formicolio e di prurito, si nota la comparsa di piccole maculopapule eritematose che si trasformano in breve tempo, in vescicole ripiene di siero che poi confluiscono e si aprono, dando luogo a tante piccole ulcerazioni. La vulva appare edematosa ed arrossata e, a seconda dell’entità del quadro, c’è spesso comparsa di un dolore urente. Come tutte le infezioni herpetiche, anche dopo guarigione l’herpes simplex tipo2 può rimanere in una stato di latenza e, in particolari condizioni (deficit immunitario, stress psicofisico), può risvegliarsi e rendersi responsabile di una nuova infezione. La diagnosi è clinica e laboratoristica. La terapia consiste nell’impiego di farmaci antivirali sia per via generale che locale (creme, pomate).

Vulvovaginite da papillomavirus.
Rappresenta un altro esempio di vulvovaginite virale, peraltro di frequenza progressivamente crescente in questi ultimi anni; è causata dal papilloma­virus, un virus presente in numerose specie (oltre 70) delle quali. però, solo alcune appaiono realmente pericolose (potenziale rischio oncogeno). Queste forme virali colpiscono la donna a tutte le età: certamente molto rare in età prepubere, cominciano a diventare frequenti proprio a partire dall’adolescenza, sempre in relazione ai rapporti sessuali. Clinicamente si caratterizzano per la comparsa di escrescenze granulo-papillari friabili (note come condilomi acuminati) visibili ad occhio nudo nella loro forma florida. Altre volte possono essere meno evidenti sul piano clinico (condilomi piani, forme subcliniche). Tale infezione può essere responsabile anche di una secrezione vaginale giallastra maleodorante e di prurito. La sede preferenziale è costituita dalle piccole e grandi labbra, dal perineo, dall’introito e dalle pareti vaginali e soprattutto, dalla cervice uterina. La diagnosi, oltreché clinica (quando è possibile), può essere meglio posta attraverso il pap test, l’esame colposcopico e la diagnosi istologica effettuata su prelievi bioptici di tessuto interessato dall’infezione. La terapia deve tener conto dell’estensione e della complessità del quadro per cui può variare da una posizione attendista (rafforzando, magari, le difese immunitarie) a trattamenti praticati attraverso elettrocoagulazione e laservaporazione. Ha perso un po’ di importanza, invece, la terapia generale attraverso l’impiego di interferone.

Det
Pubblicazione Settembre 1999

FLOGOSI VULVO – VAGINALI

Così come nella donna adulta, anche nell’adolescente la vagina possiede propri mezzi di difesa che sono, principalmente, rappresentati dalla possibilità per la flora lattobacillare di utilizzare il glicogeno presente nelle cellule vaginali (sfaldate per l’effetto del progesterone prodotto nella fase postovulatoria) al fine di produrre acido lattico e quindi di mantenere il pH vaginale a quel grado di acidità che consente di attuare una vera e propria bariera nei confronti di eventuali microrganismi patogeni. Da quanto esposto si può comprendere che la presenza di secrezioni vaginali lattiginose e trasparenti deve essere considerata nella norma e anzi, rappresenta un indice dello stato di salute dell’apparato genitale. Di qui l’avvertenza di non sottovalutare l’importanza dell’igiene intima quotidiana già a partire da questa età: i primi rapporti sessuali e l’uso, ad esempio di assorbenti interni espone anche le adolescenti ad alterazioni dell’ambiente vaginale, per cui è importante istruire la giovane paziente sul corretto uso di saponi o prodotti in genere, per l’igiene intima che possano mantenere, appunto l’ambiente vaginale nelle idonee condizioni di acidità (pH 4.0-4.5). Questo dell’acidità dell’ambiente vaginale rappresenta uno dei sistemi principali di difesa ma non il solo: ci sono, infatti, altri tipi di difesa legati alle caratteristiche proprie dell’anatomia e della fisiologia dell’apparato genitale esterno, in genere. Tuttavia, come ho già detto con l’inizio dei rapporti sessuali, la vagina va più facilmente incontro ad alterazioni della normale flora commensale e, quindi, è più facile che microrganismi patogeni prendano il sopravvento su altri e diventino, così. responsabili di vere e proprie flogosi vulvovaginali. Queste sono decisamente numerose, ma mi limiterò ad elencare i quadri principali.

Vulvovaginite da Gardnerella vaginalis.
La Gardnerella è un bacillo aerobio che raramente prima del menarca (prima mestruazione) è in grado di provocare una vaginite ma che con l’inizio dei rapporti sessuali, può colonizzare la vagina e dar luogo ad una vera infezione batterica, caratteristica anche sul piano diagnostico perché si accompagna, in genere, ad una leucorrea dal tipico odore di pesce o di ammoniaca, tant’è che in alcuni casi si può fare diagnosi addirittura con il semplice olfatto. La terapia prevede la somministrazione di farmaci sia derivati dal metronidazolo che antibiotici.

Vulvovaginite micotica.
E’ questa una flogosi sempre più frequente in questi ultimi anni che interessa, prevalentemente, la donna adulta ma che può interessare anche la bambina e, ancor di più, l’adolescente, E’ legata alla presenza e alla quantità di colonie di miceti presenti in vagina: soprattutto si tratta di Candida albicans, un fungo che può normalmente trovarsi in vagina allo stato di saprofita (non patogeno) ma che, in particolari condizioni sia locali che generali (pillola, antibioticoterapie, diete squilibrate uso di indumenti troppo attillati o contenenti fibre sintetiche, inquinamento da parte dell’acqua di mare o di piscina) può essere responsabile di stati flogistici estremamente fastidiosi caratterizzati, oltre che da una leucorrea densa, abbondante, che ricorda la ricotta, anche da un fastidioso prurito in genere esteso alla regione vulvare e perineale. La diagnosi è relativamente semplice: si basa su quegli elementi clinici prima ricordati e sulla normale diagnostica di laboratorio oltre che sulla, possibilità di ricorrere a specifici tests rivelatori. La terapia consiste nell’uso di antimicotici sia per via orale (si ricordi che l’intestino rappresenta un’ importante fonte di ricolonizzazione della vagina da parte dei miceti) che localmente: a questo proposito va aggiunto che la candidosi vulvovaginale soltanto in una percentuale ridotta di casi è legata ai rapporti sessuali (in questo caso va trattato anche il partner). Li terapia va seguita scrupolosamente proprio perché alto è il numero delle recidive, specie in soggetti con difese immunitarie locali deficitarie.

Vulvovaginite da Trichomonas vaginalis.
Si tratta di una vulvovaginite causata da un protozoo (il Trichomonas vaginalis, appunto) che può rendersi responsabile di questa forma di flogosi in una percentuale di casi variabile tra il 5 ed il 10% delle vaginiti che colpiscono l’adolescente ed è quasi sempre legata ad una trasmissione di tipo sessuale, anche se non viene negata un possibilità trasmissiva da parte di servizi igienici e dell’acqua delle piscine. La sintomatologia è caratterizzata da bruciore vulvovaginale che spesso si accompagna a dispareunia (dolore in occasione di rapporti sessuali). Anche in questo caso è possibile porre la diagnosi con una certa facilità, talvolta anche prima della corrente diagnostica di laboratorio. La terapia consiste nell’uso di farmaci specifici antitrichomoniasici; In questo caso e sempre opportuno estendere il trattamento anche al partner, in considerazione del tipo di trasmissione prevalente.

Vulvovaginite herpetica.
Si tratta di una vulvovaginite causata da un herpes (in particolare dal virus Herpes simplex 2). Queste infezioni, molto rare in età prepubere, sono decisamente più frequenti in età adolescenziale perché principalmente legate ai rapporti sessuali. Si calcola che, in adolescenti sessualmente attive, le v.v. herpetiche intervengono in una percentuale di casi variabile tra l’1 ed il 6%. Dopo un breve periodo di incubazione, preceduto, in genere, da sensazioni parestesiche di formicolio e di prurito, si nota la comparsa di piccole maculopapule eritematose che si trasformano in breve tempo, in vescicole ripiene di siero che poi confluiscono e si aprono, dando luogo a tante piccole ulcerazioni. La vulva appare edematosa ed arrossata e, a seconda dell’entità del quadro, c’è spesso comparsa di un dolore urente. Come tutte le infezioni herpetiche, anche dopo guarigione l’herpes simplex tipo2 può rimanere in una stato di latenza e, in particolari condizioni (deficit immunitario, stress psicofisico), può risvegliarsi e rendersi responsabile di una nuova infezione. La diagnosi è clinica e laboratoristica. La terapia consiste nell’impiego di farmaci antivirali sia per via generale che locale (creme, pomate).

Vulvovaginite da papillomavirus.
Rappresenta un altro esempio di vulvovaginite virale, peraltro di frequenza progressivamente crescente in questi ultimi anni; è causata dal papilloma­virus, un virus presente in numerose specie (oltre 70) delle quali. però, solo alcune appaiono realmente pericolose (potenziale rischio oncogeno). Queste forme virali colpiscono la donna a tutte le età: certamente molto rare in età prepubere, cominciano a diventare frequenti proprio a partire dall’adolescenza, sempre in relazione ai rapporti sessuali. Clinicamente si caratterizzano per la comparsa di escrescenze granulo-papillari friabili (note come condilomi acuminati) visibili ad occhio nudo nella loro forma florida. Altre volte possono essere meno evidenti sul piano clinico (condilomi piani, forme subcliniche). Tale infezione può essere responsabile anche di una secrezione vaginale giallastra maleodorante e di prurito. La sede preferenziale è costituita dalle piccole e grandi labbra, dal perineo, dall’introito e dalle pareti vaginali e soprattutto, dalla cervice uterina. La diagnosi, oltreché clinica (quando è possibile), può essere meglio posta attraverso il pap test, l’esame colposcopico e la diagnosi istologica effettuata su prelievi bioptici di tessuto interessato dall’infezione. La terapia deve tener conto dell’estensione e della complessità del quadro per cui può variare da una posizione attendista (rafforzando, magari, le difese immunitarie) a trattamenti praticati attraverso elettrocoagulazione e laservaporazione. Ha perso un po’ di importanza, invece, la terapia generale attraverso l’impiego di interferone.

Det
Pubblicazione Settembre 1999

VARICI & GRAVIDANZA

Le varici in gravidanza compaiono in donne costituzionalmente predisposte: la gravidanza agirebbe cioè come fattore scatenante o accelerante la comparsa di un problema già presente, anche se ancora non venuto alla luce. Il manifestarsi di tale malattia non è infatti obbligatorio, ma è tuttavia un evento molto frequente, nel momento in cui si venga a realizzare la combinazione di uno o più fattori scatenanti: la gravidanza ne rappresenta uno dei più importanti.
Questo particolare momento della vita di una donna, quindi, ha una notevole influenza sulla storia naturale della malattia varicosa, essendo infatti in grado sia di determinare l’aggravamento di una patologia preesistente, sia di evidenziare i segni di una insufficienza venosa ancora non clinicamente evidente; peraltro in alcuni casi esiste la possibilità di una sua regressione spontanea nei mesi successivi al parto.
La frequenza di comparsa delle varici aumenta con l’aumentare del numero delle gravidanze; inoltre, un intervallo di tempo troppo breve tra una gravidanza e quella successiva può non permettere il recupero del tono della parete venosa (cioè il ritorno alla sua normale elasticità e capacità di contenere il volume di sangue circolante) e nemmeno un adeguato recupero del normale peso corporeo.
L’insorgenza della malattia varicosa, se rapportata alle varie epoche gestazionali, presenta un andamento statistico di questo genere:
· 70% nel primo trimestre;
· 25% nel secondo trimestre;
· 5% nel terzo trimestre;
tendendo quindi a manifestarsi fin dalle prime settimane di gravidanza.
Da questi semplici dati numerici emerge con evidenza l’importanza della diagnosi precoce di una eventuale insufficienza venosa degli arti inferiori, così come la precoce adozione di misure preventive o terapeutiche.
Se dopo la prima gravidanza molto spesso le vene varicose tendono a regredire spontaneamente, questo tuttavia non avviene con quelle successive, in quanto il sovraccarico lavorativo (nel corso della gravidanza il volume di sangue circolan­te aumenta considerevolmente) e di peso tenderà a danneggiarle in maniera irreversibile.
Bisogna ricordare che la presenza di varici delle gambe non rappresenta solo un disturbo estetico, ma un rischio di insorgenza di complicazioni legate al ristagno di sangue non ossigenato; si andrà quindi dal semplice gonfiore di piedi, caviglie e gambe fino alla flebite(infiammazione di una vena) o alla tromboflebite (occlusione di un tratto di vena): queste ultime sono complicazioni piuttosto serie, che tendono a manifestarsi per lo più verso il termine della gravidanza.
E’ evidente quindi la necessità di prevenire tali problemi o, qualora esistano già, di prendere efficaci contromisure per ridurre l’estensione e l’intensità di tali disturbi, in modo da affrontare la gravidanza con le migliori condizioni circolatorie possibili.

Terapia
Esistono una serie di rimedi che possono essere messi in atto per evitare o ridurre i problemi causati dalle vene varicose in gravidanza.
Si può iniziare con alcune semplici regole di stile di vita: evitare una prolungata posizione eretta così come una prolungata posizione seduta, magari con le gambe accavallate; mantenere un minimo di attività fisica (molto utile in particolare il nuoto); evitare le fonti di calore, che potrebbero causare un peggioramento dei gonfiori delle gambe.
Molto utili, anzi indispensabili, le calze elastiche: rappresentano infatti la più importante ed efficace misura preventiva. Dovrebbero essere indossate anche dalle donne che non presentano varici fin dall’inizio della gravidanza e mantenute per tutta la sua durata, modificando periodicamente il grado di compressione, che dovrà aumentare con il passare dei mesi: sarà specifico compito dello specialista flebologo consigliare il tipo di calza più adatto.
Si possono eventualmente associare farmaci cosiddetti “flebotonici”, in grado di ridurre alcuni dei disturbi che abbiamo citato all’ inizio (gonfiore, pesantezza, formicolii, stanchezza): la loro efficacia è tuttavia inferiore a quella derivante dal costante uso di calze elastiche e dall’ osservanza delle norme di stile di vita delle quali abbiamo parlato.
La terapia chirurgica, l’unica veramente efficace per l’eliminazione delle vene varicose, deve essere tuttavia programmata o prima o dopo la gravidanza.

Giuseppe Serpieri – chirurgo vascolare
pubblicazione 2002

ALTERAZIONI DEL CICLO MESTRUALE

“Il ciclo”
Occorre rapidamente ricordare che il cosiddetto “ciclo” é scandito dal flusso mestruale che rappresenta la sola manifestazione tangibile dell’esistenza, appunto, di un ciclo mestruale; esso é il risultato del complesso gioco degli ormoni sessuali su un tessuto recettore privilegiato, cioè l’endometrio (la mucosa che riveste internamente la cavità uterina, una sorta di moquette che si rigenera mensilmente).

Gli ormoni
Tra gli ormoni sessuali, la classe determinante é rappresentata dagli estrogeni i quali sono i soli a poter esercitare la loro azione su un endometrio a riposo, promuovendo una sua attività proliferativa.
L’altra classe di ormoni sessuali, i progestinici, possono, di contro, agire sull’endometrio soltanto se quest’ultimo é già stato adeguatamente preparato dagli estrogeni. Si può dunque già comprendere come in assenza di estrogeni non possa verificarsi una mestruazione perché appunto l’endometrio non sarà proliferato e quindi non potrà desquamare.

Amenorrea
Si definisce con il termine di AMENORREA l’assenza di flussi mestruali per almeno tre mesi in un soggetto che precedentemente mestruava (Amenorrea SECONDARIA) oppure la non comparsa del menarca (cioè la prima mestruazione) al compimento del 16° anno di vita (Amenorrea PRIMARIA).
Dal punto di vista clinico, però, si preferisce distinguere le varie forme di amenorrea in base alla causa. Per semplificare, distingueremo:
A) Amenorrea di origine ipotalamica;
B) Amenorrea di origine ovarica;
C) Amenorrea di origine uterina;
D) Amenorrea di origine extragenitale.

Amenorrea di origine ipotalamica
L’ipotalamo è quella regione del cervello dove si trovano i centri che controllano il sistema nervoso vegetativo e che coordina i processi più importanti dell’equilibrio organico e nella quale vengono prodotti i cosiddetti ormoni ipotalamici; Esistono forme congenite e forme acquisite di amenorrea ipotalamica.
Forme congenite: si tratta di condizioni assai rare quali la sindrome di Kallman, la sindrome di Laurance Moon-Biedl, difetti di sviluppo encefalico, ecc.
Forme acquisite: possono essere sostenute da diverse condizioni quali:
- Iperprolattinemia (eccessiva produzione ipofisaria di Prolattina dovuta ad un difetto di Dopamina ipotalamica o ad un adenoma ipofisario) che si accompagna spesso ad anovulazione cronica e amenorrea.
- Eccessiva riduzione del peso corporeo (es. neIl’anoressia nervosa) che si accompagna ad una riduzione dell’attività del GnRH (fattore ormonale prodotto nell’ipotalamo e diretto al lobo anteriore dell’ipofisi).
- Traumi psichici che influenzano con meccanismo analogo la secrezione di GnRH (rientra fra questi anche la pseudociesi o gravidanza immaginaria)
- Lesioni organiche quali processi infiammatori, traumi meccanici, neoplasie, terapie radianti, ecc.

Amenorrea di origine ovarica
Esistono diversi quadri di amenorrea ovarica; fra questi ricordiamo:
- Sindrome dell’ovaio policistico si tratta di una condizione nella quale esiste un’eccessiva secrezione di androgeni prodotti daIl’ovaio che finisce per determinare un quadro clinico caratterizzato, nelle forme più eclatanti, da sterilità, irsutismo o ipertricosi, obesità, amenorrea secondaria con conseguente cronica anovularietà.
- Menopausa precoce condizione la cui etiologia è ancora in parte sconosciuta ma nella quale meccanismi di tipo genetico-familiare e forse anche autoimmune vengono sempre più chiamati in causa.
Il quadro è caratterizzato da un precoce esaurimento funzionale dell’ovaio per cui intervengono alterazioni del ciclo mestruale dapprima sotto forma di oligomenorrea con cicli anovulari per arrivare poi all’amenorrea secondaria.
- Sindrome dell’ovaio resistente è una condizione che si manifesta in giovani donne con normale sviluppo puberale e normali caratteri sessuali secondari ma con amenorrea primitiva o secondaria dovuta forse alla presenza di anticorpi antirecettori ovarici o per l’esistenza di un difetto recettoriale o postrecettoriale.
- Altre condizioni esistono poi forme di amenorrea secondaria a tumori ormono-secernenti dell’ovaio o a lesioni ovariche di varia natura (infiammatoria, infettiva, radiante, ecc;)

Amenorrea di origine uterina
Si riconoscono essenzialmente due forme di amenorrea uterina:
- Amenorrea da sinechie o aderenze intrauterine: Si tratta di una condizione (nota anche come sindrome di Asherman) che si può riscontrare, anche se non frequentemente, dopo raschiamenti della cavità uterina ad esempio per metrorragie (sanguinamento di origine uterina) post­partum o per aborto.
Amenorree secondarie a malformazioni uterine: possono essere di natura congenita (es. agenesia utero-vaginale o sindrome di Rokitansky caratterizzata da atresia uterina, aplasia vaginale e ovaie normali) oppure, più frequentemente, di natura acquisita (infettive quali la TBC, traumatiche, tossiche, da farmaci, ecc.)

Amenorree di origine extragenitale
Tra le condizioni patologiche a carico di altre ghiandole endocrine che possono indurre alterazioni del ciclo mestruale e, in particolare, amenorrea ricordiamo principalmente quelle di origine cortico­surrenalica e quelle di origine tiroidea.
Per quanto riguarda le prime, si tratta di condizioni caratterizzate da un quadro più o meno diretto di iperandrogenismo cui si associano varie alterazioni del ciclo di cui l’amenorrea secondaria rappresenta una delle più frequenti. Ricordiamo, solo a titolo esemplificativo e mnemonico, la sindrome di Cushin, l’iperandrogenismo corticosurrenalico postpuberale, i tumori corticosurrenalici, ecc.
Per quando riguarda le alterazioni del ciclo conseguenti a patologia tiroidea, occorre sottolineare che tanto l’iperfunzione (ipertiroidismo) che l’iporfunzione (ipotiroidismo) possono influire sulla normale regolazione dei cicli mestruali. Nel primo caso, i livelli circolanti di androgeni ed estrogeni risultano aumentati per cui si verifica una situazione simile a quella che si ha nell’ovaio policistico, di cui abbiamo già parlato, con cicli anovulari e, in genere, oligomenorrea o amenorrea secondaria.
Nel secondo caso, si verifica un’inappropriata secrezione delle gonadotropine conseguente all’eccessiva conversione di androgeni in estrogeni (estradiolo prima e poi estriolo) con conseguente disfunzione ovarica.
Bisogna, infine, ricordare che un certo numero di iperprolattinemie patologiche è dovuto aduna condizione di ipotiroidismo.

Brevi considerazioni terapeutiche
Non esiste una terapia dell’amenorrea, intesa come entità nosologica a sé, ma esistono strumenti terapeutici che non possono prescindere dalle cause dell’assenza del ciclo. Non solo, occorre tenere presente molte altre variabili (età, situazione emotiva, abitudini di vita, ecc;) la cui importanza può non essere marginale nel valutare un quadro di amenorrea e per poterlo differenziare da situazioni chiaramente patologiche.
Comunque, in genere, la terapia delle alterazioni del ciclo mestruale è una terapia medica, in particolare, ormonale, tranne nei casi in cui l’amenorrea sia una delle conseguenze di condizioni patologiche non disfunzionali (es. neoplasie, malformazioni, processi infiammatori o infettivi) in cui il trattamento chirurgico o medico deve mirare alla risoluzione della patologia primitiva.

Sandro Viglino
Specialista in Ginecologia e Ostetrica
Pubblicazione Dicembre 1996

CEFALEA PREMESTRUALE

Il motivo dell’esecuzione del dosaggio ormonale era dovuto al fatto che le ripetute assunzioni di ormoni prescritti dal ginecologo curante avevano fatto assopire il problema solo temporaneamente, infatti al cessare dell’assunzione dei preparati ormonali ricomparivano flusso mestruale abbondante e cefalea premestuale fortissima.
Nel momento in cui si presenta a me la paziente riferisce solo la cefalea mentre il flusso è quantitativamente normale. Le caratteristiche di questa cefalalgia sono insite nella continuità di durata dalla sua comparsa alla risoluzione per lisi; ha una localizzazione occipito-temporo-parietale con tendenza alla generalizzazione e nella fase acuta si manifestano fotofobia e necessità di immobilità e silenzio assoluti.
La durata è giornaliera con esordio mattinale ed aumento d’intensità durante le ore della mattinata fino al raggiungimento di un plateau che rimane costante fino alle ultime ore del pomeriggio quando inizia a calare d’intensità ed esaurirsi poi nella tarda serata. L’assunzione dei comuni analgesici più o meno potenti non dà alla paziente il benché minimo risultato.
Durante il colloquio ho la possibilità d’individuare la tipologia TAE YANG della paziente, secondo i canoni della Medicina Tradizionale Cinese, che ha una fortissima sovrapponibilità DIATESI 1 o ALLERGICA secondo MENETRIER, per cui decido di eseguire un trattamento di Agopuntura con un supporto terapeutico “per os” con fitoderivati e oligoelementi.

AGOPUNTURA: Le sedute sono mensili e premestuali, l’ azione la programmo sul sistema TCHONG MO che controlla l’asse ipofisi-tiroide-surrene­ovaio.
Eseguo la connessione TCHONGMO YANG OE’ usando i seguenti punti:
4SP; 4/5CV; 6PC; 5TE; 25-30-44S; 38- 41GB, tutto in dispersione. Durante il trattamento compare un cospicuo e largo trattamento intorno alle aree d’infissione degli aghi addominali; gli aghi nella loro posizione riproducono grossolanamente la forma dell’utero a conferma che il problema, alla fine, è scatenato da quell’organo. Invariati tutti gli altri punti

FITOTERAPIA: Miscela di SALVIA, OENOTHERA e BORRAGINE. Una dose un’ora prima di pranzo, una dose un’ora prima di cena.

OLIGOTERAPIA: ZINCO-RAME; MANGANESE.
Una dose dell’uno e dell’altro a giorni alterni.

RISULTATI: Dopo un mese dalla prima seduta di agopuntura e di trattamento con fito-oligoterapia la paziente dichiara la non comparsa di cefalea e così via di mese in mese fino ad oggi salvo la comparsa di qualche nevralgia cefalica di altra natura.

CONSIDERAZIONE: L’agopuntura ha svolto un’azione riequilibrante sull’asse ipofisi-tiroide-surrene-ovaio supportata dal trattamento oligoterapico mediante MANGANESE in quanto la paziente appartiene alla DIATESI l; Con ZINCO catalitico che è un grande regolatore di quel “direttore d’orchestra” che è la funzione ipofisaria; l’aiuto del RAME che è un altro grande catalizzatore.
Non meno importante è stato l’intervento fitoterapico della SALVIA altro grande riequilibrante ormonale della sfera ginecologica che può intervenire nelle disfunzioni ovariche, nei disturbi della menopausa e nella sindrome premestuale.
L’azione regolatrice ormonale della SALVIA contribuisce all’attenuazione della sintomatologia algica e spasmodica dovuta ai principi attivi contenuti nell’olio essenziale.
In più vanno considerate la BORRAGINE e l’OENOTHERA che sono ricchissime di acido gamma-linolenico (GLA) acido grasso derivante dall’acido Cis-linolenico e dalla cui trasformazione derivano anche le PROSTAGLANDINE l (PGE 1) altri acidi grassi importantissimi per il buon funzionamento dell’organismo nonché mediatori dell’infiammazione.
Le PGE l inibiscono alcune azioni collaterali della prolattina ormone implicato sia nei problemi a carico del seno sia in quelli del ciclo mestruale, inoltre essendo derivate del GLA in natura contenuto nell’olio di BORRAGINE ed OENOTHERA è possibile dedurre, ancora una volta, che la loro assunzione possa essere d’aiuto anche nelle mastopatie cicliche legate al periodo mestruale.
Vincenzo MATERA
Medico Chirurgo
S.Terenzo di Lerici
(La Spezia)
Pubblicazione Ottobre 1995

ESSERE DONNA.: IL CICLO MESTRUALE

Il processo riproduttivo inizia nell’ ovaio con lo sviluppo di formazioni chiamate “follicoli”. Nei follicoli si sviluppano e giungono a maturazione gli ovociti, ma ad ogni ciclo generalmente viene espulso un solo ovocita.
Durante l’infanzia i follicoli sono solo “primordiali”, cioé “immaturi”.
FSH e LH nella donna agiscono sulle ovaie; LTH promuove la produzione di latte nella ghiandola mammaria (questo ormone viene chiamato anche prolattina). Le ovaie sono quasi completamente quiescienti nell’infanzia. A partire dagli 8-9 anni fino alla pubertà (11-15) le gonadotropine cominciano a venire prodotte dall’ipofisi in quantità sempre crescenti. Nel periodo della pubertà l’FSH comincia ad essere prodotto in grandi quantità ed agisce facendo maturare i follicoli; in questa fase l’LH agisce sinergicamente con l’FSH. l follicoli ovarici sono costitutiti da cellule che, durante la maturazione dei follicoli stessi, producono grande quantità di estrogeni. Durante ogni ciclo l’uovo espulso dal follicolo ovarico viene “aspirato” dalle tube che sono dotate di “ciglia”, formazioni che, con il loro movimento, fanno procedere l’uovo attraverso le tube fino all’utero. L’FSH serve per la maturazione del follicolo l’LH invece provoca la rottura del follicolo al momento dell’ ovulazione. Entro poche ore dall’ovulazione le cellule di quello che era il follicolo ovarico vanno incontro a luteinizzazione: cioé diventano il “corpo luteo” che secerne principlamente progesterone.
Il “corpo luteo” si ingrandisce fino al settimo-ottavo giorno dopo l’ovulazione; poi, se l’uovo non é stato fecondato, regredisce e, verso il dodicesimo giorno del ciclo, perde la sua funzione secretoria trasformandosi nel corpo “albicante” (costituito da tessuto connetivo biancastro).
Gli ormoni prodotti dall’ovaio, estrogeni e progesterone, agiscono sugli organi sessuali della donna che, sotto l’influsso degli estrogeni, passano dallo stato infantile allo stato adulto: le tube, l’utero, la vagina si ingrandiscono e così anche i genitali esterni.
Gli estrogeni agiscono anche sull’ epitelio vaginale, sull’endometrio dell’utero e determinano anche l’aumento del numero delle cellule ciliate delle tube. Agiscono anche sulle mammelle e sulle ghiandole mammarie.
Un’altra importante azione degli estrogeni é quella esercitata sullo scheletro. Nella donna durante la pubertà aumentano la velocità dell’accrescimento corporeo, provocano la saldatura dell’ epifisi con la dialisi delle ossa lunghe.
Agevolano la crescita ossea favorendo la ritenzione di calcio e di fosfati.
Gli estrogeni esercitano un’azione anche sulla distribuzione dei peli corporei, soprattutto nella regione pubica.
Il progesterone ha i seguenti effetti: modifica l’endometrio uterino per prepararlo all’impianto dell’uovo fecondato, fa diminuire le contrazioni dell’utero, prevenendo così eventualmente l’espulsione dell’uovo impiantato; influisce anche sulle tube e, insieme alla prolattina, sulle cellule delle mammelle deputate alla secrezione del latte.
Gli ormoni gonadotropi FSH e LH provocano la secrezione di estrogeni e di progesterone da parte delle ovaie, però gli estrogeni ed il progesterone influiscono sull’ipotalamo il quale a sua volta influisce sull’adenoipotìsi facendo diminuire la secrezione degli ormoni gonadotropi. Gli estrogeni ed il progesterone esercitano un feedbeck (controllo) negativo sulla secrezione ipofisaria: di FSH e di LH.
L’ipotalamo secerne un fattore liberante l’LFSH, un fattore liberante l’ LH e un fattore inibente l’LTH.
Contemporaneamente al ciclo mestruale c’é un ciclo uterino nel quale l’endometrio subisce moditìcazioni adatte a ospitare l’uovo fecondato (embrione).
Nel ciclo uterino ci sono quattro fasi:
I. Fase desquamativa: dopo la mestrua­zione la mucosa uterina ha perso il rive­stimento epiteliale;
2. Fase rigenerativa: l’epitelio si rigenera. 3. Le ghiandole uterine si ingrandiscono e si allungano.
4. Fase secretiva: le ghiandole uterine si dialatano e producono una secrezione che si raccoglie nel lume ghiandolare. In base agli ormoni il ciclo mestruale presenta varie fasi:
1. Fase mestruale,
2. Fase follicolinica,
3. Fase ovulatoria,
4. Fase luteinica,
5. Fase premestruale.
La perdita mestruale é dovuta a rottura di piccoli vasi sanguigni a livello uterino; lo spasmo di piccoli vasi sanguigni (arteriole spirali uterine) determina la fine della mestruazione. AI momento dell’ovulazione le ghiandole uterine secernono una maggiore quantità di muco che diventa poco vischioso, filante; si osserva il fenomeno della cristalizzazione del muco cervicale: il muco cervicale, disteso su un vetrino, dopo essicazione, esaminato al microscopio, assume l’aspetto a foglia di felce. La cristalizzazione del muco generalmente compare solo durante la fase ovulatoria, perciò serve come test indiretto per constatare la data dell’ovulazione. La fluidificazione del muco cervicale facilita la penetrazione degli spermtozoi nella cavità uterina, ciò rende più facile l’incontro tra lo spermatozoo e l’ovocita.
Il progesterone, secreto durante la seconda metà del ciclo, fa innalzare la temperatura corporea di mezzo grado centigrado, tale aumento si ha a partire dal giorno seguente l’ovulazione.
La pillola anticoncenzionaIe, costituita da estrogeni e progesterone (o dalla combinazione di entrambi gli ormoni), fornendo questi ormoni all’organismo femminile, blocca la secrezione di FSH e di LH, e impedisce quindi il verificarsi dell’ ovulazione.
A volte può succedere che ci siano cicli mestruali· senza ovulazione: si tratta di cicli “anovulatori”. Durante la pubertà i primi cicli possono essere anovulatori.
Menopausa: Intorno ai 45-50 anni i cicli mestruali diventano irregolari fino a cessare completamente. Con la loro cessazione si ha la menopausa. Le ovaie non funzionano più, quindi la produzione di estrogeni diminuisce molto, ed é così piccola da non essere più in grado di inibire al produzione di LH e FSH; perciò l’LH e l’FSH dopo la menopausa vengono prodotti in grande quantità. Il periodo a partire dal quale i cicli mestruali diventano irregolari fino a cessare completamente, si chiama climaterio. La mancanza di estrogeni provoca disturbi nella donna: vampate di calore, rossore cutaneo, ansietà, depressione, osteoporosi, maggior incidenza di malattie cardiovascolari. Tutto ciò spesso richiede una terapia sostitutiva ormonle.

Luciana CASTAGNOZZI
Medico chirugo
Milano
Pubblicazione Marzo 2000

LE ANEMIE IN CORSO DI GRAVIDANZA

In corso di gravidanza, quando al fabbisogno in ferro della madre si aggiunge il fabbisogno in ferro del feto, stati ferro­canziali non ancora clinicamente evidenti possono esplodere, specie alla fine della gravidanza, quando alla fisiologica anemia da emodiluizione (legata all’aumentato volume plasmatico da probabile iperaldosteronismo), si aggiunge la sottrazione ai depositi materni di varie centinaia di mg. di ferro necessari per il feto: ricordiamo che ogni gravidanza costa alla madre 500 mg. circa di ferro.
Ciò costituisce un decimo del patrimonio globale in ferro dell’ organismo materno e le pluripare quindi sono molto soggette alle anemie da carenza di ferro. Pertanto l’ostetrico deve lavorare a stretto contatto con l’ematologo per documentare lo stato anemico e correggerlo adeguatamente.
Sarebbe lungo discutere in breve spazio la patogenesi delle anemie da carenza di folati e/o di Vit. B 12 che possono insorgere in corso di gravidanza. C’è da sottolineare comunque che è dimostrato come i folati sierici materni vengano intrappolati nella placenta e ciò probabilmente per essere prontamente disponibili per il feto, il che ha come conseguenza una diminuita disponibilità dei folati stessi per eritropoiesi materna. Dopo il parto, con l’espulsione della pla­enta, si perdono notevoli quantità di folati e poiché le riserve di folati, a differenza delle riserve di Vit. B 12 (che assommano a circa 3000 gamma) sono estremamente esigue, può verificarsi nel post partum una anemia da carenza di folati che si manifesta con un midollo megalomacroblastico e, a livello periferico, con un’anemia macrocitica.
Altro aspetto che è necessario tener presente nella donna in gravidanza è la possibilità che la gravidanza stessa metta in evidenza uno stato anemico congenito ignorato prima della gravidanza.
Ci riferiamo in particolare allo stato betatalassemico eterozigotico che, come è noto, può passare del tutto inosservato dal punto di vista clinico in soggetti di estrazione sarda, meridionale o originari, delle regioni del Delta del Po.
In questi soggetti, in cui si possono avere normalmente valori di ematocrito intorno al 30-33% con un alto numero di globuli rossi (5-6 milioni di globuli rossi x mm3, dato il carattere microcitico ipocromico della beta talassemia), si possono, durante la gravidanza, (specie nel terzo trimestre quando fisiologicamente si ha una emodiluizione legata probabilmente all’ iperaldosteroli- smo), manifestare marcati stati anemici che, ad un accurato esame dello striscio di sangue e ad un accurato dosaggio dell’emoglobina A2, si rivelano essere legati essenzialmente alla persistenza di una notevole quantità di emoglobina A2.
E’ chiaro che in questa terza eventualità, a differenza dei due stati anemici precedentemente descritti e cioè dalla anemia da carenza di folati e/o Vit. B 12, non è necessaria alcuna terapia, poiché dopo il parto, con la riduzione dell’ eccessivo volume plasmatico, si ritornerà a valori di ematocrito “normali” per la persona affetta da beta talassemia eterozigote e quindi ben tollerabili dal soggetto stesso. Nei due primi casi invece, e cioé nella anemia da carenza di folati e/o Vit. B 12, l’ostetrico e l’ematologo dovranno concordare la terapia marziale e quella con acido folico o Vit. B 12, da eseguire in modo da riportare al più presto possibile la donna nel post-partum ad uno stato ematologico di piena normalità.
Questo anche per prevenire tutti quegli stati di pseudo esaurimenti nervosi che si verificano spesso nelle donne post par­tum e che molto spesso sono legati esclusivamente alla carenza di sostanze eritropoietiche (ferro, acido folico o Vitamina B 12) che sono indispensabili per il pieno benessere e per la piena salute della donna.

Prof. Emanuele Salvidio
Ordinario Ematologia,
Direttore della Cattedra di Ematologia
Università di Genova.
Pubblicazione Giugno 1982