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PICCOLI INTERVENTI PER GRANDI RISULTATI: LA CHIRURGIA MICROINASIVA

Poichè i modelli Proposti con l’evoluzione della moda tendono a essere standardizzati, gli sforzi spesso contraddittori di identificarsi in essi producono risultati banali, stereotipati e deludenti specie quando ciò cui si tende contraddice palesemente le condizioni estetiche di base del soggetto. Per trovare una soluzione accettabile e non illusoria è quindi necessario procedere in termini di “armonia” piuttosto che di rigidi canoni estetici, convincendosi che essere affascinanti non significa avere
i lineamenti perfetti. La bellezza infatti è condizionata da elementi soggettivi, culturali, emotivi, storici, biologici e via dicendo, al punto da avere dei canoni che nel tempo si sono modificati profondamente. ” saper creare quell’armonia che dona alla persona un aspetto luminoso e attraente deve essere al centro dell’interesse di chiunque operi nel settore dell’ estetica e a maggior ragione di chi e impegnato nel migliorare l’aspetto del viso.
Per incoraggiare coloro che, pur desiderando migliorare il proprio aspetto, esprimono timori per le caratteristiche degli interventi, va presentata l’odontoiatria microinvasiva. In odontoiatria, come in qualsiasi altra disciplina medica, meno invasivo è il trattamento terapeutico e più benefici ne trae il paziente.
Mantenere quindi la struttura biologica e anatomica deve essere la preoccupazione primaria di ogni medico durante lo studio del piano di trattamento. Quando si interviene si è spesso costretti a sacrificare ulteriore tessuto biologico e di conseguenza sono preferibili trattamenti che siano non solo risolutivi ma anche più duraturi possibile. L’obiettivo primario e quindi la conservazione del patrimonio biologico anatomico naturale che è programmato per durare tutta la vita. II miglior metodo per ottenere questo risultato è naturalmente la cura quotidiana dei denti (spazzolini, fili interdentali, dentifrici, collutori, fluoroprofilassi, ecc.). E infatti un luogo comune e completamente erroneo pensare che il decorso odontoiatrico naturale di un individuo sia quello di arrivare a dover portare una protesi mobile (dentiera). La vita di un dente si può dividere per fasi:
fase 1, dente sano vergine;
fase 2, dente con piccola otturazione;
fase 3, dente con grossa otturazione;
fase 4, dente con intarsio (ricopertura parziale);
fase 5, dente con corona (ricopertura totale);
fase 6, dente devitalizzato con corona;
fase 7, dente devitalizzato con perno e corona;
fase 8, estrazione (perdita dell’elemento dentale).
E’ ovvio che più lento è questa percorso e più l’elemento dentale è destinato a durare nel tempo. Ancor meglio sarebbe mani tenere i denti in salute liberi da qualsiasi tipo di restauro, cosa oggi facilmente ottenibile con un buon programma di prevenzione.
Per quanta riguarda l ricostruzioni e i restauri, che hanno solo una funzione estetica, e ancor più ero il principio di conservare quanto più possibile la struttura anatomica, perchè spesso stiamo lavorando su parti di dente sano.
Proprio in questa ambito entra di competenza l’odontoiatria micro o completamente non invasiva.
Della categoria dei restauri fanno parte le “faccette” (ricopertura parziale solo del lato esterno del dente con limatura di circa 3 decimi di millimetro dello smalto) e anche le “additional veneers” (aggiunta di piccole parti di ceramica senza nessun tipo di limatura). Queste ultime, quando possibile, sono da preferirsi in quanto non si sacrifica nessuna struttura anatomica. II sorriso è responsabile per il 60 – 70% dell’aspetto viso e a volte piccole correzioni possono fare grandi differenze. Buon sorriso a tutti.

Autore: Dr. Luca Lorenzo DALLOCA
Oral Design
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Pubblicazione maggio 2010

SPECIALE OCCHI (SECONDA PARTE)

Per effettuare questo tipo di correzione il laser ad eccimeri può essere utilizzato mediante due tecniche chirurgiche: la cheratectomia refrattiva con laser ad eccimeri (PRK) e la cheratomileusi intrastromale con laser ad eccimeri (LASIK). Vediamo ora le caratteristiche fondamentali di ciascun intervento.

PRK
La cheratectomia fotorefrattiva (PRK) è una procedura laser frequentemente utilizzata perchè consente la correzione dei difetti refrattivi in modo efficace grazie ad una chirurgia semplice. Per quanto concerne l’intervento, si procede inizialmente effettuando l’anestesia superficiale dell’occhio mediante alcune gocce di collirio anestetico. Grazie all’inserimento di uno strumento che tiene ferme le palpebre (blefarostato) il paziente non rischia di chiudere l’occhio e il chirurgo può procedere. Si rimuove lo strato superficiale della cornea, l’epitelio, nella porzione centrale, dove verrà centrato il laser. Il laser viene attivato dal chirurgo e agisce per un tempo variabile tra i 30 e i 60 secondi effettuando la correzione in base ai dati precedentemente inseriti nel computer del laser. In questa fase, come abbiamo già spiegato, il paziente non deve temere di muovere l’occhio inavvertitamente perchè il laser lo “insegue” grazie al sistema “eye-tracker”. Terminata l’esposizione al laser si procede con la prima medicazione, mediante un collirio antibiotico, e si applica una lente a contatto terapeutica. Dopo pochi minuti il paziente è libero di andare utilizzando come unica protezione l’occhiaie da sole: l’intervento è infatti ambulatoriale e la terapia da eseguire consiste unicamente nell’applicazione di colliri antibiotici e antidolorifici, eventualmente questi ultimi somministrati anche per bocca. L’intera procedura è indolore e non dura più di 10 minuti. Molto più lungo è invece il recupero visivo, dovuto al fatto che l’epitelio corneale per riformarsi completamente necessita di almeno 4-5 giorni, questo fenomeno è anche responsabile dei disturbi avvertiti dal paziente, questi si manifestano soprattutto nelle prime 24-48 ore e tendono poi ad attenuarsi e consistono in fastidio, dolorabilità, lacrimazione e sensazione di corpo estraneo. Questa prima fase di guarigione anatomica termina quando la rigenerazione dell’ epitelio è completa e con la rimozione della lente a contatto terapeutica. Il processo completo di guarigione e stabilizzazione del risultato visivo si ha in alcuni mesi, ma il recupero visivo adeguato per poter tornare a lavorare o riprendere la propria normale attività è comunque limitato ad alcuni giorni. I difetti refrattivi che meglio si avvalgono di questo tipo di correzione chirurgica sono: la miopia lieve, compresa tra 1e 3 diottrie, l’astigmatismo tra 1 e 2 diottrie e l’ipermetropia lieve tra 1 e 2 diottrie. I risultati sono ottimi nella miopi a lieve, buoni per l’ipermetropia e l’astigmatismo. La precisione è migliore nei difetti singoli: o solo miopia o solo astigmatismo. Qualora il risultato non sia pienamente soddisfacente si può comunque procedere con un ritocco: si riapplica cioè la medesima procedura operatoria per corregere l’eventuale e minimo difetto residuato dalla prima procedura. Questa necessità è comunque una evenienza rara ed eseguibile solo parecchi mesi dopo la prima procedura: è infatti necessa­rio attendere la stabilizzazione del primo intervento. Tra gli inconvenienti propri di questa chirurgia dobbiamo tenere presente il rischio che la correzione non sia perfetta con il manifestarsi di sovra o sottocorrezioni, da cui la necessità del ritocco. Si possono poi avere lievi cicatrici a livello corneale, non visibili ad occhio nudo ma solo nel corso di una visita oculistica, che possono determinare riduzioni dell’ acuità visiva e aloni o fastidi alla luce. Ancora più rari sono i ritardi di guarigione dell’ epitelio corneale, che obbligano il protrarsi dell’uso della lente a contatto terapeutica e della terapia mediante colliri e le infezioni gravi. Queste hanno una frequenza di 1 caso ogni 3000-4000 casi, e comportano la necessità di terapie antibiotiche e più frequenti controlli oculistici.

LASIK
La cheratomileusi intrastromale (LASIK) con laser ad eccimeri è la tecnica chirurgica più utilizzata a livello internazionale nella correzione dei difetti refrattivi. Rispetto alla PRK la metodica chirurgica è più complessa, ma come vedremo la maggior complessità chirurgica comporta una più facile e veloce risoluzione del recupero post-operatorio. Come per la PRK l’intervento incomincia con la somministrazione di alcune gocce di collirio anestetico. Dopo l’applicazione del blefarostato le due metodiche, LASIK e PRK si differenziano in modo essenziale; infatti la LASIK preserva l’integrità dello strato epiteliale perchè la radiazione laser rimodella la cornea al suo interno e non dalla superficie esterna. Per fare questo si deve applicare uno strumento detto microcheratomo, capace di tagliare un sottile strato di tessuto corneale (poco più dì un decimo di millimetro), il lembo tagliato viene poi sollevato come la pagina di un libro, infatti il taglio iniziale è inconcompleto in modo tale che resti una porzione integra detta cerniera che consentirà poi il perfetto riaccollamento del lembo una volta terminato l’intervento. Per quanto concerne l’esposizione al laser questa è identica alla metodica PRK. L’intervento per quanto sia più complesso e richieda maggior pratica ed esperienza chirurgica è ambulatoriale, dura complessivamente una decina di minuti e termina con la somministrazione del collirio antibiotico. La cornea operata non necessita di alcuna sutura perchè è la coesione stessa dei tessuti corneali e la presenza della cerniera integra a permettere il perfetto riaccollamento del lembo sulla cornea sottostante. Il paziente viene quindi dimesso con una terapia antibiotica e anti-infiammatoria, senza bende e con l’occhio protetto dall’occhiale da sole. Sia l’intervento che il decorso post-operatorio sono indolori. In poche ore avviene la guarigione anatomica del bulbo: in questo caso infatti non si deve attendere la rigenerazione dell’epitelio corneale e parallelamente quasi nulli sono anche i disturbi post-operatori. Tutto ciò influisce positivamente sia sulla visione, che è già buona 4-5 ore dopo l’intervento, sia sulla guarigione che è completa nel giro di poche settimane. Vediamo quindi i numerosi vantaggi che offre il rimodellamento della cornea eseguito al suo interno: sicuramente il più importante è di natura anatomica. A questo punto può essere utile qualche informazione sulla struttura della cornea. La cornea è una lente trasparente formata da cinque strati: il più esterno è l’epitelio, questo è un rivestimento di cellule in grado di riformarsi continuamente sia in modo spontaneo sia in conseguenza a traumi; l’epitelio è separato dallo stroma corneale dalla membrana di Bowmann, che si è dimostrato non riformarsi se viene asportata. Lo stroma corneale è un tessuto connettivale, particolarmente ricco di fibre e povero di cellule, è la porzione più spessa della cornea e si può considerare un pò come la sua impalcatura portante. La superficie interna della cornea è l’endotelio, questo è separato dallo stroma da un’ altra membrana detta di Descemet. L’endotelio è uno strato di cellule fondamentale per il metabolismo ed il mantenimento della regolare e trasparente struttura corneale. All’interno dello stroma è presente il nervo trigemino, le cui terminazioni arrivano fino all’epitelio corneale, questo è il responsabile di tutti i disturbi che si avvertono conseguentemente ad interventi o traumi corneali. Il vantaggio anatomico quindi nell’eseguire una LASIK è che la cornea viene assottigliata di pochi millesimi di millimetro nella sua porzione stromale interna ma non perde nessuno strato di cui è formata, mentre con la PRK procedendo dall’esterno della superficie epiteliale il laser asporta la membrana di Bowmann che poi al contrario dell’epitelio non si riformerà. L’altro aspetto cruciale è determinato dal fatto che il rimodellamento interno della LASIK comporta una minor asportazione di tessuto permettendo così di poter operare difetti refrattivi di maggiore entità. La miopia è operabile fino a 10 diottrie, l’ipermetropia e l’astigmatismo sono operabili fino a 6 diottrie. I risultati sono ottimi per i difetti lievi e medi, sia miopici, ipermetropici che astigmatici. Ottimi anche nella miopia elevata. Sono invece buoni per le ipermetropie ed astigmatismi elevati. Il risultato nei difetti singoli è sempre migliore, mentre è più probabile che nei difetti misti (miopia con astigmatismo o ipermetropia con astigmatismo) si possa avere un residuo. In questo caso si può eventualmente eseguire un ritocco, con il vantaggio che non è necessario attendere molti mesi perchè la stabilità in questo intervento è più rapida. Chirurgicamente il ritocco è più semplice perchè entro un certo periodo il lembo creato con la LASIK è risollevabile senza dover riapplicare il microcheratomo. I rischi di questa chirurgia sono sovrapponibili a quelli della PRK, per quanto riguarda il rischio di infezioni o emorragie gravi è però pari ad l caso ogni 4000-5000 casi circa.

PRK O LASIK?
Considerati gli enormi vantaggi che offrono le due metodiche può apparire difficile capire come ci si orienta tra l’una e l’altra. Due motivazioni fondamentali sono già emerse: è evidente che se si cerca un recupero rapido, poco disturbato e poco doloroso la LASIK è l’intervento che fa per noi. Poca scelta abbiamo poi se dobbiamo operare un difetto elevato. Anche in questo caso la LASIK fa la differenza. La LASIK attualmente è l’intervento più utilizzato a livello internazionale soprattutto per le caratteristiche della risposta tissutale che si determina a livello corneale. La procedura laser mediante PRK, effettuata in superficie per i difetti refrattivi lievi, comporta la rimozione di infinitesime quantità di materiale per cui la reazione dei tessuti stessi al trattamento è minima e quindi la precisione del risultato e la sua stabilità è elevata perchè manca una risposta cicatriziale, ma solo nel caso in cui si operino difetti refrattivi lievi che comportino una minima asportazione di tessuto corneale. Se il trattamento di superficie viene effettuato invece per correggere un difetto refrattivo elevato comporta la rimozione di maggior tessuto ed una risposta tissutale più vivace e prolungata; ciò comporta il rischio di instabilità e regressione del risultato. Questo non accade quando la procedura viene effettuata all’interno della cornea grazie alla LASIK: il tessuto in questa sede è poco reattivo ed ha una risposta cicatriziale modesta anche in caso di trattamenti per difetti elevati, in pratica il risultato anatomico, refrattivo e visivo è sicuramente stabile per i difetti lievi e medi, ma lo è anche in caso di trattamenti elevati. Un altro vantaggio della LASIK rispetto alla PRK è la possibilità di poter operare entrambi gli occhi contemporaneamente con maggior sicurezza. Questo è infatti facilitato dal fatto che la LASIK ha un recupero visivo e una guarigione più rapida rispetto alla PRK e il rischio di avere infezioni post-operatorie, il vero deterrente ad effettuare gli interventi laser bilateralmente, è inferiore per la LASIK. La PRK resta comunque una valida alternativa alla LASIK in quei casi in cui la struttura oculare non ne consenta l’esecuzione. E’ ad esempio il caso in cui la cornea non presenti uno spessore adeguato per poter creare il lembo sollevabile della LASIK, che sommato allo spessore asportato dal laser per la correzione potrebbe non essere sufficiente. Esistono infatti dei margini di sicurezza per quanto riguarda la quantità di tessuto corneale sottostante che deve rimanere integro per garantire la sicurezza strutturale della cornea. Nei casi in cui l’entità del difetto da operare sia tale da far temere importanti effetti collaterali anche con la PRK, ci si deve orientare verso altre metodiche di chirurgia refrattiva non con laser ad eccimeri. Nella tabella si possono confrontare punto per punto le due metodiche chirurgiche.

però l’occhio è spesso dolente, è lento a guarire e il recupero visivo si fa attendere vista.

 

DIFFERENZA FRA PRK E LASIK

PRK per la correzione dei difetti lievi

LASIK per la correzione dei difetti lievi, medi, ed elevati

- 1. E una procedura laser. -1. E’ una procedura mista chirurgica e laser.
-2. Fornisce i miglior risultati nella miopia lieve, scarsi in quella media o elevata. -2. Fornisce risultati molto buoni nella miopia media e forte, ma anche in quella lieve.
-3. L’occhio da trattare viene anestetizzato con alcune gocce di collirio anestetico -3. L’occhio da trattare viene anestetizzzato con alcune gocce di collorio anestetico.
-4. Vengono inserite nel computer del laser le informazioni necessarie a corregere il difetto del paziente. -4. Vengono inserite nel computer del laser le informazioni necessarie a coreggere il difetto del paziente.
-5. L’oculista “raschia” la cornea in superficie sulla zona in cui verrà eseguito il trattamento laser (rimuove cioè l’epitelio, lostrato di cellule che riveste la cornea). Dopo l’intervento poi l’epitelio impiega 4-5 giorni per riformarsi completamente e quindi anche il recuppero visivo si fa attendere. -5. L’oculista applica sull’occhio il “microcheratomo” cioè l’apparecchio che consente di tagliare un sottile strato di tessuto corneale (poco più di un decimo di millimetro); il lembo tagliato viene poi aperto e sollevato come fosse la pagina di un libro.
-6. Il laser viene centrato esattamente sulla superficie anteriore della cornea corrispondente al centro della pupilla; esso viene poi attivato dal chirurgo ed esegue il trattamento previsto in u tempo che varia fra i 30 ed i 60 secondi. -6. il trattamento laser viene eseguito sulla parte interna della cornea esposta durante la fase precedente. Come per la procedura di superfice, ogni colpo di laser asporta un quarto di micron cioè un quarto di millesimo di millimetro.
-7. L’occhio viene poi protetto con una speciale lente a contatto terapeutica. -7.Il “libro” viene chiuso, cioè la porzione di cornea sollevata per il trattamento laser, viene riposizionata senza necessità di sutura e l’occhio rimane sbendato.
-8. L’intera procedura dura poco meno di dieci minuti e può essere utilizzata anche per correggere l’astigmatismo leggereo e l’ipermetropia leggera. -8. L’intera procedura dura meno di dieci minuti, essa può essere utilizzata anche per la correzione di astigmatismi e ipermetropie lievi, medie ed elevate.
-9. Il paziente viene medicato con un collirio antibiotico e dopo pochi minuti viene dimesso con l’occhi protetto da un occhiale da sole. -9. Il paziente viene medicato con un collirio antibiotico e viene dimesso con l’occhio protetto da un paio di occhiali da sole.
-10. Il trattamento in se stesso è completamente indolore L’occhio è fastidioso e dolente nelle prime 24 ore. I fastidi persistono per 4-5 giorni cioè fino a quando le cellule rimosse con la “raschiatura” iniziale non saranno in parte riprodotte. L’epitelio si riforma tanto più lentamente, tanto più l’età del paziente aumenta. - 10. L’intervento ed il decorso postoperatorio sono indolori. Dopo l’intervento è presente solo una modesta sensazione di corpo estraneo che dura solo qualche ora. Il bulbo oculare non è dolente anche perchè la ferita chirurgica si chiude in poche ore.
-11. L’occhio comincia a vedere dopo 4-5 giorni ed il completo processo di guarigione richiede alcuni mesi. -11. L’occhio comincia a vedere già alcune ore dopo l’intervento; il processo di guarigione si completa poi nel giro di qualche settimana.
-12. Per eseguie eventuali ritocchi è preferibile attendere almeno un anno dal primo intervento. -12. Fare un eventuale ritocco èpossibile dopo 6-12 (e preferibilmente non oltre 16) settimane dall’intervento.
-13. Si opera quasi sempre un occhi per volta. -13. Si possono operare anche ambedue gli occhi insieme.
-In conclusione la PRK è il più semlice da eseguire; dopo l’intervento però l’occhio è spesso dolente, è lento a guarire ed il recupero visivo si fa attendere. -In conclusionela LASIK è un poco più difficile da eseguire; dopo l’intervento però il paziente non soffre e recupera rapidamente la vista.

LA SUPERVISIONE
Vederci più di prima meglio di prima! Questa è la possibilità offerta dalla chirurgia più avveniristica con il laser ad eccimeri. Per una convenzione del mondo medico-scientifico si dice che un occhio sano, che vede bene, vede dieci decimi. I decimi vengono misurati nel corso di una visita oculistica facendo riferimento a quante righe vengono lette da ognuno di noi sul tabellone con le lettere o i numeri (tabellone detto ottotipo). La maggior parte di noi si sarà però accorta che magari pur vedendoci bene rimangono sempre delle letterine molto piccole in fondo al tabellone che pochi o pochissimi riescono a leggere. Infatti i dieci decimi sono da intendersi come un valore medio, rilevato nella popolazione con una vista sana e ottimale. E’ un pò come parlare della statura media, se questa in una popolazione maschile è pari ad esempio a 1,75 metri, non vuole dire che non esistano i giocatori di pallacanestro! Così è per la vista, alcune persone vedono più di dieci decimi e leggono le lettere più piccole dell’ottotipo. Questo però non accade per tutti gli occhi anche se sono sani. L’occhio umano è infatti un sistema ottico buono, ma spesso non perfetto. Queste imperfezioni, assolutamente compatibili con un perfetto stato di salute, vengono chiamate “aberrazioni ottiche”. Per effetto di queste aberrazioni un oggetto non viene visto come è realmente, ma in modo leggermente modificato: ad esempio un punto luminoso sferico può apparire come una macchiolina più o meno ovale o come una stellina. Raramente queste imperfezioni visive vengono percepite dalla persona, ognuno di noi è infatti abituato a vedere in un certo modo e a ritenere che questa visione sia quella normale, possiamo notare dei cambiamenti o dei peggioramenti ma ad esempio non potremo mai sapere come vede un’altra persona. La vista è una percezione totalmente soggettiva! La moderna tecnologia ci permette ora per la prima volta di misurare la vista non solo quantitativamente con i decimi ma anche valutarne la qualità e quindi la presenza di eventuali aberrazioni grazie allo strumento detto aberrometro. Mediante un sistema a raggi infrarossi inviati all’interno dell’ occhio si valuta ogni struttura oculare in base a come e di quanto vengano deformati nel loro tragitto parallelo e regolare. Questi raggi vengono poi raccolti e letti dallo strumento che in base all’entità delle deviazioni subite ci dice quale sia il grado di aberrazione proprio di quell’occhio. L’elaborazione dei dati forniti dall’aberrometria con tutti gli altri dati ottenuti sulla situazione visiva di un occhio permette, con alcuni laser ad eccimeri di ultima generazione, di rimodellare la curvatura corneale nel corso di un intervento LASIK, personalizzandola sulle necessità visive di quell’occhio e correggendo quindi non solo il difetto di vista ma anche le aberrazioni proprie di quel sistema visivo.

Conclusioni
Gli interventi eseguiti con il laser ad eccimeri, LASIK e PRK, sono interventi collaudati, che forniscono risultati molto buoni. Non sono però sempre in grado di ottenere come risultato la visione perfetta, perchè pur potendo garantire l’elevata precisione dei laser e dei computer, nonchè l’estrema provessionalità del chirurgo, non si può fare altrettanto con la risposta biologica dei tessuti umani corneali, che al momento attuale resta l’unico vero limite. Comunque, anche se talvolta questi interventi comportano un lieve difetto residuo, sono da consigliare, non solo nella miopia, ma in ogni difetto di refrazione, soprattutto quando l’occhiale o la lente a contatto non riescono a dare una visione sufficiente o quando queste protesi, per varie ragioni, non vengono tollerate o semplicemente quando il paziente è desideroso di eliminarli e migliorare la qualità della propria vita.

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Pubblicazione Dicembre 2002

Cattivi ragazzi: i percorsi dell’aggressività

LE TEORIE A BASE ORGANICA Nel 1870, Cesare Lombroso, medico e antropologo italiano, studiando il cranio di un delinquente allora famoso, il “brigante” Vilella, notò che, nella conformazione delle ossa, al posto della cresta occipitale, si rilevava una fossetta simile a quella delle scimmie. A partire da questa osservazione, Lombroso elaborò la teoria “positivista”, sostenendo che le cause della delinquenza risiedono in fattori di natura organica e genetica. In pratica questo significa che: – si nasce già delinquenti, non lo si diventa in seguito, nel corso della vita; – il delinquente é identificabile da certe caratteristiche fisiche che possono essere riscontrate nella conformazione del suo corpo ed in particolare del cranio e del viso – questo avviene a causa di una “degenerazione della specie”, ovvero di “atavismo”, il che significa la nascita, in epoca attuale, di esseri umani con una costituzione, psicologica e fisica, primitiva, appartenente ad un’ epoca storica precedente. Queste idee ebbero in seguito una evoluzione attraverso le opere di F. Curtius, K. Jaspers, E. Kretschmer con l’elaborazione della “fisiognomica”, la teoria in base alla quale sarebbe possibile conoscere ed individuare il carattere psicologico e morale di un individuo, in base alle caratteristiche del suo aspetto fisico e alle espressioni del suo volto. Queste teorie sulla base organica e genetica della delinquenza, e sulla corrispondenza tra criminalità e configurazione facciale, ebbero un seguito fino al dopoguerra, influenzando pesantemente sia medici e psicologi che studiavano il fenomeno, sia il gergo comune del parlare (espressioni in uso in Italia fino agli anni ’50 come “delinquente nato”, “belva umana”, “pazzo morale” sono tratte dai libri di Lombroso; alla stessa mentalità vanno attribuiti detti e proverbi che invitano a diffidare di chi non ha un aspetto fisico normale: “Guardati dai segnati da Dio”). Le ricerche e gli studi svolti negli anni successivi, hanno completamente smentito queste teorie, dimostrando che non vi é alcuna corrispondenza costante tra le caratteristiche del fisico e la costituzione psicologica di una persona. L’unica corrente del pensiero medico attuale, che risente ancora oggi di questo influsso, é rappresentata dagli scienziati che, con metodi di ricerca molto sofisticati, cercano di dimostrare le idee di Lombroso, spostando però il campo d’azione nella osservazione dei cromosomi, del DNA, di specifiche caratteristiche dei neuroni, o nel funzionamento dei neurotrasmettitori. LE TEORIE A BASE PSICOLOGICA Delinquenti non si nasce, ma si diventa. Questo avviene principalmente per l’influsso dell’ambiente familiare e di quello sociale. A livello familiare giocano un ruolo importante situazioni come frustrazioni, carenze o eccessi affettivi subiti, fin dalla più tenera età. Rientrano nel quadro delle carenze o eccessi affettivi: – il ricovero in brefotrofi ed istituti simili; – l’affidamento costante dei bambini a parenti mal disposti ad accettarli; – gravi perturbazioni dell’ordine familiare; – genitori assenti o indifferenti; – famiglie nelle quali sono in vigore valori antisociali con la conseguenza di &pagina2=dare ai figli cattivo esempio o nessun esempio – famiglie troppo numerose o che abitano in condizioni di sovraffollamento; – genitori pesantemente disturbati a livello psicologico; – genitori alcolisti o tossicomani; – genitori ostili verso i figli; – genitori che non vogliono prendersi la responsabilità; – genitori che hanno comportamenti educativi imprevedibili che vanno dalle gravi punizioni ad un estremo lassismo; – genitori iperprotettivi che trasmettono ai figli un costante senso di sfiducia nelle loro capacità; – genitori che, per proprie problematiche, non riescono a costituire un solido rapporto affettivo coi figli; – genitori delinquenti o comunque immersi in una subcultura di tipo mafioso o criminale. Un altro elemento importante nella formazione dell’individuo all’interno della famiglia, é costituito dalle frustrazioni subite fin dall’infanzia. Secondo lo psicanalista francese P. Racamier sono particolarmente rilevanti le frustrazioni derivanti da particolari comportamenti dei genitori nei confronti del figlio. Sono comportamenti di: – rifiuto; – compromessi affettivi; – disarmonie affettive. Il comportamento di rifiuto ‚ distinguibile in rifiuto larvato (tenerezza assente, tolleranza indifferente, considerare il bambino un peso, meticolosità fredda e distaccata nel seguire le norme pediatriche ma senza amore, negligenza di cure materiali), oppure rifiuto attivo (ostilità manifesta, rimproveri e punizioni ingiustificati e freddi, rifiuto di contatto col bambino, sostituzione dell’amore e del tempo dedicato al bambino con regali magari costosi e frequenti, eccesso di carezze ed attenzioni ma senza vero interesse, rifiuto a favore di fratelli o sorelle apertamente preferiti). Il compromesso affettivo si articola in forme di amore morboso quali: – amore condizionato, ai risultati che il figlio deve ottenere; – amore perfezionista, che viene ritirato se il figlio non si dimostra abbastanza “perfetto”; – amore possessivo, che non considera il figlio come una persona, ma come una proprietà personale; – amore geloso, che richiede la rinuncia alla indipendenza da parte del figlio; – amore selettivo, che si occupa del figlio solo se ha una certa età o si trova in una certa condizione; – amore interessato che vede nel figlio un mezzo per qualche fine personale; – amore di compensazione attraverso il quale si riversa sul figlio la mancata soddisfazione erotica con un partner. Le disarmonie affettive, sono quelle situazioni in cui si hanno: – intermittenze e variazioni dell’affetto che oscilla tra accettazione e rifiuto; – inversione dei ruoli parentali; – inversione dei ruoli genitori figlio; – iperprotezione. Secondo gli studi effettuati negli anni ’60 da Sh. Glueck, se la vita nell’ambito familiare é adeguata, vi sono solo 3 probabilità su 100 che il ragazzo compia atti antisociali; se invece l’ambiente familiare risente delle situazioni sopra descritte, le probabilità dell’esito antisociale salgono a 98 su 100. In questi casi, il comportamento delinquenziale e ribelle rappresenta, per il ragazzo rifiutato o non amato adeguatamente, il sistema prescelto per attirare &pagina3=l’attenzione su se stesso. L’incontro con la realtà esterna viene vissuto dal ragazzo come una prova alla quale non é stato preparato, e alla quale reagisce o con l’aggressività o con la ricerca di evasione. In molti casi poi i ragazzi cercano la loro identità attraverso l’appartenenza ad un gruppo, e, se si tratta di un gruppo di giovani delinquenti, teppisti, o tossicomani, é quella mentalità che viene assunta dal ragazzo, nel tentativo di medicare le ferite al proprio io e colmare il vuoto di affetti e di valori che la famiglia ha lasciato. Senza dimenticare i reati compiuti dai ragazzi provenienti da famiglie benestanti o ricche, ma prive di valori affettivi e morali, dobbiamo ricordare che la famiglia non vive nel vuoto. Va quindi tenuto ben presente il secondo elemento che può favorire l’antisocialità, e che é rappresentato dal contesto sociale in cui la famiglia vive. Situazioni ambientalmente degradate, economicamente precarie, senza ideali morali, sociali o religiosi, immerse in una subcultura mafiosa o criminale, offrono al ragazzo una falsa idea di realizzazione personale attraverso la messa in atto di comportamenti delinquenziali. In questo contesto, i ragazzi si manifestano con reati contro i beni pubblici, furti “inutili”, lotte, sfide o competizioni pericolose tra gruppi o individui, uso di droghe o alcool, evasione scolastica, furti ad uso di auto o motociclette, scippi, risse nei locali pubblici. Per concludere questa breve ricerca, che non pretende di esaurire l’argomento, ma solo di mettere in luce alcuni tra gli elementi che portano al comportamento antisociale, ricordiamo che la prevenzione alla delinquenza giovanile deve essere attuata, sia attraverso la famiglia, sia attraverso la società . La costituzione e realizzazione di valori affettivi e morali nella famiglia, e di ideali sociali e politici nella comunità, rappresentano lo strumento privilegiato che consente ai giovani di formare e rinforzare la propria personalità nel rispetto delle regole che guidano la comunità in cui vivono.

Omotossicologia

Basi teoriche e applicazioni cliniche dell’omotossicologia

Riassunto
L’Autore presenta i principi dell’Omotossicologia, disciplina sviluppata dall’Omeopatia complessista ad opera dello scienziato tedesco Hans Heinrich Reckeweg alla fine degli anni ‘50, e ne illustra le applicazioni cliniche.

L’Omotossicologia rappresenta un’evoluzione della Omeopatia fondata da Samuel Hahnemann (1755-1843) alla luce delle più recenti acquisizioni nel campo della Biologia, della Medicina e della Fisica, in un’opera di sintesi avviata dal suo ideatore, Hans Heinrich Reckeweg (1905-1985) e, a tutt’oggi, proseguita da quanti operano nell’ambito della sanità interpretando le continue scoperte scientifiche alla luce di una visione olistica della Medicina Biologica ispirata alle teorie di Hahnemann e alle leggi della fisiologia e fisiopatologia bioenergetica della Medicina Tradizionale Cinese e di altre metodiche terapeutiche olistiche.
A Reckeweg va quindi attribuito il merito di aver rinnovato le teorie omeopatiche alla luce delle più recenti scoperte scientifiche in campo medico, biologico, fisico etc.
La nascita dell’Omotossicologia risale all’anno 1952 quando RH. Reckeweg pubblicò sul Munchner Medizinske Magazin un articolo dal nome: “Effetti di vicariazione, omotossine e fasi delle malattie nei tessuti dei tre foglietti blastodermici” nel quale venivano descritti i principi fondamentali dell’Omotossicologia.
I concetti fondamentali introdotti da Reckeweg alla base dell’Omotossicologia sono quelli di Medicina Biologica e di Omotossina.
Con il termine Medicina Biologica, Reckeweg descrive un sistema diagnostico e terapeutico che ha alla base la concezione della Medicina per la quale l’essere umano è un sistema biologico facente parte integrante dell’ambiente che lo circonda, in un rapporto di reciprocità micro-macrocosmica interpretabile alla luce di tutte le acquisizioni della biofisica, delle forze deboli, della medicina quantistica.
Da un punto di vista biofisico, infatti, l’Uomo è un sistema aperto, quindi, dissipativo, secondo i principi della Termodinamica. Un sistema aperto scambia energia e materia con l’ambiente che lo circonda grazie alla realizzazione di un gradiente energetico di flusso. Il nostro organismo, come quello di tutti i sistemi viventi, assume energia e materia dall’esterno, li elabora e, quindi, li emette nuovamente nell’ambiente. Tale flusso è fondamentale per il mantenimento della vita.
Se l’energia, infatti, fosse trattenuta all’interno del sistema si avrebbe un grave aumento del disordine che porterebbe a morte l’organismo.
I sistemi aperti, infatti, rappresentano un’eccezione al Secondo Principio della Termodinamica, il quale afferma che apportando energia ad un sistema chiuso il disordine del sistema aumenta.
Nella materia vivente, però, l’aumento del disordine e, quindi, dell’entropia, porterebbe alla disgregazione e alla morte. Il carattere dissipativo dei sistemi biologici aperti consente, invece, la dispersione dell’entropia all’esterno permettendo, così, all’organismo vivente di assorbire energia dall’ambiente esterno senza subire un aumento catastrofico della propria entropia. Ciò si può realizzare, però, solo se esiste un gradiente di entropia tra l’interno del sistema e l’ambiente circostante; solo l’esistenza di una differente quantità di entropia tra l’interno e l’esterno del sistema consente, infatti, al sistema biologico di dissipare l’entropia nell’ambiente esterno, dove l’entropia è più bassa rispetto all’interno.
Le Leggi della Termodinamica applicate ai sistemi aperti, come quelli biologici, ci ammoniscono a mantenere basso lo stato di entropia, ossia di disordine, dell’ambiente che ci circonda.
Se l’entropia ambientale tende ad aumentare, diventa sempre più difficile, per i sistemi biologici, dissipare quella prodotta al loro interno.
L’aumento del disordine nell’organismo vivente porta ad una disorganizzazione dei sistemi di regolazione e, quindi, alla malattia e alla morte.
In questa maniera la Medicina Biologica diventa anche Medicina Ecologica: l’intero Ecosistema è un essere vivente di cui l’Uomo fa parte nel quale la salute di ogni essere vivente è strettamente legata alla salute dell’Ecosistema da leggi fisiche innegabili.
L’altro concetto fondamentale introdotto da Reckeweg è quello di omotossina intendendo con questo termine qualsiasi sostanza di origine esogena o endogena in grado di produrre direttamente o indirettamente un danno a livello dell’organismo umano. Tali sostanze possono essere introdotte nell’organismo dall’esterno (antigeni, tossici alimentari, ambientali, professionali, inquinanti, farmaci, ecc) o possono essere prodotte dal nostro organismo nel corso del metabolismo (ac. urico, istamina, urea, etc.).
La presenza di queste sostanze all’interno dell’organismo è in grado di aumentare lo stato di disordine del sistema e, pertanto, è fondamentale la loro eliminazione. Poiché le omotossine svolgono un’azione tossica, il sistema difensivo dell’organismo è costantemente impegnato alla loro eliminazione attraverso gli organi emuntori e le escrezioni fisiologiche.
Se il carico omotossinico aumenta per un aumento della produzione o dell’introduzione dall’esterno delle omotossine o per un deficit dei sistemi di depurazione, l’organismo attiva ulteriormente il sistema di difesa attraverso l’infiammazione per incrementare l’eliminazione delle tossine.
Grazie alla flogosi, infatti, si realizza la catabolizzazione delle omotossine, la loro fagocitosi e trasporto a livello degli organi di depurazione per la loro definitiva espulsione dall’organismo.
Se l’organismo non riesce a smaltire le omotossine con l’attivazione dei processi infiammatori, per notevole sovraccarico tossico, per insufficienza dei sistemi difensivi e/o perché l’uso degli antinfiammatori blocca la risposta difensiva stessa, è costretto a depositarle, dapprima nel tessuto connettivo e poi all’interno delle cellule.
Il tessuto connettivo, oltre ad essere la trama di sostegno disposta ubiquitariamente in tutto l’organismo, svolge un ruolo metabolico fondamentale essendo il teatro dove si svolgono tutte le reazioni biochimiche e, quindi, anche quelle legate agli stessi processi infiammatori.
Quando questo tessuto si satura di omotossine queste cominciano ad essere depositate all’interno delle cellule aprendo la strada alle malattie croniche degenerative e, quindi, allo sviluppo delle neoplasie.
Se i sintomi delle cosiddette “malattie” rappresentano il risultato dell’attivazione dei meccanismi difensivi finalizzati alla catabolizzazione delle omotossine, allora le “malattie” non sono altro che l’espressione del tentativo messo in atto dall’organismo per difendersi dall’aggressione dei diversi fattori nocivi.
Sulla base di questo concetto è necessario riconsiderare il valore del termine “malattia” la quale è, secondo Reckeweg, “espressione delle risposte difensive, biologicamente opportune, contro omotossine esogene o endogene, oppure è espressione dei danni tossici subiti che l’organismo cerca di compensare con un riequilibrio funzionale”.
Conseguentemente un atteggiamento terapeutico finalizzato alla repressione dei sintomi risulta nocivo per il nostro organismo essendo responsabile del blocco di quei meccanismi difensivi attivati dal nostro sistema biologico al fine di eliminare le omotossine.
Ne deriva che l’uso degli antinfiammatori e di tutti quei presidi terapeutici finalizzati all’inibizione o repressione della risposta infiammatoria risulta estremamente dannoso. Il blocco della eliminazione delle omotossine, infatti, porta a numerose conseguenze, innanzitutto facilita l’insorgenza delle recidive della malattia, il persistere delle omotossine, infatti, determina una riattivazione dei processi infiammatori al fine di ottenere finalmente l’eliminazione delle stesse.
Lo scopo della terapia medica deve essere quindi, non quello di reprimere la risposta dell’organismo, ma quello di potenziarne le capacità difensive favorendo i meccanismi di auto guarigione che sono strettamente legati alla possibilità di eliminare il sovraccarico omotossinico. E’ proprio in tutto questo che si inserisce il ruolo terapeutico e preventivo dell’omeopatia e dell’omotossicologia.
Mentre il trattamento allopatico agisce, quindi, opponendosi allo sforzo difensivo del sistema biologico, quello omeopatico e quello omotossicologico agiscono nella stessa direzione della risposta difensiva potenziandone gli effetti. 
Tutto ciò ci spiega il fenomeno del cosiddetto aggravamento omeopatico che consiste in un temporaneo peggioramento
dei sintomi lamentati dal paziente che precede la loro definitiva scomparsa e, quindi, la guarigione.
E’ pur vero, comunque, che la risposta infiammatoria può assumere un andamento aggressivo tanto da rischiare di diventare essa stessa causa di danni. Il compito del medico deve essere proprio quello di capire quando un fenomeno infiammatorio, svincolandosi dai fenomeni di autocontrollo, può diventare pericoloso per l’organismo stesso, o quando le capacità difensive dell’organismo sono state completamente sopraffatte tanto da non poter essere più da sole in grado di superare i fattori aggressivi.
Solo e soltanto in questi casi sarà necessario fare ricorso alle terapie allopatiche soppressive per il tempo strettamente necessario affinché quelle biologiche, contemporaneamente avviate, sortiscano gli effetti terapeutici di stimolo della risposta depurativa e difensiva,
I rimedi omotossicologici sono solitamente dei rimedi complessi, ossia delle formulazioni farmaceutiche, disponibili in gocce, in compresse, in fiale, costituite dall’insieme di più rimedi omeopatici che vengono abbinati tra di loro per rafforzarne l’efficacia. Essi non solo possono essere prescritti in base a criteri omeopatici, ma anche in base alla diagnosi della malattia, così come normalmente si fa con i comuni farmaci allopatici.
L’Omotossicologia è quindi una concezione innovativa dell’Omeopatia, con un suo proprio corpus teorico e metodologico e una sua caratteristica strategia terapeutica.
L’etimologia del termine omotossicologia, o omeopatia antiomotossica, significa: “studio degli effetti delle tossine sull’Uomo e relativo trattamento omeopatico”.
Il medico omotossicologo, rifiutando ogni integralismo terapeutico, utilizza tanto le acquisizioni della medicina omeopatica quanto quelle della medicina convenzionale e reinterpreta dati secondo un paradigma coerente che spiega, grazie alla
propria specifica chiave di lettura, il manifestarsi dei fenomeni della salute e della malattia in modo completo.
Per l’Omotossicologia lo stato di salute è perciò interpretato come omeostasi dinamica in cui la malattia è valutata come espressione della lotta fisiologica dell’organismo che tende ad eliminare quelle “omotossine” o endogene ed esogene che hanno superato la soglia di allarme.
La terapia tende, di conseguenza, a stimolare e modulare i meccanismi di autoguarigione propri dell’organismo, incrementando la risposta immunitaria specifica di ciascun soggetto. A tale scopo vengono utilizzati farmaci omeopatici unitari a bassa, media e alta diluizione e complessi derivati sia dell’omeopatia classica che da acquisizioni farmacologiche più recenti, quali i substrati d’organo di suino, i catalizzatori intermedi, i chinoni ed i vari principi immunostimolanti, come i fattori di crescita nervina omeopatizzati.
I vantaggi terapeutici rispetto all’omeopatia classica sono dati dalla possibilità di intervento anche nelle malattie croniche e degenerative e dalla maggiore rapidità di azione nelle patologie acute.
L’Omotossicologia vede i suoi primi lavori scientifici negli anni ’60 e deve, come si è detto, la sua denominazione al genio del medico omeopata tedesco H.H. Reckeweg (19051985) che nel 1952 diede il nome Omotossicologia a questa Disciplina del “complessismo sinergico omeopatico”.
Essa dedica particolare attenzione allo studio dei meccanismi immunitari ed enzimatici attraverso la cui modulazione, ottenuta con l’utilizzo di innovativi principi biologici, si possono stimolare le più appropriate attività disintossicanti fisiologiche e giungere così al ripristino dello stato di salute, ridando al malato un suo personale equilibrio energetico, tessutale, organico e funzionale. Le basi teoriche della terapia complessista furono inizialmente elaborate dallo svizzero E. Burgi, che, nel 1910-32, enunciava il cosiddetto “effetto Burgi” o “regola di Burgi”, che asserisce che rimedi omeopatici unitari diversi, somministrati insieme, producono un “sinergismo farmacologico”.
Veniva comprovato che l’effetto farmacologico molto spesso si concreta mediante la cooperazione attiva conaltri fattori dell’organismo; fattori che variano da persona a persona, essendo molti gli elementi in gioco nella complessità dell’azione farmacologica, in quanto l’uso articolato di vari rimedi dava luogo a effetti additivi e/o moltiplicati, grazie al mutuo effetto di potenziamento, a seconda del punto di attacco farmacologico sui recettori biologici del malato.
Veniva enunciato, così, il principio del “sinergismo farmacologico” in omeopatia clinica.
A sua volta, Reckeweg formulò, genialmente, una serie di farmaci biologici complessi, ben articolati e numerosi, sulla cui esperienza poteva svilupparsi l’Omotossicologia, dandosi il motto “Herba Est Ex Luce”.
Al “complesso dei sintomi”, ricercato da Samuel Hahnemann (1755-1843) fondatore della Omeopatia nel secolo XVIII, epoca in cui la malattia come entità nosologica era quasi sconosciuta per mancanza di conoscenze fisiopatologiche, si sostituivano cognizioni nosologiche precise, ben documentate e aderenti agli sviluppi della scienza medica del Novecento.
L’omotossicologia tedesca, legata alla scala delle diluizioni decimali di Constantin Hering (1800-1880), principale allievo statunitense di Hahnemann, fatta propria dall’omeopatia unicista a indirizzo clinico, e l’omotossicologia italiana, legata alla scala delle diluizioni centesimali di Hahnemann, formano un asse terapeutico irrinunciabile per il malato.
I due indirizzi omotossicologici rappresentano, con le loro forze unite, un costante aggiornamento ai progressi scientifici e tecnologici della medicina convenzionale, con vantaggi reciproci per ogni indirizzo terapeutico e a salvaguardia della salute pubblica, potendo affiancarsi e/o sostituirsi in modo opportuno a quei farmaci allopatici, meglio detti farmaci delle dosi ponderali, che causano, ad esempio, effetti iatrogeni..
Alle potenze o diluizioni decimali va il ruolo di rapidità di azione nella lotta antiomotossicaunitamente a presidi più articolati per curare a fondo il paziente nel suo terreno genetico e ambientale, tenendo presente l’intera sua patobiografia, il gioco delle vicariazioni, l’intera gamma della sintomatologia psichica, cioè la globalità della sua persona, lo “olos”, vale a dire l’intrinseca unità del suo essere; alle potenze o diluizioni centesimali va il ruolo di consolidare il successo iniziale bloccando ogni possibilità di vicariazione progressiva, cioè delle fasi di peggioramento, involuzione e cronicizzazione. Strategicamente, il centro di gravità della diagnosi e della terapia viene dall’Omotossicologia spostato dal livello somatico al livello psichico.
Così può giungere veramente a fondo l’azione delle alte diluizioni, di schietta fattura hahnemanniana, dinamicamente protesa al di là dell’unità molecolare, verso le particelle minime che ruotano intorno all’atomo.
E’ possibile quindi ricostruire un centro di gravità diagnostico-terapeutica che prenda in considerazione olisticamente,
appunto, il piano fisico e mentale perché è su questi livelli incessantemente interagenti che ogni essere umano si autostruttura spiritualmente come un unicum che come tale va interpretato per essere curato.

La terapia in omotossicologia
E’ necessario intervenire con una terapia che: agisca a livelli distinti, non determini importanti peggioramenti, offra
risultati chiari a livello tissutale. Ogni rimedio omotossicologico può essere opportunamente definito come un “farmaco sinergico”: esso agisce infatti sia sul piano orizzontale (è solitamente composto da più rimedi aventi un tropismo comune)
che su quello verticale (per la presenza contemporanea di varie diluizioni dei rimedi).
Esistono farmaci omotossicologici che agiscono a vari livelli, sempre tuttavia estremamente caratterizzati ed anche per questo è sempre necessario individuare con chiarezza e precisione la situazione clinico-anatomopatologica del paziente in ogni suo aspetto.
Man mano che il farmaco diventa più complesso, più ampia e più facilmente individuabile è la sua azione.
Rimedi di Fase: rimedi di stimolo globale e generalizzato sull’organismo (per il loro uso è necessaria l’individuazione della Fase di malattia che sta vivendo il quel momento il malato).
Rimedi di Funzione o di Organo: rimedi più specifici, che servono spesso a rifinire e completare una strategia terapeutica relativa ad un organo o ad una funzione (per il loro uso è necessaria l’individuazione fisiopatologica della situazione del malato).

Classificazione dei Rimedi Omotossicologici
Farmaci Singoli (tutti a diluizione bilanciata):
- Omeopatici Singoli
- Catalizzatori Intermedi
- Allopatici Omeopatizzati
- Nosodi
- Organi di suino

Rimedi composti:
- Composti semplici
- Composti della Patologia Funzionale
- Omotossicologici propriamente detti:
l) Tissutali, 2) Di stimolo di fase aspecifica

Apporto farmacologico dell’Omotossicologia all’Omeopatia
Il farmaco omeopatico è la base di partenza degli studi omotossicologici
Attraverso un:
- Approfondimento teorico omeopatico si ha:
l’introduzione della diluizione bilanciata
- Ampliamento della teoria dei nosodi ed uno studio clinico si ha: l’introduzione dei nuovi nosodi
- Applicazione della teoria organoterapica e degli studi di anatomia comparata si ha:
l’introduzione degli Organi di suino
- Applicazione della conoscenza e della tecnica omeopatica alla farmacologia allopatica si ha:
l’introduzione degli Allopatici Omeopatizzati
- Applicazione dell’Omeopatia agli studi di biochimica cellulare si ha:
l’introduzione dei Catalizzatori intermedi Rimedi omeopatici singoli

Potenza: Diluizione e dinamizzazione delle sostanze omeopatiche di base

Denominazione
Diluizione
Sinonimo
D
decimale l:l0
X
C
centesimale l:100
CH
Q
cinquantamillesimale1:50000
LM
X o K
Korsakoviane l:100
Korsakoviane

Grado di potenza:
- Potenze basse: D1 – D6 / Cl – C3 oppure entro la D6, entro la 6CH, la 200K, la 6/LM o 6/50M
- Potenze medie: D7 – Dl5 / C4 – C6 oppure tra la 7CH e la 9CH, la 100K, la 9/LM o 9/50M
- Potenze alte: D30 / Cl5 oppure tra la 15CH e 200CH, la 10000K, la 30/LM o 30/50M

L’OMOTOSSICOLOGIA in quanto OMEOPATIA BIOCHIMICA utilizza i mediatori biochimici cellulari in forma omeopatica per influenzare le reazioni cellulari L’Omotossicologia agisce nella biochimica cellulare con:
Catalizzatori intermedi del ciclo di Krebs, influenzano la produzione di energia e la sintesi proteica
Chinoni, influenzano la produzione di energia ed i meccanismi di ossido-riduzione cellulare

I farmaci convenzionali causano:
- Soppressione del meccanismo fisiologico dell’infiammazione
- Blocco del ciclo di Krebs per l’utilizzazione dei metaboliti per chelare le tossine
- Danno del DNA: mutazioni e sintesi di errate proteine

Catalizzatori
Sono sostanze biochimiche che inducono, acceleranoo interrompono, reazioni cellulari. Il processo in cui intervengono i catalizzatori è quello della catalisi a livello cellulare.
In particolare con i catalizzatori possiamo influenzare il ciclo di Krebs e determinare a seconda del catalizzatore impiegato accumuli o deplezioni di sostanze enzimatiche.
Un blocco del ciclo di Krebs causa gravi danni cellulari e la cellula è portata ad assumere caratteristiche funzionali anomale: Glicolisi Anaerobica tipica della cellula neoplastica
E’ una via primitiva e antieconomica di produzione di ATP utilizzata da cellule libere (globuli rossi) e da cellule cancerogene.
Catalizzatori intermedi omeopatizzati 
Sono le sostanze biochimiche che, diluite omeopaticamente, influenzano reazioni metaboliche specifiche a livello cellulare
La possibilità di disporre dei catalizzatori intermedi in diverse diluizioni ci permette di influenzare in vario modo il metabolismo cellulare:
Bassa diluizione, stimola una reazione
Alta diluizione, inibisce una reazione
Catalizzatori intermedi del ciclo di Krebs 
Acidum-Ketoglutaricum: Ipofunzione, spasmofilia
Acidum cis-aconitum: Iperreattività,
Ipersensibilità, Allergia
Acidum nitricum: Esaurimento, Ipersensibilità
Acidum fumaricum: Intossicazione, Disordine metabolico
Acidum malicum: Iporeattività, patologie croniche
Acidum succinicum: Esaurimento, Stress, Anemia
Natrium oxalaceticum: Suscettibilità alla malattia, Allergia alimentare
Natrium pyruvicum: Convalescenza, Intossicazione, tendenza cronica
Mg Mn phosphoricum: Perdita di energia
Baryum oxalsuccinico: Insufficienza ormonali
Chinoni
Sostanze, assai diffuse in natura, che hanno in comune il grande tropismo per l’ossigeno.
Sono chinoni gli enzimi, fondamentali per il trasporto elettronico, che si trovano a livello mitocondriale. Hanno un ruolo chiave nell’utilizzazione dell’ossigeno da parte della cellula.
Sostanze tossiche normali in natura correlate al processo di degenerazione e morte di foglie e vegetali in generale.
La colorazione giallo-bruna di funghi e pigmenti vegetali è dovuta proprio ai chinoni.
Sostanze di tipo chinonico si formano fisiologicamente nell’organismo, a vari livelli, nell’ambito dei processi di ossido-riduzione.
In alcune situazioni patologiche, la loro concentrazione tissutale aumenta abnormemente: per assunzione di tossici chimici ambientali, per eccesso di lassativi, per blocchi nel ciclo di Krebs, ecc
La loro presenza viene tipicamente denunciata dall’imbrunimento del tessuto affetto e da alterazioni circolatorie locali Rappresentano dei potenti radicali liberi che, in eccesso a livello tissutale, hanno spiccatissime capacità di ossidazione. Queste stesse sostanze, introdotte nell’organismo in forma omeopatica, spiazzano gli analoghi radicali liberi tossici che bloccano a vari livelli la funzionalità cellulare e la respirazione cellulare e depurano la cellula.
Il chinone omeopatico permette uno sblocco efficace: vengono riattivate le ossidazioni, si innalza la temperatura corporea, compaiono i sintomi legati al ripristino della reattività organica che talora si traducono in una reazione di aggravamento di tipoespulsi vo-infiammatorio.
Nosodi
In base all’eziologia delle patologie originarie, che generano una risposta immunologica insufficiente e, in conseguenza
della loro cronicizzazione, si utilizzano diversi tipi di nosodi:
- Nosodi virali
- Nosodi batterici
- Associazione di nosodi
- Nosodi da organi
- Nosodi costituzionali
Metodo di Prescrizione del Nosodi per:
- Similitudine sintomatica, secondo la legge di similitudine omeopatica
- Similitudine eziologica anamnestica rispetto a una malattia antica apparentemente curata.
- Similitudine eziologica attuale (associato con i rimedi omotossicologici/omeopatici spesso di drenaggio del mesenchima) Al termine di una patologia acuta o immediatamente dopo. Dopo una vaccinazione

Come un qualsiasi rimedio omeopatico:
Prescrivere dopo un inquadramento clinico globale o dopo la selezione di un gruppo di sintomi di valore massimo che si incontrano nel paziente, indipendentemente dalla sua patologia.
Per considerazioni eziologiche: si considera la malattia che è alla base dei disturbi del paziente, studiandone i dati clinici di laboratorio o i sintomi attuali del paziente.
Nosode specifico per la malattia che ha portato il paziente all’attuale situazione patologica.

Nosodi di Causa
Dopo una patologia acuta
I nosodi inducono più rapidamente l’eliminazione delle tossine depositate nel mesenchima (vicariazione regressiva). In tal modo si eliminano gli agenti eziologici, i depositi residui di patogeni (foci patogeni latenti) e le colonie di agenti che non sono patogeni (escrezione permanente). Utile dopo una malattia infettiva (rosolia, influenza..).
Azione a livello del mesenchima con un meccanismo di tipo immunologico, riduce la iper-risposta immunoglobulinica. Nosodi costituzionali
Azione sulla costituzione e sul temperamento: Nosodi costituzionali
Azione sugli organi e tessuti: Nosodi Costituzionali (patologie croniche e degenerative).
Nosodi: alte diluizioni: agiscono a livello generale informando il sistema immunologico
basse diluizioni: agiscono a livello tissutale stimolando il sistema immunologico
Prescrizione del Nosode
Nelle fasi cellulari delle malattie
Nei blocchi
Nelle patologie autoimmuni
Nelle allergopatie
In fasi umorali reattive, quando c’è una componente discrasica tissutale.

Rimedi Organo Terapici
Rimedi che si elaborano a partire da organi di animali, parti di organi, cellule, organuli e compartimenti cellulari, liquidi cellulari o extracellulari

Azione dei rimedi organoterapici
a) Influenza sulla funzione dell’organo:
riduzione della funzione
stabilizzazione
stimolazione
b) Influenza sulla struttura dell’organo:
Induce una reazione di tipo anticorporale
Reazioni maggiori se minori e più ponderali sono le diluizioni

Organo terapici:
alte diluizioni: moderano l’attività dell’organo corrispondente
basse diluizioni: stimolano l’attività dell’organo corrispondente
Tappe della prescrizione
1. Individuare l’organo danneggiato e gli organi che ne risentono secondariamente
Analisi di laboratorio, Iridologia, Repertorio Omotossicologico, Diagnostica cinese
2. Individuare il tipo di disfunzione
Iperfunzione – Infiammazione
Squilibrio funzionale
Ipofunzione – Atrofia
Organo in iperfunzione
Alte diluizioni somministrate in lunghi intervalli di tempo
Via endovenosa
Organo in disfunzione
Cocktail di diluizioni somministrato a medi intervalli
Via intramuscolare
Organo in ipofunzione
Basse diluizioni somministrate frequentemente
Via subcutanea locale

Fasi di azione

1. Fase preliminare
Utilizzo del rimedio corrispondente all’organo danneggiato associato con altri organoterapici funzionalmente complementari, per attivare anche questi organi e permettere così che canalizzino le eventuali tossine che l’organo più compromesso può espellere nell’ambito di una buona reazione difensiva.
2. Fase di stimolo reattivo
Utilizzo del rimedio corrispondente all’organo danneggiato in diluizione più bassa rispetto alla prima fase, spesso mescolato con rimedi omeopatici con azione specifica sull’organo e che considerano l’eziologia della lesione.
Spesso, in questa seconda fase, si utilizza l’autoemoterapia che potenzia la reattività immunologica dell’organismo.
Ci sono maggiori reazioni di aggravamento, come infiammazione, se la situazione clinica è grave e se si utilizzano basse diluizioni, però questo effetto si riduce se si utilizzano sempre contemporaneamente rimedi di drenaggio a livello dei diversi organi implicati nella risposta organica.
Importanza di individuare il tropismo organico della malattia organo-terapico specifico
L’impiego di organi di suino induce un’attivazione delle funzioni organiche, un risveglio generale della reattività e cosìuna maggior sensibilità e capacità di risposta dell’organismo alla terapia seguente.
Il loro impiego è fondamentale nella terapia delle malattie croniche
A cura del Dr. Paolo Roberti

BIBLIOGRAFIA
1) Ordinatio
Antihomotoxica et Materia Medica, Biologische Heilmittel Heel GmbH, BadenBaden, VIII edizione, versione italiana, Milano, 1998
2) Bianchi I.: Repertorio OmeopaticoOmotossicologico. Guna Editore srl, Milano, 1993
3) Bianchi I.: Materia Medica Omotossicologica, Guna Editore srl, Milano, 1993
4) Reckeweg H.H.: Omotossicologia. Prospettive per una sintesi della medicina, Guna Editore srl, Milano, 1988
5) Reckeweg H.H.: Materia Medica Omeopatica, Guna Editore srl, Milano, 1990
6) Reckeweg H.H.: Repertorio Omeopatico, Guna Editore srl, Milano, 1993
7) Roberti P.: Uso di farmaci omotossicologici in un Centro di Salute Mentale del Servizio Sanitario Nazionale: studio aperto in un gruppo di area diagnostica omogenea. La Medicina Biologica, 3:15-21,2003
8) Roberti P.: Lo status giuridico delle Medicine Non Convenzionali in Italia e in altre nazioni occidentali. Anthropos & Iatria, 2:72-87, 2003

LE EMORROIDI: UN PROBLEMA SEMPRE ATTUALE

Questa distinzione è importante sia da un punto di vista etiopatogenetico che terapeutico poichè il flusso venoso del plesso superiore si immette nel sistema venoso portale, mentre gli altri due affluiscono nel sistema della vena cava inferiore. Ricordiamo infine che i tre plessi sopra descritti sono in comunicazione tra loro per mezzo di piccole vene che collegano il flusso sanguigno.
Comunque, quando comunemente si parla di emorroidi, si intende una più o meno accentuata dilatazione di questi plessi venosi (superiore – medio – inferiore). La loro frequenza nella popolazione è di difficile valutazione, ma si ritiene che almeno il 50% delle persone al di sopra dei 50 anni soffra di emorroidi senza particolare preferenza per l’uno o l’altro sesso.
Questa alta frequenza suscita una immediata domanda: quali sono le cause delle emorroidi?
Le cause sono molte e la più frequente è la predisposizione familiare ereditaria: può capitare infatti che più persone nella stessa famiglia soffrano di questa malattia o, più in generale, di generiche malattie delle vene come le varici degli arti inferiori. Pare infatti che non si ereditino le emorroidi o le varici, ma una certa debolezza della parete venosa.
Un’altra causa molto frequente di emorroidi è la costipazione cronica o stipsi perchè provoca, durante la defecazione, violenti premiti i quali a loro volta aumentano la forza di gravità della colonna di sangue che grava sui plessi emorroidali.
Inoltre il cilindro fecale duro provoca un trauma sui plessi venosi durante il suo passaggio attraverso il canale anale.
D’altra parte anche la diarrea, che determina tenesmo rettale (sensazione di fastidio), può evocare violente contrazioni degli sfinteri anali con conseguente aumento di pressione all’interno dei plessi emorroidali.
Possono essere ancora cause primitive di emorroidi, non derivanti cioè da altre malattie, la dieta priva di scorie e di fibre vegetali e alterazioni dello sfintere anale.
Hanno inoltre grande importanza le cause secondarie: ovvero quando le emorroidi sono manifestazioni di altre lesioni o stati fisici particolari. Ricordiamo la cirrosi epatica con ipertensione portale, la trombosi della vena porta, tumori addominali che comprimono la vena cava inferiore e la gravidanza.
È ovvio che in questi casi elencati non saranno certamente le emorroidi a portare il paziente dal medico. Infatti, per esempio, la cirrosi epatica con ipertensione portale (che determina la dilatazione dei plessi emorroidari superiore e medio perchè, come già detto questi plessi emorroidali superiore e medi sfociano direttamente nel distretto della vena porta) si manifesta con sintomi ben più gravi che un prurito anale od una piccola emorragia dopo la defecazione.
Lo stesso dicasi per un tumore addominale che comprime la vena cava (rarissimo).
Infine che la gravidanza e il parto siano una causa favorente le emorroidi è noto a tutti ed i motivi sono facilmente intuibili e già precedentemente analizzati.
Ed eccoci giunti ai sintomi ovvero ai motivi che spingono il paziente a recarsi dal medico. Nel 70% dei casi il sintomo sentinella è il sanguinamento le cui caratteristiche sono di presentarsi alla fine della defecazione con sgocciolamento oppure lo sporcare la carta igienica di colore rosso vivo; raramente si giunge all’anemia.
Il restante 30% dei sintomi che spingono il paziente dal medico, è variamente diviso fraprurito, irritazione e dal fatto che il soggetto palpa a livello anale: “qualcosa” o “una escrescenza”.
Si tratta cioè del prolasso dei gavoccioli emorroidari attraverso l’ano che di solito avviene alla fine della defecazione e che, nella maggioranza dei casi, si risolve spontaneamente. Se ciò non avviene allora si tratta già di complicanze delle emorroidi che sono appunto il prolasso e la trombosi.
Rarissimamente la trombosi interviene in plessi emorroidali non prolassati o per dirla in altre parole, il prolasso è la causa favorente la trombosi.
E’ ovvio che queste ultime due condizioni, volgarmente dette “attacco di emorroidi” conducono il paziente dal medico con una certa urgenza o addirittura in Pronto Soccorso.
Il medico a sua volta ad ogni caso di emorroidi che gli si presenta, sia semplice che più complesso, provvederà ad un attento esame che comprende la ispezione della regione anale, la palpazione e l’esplorazione rettale e infine eseguirà la rettoscopia che permette, con uno strumento adatto (il rettoscopio) di esplorare visivamente il canale anale almeno fino a 20 cm. dall’ano.
A questo punto la diagnosi è quasi completa e si parla di emorroidi di primo, secondo e terzo grado. Per emorroidi di primo grado si intendono quelle interne appena visibili; di secondo grado quelle con prolasso alla fine della defecazione che regredisce spontaneamente e diterzo grado quando il prolasso è permanente.
Quando il prolasso è irriducibile anche manualmente allora si parla addirittura di emorroidi diquarto grado, ma in questo caso, come già detto si tratta di complicanze.
Lo studio di un paziente con emorroidi va completato con l’esecuzione del clisma opaco se possibile a doppio contrasto per esaminare tutto il colon cioè il tratto terminale dell’intestino. Questo perchè bisogna escludere molte altre malattie (colite ulcerosa, morbo di Crohn, tumori benigni e maligni) che si possono manifestare con sintomi simile alle emorroidi, quali il sanguinamento.
Purtroppo infatti può accadere che un sanguinamento attraverso l’ano sia interpretato come la manifestazione di emorroidi quando invece è il sintomo di altre lesioni più gravi.
Fatta quindi la diagnosi con più precisione è giunto il momento del trattamento che può dividersi in quattro forme:
- terapia medica
- iniezioni sclerosanti
- terapia criochirurgica
- terapia chirurgica
La terapia medica contempla determinate regole igieniche e dietetiche quali i semicupi con acqua fredda, assunzione di cibi ricchi di scorie, e di emollienti delle feci corredati da terapia antiinfiammatoria e pomate locali.
Tale trattamento ha una buona percentuale di successo, almeno sintomatico nei primi due stadi di emorroidi.
Le iniezioni sclerosanti, attual­mente in disuso, si attuano infiltrando i gavoccioli emorroidari con agenti sclerosanti (fenolo al 5% in olio vegetale) che causano la sclerosi delle sottomucose. Questa tecnica è imprecisa ed alcune volte complicata da reazioni infiammatorie locali di discreta entità, da prostatiti. È inoltre eseguibile solo nei primi due stadi dove ha un discreto successo anche la terapia palliativa.
La criochirurgia si avvale dell’uso di sonde che utilizzano anidride carbonica o azoto liquido per produrre temperature molto basse (da -70°C a -180°C).
Queste sonde, poste a contatto delle emorroidi, ne provocano la necrosi in modo indolore e quindi senza anestesia. Questa metodica, dopo un iniziale successo attorno agli anni ’70 è attualmente al centro di varie critiche poichè i risultati sia a breve sia a lungo termine non sono brillanti, con possibilità anche di gravi complicanze.
Il trattamento chirurgico definitivo consiste nella legatura e nella escissione dei gavoccioli emorroidari. Si tratta di un intervento chirurgico tecnicamente facile che comunque richiede la anestesia generale tranne casi particolari di pazienti in condizioni generali pessime per cardiopatie o pneumopatie in cui si deve eseguire in anestesia locale. Richiede dai tre ai cinque giorni di degenza ospedaliera e può presentare, in basse percentuali, alcuni inconvenienti quali il dolore, l’emorragia, la ritenzione urinaria.
Complicanze che sono comunque facilmente controllabili con analgesici, emocoagulanti e nel caso di ritenzione col cateterismo vescicale.
L’intervento chirurgico di legatura ed escissione delle emorroidi è d’obbligo nei casi di emorroidi di terzo e quarto tipo dopo adeguato periodo di preparazione preoperatoria, ed infine quando le emorroidi sono causa di anemia.
Concludendo si può affermare che le emorroidi sono una malattia frequente dell’età adulta che si presentano progressivamente sotto diverse forme.

BIBLIOGRAFIA GENERALE
Alexander-Williams J.: Le malattie del retto e dell’ano. Il pensiero scientifico – Editore Roma Dicem­bre 1975.
Buls J.G., Goldberg S.M.: Moderno trattamento delle emorroidi in:
Clinica Chirurgica del Nord America voI. 11 n. 2 Piccin Padova 1979.
Dunphy E.J., Way L.W: Current Surgical Diagnosis And Treatment. 5th edition Lange MedicaI Pubblication 1981.
Goligher J.C.: Surgery /of the Anus Rectum and Colon. 4th edition Baillière Tindall 1980.

Parodi Antonio Giacomo Parodi chirurgo
pubblicazione del 1983

L’ARIA CHE RESPIRIAMO

L’aria che respiriamo nelle città contiene insidiosi ed invisibili “VELENI”: Vapori, Gas, Fumi, Polveri. Alcuni di questi termini possono sembrare sinonimi, invece non lo sono ed anche nel confronto del nostro organismo lo aggrediscono in maniera diversa.
VAPORE: prodotto nell’aria da particelle di liquido in ebollizione
GAS: sostanza allo stato aeriforme pura o miscelata ad altre sostanze ma anch’esse allo stato aeriforme.
FUMI: dispersione di particelle solide in gas o vapori.
POLVERI: piccole particelle di sostanza solida.
Di fronte alla massiva aggressione di tanti inquinanti l’organismo mette in atto sistemi di difesa di tipo fisico, chimico o immunologico che hanno funzione di blocco alla penetrazione degli inquinanti. Il prevalere di un meccanismo rispetto all’altro è fortemente legato alla natura dell’inquinante, ma anche alle sue dimensioni ed alla forma fisica; essa determina infatti la diversa penetrabilità nelle vie aeree e quindi la profondità della sede raggiunta e conseguentemente anche la sede del processo morboso generato.
La natura chimica della sostanza inalata è prevalentemente responsabile del tipo di patologia indotta, anche se ad essa concorrono anche la concentrazione dell’inquinante ed il tempo di esposizione e le caratteristiche individuali del soggetto.
L’irritazione suul’organismo quindi può avvenire sia a livello esterno (cute, ochii, ecc.) sia a livello interno (polmini, bronchi, organi interni ecc.) infatti gli inquinanti possono essere assorbiti e depositati in altri tessuti, dando poi luogo alla comparsa di sintomi anche a distanza di tempo dall’ avvenuta esposizione.
Se pensiamo che ogni giorno respiriamo 10-20 mila litri di aria, ci rendiamo conto che il suo inquinamento può avere conseguenze estremamente gravi sulla nostra salute.
Infatti l’organismo che viene a contatto con un agente inquinante (e quindi lo riconosce come cosa esterna all’organismo stesso ) attiva il complesso sistema immunitario, di cui siamo dotati, che è deputato al riconoscimento e all’eliminazione delle sostanze estranee potenzialmente o di fatto nocive.
Studi condotti a Filadelfia negli anni 1973-82 hanno messo in evidenza che la mortalità giornaliera era aumentata del 7% per ogni 100 microgrammi/m3 di aumento giornaliero di particelle inquinanti sospese nell’aria e del 5% per ogni 100 microgrammi/m3 di aumento giornaliero di anidride solforosa.
A questo proposito sono da – ricordare come eventi particolarmente esemplificativi, proprio perchè hanno avuto conseguenze catastrofiche, le concentrazioni di elevate quantità tossiche verificatesi in Belgio nel 1930 (valle della Mosa), in Pennsylvania nel 1948 (Donora) e in Inghilterra nel 1952 (Londra) dove una settimana di smog fitto ha fatto salire vertiginosamente il numero dei morti; sono stati stimati 4000 morti in più in 5 giorni.
Si parla in questi casi di uno “smog di tipo invernale” che aggrava le condizioni dei soggetti già afflitti da patologie croniche cardio-respiratorie; invece lo ” smog di tipo estivo” è responsabile di effetti acuti anche in persone sane e giovani.

L’ AEROBIOLOGIA
Ovvero come controllare l’inquinamento biologico dell’aria
In realtà l’ aerobiologia comprende anche altri settori; è la scienza che studia le sorgenti, la dispersione e l’impatto degli organismi biologici presenti in atmosfera ed i loro effetti in ambienti confinati e aperti.
Le particelle biologiche presenti in atmosfera, alcune delle quali capaci, anche a basse concentrazioni, di causare ingenti danni alla popolazione umana, animale e vegetale, sono state oggetto di studio, fin dai tempi remoti, da parte di illustri ricercatori come Spallanzani, Pateur, Miquel.
Ma solo dal 1972, nell’ ambito dell’ IBP (International Biological Program), è stato sviluppato un programma di collaborazione internazionale sull’ aerobiologia senza il quale probabilmente la stessa avrebbe continuato ad essere un settore scientifico dai contorni sfumati.
Per quanto riguarda l’Italia in particolare, il primo centro di monitoraggio aerobiologico è sorto nel 1974 a Bologna, presso l’Istituto di Fisica dell’ Atmosfera del CNR , coordinato dal dr. Mandrioli.
Con il passare degli anni, altri Centri- una ottantina- si sono aperti lungo tutta la Penisola; fanno capo alla AIA (Associazione italiana di Aerobiologia) fondata nel 1985 ancora a Bologna.
Oggetto delle ricerche sono la provenienza e la modalità con cui le particelle vengono liberate nell’atmosfera, la produzione delle particelle biologiche, la loro permanenza ed il loro trasporto da parte dell’ aria, la deposizione dei corpuscoli sulle varie superfici.
Ovviamente le particelle studiate non svolgono solo effetti negativi sull’ambiente.
Il polline, ad esempio, è utilissimo perchè permette la riproduzione delle piante, ma può essere fastidioso nei confronti di alcuni individui che soffro di allergia.
In questa nostra trattazione ci occupiamo solo degli effetti indesiderati ed in particolare degli effetti indesiderati sull’uomo.
Ecco che vengono ad essere interessati campi importanti quali quello delle malattie infettive diffuse da batteri aerotrasportati, malattie respiratorie allergiche causate dall’inalazione di particelle allergeniche e l’inquinamento dell’ aria.

DENTRO E FUORI CASA
Due realtà in qualche modo contrastanti; sembrerebbe logico pensare alla “casa dolce casa” come nido tranquillo e sicuro … ecco invece che anche l’abitazione, soprattutto se moderna, genera ancora pericolo.
Nell’ ultimo decennio è emerso che anche gli ambienti domestici e gli uffici, lungi dall’essere una protezione, sono impregnati di inquinanti d’origine chimica o biologica, talvolta presenti addirittura in concentrazioni superiori a quelle rilevate all’esterno.
I nuovi materiali impiegati nella costruzione e nell’arredo, i sistemi di condizionamento d’aria, persino le suppellettili e gli stessi prodotti per la pulizia, possono sprigionare sostanze irritanti, alle quali risultano evidentemente più esposti casalinghe, bambini, anziani e ammalati.
Ma allora quando possiamo considerare l’aria pura, priva di inquinamento?
Quando non vi siano alterazioni delle caratteristiche chimico-fisiche, determinate sia da variazioni di concentrazione dei suoi normali costituenti come, e soprattutto, dalla presenza di sostanze estranee (di origine fisica, chimica o biologica) alla sua composizione normale, in grado di determinare effetti di danno e/o malattia all’uomo ed agli organismi viventi”.
Pensare poi di respirare aria pura fuori casa è assolutamente impossibile se si abita in agglomerati urbani.
Respirare nelle principali città italiane equivale a fumare 60 sigarette al giorno.
Le particelle tossiche sospese nell’ aria, sono tra gli inquinanti più pericolosi e di difficile misurazione sistematica, infatti mentre il controllo delle emissioni di tipo industriale è facilitato dal carattere locale di questo tipo di sorgente inquinante, il monitoraggio dell’inquinamento da traffico e da riscaldamento domestico è più complesso a causa della sua distribuzione su tutto il territorio.
Ovviamente le condizioni atmosferiche giocano un ruolo determinante sulla diffusione di questo tipo di inquinamento.

LE CITTA’ SI INGRANDISCONO
Un’idea della rapidità con cui avvengono i processi di urbanizzazione ?
In trent’anni la popolazione delle città è quasi triplicata passando da 700.000.000 a 1.900.000.000 di persone con crescite spettacolari soprattutto nelle metropoli del Terzo
Mondo.
Nel 1970, 11 città delle Nazioni in via di sviluppo avevano oltre 5 milioni di abitanti. E’ possibile che questo numero aumenti fino a 35 entro l’anno 2000.
Di queste 35 si suppone che 11 avranno tra i 20 e i 30 milioni di abitanti. Ma un quarto di tutti gli essere umani vive in condizioni di povertà e la maggior parte abita in ghetti e bidonvilles nelle città del Terzo Mondo.
Queste cifre con così tanti zeri danno un’idea della vastità del problema della salute nelle città coinvolgendo una serie infinita di elementi: dalla qualità insufficiente delle abitazioni alle risorse scarse e mal distribuite, dalle politiche governative poco efficaci all’aumento della criminalità. E città tanto densamente popolate non possono che avere aria e acqua inquinate.

SINDROME DELL’ EDIFICIO MALATO
Ovvero in casa ci avveleniamo con … … la cottura dei cibi, la combustione della fiammella dello scaldabagno, il fumo del tabacco, i mobili laminati di formica,” i tessuti e i materiali isolanti, la moquette ed i prodotti di pulizia ….
Sembra strano, invece è proprio così. Queste cose così abituali, che fanno parte della vita di tutti i giorni, liberano una miriade di composti chimici gassosi e potenzialmente pericolosi.
Tuttavia raramente, e solo quando si realizzi un’esposizione di lunga durala, gli inquinanti domestici (con esclusione del fumo) danno luogo a tumori polmonari.
Oltre ai sintomi locali, la cattiva qualità dell’aria ambiente può determinare sintomi di tipo generale ed aspecifico quali cefalea, nausea, fatica, irritabilità, appunto quella che si chiama sindrome dell’edificio malato.

ASBESTO: rallenta l’attività dei macrofagi (cellule che hanno il compito di fagocitare (“mangiare”) gli elementi estranei al corpo). E’ impiegato oltre che nella costruzione dei freni, anche in alcuni materiali per l’edilizia.

AZOTO OSSIDO deriva da combustione delle cucine a gas, stufe a cherosene ecc. ; inoltre la sua concentrazione è potenziala dalla quota che giunge dall’esterno e che è particolarmente rilevante nelle zone ad alto inquinamento.
Svolge azione inibitrice nei confronti di alcuni linfociti.

FORMALDEIDE: si libera dai materiali di costruzione delle suppellettili e dai prodotti per la pulizia.
Fa parte del gruppo dei composti organici volatili (VOC) la cui concentrazione raggiunge valori preoccupanti nelle costruzioni Particolarmente ermetiche.

FUMO DI TABACCO: riduce la proliferazione delle cellule più attive nella difesa dell’organismo (cellule killer), così come provoca una diminuzione di immunoglobuline o anticorpi circolanti.
Le sigarette sono il più importante fattore di rischio per il cancro polmonare (il 85% è attribuibile al fumo).

ACARI: causano asma allergico; sono in essi racchiusi i principali allergeni responsabili della sensibilizzazione allergica indicata una volta come” polvere di casa”.
In effetti gli acari a cui ci riferiamo (Dermatophagoides) sono presenti particolarmente nelle polveri degli ambienti in cui vive l’uomo. Infatti le condizioni ambientali ottimali per la loro colonizzazione, sono le stesse che determinano il “confort” ambientale dell’ uomo.
E per questo colonizzano facilmente nei materassi, nelle coperte, nei cuscini ecc., tanto che
in passato il disagio provocato da questi acari era chiamato “allergia alla lana o alla piuma”. Inoltre la loro sensibilizzazione nei confronti delle persone allergiche continua nel tempo e recentemente è stata individuata la “flogosi minima persistente”; cioè è stato dimostrato che in soggetti sensibili, anche in periodo di assenza dei sintomi, se esposti a sia pur basse quantità di allergene, esiste uno stato di infiammazione moderata a livello delle mucose nasali e congiuntivali.
Ciò starebbe a significare che il danno ai tessuti esiste anche quando non sono presenti
sintomi clinici; e non è da escludere che studi più approfonditi dimostrino che lo stesso
vale anche per gli altri inquinanti.

BATTERI: proliferano soprattutto negli impianti di aria condizionata creando veri e
propri bio-aerosol.
In genere le concentrazioni di aerosol biologico presenti in un determinato ambiente sono
destinate ad incrementarsi nel tempo ed a distanza dalla sorgente iniziale, in quanto le stesse sorgenti biologiche tendono a diffondersi ed incrementarsi, per un processo di colonizzazione.

FUNGHI: causano asma allergico; anch’ essi si trovano con facilità degli impianti di aria
Condizionata.

POLLINI: causano asma allergico; sono legati alla stagionalità ed è quindi importante conoscere per ogni periodo quali siano i pollini potenzialmente dispersi nell’ aria e causa di allergia.
Il granulo di polline quando viene liberato dalla pianta madre è altamente disidratato e contiene, nelle due pareti che lo circondano e nel citoplasma, proteine che, a contatto con le mucose, vengono liberate in un tempo brevissimo e provocano reazioni allergiche in soggetti sensibili.
Il problema della liberazione nell’ aria sia delle spore dei funghi che dei pollini delle piante, il ciclo vegetativo delle piante, correlato con i fattori ambientali climatici, sono oggetto di studio da parte dell’ aerobiologia.

POLVERE :che essendo ricca di acari, batteri e funghi, provoca pneumopatie da ipersensibilità.
Inoltre ad acari, batteri e funghi dobbiamo l’insorgenza di patologie infettive.
Perchè la situazione si è aggravata soprattutto negli ultimi decenni?
La ragione sostanziale è che le innovazioni progettuali e di impiantistica introdotte dalla architettura contemporanea dai primi anni ’70 al fine di ridurre i consumi energetici e le fughe di calore hanno comportato l’impiego di nuovi materiali e strutture tese a rendere ermetiche le abitazioni, nonché il sistema di condizionamento dell’aria.
La riduzione al minimo dei ricambi d’aria, la chiusura ermetica delle finestre, la liberazione di sostanze chimiche dai materiali di costruzione e dall’ arredo sono i fattori riconosciuti che portano all’accumulo all’interno delle case di inquinanti di natura diversa che spesso raggiungono concentrazioni superiori a quelle rilevabili nell’’ aria delle città.

L’AMBIENTE DI LAVORO
E se fino ad ora abbiamo pensato all’ambiente chiuso come ad una abitazione, pur tuttavia non dobbiamo dimenticare che anche officine, laboratori, uffici, banche, alberghi, cinema, ristoranti, negozi, magazzini, auto, treni, navi ecc, sono veri e propri ambienti chiusi in cui il problema dell’inquinamento atmosferico si fa sentire in maniera più o meno pressante a seconda dei casi ma che comunque rappresenta un problema da risolvere.
Alcuni gruppi di popolazione sono particolarmente a rischio poiché particolarmente sensibili all’azione degli inquinanti: individui in giovane età, anziani, soggetti immunodepressi soprattutto se esposti a particolari sostanze durante la loro attività lavorativa. Particolarmente allarmante è la presenza nell’ambiente di vita o di lavoro di sostanze riconosciute come cancerogene, per le quali la dose assorbita, e quindi il rischio globale, per l’individuo dipendono dalla sommazione tra le quote derivanti dalle diverse vie di assorbimento (aria, acqua, alimenti) e quelle derivanti dalle esposizioni in ambienti diversi.
La relazione tra esposizione continua a basse concentrazioni di inquinanti e deterioramento delle condizioni di salute può essere indirettamente rilevata da indicatori di morbosità come l’aumento dell’ assenteismo per malattia o il numero di ricoveri in ospedale.
U n indicatore pi ù diretto è dato dalla rilevazione dell’­incidenza nella popolazione di patologie note per ricono­scere nella loro origine anche cause corre late con l’am­biente di vita quali le pneumopatie croniche ostruttive, l’asma bronchiale, le patologie cardiovascolari e le neoplasie polmonari.
Va detto peraltro che tali patologie riconoscono un’ origine multifattoriale nella quale non è sempre possibile distinguere il ruolo dell’ esposizione ad inquinanti dal ruolo giocato dai fattori individuali.

PREVENZIONE
L’inquinamento atmosferico è particolarmente pericoloso per alcuni soggetti a rischio: bambini, asmatici, fumatori, bronchitici cronici e soggetti con una funzione polmonare già alterata.
Particolarmente pericoloso per chi non è abituato a vivere in ambiente inquinato è trovarvicisi immerso improvvisamente.
Esiste infatti una risposta individuale nei confronti di gas inquinanti e bisogna quindi tener conto del fenomeno della tolleranza o adattamento (capacità dei soggetti, precedentemente esposti a dosi subletali dei gas, di tollerare successivamente una dose maggiore) .
Tale tolleranza acquisita non esiste in chi non è già venuto in contatto con il materiale inquinante, lo stesso dosaggio sopportato dal primo gruppo sarebbe invece letale per gli altri.
E’ quindi importante sottolineare il ruolo primario affidato alla profilassi: sia per quanto riguarda l’insorgenza della malattia che per la sua progressione.
E’ quindi importante, a livello collettivo avere normative mirate e controllate; a livello individuale sottrarre la persona all’ambiente sfavorevole; a livello terapeutico privilegiare l’uso di molecole in grado di opporsi all’azione ossido- riducente dei gas inquinanti e alla cascata delle reazioni flogistiche.

I BRONCHI
I bronchi hanno il compito di trattenere tutti gli agenti contenuti nell’aria (batteri, virus, polline, gas inquinanti) per difendere l’apparato respiratorio da aggressioni esterne.
Ciò avviene attraverso la produzione di muco bronchiale, una specie di ” vernice protettiva” che ricopre le vie aeree e viene continuamente prodotta e rimossa dalle cellule ciliate.
Quando gli aggressori contenuti nell’aria superano livelli accettabili, la risposta difensiva dei bronchi si manifesta con una maggiore produzione di muco, che diventa più denso del normale. Di fronte ad una aggressione costante, la produzione del muco aumenta, causando però un rallentamento, fino alla stasi della rimozione del muco da parte delle cellule ciliate, alla perdita di cilia o addirittura di cellule ciliate.
Come abbiamo visti in precedenza, l’arrivo di un agente inquinante allerta il sistema immunitario che a livello polmonare può dividersi in branca specifica ( T e B Linfociti, anticorpi~ recettori) e branca aspecifica (macrofagi, granulociti).

DANNI BRONCHIALI
I danni da agenti inquinanti possono essere di gravità e di significato diverso. Per semplicità proponiamo una classificazione:
DANNI ACUTI sono determinati soprattutto dalla concentrazione dell’agente inquinante; si suddividono ancora in:
Acuti Lievi, che si manifestano con tosse, espettorato, dispnea da dolore retrosternale o da “respiro corto”.
Acuti gravi, che sono rappresentati da edema polmonare acuto e emotisi.
DANNI CRONICIsono rappresentati da bronchite cronica, asma bronchiale, enfisema polmonare. Sono determinati soprattutto dal tempo di esposizione.
La bronchite è definita cronica quando i sintomi (tosse e ipersecrezione bronchiale) si manifestano per almeno tre mesi l’anno e per almeno due anni consecutivamente.
Il processo infiammatorio, presente anche nelle forme più lievi della malattia, prevede l’intervento di numerose cellule e mediatori (mastociti, linfociti, macrofagi, neutrofili, ecc). La persistenza di una situazione flogistica delle vie aeree si traduce in una persistenza di iperreattività bronchiale , conferendo carattere di cronicità alla malattia che con il tempo perde il suo carattere di reversibilità.
La sua importanza è andata sempre aumentando in questi anni, e oggi colpisce non meno del 5% della popolazione adulta ed il 10 % di quella in età pediatrica (i 2/3 sotto i 5 anni).
Ma c’è di più. Nonostante la disponibilità di trattamenti farmacologici efficaci, indubbiamente più validi rispetto al passato, si è avuto un incremento di mortalità per asma in buona parte dei Paesi Occidentali.
In Italia per esempio, il numero dei decessi per asma si è triplicato negli ultimi 10 anni, passando da 726 a 2341 casi.
Recentemente si è costituito il “Gruppo di Studio sull’ Asma” , formato da esperti di diverse discipline (pneumoligi, pediatri, allergologi ed immunologi clinici).
Il gruppo non si pone come organismo scientifico alternativo a quelli già esistenti, ma vuole rappresentare uno strumento al loro servizio, rendendo possibile la comunicazione e l’informazione tra specialisti e medici di famiglia.
Altra tipica reazione all’inquinamento è la “pneumopatia da ipersensibilità” .
Il meccanismo è rappresentato da una flogosi delle vie distali, (alveolite) che si riaccende ad ogni esposizione all’ agente e tende a cronicizzare.

LA CURA
Un importante meccanismo di azione svolto dagli inquinanti, soprattutto quelli chimici, è di tipo irritativo; la reazione a livello delle vie aeree è la flogosi della mucosa.
Questa situazione dà luogo ad una riduzione delle difese locali, con una più elevata permeabilità per gli altri agenti patogeni, dotati di ipotetica capacità di infettare o di dare luogo a sensibilizzazione allergica.
Il rapporto di attività fra agenti tossico-irritanti ed allergeni è di grande interesse ed ancora in parte non conosciuto.
D’altra parte la condizione infiammatoria rappresenta di per se stessa un importante processo morboso, che può dare luogo a manifestazioni respiratorie diverse. Fra i farmaci antinfiammatori specificatamente più usati in campo respiratorio, vanno ricordati il Disodiocromoglicato, il nedroconile sodico ed i corticosteroidi. Recentemente è stata messa in commercio una molecola con durata d’azione di circa 12 ore.
E’ evidente come nell’asma bronchiale questa possibilità terapeutica risulti interessante, soprattutto quando si voglia garantire l’assenza di accessi asmatici durante il riposo notturno, ma anche quando si voglia ridurre la reazione asmatica nei confronti dei prevedibili, ma non evitabili, stimoli asmigeni.
Ovviamente altra terapia può essere rappresentata dai vaccini specifici, ma questi non possono essere oggetto di questa trattazione.
E’ bene ricordare anche i broncodilatatori quali Teofillina e Ipratropium che si oppongono all’effetto broncocostrittore del biossido di zolfo.
Si impiegano anche farmaci “muco-attivi” quali la Nacetilcisteina, la Stepronina e la Tiopronina che svolgono una attività riducente nei confronti degli agenti ossidanti quali ozono e biossido d’azoto.

INQUNIMAMENTO DELL’ARIA E PATOLOGIA UMANA
E’’ il primo tentativo organico ed ambizioso di costruire uno strumento di lavoro che contribuisca a sviluppare un’ area culturale comune tra medicina ed ecologia, raccogliendo in un unico volume tutti i contributi scaturiti da un inedito confronto tra esperti della salute e tecnici dell’ambiente.
Ogni giorno respiriamo “veleni” senza sapere fino a che punto possono compromettere la nostra salute. Da questa incognita, da questa imperdonabile lacuna, è derivata la volontà di affrontare e approfondire un argomento di interesse vitale.
Questo libro è un utile strumento anche di lavoro per tutti coloro che operano nel settore i quali devono aver chiari i contenuti, ma anche i limiti e le inadeguatezze delle attuali conoscenze e normative.
I Medici ad esempio sono chiamati a valutare diversamente le patologie di tutti i giorni, una parte delle quali va imputata con maggior precisione e consapevolezza all’inquinamento ambientale.
Talora le norme inadeguate portano illusioni: per il rischio cancerogenicità, per esempio, non esiste un tetto al di sotto del quale si può stare sicuri.

Principali sorgenti degli inquinanti dell’aria negli ambienti confinati

 

FONTE

AGENTI

materiali da costruzione radon, absesto, fibre minerali
materiali di rivestimento composti volatili organici, contaminanti biologici
arredamento formaldsìeide, composti volatili organici
rivestimenti in legno pentaclorofenolo, altri antiparassitari
materiali isolanti asbesto, fibre minerali, composti volatili organici
apparecchi per la combustione gas (NOx, Sox, CO, O3) idrocarburi policicli
prodotti per la pulizia composti volatili organici, fluorocarboni
impianti di condizionamento batteri, funghi, virus
persone, animali domestici, piante batteri, funghi, virus, pollini bioscrementi antiparassitari
fumo di sigaretta gas, idrocarburi policiclici, particelle respirabili, composti volatili organici
acqua cloro, radon, composti volatili organici
aria esterna particelle, gas, contaminanti biologici, antiparassitari
fotocopiatrici polveri, composti organici, 03

 

(da: Maroni, Atti 53° congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina del Lavoro, Stresa, 1990, modificata)
CONCLUSIONE
Il controllo dell’inquinamento è un obiettivo primario per i Paesi ad elevata industrializzazione anche se non di facile realizzazione sia in termini pratici che politici.
Per quanto concerne i primi, decidere quali siano i livelli accettabili di inquinamento per la salute pubblica, non è semplice. Studi pubblicati recentemente su autorevoli riviste scientifiche hanno dimostrato che anche l’esposizione a livelli molto bassi e normalmente accettati di inquinamento, urbano e anche domestico, è associata ad un aumento della morbilità respiratoria. Così come per il rischio di radiazioni jonizzanti, anche in questo settore, quindi l’abbattimento del rischio e delle concentrazioni degli inquinanti nell’ atmosfera delle grandi città deve essere il più radicale possibile.
Ne consegue che assumono grande importanza le stazioni di monitoraggio di cui abbiamo parlato all’inizio di questa trattazione.
Molte di esse mantengono attivo il campionamento degli aeroallergeni per tutto l’anno; tutte comunque operano nel periodo che va dall’ ultima settimana di febbraio alla seconda di ottobre.
Ad esempio le previsioni dei pollini vengono diffuse sui quotidiani, su Televideo a pag 646, ed è anche a disposizione un numero verde 1678-54050 a cui possono accedere preferenzialmente i medici.
Ad esempio le previsioni dei pollini vengono diffuse sui quotidiani, su Televideo a pag 646, ed è anche a disposizionene un numero verde 1678-54050 a cui possono accedere preferenzialmente i medici.
Da queste informazioni non derivano solo decisioni in campo sanitario: modalità, tempi e dosaggi da impiegare nella profilassi e nel trattamento della pollinosi, ma vengono anche dirette le scelte operative da attuare, ad esempio, nella realizzazione di parchi e giardini sia pubblici che privati.

Angelo Bodrato
farmacista
i dati riportati in questo SPECIALE sono stati desunti da:
“Asma Cronico: linee guida per il trattamento”
“Inquinamento dell’ Aria e Patologia Umana”
“Le Broncbiti: Azioni Patogene dell’inquinamento”
Pubblicazione Febbraio 1993

POSTURA, DIAFRAMMA E CERVICALGIE

In questo lungo processo, grande attore protagonista è il diaframma, muscolo principale della respirazione, situato fra torace e addome, a forma di grande cupola asimmetrica. Essendo costituito da tessuto muscolare, esso è soggetto alle stesse leggi di qualsiasi altro muscolo. Nel corso del tempo, cioè, a causa di stress, tensioni prolungate, un’ attività fisica inadeguata, ansie ed angosce, anche il diaframma diventa “retratto”.
E può quindi diventare responsabile di algie.
Ma come può avvenire ciò?
La spiegazione sta nel fatto che ogni muscolo è capace, nelle sue funzioni quotidiane, unicamente di contrarsi e decontrarsi. Cioè non è assolutamente in grado di “riallungarsi”, di riportarsi in modo autonomo nella posizione originale, se non per mezzo del muscolo antagonista.
Ciascuno di noi ha avuto modo di osservare, e magari sperimentare, come un qualsiasi muscolo venga progressivamente limitato nelle sue funzioni e nella possibilità di movimento, nel caso in cui si trovi costretto a rimane per troppo tempo fissato in una posizione (come ad es. un braccio ingessato o una parte del corpo immobilizzata per una frattura). Questo accade perché i sarcomeri, unità che permettono la contrazione dei muscoli, rimangono “imprigionati”, “cementati” dal tessuto connettivo che avvolge il muscolo.
Quando un muscolo è rimasto troppo a lungo contratto, passa alla condizione fissa di “retratto”, cioè definitivamente accorciato, per cui non riuscirà più a “riallungarsi” per mezzo del muscolo antagonista, ma solo ed unicamente con particolari tecniche di “allungamento muscolare globale decompensato”.
Inoltre, poiché ogni muscolo scavalca almeno un’articolazione, se diventa “retratto” svilupperà inevitabilmente azioni di compressione su quell’ articolazione. In aggiunta, per effetto delle “catene muscolari”, ogni singolo muscolo retratto andrà ad agire anche su articolazioni non direttamente a lui connesse, senza che si colga un’ apparente relazione.
Per catene muscolari si intendono quei muscoli che, per il modo in cui interagiscono l’uno sull’altro (prima che un muscolo termini con il suo punto di inserzione, ne parte un altro con il suo punto di origine e così via), trasmettono la loro azione meccanica non solo nel punto di elezione, ma anche sull’intera struttura scheletrica. A questa legge non sfugge neppure il diaframma; se le sue fibre sono diventate retratte, significa che i suoi estremi si sono dovuti ravvicinare, così che ne risulterà inevitabilmente anche una modificazione delle sue funzioni. La cupola si ritroverà più bassa e tesa rispetto alla posizione ideale e la sua capacità ventilatori a verrà inevitabilmente modificata; quindi la sua funzione risulterà compromessa.
L’effetto di tale compromissione agirà su più livelli: esaminiamoli.
Un diaframma teso e retratto, oltre al fatto primario di perdere una parte della sua “corsa”, comprimerà costantemente lo stomaco, andando a disturbare le sue funzioni. Un punto limite per tale disturbo potrebbe essere l’ernia jatale.
Inoltre un diaframma retratto creerà compressioni su tutto l’apparato digerente, disturbandone le funzioni, infatti comprimendo l’addome, si creano congestioni, che determinano spesso difficoltà al circolo venoso nella sua risalita dagli arti inferiori. Anche il sistema linfatico ne risentirà negativamente, mancando di quella compressione e depressione sulla cisterna di Piquè. Il diaframma, essendo intimamente connesso al cuore attraverso il legamento frenopericardico, quando è teso traziona tale legamento più in basso del dovuto, creando sgradevoli sensazioni nella zona cardiaca (disagi e dolori).
La colonna verrà disturbata perché il diaframma si inserisce su di essa attraverso i suoi potenti pilastri nella zona lombare; per questo motivo, ad es., alcune persone rimangono con la schiena bloccata durante uno starnuto. Se il diaframma agisce scorrettamente, col tempo il torace stesso potrà deformarsi.
Ma una scarsa funzione del diaframma, che significa in primo luogo scarsa respirazione, obbligherà i muscoli respiratori accessori del collo e delle spalle ad agire al posto del diaframma stesso. Questo continuo sovraccarico di lavoro e di tensione per i muscoli accessori, che in realtà è previsto solo in particolari casi (corsa, sforzo fisico, etc.), provocherà inevitabilmente la compressione e lo schiacciamento di tutto il tratto cervicale, che tali muscoli, appunto, scavalcano. E se le cervicali vengono deformate, sicateneranno seri problemi alle spalle ed al collo: cervicalgie, artrosi, protrusioni, cervicobrachialgie,spalle dolorose, etc.
Risulta con evidenza, quindi, come una corretta respirazione sia davvero fondamentale per godere di buona salute. Tuttavia non è sufficiente ripetere alle persone le solite frasi fatte: respirate a fondo, usate il diaframma, etc. Bisogna far conoscere dettagliatamente il funzionamento del diaframma e come va allenato, come si possono ripristinare le funzioni che ha perduto.
Quando ci si trova di fronte ad un diaframma alterato bisogna trattarlo in modo particolare, ricorrendo, se necessario, a manovre specifiche, che devono venir eseguite in postura corretta con il metodo dell”allungamento muscolare globale decompensato”.
Attraverso questo metodo, che si avvale dell’utilizzo di specifici attrezzi, si va a scoprire quali sono i muscoli principalmente retratti e si procede ad allungarli senza creare compensi o disagi in altre parti del corpo. Infatti, è cosa risaputa che quando si cerca di allungare un muscolo in una parte del corpo, per effetto delle catene muscolari tutte collegate tra loro, si provoca inevitabilmente l’accorciamento di altri muscoli situati in altre parti del corpo. Per questo motivo una terapia, se non è corretta o adeguata, a volte può semplicemente “spostare” il problema da una parte ad un’altra del corpo, senza risolverlo.

Daniele RAGGI
Posturologo, Chinesiologo.
Docente per il Modulo di Scienze
Motorie e Riabilitative,
la Facolta di Medicina e Chirurgia,
Università La Sapienza di Roma
Pubblicazione Maggio 2003

L’AMORE DOPO IL BISTURI

Quando operarsi
Quando si è pienamente convinti che sia proprio il “difetto” agli organi genitali ad inibire l’approccio con il sesso. E’ importante inoltre essere sicuri che il rifiuto od il disagio nell’ intimità con il partner svaniranno dopo una tale operazione.
A chi rivolgersi
In Italia non sono molti i centri specializzati nella chirurgia del sesso. Gli interventi sulla donna possono essere praticato da un chirurgo plastico o da un ginecologo. Quelli sull’uomo, dal chirurgo plastico, dall’urologo o dall’andrologo. Prima di sottoporsi ad un intervento che in qualche misura andrà a modificare gli organi sessuali, è consigliabile la consulenza del sessuologo.
Come si svolgono gli interventi
La maggior parte degli interventi sui genitali viene eseguita in anestesia locale. Il regime è quello del day hospital: il paziente, al termine dell’operazione, resta in clinica per un paio d’ore e poi viene subito dimesso.
Questa formula elimina tutti quei disagi, soprattutto psicologici, che una ospedalizzazione porterebbe inevitabilmente.

Il complesso numero uno delle donne: vagina larga ma anche …cellulite

La paura di non soddisfare sessualmente il partner si concretizza in molte donne nell’idea di avere un canale vaginale eccessivamente largo.

Questo problema comporta ansie ed inibizioni nel rapporto intimo: il timore che il proprio compagno non riesca a “sentire” pienamente e a godere durante il rapporto sessuale, può spingere a volte la donna al rifiuto delle effusioni più intime.
L’intervento di riduzione del canale della vagina offre, sotto il profilo sessuale, vantaggi solo per il partner.
E’ un intervento delicato che, pur garantendo buoni risultati, può portare a spiacevoli conseguenze come perdita di elasticità e di sensibilità o rischio di infezioni.
L’altro fattore che nelle donne inibisce maggiormente la sessualità non è direttamente collegato alla sfera genitale ma ha implicazioni erotiche molto determinanti.
In un questionario distribuito ad un campione rappresentativo di donne dai 18 ai 50 anni, alla domanda
“Quale è la parte del suo corpo che inibisce più di tutte la sua vita sessuale?” il 66% delle intervistate ha risposto sorprendentemente: la cellulite.
Non a caso, in chirurgia estetica, la lipoaspirazione (ovvero la tecnica di aspirazione chirurgica del grasso in eccesso) è di gran lunga l’intervento più richiesto dalle donne.
In una ricerca condotta su pazienti tre mesi dopo essersi sottoposte a lipoaspirazione, il 62% di queste hanno dichiarato un incremento soddisfacente della qualità della propria vita sessuale. Questo dimostra come una mutata percezione di sé incida maggiormente sul piano qualitativo della sessualità.

Il complesso numero uno degli uomini: impotenza e pene corto
Contro l’impotenza la chirurgia sessuale risponde con l’innesto delle protesi idrauliche, in grado di procurare l’ erezione, azionando dall’esterno una piccola pompa. Le protesi gonfiabili si distinguono a seconda del numero di componenti.
Quelle ad un componente sono costituite da due cilindri che si inseriscono nel pene. Il liquido passa attraverso i cilindri con una semplice pressione dall’esterno, consentendo l’erezione.
Le protesi a due componenti hanno un serbatoio separato per il liquido, sistemato nello scroto.
Il serbatoio viene svuotato per mezzo di una semplice valvola.
L’intervento di allungamento del pene prevede un’ incisione di un paio di centimetri, proprio sopra il pene.
Incidendo il legamento superiore (cioè quel cordone che collega il pene al pube), si arriva ad aumentare la pendenza di 3-4 centimetri.
La nuova tecnica chirurgica di allungamento del pene prevede inoltre la recisione di tutte le aderenze che fissano lateralmente il pene al pube.
In questo modo, oltre ad essere diventato più lungo, il pene non risulterà più “infossato” , come avveniva quando il legamento sospensore era troppo corto.
A differenza del primo intervento, quello di allungamento del pene non determina una vita sessuale qualitativamente migliore; le dimensioni del pene non sono proporzionali alla capacità di dare e ricevere piacere.
L’intervento può comunque portare benefici a livello psicologico, soprattutto a quegli uomini che, a causa delle misure del loro membro, si sentono poco “virili”, vivendo con angoscia la loro sessualità.

Carlo Alberto PALLORO -chirurgo plastico
pubblicazione del 1996

COME AVER CURA DI GAMBE E PIEDI

Gambe e piedi belli, ma soprattutto sani.
Cosa possiamo fare per evitare che i nostri arti si imbruttiscano, invecchino e si ammalino?
Le strategie sono parecchie ma possono concentrarsi in tre presupposti particolari: condurre una vita sana, concedersi le dovute attenzioni e rivolgersi allo specialista al primo sintomo di qualcosa che non va. I disturbi che più colpiscono le gambe sono legati ad una cattiva circolazione e gran parte di questo articolo è dedicata agli inestetismi e ai disturbi associati a tale problema (cellulite, capillari, varici, ecc.). Acciacchi che, guarda caso, colpiscono più le donne (e poi vedremo perché) e che si fanno particolarmente sentire nella stagione primaverile. Un’attenzione inoltre verrà rivolta alla parte più periferica del corpo, i piedi, spesso trascurati e ritenuti di secondaria importanza. Eppure i piedi sono la base del nostro sostegno ed il loro benessere é collegato al benessere della nostra colonna vertebrale e della funzione cardiocircolatoria. Capire questo, é già un bel passo in avanti.

LA CIRCOLAZIONE NELLE GAMBE
A garantire la circolazione del sangue fino agli arti inferiori e a ritroso, vincendo la forza di gravità, fino al cuore é una complicata rete di condotti venosi che, nelle gambe, si articola in tre reti principali:
La rete venosa superficiale, che si distribuisce sotto la cute, al di sopra delle masse muscolari. Di questa rete fanno parte la piccola safena (esterna) e la grande safena (interna). Quest’ultima inizia nel margine interno del piede, arriva fino all’inguine e confluisce nel sistema venoso profondo attraverso la valvola safeno-poplitea.
La rete venosa profonda, in cui le vene corrono all’ interno delle masse muscolari, vicino alle ossa, affiancando le arterie. La vena poplitea (presente dietro il ginocchio) fa confluire circa il 90% del sangue in circolo fino all’atrio destro del cuore.
La rete dei vasi perforanti, costituita da condotti venosi che attraversano i muscoli. Tali vasi, partendo dal circolo superficiale, portano il sangue verso il circolo profondo.
Il circolo del sangue avviene dunque seguendo due direttrici: dal basso verso l’alto (dai piedi al cuore) e dalle vene superficiali a quelle più profonde, attraverso la rete dei vasi perforanti.
LE REGOLE PER MUOVERSI IN LIBERTA’
Una corretta circolazione é basilare per la salute e la bellezza delle gambe. E’ quindi importante fare quanto possibile per evitare tutte quelle condizioni che potrebbero ostacolare la funzione circolatoria. Ecco alcuni semplici accorgimenti:
ATTIVITA’ FISICA : riattiva la circolazione e contribuisce ad evitare il ristagno dei liquidi nei tessuti. Oltre allo sport (ottima l’attività aerobica) ci si può dedicare alle camminate, vincendo la pigrizia e compensando così una vita quasi esclusivamente sedentaria.
CORREGGERE LA POSTURA :è importante per mantenere in efficienza la circolazione. Quando si è seduti, ad esempio, bisogna evitare di accavallare le gambe ed abituarsi a mantenere le ginocchia parallele ed i piedi ben piantati per terra. I problemi di circolazione a livello delle gambe possono derivare, oltre che dalle posizioni assunte, anche da malformazioni della colonna vertebrale e dal modo di camminare e di appoggiare il piede.
Un’analisi della postura effettuata dallo specialista può servire in questo senso a rilevare e a correggere eventuali anomalie.
DIETA EQUILIBRATA: privilegiare cibi ricchi di fibre (frutta, verdura, cereali integrali, legumi) e minerali. Bere molto nell’arco della giornata (almeno 2 litri di acqua al giorno), limitare il sale (provoca ritenzione idrica), gli zuccheri ed i grassi.
RINUNCIARE AI VIZI come il fumo o l’alcool: essendo vasocostrittori riducono l’ ossigenazione nei tessuti e contribuiscono a problemi come ritenzione idrica, cellulite e fragilità capillare.
NO AI VESTITI STRETTI che sono da ostacolo alla circolazione. Non parliamo solo di jeans stretti o fuseaux ma di tutto ciò che stringe: elastici troppo stretti, cinture, panciere, calze autoreggenti, capi troppo rigidi ma anche di materiale sintetico che impediscono la traspirazione e favoriscono quindi la ritenzione dell’acqua e delle tossine.
CALZATURE ADEGUATE: non é consig]iabile indossare per molte ore calzature dal tacco alto, dalla pianta o punta stretta o dalle suole troppo grosse e pesanti: il piede ne risente e così anche la circolazione. Per il benessere dei nostri piedi, preferire calzature comode e dal tacco di 3-5 centimetri.

GAMBE E PIEDI STANCHI -UN PEDILUVIO ED UN BEL MASSAGGIO
Può capitare che alla fine della giornata si avverta un senso di stanchezza e di pesantezza agli arti inferiori. Ciò è molto facile se già si soffre di problemi di circolazione ma anche se nel corso della giornata si sono assunte posizioni fisse (o troppo a lungo in piedi o troppo a lungo seduti). Per un senso di sollievo, può essere utile praticare un pediluvio con sali minerali o preparati naturali. In farmacia si possono trovare preparati a base di sali (alluminio, sali ossigenati, urea, acido citrico e solfato di magnesio). Il pediluvio é un vero toccasana per i piedi gonfi e doloranti poiché favorisce il riassorbimento dei liquidi ristagnanti, facilita il drenaggio e la circolazione linfatica e migliora di conseguenza il tono muscolare.
Per un maggiore beneficio, dopo il pediluvio, applicare su piedi e gambe una crema defatigante con un dolce e prolungato massaggio: si inizia dalla pianta lei piede esercitando pressioni con i polpatrelli e rotazioni della caviglia; si sale poi verso l’alto fino alla radice delle cosce, eseguendo piccoli cerchi, impastamenti e leggeri picchiettamenti. Per favorire il ritorno venoso del sangue é utile tenere sollevate per qualche minuto le gambe mentre a chi soffre di problemi circolatori si consiglia di indossare durante il giorno calze ad elasticità graduata.

PER NON FARCI IL CALLO
I calli (ipercheratosi) si formano per un ispessimento dello strato corneo della cute, condizione che si verifica quando si é soliti portare calzature troppo strette (per via del continuo sfregamento) o con il tacco eccessivamente alto ma anche per squilibri dell’ assetto del piede o della colonna vertebrale. Se si trascura
la lesione (che colpisce soprattutto l’ alluce o il quinto dito) c’é il rischio che questa diventi sempre più profonda fino a raggiungere le terminazioni nervose. Che fare in caso di callosità? Lasciare stare lamette o forbicine (pericolosissime!) e rivolgersi allo specialista podologo. Da ricordare che un piede doloroso non soltanto non garantisce un corretto appoggio al suolo ma può provocare dolori anche in zone apparentemente non collegate come il ginocchio, l’anca, la colonna vertebrale, il collo e addirittura la testa.

 

 

ALTRI INCONVENIENTI
DURONI
Callosità diffuse localizzate soprattutto sulla pianta del piede o sul calcagno. Si prevengono con pediluvio e pietra pomice.
VERRUCHE
Sono infezioni virali causate dal Papova virus, veicolate con maggior facilità frequentando ambienti umidi e poco puliti. Possono essere asportate con il laser.
ULCERE:
Escavazioni della superficie cutanea difficili a cicatrizzarsi e quindi a guarire bene.
OCCHI DI PERNICE
Callosità che compaiono tra le dita dei piedi. Hanno forma rotondeggiante e presentano un punto nero al centro circondato da un’areola rosso-biancastra. Questo tipo di infezione locale viene favorita dalla costante umidità dei piedi.
IPERIDROSI PLANTARE
E’ l’eccessiva sudorazione dei piedi, accompagnata anche da un acre olezzo determinato dalla decomposizione dei batteri che proliferano nell’ambiente caldo-umido delle calzature chiuse. Il disturbo può portare ad escoriazioni, dermatiti (scatenate soprattutto dal contatto con le colle e i coloranti delle scarpe), infezioni da funghi.
L’iperidrosi può essere trattata chirurgicamente sottoponendo la pianta del piede ad una sorta di raschiatura, praticata al fine di ridurre il numero delle ghiandole sudoripare.

 

 

COME DEVE ESSERE LA SCARPA IDEALE
MATERIALE
Preferire calzature realizzate con materiali naturali (cuoio, pelle, ecc.) in quanto non ostacolano la traspirazione del piede.
MISURA
Non solo le scarpe strette fanno male ma anche quelle troppo larghe. Scegliere quindi calzature comode e a pianta larga.
PLANTARI
In farmacia si possono acquistare plantari personalizzati, in grado di ripristinare un corretto appoggio del piede.
ORTESI DIGITALE
Realizzati in silicone, servono ad assorbire o a ridistribuire la pressione che il nostro corpo esercita su punti precisi del piede (prevenendo così le callosità).
SUOLA
Meglio se in cuoio. eventualmente rivestita di gomma.
TOMAIA
Deve racchiudere il piede senza stringerlo e consentire uno spazio di qualche millimetro tra le dita dei piedi e la punta della scarpa. La tomaia ideale é sostenuta, a forma rotonda o quadrata.
TACCO
Preferibile sceglierlo di una misura compresa tra i 3 ed i I 5 centimetri. La base deve essere sufficientemente larga da consentire un corretto appoggio del piede.

 

ALLUCE VALGO
Si ha quando l’alluce devia verso le altre dita ed il primo metatarsale provocando la formazione di una dolorosa e inestetica “cipolla”. Il problema, che riguarda soprattutto le donne, é da attribuirsi all’uso di calzature scomode ma può essere legato anche ad una predisposizione genetica e può determinare difficoltà a camminare nonché uno scorretto appoggio del piede. Per riequilibrare la
funzionalità del piede non rimane altro che l’intervento chirurgico (i separadita in lattice da indossare di notte non sono risolutivi per questo disturbo, spesso bilaterale, a carattere evolutivo).

QUAL E’ LA FORMA DEL TUO PIEDE?
l piedi non hanno la stessa forma. Neppure nello stesso soggetto sono esattamente uguali. Gli specialisti hanno individuato tre morfologie specifiche:
PIEDE GRECO -> L’ alluce é più corto del secondo dito
PIEDE EGIZIO -> L’ alluce è più lungo del secondo dito
PIEDE QUADRATO -> Alluce e secondo dito hanno uguale lunghezza

I DISTURBI DELLE GAMBE: COME CURARLI
Gonfiori
Senso di pesantezza
Formicolii
Capillari dilatati
Varici Flebite
Trombosi

CAPILLARI
Le teleangectasie sono piccole varicosità che interessano i condotti venosi più piccoli e remoti che, sfiancandosi, producono una sorta di ragnatela di venuzze bluastre e rossastre. Tra le cause di questa situazione troviamo fattori ormonali ma anche alcune errate abitudini comportamentali. I capillari dilatati sono il sintomo di un’insufficienza venosa che, se trascurata, può portare a disturbi più importanti come la comparsa di varici, infiammazioni (tlebiti, trombotlebiti, trombosi venosa), eczemi ed ulcerazioni alle gambe, embolia polmonare. Ecco perché é indispensabile cercare di eli minarli sin dalla loro comparsa.
LA TERAPIA CON IL LASER C02 PULSATO
Il fascio di luce monocromatica diretto localmente é in grado di chiudere il vaso, senza provocare danni ai tessuti circostanti. Questo grazie all’azione di fototermolise selettiva offerta dal laser ad anidride carbonica pulsato, azione che consente di colpire il capillare evitando ai liquidi contenuti nei tessuti circostanti di raggiungere temperature elevate. La terapia viene eseguita ambulatoriamente, senza anestesia (in presenza di una fitta rete di capillari si può ricorrere ad una crema anestetica). Deve essere eseguita da un medico esperto nell’utilizzo del laser, altrimenti c’é il rischio di procurare danni termici anche irreversibili.

VARICI
Le vene varicose sono dilatazioni, ovvero sfiancamenti della parete delle vene superficiali delle gambe, che causano rigonfiamenti e tortuosità molto visibili. Questi “sfiancamenti”, dovuti ad una debolezza costituzionale del tessuto elastico contenuto nella parete delle vene, portano alla perdita di tenuta delle valvole responsabili di far risalire il sangue al cuore: il sangue ristagna quindi negli arti inferiori, dilatando le vene superficiali e formando quelle evidenti “ragnatele” o rigonfiamenti venosi.
LA CHIRURGIA
La chirurgia delle varici prevede diverse tecniche di intervento, a seconda del grado e del tipo di varicosità: dalla legatura delle vene alla flebectomia (asportazione della varice attraverso speciali uncini), dalla valvuloplastica (fasciatura della vena con una rete sintentica) allo stripping (asportazione totale o parziale della vena safena). Alcuni di questi interventi possono essere realizzati in anestesia locale, in day hospital ed in endoscopia.

FLEBITE
Si tratta di un’ infiammazione della vena che si manifesta con una chiazza rossa e dolorante, spesso in tensione. Può essere causata da predisposizione (flebite primaria) o da altre malattie che hanno causato lo sfiancamento della vena (flebite secondaria). I fattori di rishio sono il sesso femminile, la presenza di varici o di traumi delle vene, l’immobilità od il lungo stazionamento in piedi, l’obesità.
COME SI CURA
Con la terapia farmacologica a base di anticoagulanti (che eliminano il rischio di trombi, pericolosi coaguli di sangue), di analgesici (che riducono il dolore) e di antibiotici (che combattono l’infezione).
In caso di flebite é necessario il riposo assoluto, con l’arto colpito sollevato rispetto al resto del corpo. L’uso di calze graduate aiuterà inoltre a sostenere le vene.

TROMBOSI VENOSA PROFONDA
E’ una malattia che va curata con tempestività altrimenti può degenerare in embolia polmonare (quest’ultima avviene quando parti del trombo si staccano e vengono trasportati dal flusso sanguigno fino al polmone). La trombosi venosa profonda (TVP) si ha quando si forma un trombo all’interno di una vena profonda. La presenza di questo grumo di sangue provoca un’ostruzione che rende difficile (e a volte impossibile) la circolazione sanguigna. I sintomi di tale malattia sono dolori, difficoltà di deambulazione, comparsa di lividi in superficie, cambiamento del colore della pelle.
I soggetti più a rischio di trombosi sono in particolare le donne con problemi di obesità, diabete, ipercolesterolemia, arterosclerosi e disturbi renali.
COME SI CURA
Con farmaci anticoaugulanti somministrati per via endovenosa o sottocutanea (come l’eparina) o per via orale. In alcuni casi il medico consiglia anche l’assunzione di farmaci trombolitici, allo scopo di sciogliere più in fretta il trombo.

RIMODELLAMENTO CHIRURGICO DELLE GAMBE
Cellulite
Adiposità localizzata
Rilassamento muscolo-cutaneo.
Smagliature
Dopo la salute passiamo all’estetica. I principali inestetismi delle gambe, cellulite e grasso localizzato, sono in larga misura collegati ad un ostacolo della circolazione e ad errate abitudini comportamentali. La dismorfia degli arti inferiori può essere trat­tata chirurgicamente così da rendere armoniosi i profili delle gambe. Per raggiungere tale obiettivo la chirurgia estetica ricorre a diverse tecniche, in alcuni casi all’integrazione di più terapie per un approccio radicale dell ‘inestetismo. Gli interventi vengono realizzati in anestesia locale oppure, per il trattamento di zone estese, in anestesia peridurale (dalla vita in giù). L’anestesia viene accompagnata da una sedazione della paziente e dalla somministrazione di sostanze vasocostrittrici (adrenalina) impiegate per ridurre al minimo il flusso del sangue nelle parti trattate. Ecco, descritti dal dottar Carlo Alberto Pallaoro, specialista in chirurgia plastica a Padova, le principali tecniche di rimodellamento delle gambe.
I dismorfismi che maggiormente colpiscono le gambe sono cellulite e adiposità localizzata, spesso coesistenti nello stesso soggetto. Questi inestetismi possono interessare anche i glutei, i fianchi e la regione addominale. Per rimodellare armoniosamente i profili del corpo si può ricorrere a diverse tecniche di chirurgia estetica, realizzate in anestesia locale ed in regime day hospitaI.
LIPOASPIRAZIONE
E’ l’intervento mirato all’eliminazione degli accumuli di grasso localizzato, responsabili di evidenti quanto inestetiche dismorfie. La lipoaspirazione consente un apprezzabile rimodellamento dei profili delle gambe. Può essere praticata su interno-esterno cosce, glutei, ginocchio, polpacci, caviglie.
A CHI E’ INDICATA
A chi presenta concentrazioni di adipe localizzata: un inestetismo molto diffuso tra le donne di ogni età e che si concentra prevalentemente nella regione fianchi-cosce-glutei. Oltre alle gambe, possono essere trattate chirurgicamente altre zone del corpo come il viso, il collo, le braccia, l’addome e la schiena.
CONDIZIONI PER UNA BUONA RIUSCITA DELL’INTERVENTO
Pelle adeguatamente elastica così da consentire un suo perfetto riadattamento ai nuovi volumi raggiunti. AI fine di incrementa­re la relativa elasticità cutanea, viene realizzato in fase chirur­gica un ampio scollamento eolico della cute, eseguito attraver­so un insufflatore di ossigeno puro.
PERIODO POST-OPERATORIO
Si consiglia una convalescenza di una settimana e l’uso di calze elastiche mediamente compressive per almeno un mese (e di una panciera, nel caso si fosse trattata anche la zona fianchi/addome). Per favorire il processo di guarigione vengo­no prescritti farmaci antibiotici ed antinfiammatori. Da evitare per almeno 40 giorni l’esposizione delle parti trattate al sole o alle lampade abbronzanti mentre per accelerare il riassorbimen­to delle ecchimosi e dell’edema post-operatorio viene consi­gliato un ciclo di linfodrenaggio manuale e la laserterapia.
MANTENERE NEL TEMPO I RISULTATI
Sarà difficile “ingrassare” nelle parti trattate poiché le cellule di grasso, essendo state aspirate, non potranno più moltiplicarsi. Questo non vuoI dire che si potrà strafare senza pericolo di ritrovarsi con il problema iniziale dei cuscinetti. Per conservare nel tempo una linea ben modellata sarà sufficiente mantenere un corretto stile di vita.

WET LIPO LIFT
E’ la terapia integrata del grasso localizzato e della cellulite: un unico intervento per rimuovere due tra gli inestetismi femminili più diffusi. La tecnica – messa a punto dal dottor Carlo Alberto Pallaoro, specialista in chirurgia plastica a Padova – si avvale della sinergia tra terapia clinica (erogazione di farmaci anticellulite) e chirurgica (lipoaspirazione). La terapia può anche essere scissa: in caso di cuscinetti di grasso senza cellulite viene praticata la lipoaspirazione mentre in caso di cellulite senza adiposità localizzata é sufficiente ricorrere alla sola terapia clinica.
CONDIZIONI PER UNA BUONA RIUSCITA DELL’INTERVENTO
Cute adeguatamente elastica da consentire, con la lipoaspirazione, un suo perfetto riadattamento ai nuovi volumi raggiunti. Al fine di incrementare la relativa elasticità cutanea, viene realizzato in fase chirurgica un ampio scollamento eolico della cute, eseguito attraverso un insufflatore di ossigeno puro.
PERIODO POST-OPERATORIO
Vengono prescritti farmaci antibiotici ed antinfiammatori e consigliato l’uso di calze elastiche a media compressione da indossare per almeno un mese. Un ciclo di linfodrenaggio manuale alternato a terapia laser aiuterà ad accelerare il riassorbimento dell’edema (gonfiore post-operatorio) e delle ecchimosi mentre per non compromettere i risultati dell’intervento si dovrà evitare l’esposizione al sole o alle lampade Uva per almeno 40 giorni.
MANTENERE NEL TEMPO I RISULTATI
I risultati raggiunti dalla terapia Wet Lipo Lift sono definitivi, a patto che la paziente si adoperi a mantenere uno stile di vita corretto attraverso un giusto connubio tra alimentazione ed attività fisica. Sono d’aiuto inoltre tutti quegli accorgimenti in grado di mantenere efficiente il proprio sistema circolatorio evitando così “intoppi” che a lungo andare potrebbero portare alla ricomparsa della cellulite e dell’adiposità localizzata.
Le incisioni praticate per consentire l’accesso della doppia cannula sono le stesse previste per la lipoaspirazione. Simultaneamente all’aspirazione chirurgica delle cellule di grasso in eccesso, viene praticata – attraverso una microcannula contenuta all’interno della cannula aspiratrice – la somministrazione di sostanze farmacologiche ad azione lipolitica (di scioglimento dei grassi), fibrinolitica (di rottura delle cellule che imprigionano il grasso) ed antitrombotica (di ripristino di un corretto funzionamento dei vasi sanguigni). Questa sorta di “mesoterapia” in profondità si rivela molto efficace per combattere la cellulite poiché va a colpirla nel punto esatto in cui si forma.
Il rimodellamento restituisce le giuste proporzioni ai profili del corpo. I risultati sono naturali e le incisioni esteticamente trascurabili.

SILKLIPOSCULPTURE
Anche in questo caso si tratta di una terapia integrata di rimodellamento dei profili del corpo. Dalla seconda parte del nome, si può intravvedere la presenza in questa terapia dell’intervento di lipoaspirazione mentre il termine “silk” (che in inglese sta per seta) si riferisce ad una speciale apparecchiatura in grado di eseguire in fase transchirurgica un efficace massaggio pneumatico in modo da contribuire ad un migliore riadattamento nonchè ad una migliore omogeneità della pelle.
A CHI E’ INDICATA
A chi presenta accumuli di grasso localizzato accompagnati o meno da cellulite. Questa nuova tecnica supera i limiti della singola lipoaspirazione e cioé quelli di creare – attraverso la disgregazione delle fibre che imprigionano il grasso – una fitta serie di buchetti (molto simili a quelli cellulitici).
Con la Silkliposculpture oltre a migliorare la qualità del grasso distribuito sul corpo viene posta particolare attenzione anche alla qualità della pelle, che risulterà così compatta e liscia come la seta.
CONDIZIONI PER UNA BUONA RIUSCITA DELL’INTERVENTO
Pelle adeguatamente elastica da potersi adattare ai nuovi volumi raggiunti attraverso la lipoaspirazione. Il ricorso al massaggio pneumatico aumenta la qualità estetica dei risultati in quanto la cute riacquisterà una maggiore compattezza ed omogeneità.
PERIODO POST-OPERATORIO
Il chirurgo prescrive antibiotici ed antinfiammatori per accelerare il processo di guarigione e l’uso di calze mediamente compressive da indossare per almeno un mese. Viene consigliato inoltre un ciclo di linfodrenaggio manuale e qualche seduta ancora di massaggio pneumatico per aumentare ulteriormente l’uniformità cutanea e riattivare la circolazione. Vietato prendere sole o sottoporsi alle lampade abbronzanti per almeno i primi 40 giorni.
MANTENERE NEL TEMPO I RISULTATI
Si può dire che i risultati raggiunti da questa terapia sono definitivi, a patto però che la paziente riesca a mantenerli attraverso semplici e salutari norme comportamentali ed un corretto stile di vita.
Il chirurgo detterà in questo senso tutti i consigli e gli accorgimenti necessari per conservarsi in piena forma.

PER IL RILASSAMENTO DI COSCE E GLUTEI LIFTING MICROCHIRURGICO
La ptosi muscolo-cutanea può essere dovuta a diversi fattori come l’età, la sedentarietà, la gravidanza od un repentino dimagrimento.
La zona rilassata, oltre a risultare visibilmente “svuotata”, flaccida e cascante risulta anche con pelle in eccesso.
In questo caso si può intervenire con un intervento di lifting. La nuova tecnica microchirurgica, ideata dal dottor Carlo Alberto Pallaoro, é in grado di procurare un ottimale rassodamento privo di esiti cicatriziali esteticamente rilevanti ed é pertanto preferibile -ove possibile­al lifting tradizionale, che procura invece cicatrici molto estese quanto visibili.
In caso di eccessivo rilassamento della parte, si procede invece con la tecnica di lifting tradizionale, eliminando poi in seguito (dopo almeno 2 mesi dall’intervento) la vistosa cicatrice con la tecnica di mosaic surgery.

Dottor Carlo Alberto PALLAORO -chirurgia plastica
pubblicazione del 2000

LE SMAGLIATURE: COME RENDERLE INVISIBILI

Le strie atrofiche dette “smagliature” sono dovute a un cedimento localizzato del derma, lo strato deputato al sostegno della cute, e a una rottura localizzata delle fibre connettive ed elastiche.

Variano di lunghezza (da 1-2 cm a 15 cm), in larghezza (fino a 1 cm), e nella forma (rettilinee, a curva, a zig zag).

Inizialmente sono di colore rossastro, ma col passare degli anni assumono colore madreperlaceo: questa è la fase terminale in cui la superficie della zona interessata diventa più sottile e depressa al tatto, non sono presenti peli e l’attività melanica è ridotta (per questo le smagliature non si abbronzano anzi in seguito ad esposizione solare diventano più evidenti).

Spesso compaiono verso il 6° e l’8° mese di gravidanza su addome, fianchi, seno e cosce; un altro periodo critico è quello della pubertà.
È comunque possibile che a volte si presentino su donne che non hanno mai modificato il loro peso e la struttura corporea.

Due sembrano i fattori che giocano un ruolo determinante nella loro formazione: un fattore biochimico ormonale (ipercorticoidismo) e uno meccanico di stiramento, questi agirebbero facilitati da una predisposizione genetica.

Il fattore ormonale comporta una riduzione dell’attività dei fibroblasti e quindi una modificazione della sostanza fondamentale del derma, come conseguenza la pelle diventa meno elastica e resistente. Su questo terreno agisce il fattore meccanico che provoca una rottura delle fibre collagene e innesca un processo di riparazione, segue una fase di guarigione in cui si verifica il ripristino del tessuto connettivo danneggiato e la lesione assume l’aspetto definitivo di una cicatrice.

Importante quindi è sicuramente un’azione preventiva soprattutto durante la pubertà e la gravidanza. L’obiettivo è mantenere il tessuto idratato ed elastico, stimolare la funzione dei fibroblasti e intensificare il microcircolo; con l’uso di cosmetici a base di oli emollienti, vitamine lipo e idro solubili quali la A, E, F oltre la biotina e vitamina B abbinate a sostanze idratanti ed elasticizzanti come gli aminoacidi e i biopolimeri naturali, l’acido jaluronico, collagene, elastina.

Il trattamento delle smagliature già formate richiede al contrario un trattamento professionale specifico.

Questo è composto da tre fasi differenti:

La prima fase è un peeling preceduto da una fase preparatoria detta pre-peeling in cui viene utilizzata una soluzione cheratolitica – composta da acido glicolico, acido lattico e acido salicilico -, che apre lo strato corneo e prepara alla penetrazione dell’acido glicolico al 70%. In questo modo diamo uno stimolo importante alla pelle inducendo una vasodilatazione a livello dermico; ciò determina un apporto di nutrienti che migliorano l’elasticità della pelle. Nel periodo post-peeling il paziente dovrà idratare l’area trattata per due/tre giorni, dopo dovrà continuare con un trattamento domiciliare specifico.

La seconda e la terza fase vedono l’utilizzo di rivitalizzanti a base di acido ialuronico, che favorisce la proliferazione e la migrazione dei fibroblasti, vitamine, aminoacidi, minerali, ac. nucleici e coenzimi, che insieme stimolano i differenti metabolismi biologici e permettono una vera ristrutturazione del tessuto cutaneo. Il trattamento deve essere effettuato una volta alla settimana per circa 8 sedute; importante accorgimento è non esporre al sole le parti trattate. La combinazione e l’integrazione di questi differenti trattamenti porterà nel giro di alcuni mesi ad un notevole miglioramento delle smagliature – in termini di dimensione e profondità – e della cute circostante.

 

Aldo Alessi
Medico Estetico