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FINALMENTE ARRIVA IL CALDO, MA OCCHIO AL SUDORE!

Gli odori sono dovuti principalmente a due fattori:

- gli ormoni
- la modificazione delle caratteristiche quali-quantitative delle secrezioni sebacee e del sudore che svolge importanti funzioni fisiologiche quali la protezione della pelle dalla disidratazione, l’ eliminazione di sostanze di scarto e soprattutto la regolazione della temperatura corporea.
Affianco a queste funzioni essenziali, il sudore quando viene decomposto dalla flora batterica della pelle (prevalentemente Gram-positiva) mediante particolari reazioni enzimatiche da origine ad acidi grassi a catena corta. Anche gli ormoni androgeni, presenti nel secreto apocrino sotto forma salificata, vengono sottoposti al medesimo destino originando steroidi liberi. Sia gli acidi grassi che gli steroidi sono molecole altamente volatili ed odorose in grado di conferire al sudore (in base al numero ed al tipo di batteri coinvolti) odori di natura diversa.
In alcuni paesi gli uomini considerano il sudare una cosa naturale, un simbolo del loro “essere uomo”. In alcune parti dell’Asia è diffuso l’uso di ridurre il sudore strofinando sulle ascelle dei cristalli di allume, chiamati tawas, che presentano principi attivi molto simili a quelli degli antitraspiranti moderni e che funzionano esattamente allo stesso modo. In un’altra parte dell’Asia, poi, vi sono persone che utilizzano il succo di lime applicandolo con le mani o con un panno, mentre in Russia il rimedio tradizionale contro la sudorazione è l’aceto di mele.

Il sudore
La sudorazione è dovuta alIa presenza sulla nostra pelle di strutture note come ghiandole sudoripare. Esse si dividono in eccrine ed apocrine e sotto gli stimoli nervosi, ormonali ed ambientali, lavorano in modo incessante.
Le ghiandole eccrine dal punto di vista numerico sovrastano di gran lunga le apocrine. Le prime sono presenti in modo praticamente ubiquitario sulla pelle ad eccezione di piccole aree a livello dei genitali e presso la superficie interna del padiglione auricolare, abbondano, invece, con una concentrazione fin’ anche di 620 per cm2 sulla pianta dei piedi, nel palmo delle mani e sul cuoio capelluto.
Le ghiandole apocrine, invece, sono localizzate a livello ascellare, mammario-areaolare e genitale. Dalla loro localizzazione è evidente che queste sono le ghiandole più coinvolte nella produzione degli odori. Soprattutto negli animali hanno un ruolo attivo nella sviluppo dei richiami sessuali.
Le componenti del sudore
La composizione del sudore varia considerevolmente da persona a persona, da momento a momento, da sede cutanea a sede cutanea. Il sudore si può definire come un filtrato del plasma, ciò è evidente anche dalla sua composizione. I principali componenti del sudore sono gli elettroliti plasmatici quali il sodio, il cloro e il potassio unitamente all’urea e all’acido lattico, è presente, inoltre, anche una piccola quantita di glucosio.
Il pH del sudore varia da 4 a 7.
Normalmente non ci si rende conto di sudare tuttavia durante l’arco della giornata esiste una sudorazione continua denominata perspiratio insensibilis (si calcola essere intorno ai 500 ml quotidiani). Durante l’esercizio fisico la sudorazione aumenta notevolmente e può raggiungere dopo alcune ore quantità considerevoli anche di diversi litri. Da un lato quindi la sudorazione assolve ad importanti funzioni fisiologiche mentre dall’altro il prodotto, cioè il sudore, rappresenta il substrato per la formazione dei cattivi odori.
La secrezione prodotta dalle ghiandole sudoripare non appena emessa non ha praticamente odore che invece si forma solo successivamente a seguito dell’azione della flora battericaresidente sulla cute. In tal modo ciascun individuo assume un caratteristico odore assolutamente personale che si inserisce su un odore più generalmente legato alla specie, addirittura alla etnia di appartenenza e a molte condizioni di variabilità intrinseche ed estrinseche. I batteri presenti sulla superficie cutanea possiedono enzimi in grado di digerire le componenti del sudore eccrino ed apocrino dando luogo alla produzione di particolari composti denominati acidi grassi liberi che sono i veri responsabili del “nostro” odore. La reazione operata da questi enzimi avviene preferibilmente in ambiente caldo umido e in condizioni di pH di tipo alcalino. I batteri che si rendono responsabili di tale modificazioni sono quelli saprofiti (la densità della flora saprofita può raggiungere i 7 milioni/cm2 ) cioè quelli presenti abitualmente sulla superficie cutanea dei soggetti sani, a tal ragione non bisogna pensare che vi sono delle infezioni responsabili della produzione dei cattivi odori.
Per quanto detto più sopra la densità citata è più facilmente raggiunta nelle zone caldo-umide della superficie cutanea come i cavi ascellari, gli spazi interdigitali, le grandi pieghe cutanee. La popolazione saprofita non ha solamente ruolo nella formazione dei cattivi odori ma utili funzioni come quella di impedire lo sviluppo di una flora batterica patogena che potrebbe dar luogo a problemi più seri.

Iperidrosi
La sudorazione a volte può aumentare a tal punto da diventare un grave disagio, questo fenomeno è noto come Iperidrosi. Se ne distinguono due forme:
1) Secondaria dovuta ad alcune patologie come l’ipertiroidismo, l’ obesità, la menopausa, I’uso di antidepressivi e disordini del sistema nervosa centrale.
2) Essenziale (o idiopatica) che non ha cause specifiche, generalmente compare nell’adoescenza e si protrae per tutta la vita.
Il trattamento di prima scelta nella cura dell’iperidrosi consiste nell’utilizzo degli antitraspiranti.
Bromidrosi
Un altro disordine tipico della sudorazione è la bromidrosi, ossia la secrezione maleodorante a prevalente localizzazione ascellare e plantare. Per ovviare a tale problematica è solito l’uso di sostanze coprenti, di antimicrobici e sostanze in grado di inglobare gli acidi grassi derivanti dalla degradazione enzimatica.
Come intervengono i deodorantiCome abbiamo prima visto (produzione del sudore, genesi dei cattivi odori) per ovviare a questi fastidiosi inconvenienti sono stati sviluppati i cosiddetti deodoranti in modo da eliminare il cattivo odore senza alterare i delicati equilibri fisiologici che stanno alla base della sudorazione. Queste formulazioni contengono in genere sostanze cosiddette attive (responsabili dell’ effetto) e sostanze in grado di veicolare tali principi attivi nella sede dove va esplicata l’ azione (eccipienti). Tra le sostanze attive si contano antisudorali, antitraspiranti, battericidi, batteriostatici, assorbenti degli odori, sostanze con azione antienzimatica batterica, profumazioni, alcool etilico.
In genere la funzione degli antitraspiranti è quella di limitare la sudorazione controllando il flusso di sudore ascellare e nascondendo l’odore corporeo. La funzione dei deodoranti, invece, è quella di impedire la formazione di odori sgradevoli utilizzando dei profumi e riducendo i livelli di batteri nella zona ascellare. Tuttavia, nessuna delle due tipologie di prodotti è in grado di bloccare il processo di sudorazione.
Assorbenti
La funzione di queste sostanze, tra cui spiccano i derivati di zinco (zinco ricinoleato), magnesio o di calcio e zinco carbonato, sta nella capacità di chelare, attraverso la formazione di complessi, i derivati maleodoranti frutto della degradazione enzimatica con la formazione dei sali non più volatili e quindi inodori. In tal modo viene impedita la loro liberazione nell’ambiente.
Sono sostanze ben tollerate ma dotate di attivita non completa e poco modulabile. Per questo motivo non sono utilizzate da sole ma vengono inserite nella formulazione con altre sostanze attive.

Antitraspiranti
Sono da tempo sotto accusa per il rischio di essere allergizzanti. Dalle soluzioni di glutaraldeide e formaldeide al 10% si è passati oggi agli idrossicloruri di alluminio e di zirconio. Queste sostanze agiscono sulla componente acquosa della secrezione eccrina. In genere i più comuni antitraspiranti sono sali d’ alluminio o di zinco che a contatto con l’ acqua si trasformano in idrossidi, dopo di che si combinano con i lipidi acquisendo una consistenza gelatinosa. In questa forma provocano un rigonfiamento (edema) delle cellule dei dotti di escrezione sudorale ostruendo il lume stesso del dotto o in alternativa creando un vero e proprio danno di queste stesse cellule che collassano all’interno del lume duttale ostruendolo.

Antimicrobici Battericidi
La funzione di questi composti consiste nell’impedire l’eccessivo sviluppo della flora batterica (residente e non) al fine di evitare la degradazione enzimatica del sudore e lo sviluppo dell’odore. Come fatto negativo questi composti possono essere allergizzanti e inoltre possono causare lo squilibrio della flora batterica residente favorendo la proliferazione di quella patogena. Alcuni di questi vengono assorbiti per via trans-cutanea causando tossicità sistemiche. Caratteristiche ideali di un battericida sono efficacia, compatibilità con gli altri componenti del deodorante, stabilità e sicurezza cutanea. L’uso dei battericidi è regolamentato da precise norme e non tutte le possibili sostanze ad azione battericida sono ammesse all’uso nei deodoranti.
Batteriostatici
Sono preferibili rispetto ai battericidi in quanto dotati di attività meno radicale nei confronti della flora batterica residente, in tal modo si evita di squilibrare eccessivamente la microflora con le inevitabili conseguenze negative.
I batteriostatici quindi limitano, senza inibirlo totalmente, il proliferare della flora batterica inserendosi in tal modo nel processo di formazione dei prodotti responsabili dell’odorosità del sudore per mantenerlo a livelli non percepibili. Per questo motivo vista l’azione meno radicale è necessario accompagnarIi nella formulazione a sostanze ad attività mascherante per completare l’efficacia del deodorante.
L’idea di utilizzare queste sostanze deriva dalla miglior conoscenza dei meccanismi alla base della produzione dell’odore. Questi composti bloccano l’attività degli enzimi utilizzati dai batteri per degradare le componenti del sudore causando la formazione dell’odore. Il capostipite di queste sostanze è il trietilcitrato. Da questo composto, per l’azione degli stessi enzimi che provocano la formazione di sostanze odorose, si libera acido citrico che abbassando il pH cutaneo inibisce a sua volta l’attività enzimatica batterica stessa. Solitamente le sostanze ad azione antienzimatica batterica vengono accoppiate a sostanze antiossidanti con lo scopo di bloccare l’ossigeno ambientale che, reagendo con i componenti del sudore, contribuisce alla formazione del cattivo odore.
Il glucarolattone, invece, inibisce l’azione delle esterasi attive sugli steroidi, altre molecole che insieme agli acidi grassi sono responsabili della forrnazione dell’ odore.
La dermocosmetologia più avanzata sfrutta sempre più queste sostanze che rispettano perfettamente l’ecologia cutanea.
L’alcooI etilico inibisce la decomposizione del sudore ed è dotato di potere batteriostatico. Si è reso tuttavia responsabile di dermatiti irritative nonchè allergiche.
Sono olii essenziali o profumi estratti da erbe aromatiche (limone, arancio, citronella, timo, lavanda, legno di sandalo, eucalipto,etc.) in grado di mascherare gli odori senza però eliminarli. La durata dei deodoranti è generalmente breve, circa 5 ore, ed è per questo motivo che sono generalmente associati ad altri principi attivi agenti ad altri livelli come precedentemente abbiamo visto.
Di seguito riportiamo la descrizione degli ingredienti più comuni presenti negli antitraspiranti e nei deodoranti più utilizzati, indipendentemente dal formato con cui sono disponibili sui mercato (spray, stick, roll-on e cosi via) .

Acqua. 
In alcuni antitraspiranti, l’acqua viene utilizzata come vettore per altri ingredienti, infatti essa conferisce fluidità a prodotti come i roll-on e le creme e contribuisce a una migliore distribuzione del prodotto sulla pelle.

Addensante. 
A volte la sudorazione può dare la sensazione che la pelIe sia unta. La silice (silica) è un minerale che si trova in natura e che viene spesso utilizzato negli antitraspiranti e nei deodoranti per assorbire l’untuosità ed evitare la sensazione di pelle unta in seguito alIa sudorazione .
Alcool. I principi attivi degli antitraspiranti e dei deodoranti vengono spesso diluiti in alcool perchè questo, una volta applicato sulIa cute, evapora velocemente e genera un immediato senso di freschezza. Pertanto, l’alcool è un ingrediente comune in molti deodoranti roll-on, spray e in alcuni gel.
Antiossidante. La maggior parte dei prodotti contiene un antiossidante sicuro che garantisce lo stato ottimale degli altri ingredienti quando vengono a contatto con la pelIe. E’ possibile trovarlo indicato suI retro delIa confezione con iI nome di BHT .

Antitraspirante. 
Gli antitraspiranti contengono in genere dei sali per ridurre iI flusso di sudore sulIa pelle. II tipo di ingrediente specifico dipende dal prodotto. I sali si dissolvono nel sudore lasciando sulle ghiandole sudoripare una sottile pellicola di gel la quale riduce la quantita di sudore sulla pelle per alcune ore dall’applicazione dell’antitraspirante. Generalmente, i prodotti in formato spray e roll-on contengono cloridrato di alluminio (ACH, Aluminium Chlorohydrate), mentre gli stick, i gel e altri prodotti più solidi contengono un sale antitraspirante chiamato tetracloridrato di alluminio, zirconio e glicina (AZAG, Aluminium zirconium tetrachlorohydrex GLY). Questi sali rappresentano iI mezzo più sicuro ed efficace per controllare la sudorazione .
Detergente. Alcuni prodotti antitraspiranti contengono anche un ingrediente chiamato PEG-8 Distearate che facilita la rimozione del prodotto durante iI bagno o la doccia alIa fine di una giornata .
Emulsionante. Nei prodotti spray i principi attivi sono contenuti in un liquido neutro che consente una facile diffusione del prodotto sulIa pelle. Questo liquido (il più noto è il cyclomethicone) è spesso combinato con una sostanza leggermente più densa chiamata disteardimonium hectorite, la quale, oltre a fungere da strutturante per l’antitraspirante, impedisce alIe particelle più pesanti di depositarsi suI fondo .

Idratante. 
Praticamente tutti gli antitraspiranti e i deodoranti contengono anche alcuni olii emollienti per idratare e ammorbidire la pelIe e impedire la perdita di acqua. Nei roll-on e negli stick questi oli contribuiscono inoltre a dare una sensazione di “pelle liscia” dopo l’applicazione del prodotto. In genere gli agenti idratanti utilizzati negli antitraspiranti sono la glicerina (glycerin) oppure altri olii di origine vegetale, come, ad esempio, I’Helianthus Annuus (un olio di girasole) .

Olio nutriente. 
La maggior parte degli antitraspiranti contiene un olio nutriente che impedisce la formazione di depositi di prodotto, limitando quindi i residui visibili sulla pelIe o sugli abiti .
Profumo. NelIa maggior parte dei deodoranti e degli antitraspiranti vengono utilizzati profumi e fragranze che sono in grado di coprire l’odore corporeo e dare una sensazione di freschezza.
Propellente. Gli antitraspiranti e i deodoranti spray sono progettati per svolgere la loro funzione attraverso una sottile pellicola spruzzata sulIa pelIe. Per creare questa pellicola, iI prodotto contiene una miscela di propellenti ad alta, media e bassa pressione che crea un getto spray abbastanza potente da raggiungere la pelIe, ma senza irritarla. NelI’elenco degli ingredienti, questi propelIenti vengono indicati come Butane, Isobutane e Propane .

Strutturante.
Per lo stesso motivo per cui gli spray hanno bisogno di un fluido trasportatore che ne permetta la diffusione suI corpo, altri prodotti dalla consistenza più solida hanno bisogno di un agente che funga da struttura portante e impedisca la separazione degli altri ingredienti. Questa struttura può essere ottenuta da una combinazione di ingredienti, tra cui Hydrogenated Castor Oil, 18-36 Acid Trygliceride, Stearath e Stearyl Alcool.

Errori da evitare
L’uso del deodorante come di qualsiasi altro prodotto formulato per essere applicato sulla cute deve sempre e comunque essere considerato un “elemento estraneo” che si inserisce nel delicato equilibrio cutaneo. Anche il prodotto che meglio si inserisce in questo equilibrio può, se applicato senza criterio, causare al contrario alcuni disequilibri, quindi è chiaro che I’abuso è da evitare.
Un secondo punto che deve essere tenuto in considerazione dai consumatori di deodoranti è che I’applicazione non deve seguire procedure che possono essere potenzialmente o chiaramente irritative come la rasatura dei peli o I’esecuzione della ceretta. Ancora, I’applicazione del deodorante non dovrebbe essere fatta prima della esposizione solare in quanto eventuali fenomeni di fotosensibilizzazione non sono sempre prevedibili. Un riguardo particolare deve essere rivolto alla applicazione dei deodoranti nelI’infanzia. Negli infanti i meccanismi della sudorazione maturano lentamente durante lo sviluppo e pertanto sono ancora più delicati rispetto a quelli degli adulti. La prudenza in questo caso è più che d’obbligo e quindi I’uso dei deodoranti andrebbe sconsigliato. Nei bambini piu grandi il deodorante può essere concesso tenendo però presente che I’assorbimento sistemico è maggiore rispetto a quanto avviene negli adulti. Nei bambini le mamme fanno spesso ricorso al borotalco come deodorante, tale abitudine non è del tutto consigliabile per il fatto che spesso le quantita applicate risultano occlusive, frequentemente i talchi contengono profumi ed infine sono stati segnalati casi di sviluppo di granulomi da uso di borotalco a livello dell’area del pannolino.

Se l’odore non diminuisce
Una prima misura che sovente può risultare utile, nel caso in cui nonostante l’uso quotidiano del deodorante non si riesca ad essere “freschi e profumati”, è quella di rasare i peli ascellari che possono fungere da serbatoio di batteri che con la loro azione enzimatica promuovono la formazione dei cattivi odori. Successivamente può risultare d’aiuto usare biancheria intima di cotone bianco e far uso di deodoranti che sfruttino meccanismi d’azione diversi. E’ meglio in questi casi consigliarsi con lo specialista anche perchè esistono condizioni patologiche che possono presentare nel loro corteo sintomatologico lo sviluppo di cattivi odori. In questi casi insistere nel convincimento di non aver trovato il deodorante efficace potrebbe ritardare la diagnosi e ripercuotersi sul paziente.
L.Buonoconto-F.Corrado-A.Corrado-.Ora
pubblicazione del 2005

VEICOLAZIONE DERMICA NON CRUENTA

Solo per citarne alcune:

1) Una è che lo strato lucido, uno degli strati della pelle, rappresentato da una fila di cellule ormai in fase di dissoluzione ed infatti mancanti di nucleo, risulterebbe impermeabile per un gioco di forze elettrostatiche alle molecole polari
2) Un’altra teoria è che la membrana cellulare, quell’involucro che circonda ogni singola cellula e ne costituisce la parete esterna, con la sua costituzione a mosaico lipidico-proteico, cioè grassi e proteine, sarebbe in grado di far diffondere le molecole con maggior coefficiente di ripartizione lipidica, quindi con predominanza della fase grassa.

Il trasporto di molecole attraverso la cute umana è di grande interesse per il rilascio transdermico, profondo all’intemo dell’ ottima barriera costituita dalla nostra pelle, sia di molecole di vario tipo utili alIa cute, sia per la possibilità di veicolare farmaci con una metodica totalmente non invasiva.
Piccole molecole solubili nei lipidi possono essere assorbite dallo strato corneo, e poi diffuse attraverso il doppio strato di lipidi della membrana delle cellule, ma molecole solubili in acqua, non possono penetrare significativamente attraverso questa barriera.
Sulla base della funzione della pompa K/Na alcuni autori dai primi del 900 ad oggi hanno cercato un meccanismo simile per la penetrazione delle molecole d’acqua.
L’ esistenza di canali che mediano il flusso di molecole di acqua e piccole soluzioni di continuo attraverso i tessuti biologici, così come attraverso la parete dell’apparato urinario o perfino attraverso la membrana delle singole cellule, fu ipotizzata nel 1900. Più tardi nel 1950 fu trovato che l’acqua è rapidamente trasportata attraverso la membrana cellulare dei globuli rossi, mediante canali selettivi per l’acqua che escludono ioni od altri soluti. Studi di trasporto dell’ acqua in vari organismi e tessuti negli ultimi trent’ anni suggeriscono che canali acquosi hanno un alto tasso selettivo di permeabilità per molecole di acqua. L’ipotesi è che un’ impulso elettrico di alto voltaggio crei dei “pori acquosi” attraverso i lipidi di membrana dei comeociti, cellule principali di costituzione della cute.
Una più specifica ipotesi è che corti segmenti di canali si formino attraverso i lipidi in doppia fila della membrana di 5-6 cellule di comeociti contigui verso il basso, in modo da creare un passaggio transcellulare, che possiamo appunto definire “canale acquoso” adatto al passaggio di molecole di acqua.
La storia attraverso la quale si è arrivati a costruire una macchina chiamata MATRIPOR, in grado di creare praticamente questo fenomeno fisico detto ” Elettroporazione”, prende in considerazione lo studio di fenomeni fisici precedenti, realizzati con altre macchine come:
- ionoforesi che crea la ionizzazione di una sostanza per mezzo di una corrente galvanica continua
-iontoforesi come la precedente usando però un’onda evoluta modulata in treni di impulsi.
I limiti di queste tecniche sono :
- scarsa quantità di principio attivo che si riesce a veicolare
- limitata profondità di penetrazione nei tessuti
- alta concentrazione di principio attivo in una zona
L’ elettroporazione è un sistema di veicolazione transdermica, che supera i limiti delle tecniche passate e viene usata in terapia medica per la somministrazione di farmaci.
Si verifica sulla cute. Quando un impulso elettrico colpisce una cellula, si genera un potenziale di transmembrana e conseguentemente lo strato lipidico della membrana cellulare si altera e dà origine alla formazione di “canali acquosi”, chiamati anche elettropori.
Tali canali si mantengono per un periodo di tempo che va generalmente da pochi secondi a qualche decina di minuti. Più semplicemente si può dire che vengono generati dei “macropori idrofili” in seno al doppio strato lipidico della membrana delle cellule, che pare misurino alcuni micron di diametro, tali da consentire il passaggio di molecole di grosse dimensioni e ad alto peso molecolare.
E’ quindi un fenomeno di membrana delle cellule molto importante per il progresso della biologia, della biotecnologia e della medicina, che permette la penetrazione di sostanze attive idrosolubili con alto peso molecolare, come ad esempio, l’acido jaluronico, il collagene, la vitamina C, l’esapeptide, introducendo fino al 90% della sostanza attiva.
In pratica con questa metodica si riescono a veicolare molecole idrosolubili attraverso la barriera epidermica, barriera che ha una bassissima permeabilità a sostanze idrosolubili.
L’ apparecchiatura per I’ elettroporazione MATRIPOR, consta di una camera di ionizzazione nel manipolo, in grado di ionizzare le molecole e renderle così “attive” al trasporto di qualsiasi sostanza idrosolubile .
Attraverso poi l’ apertura degli elettropori sulla cute, le sostanze passano per osmosi da una cellula all’ altra e vengono rilasciate nel comparto trandermico profondo della cute.
Il manipolo a contatto con la pelle incorpora un dispenser contenente gel conduttivo, in cui sono dispersi i principi attivi che si vogliono veicolare profondamente e che nel nostro studio sono stati mirati ad ottenere un effetto di cooperazione con altri trattamenti, in particolare:
- peeling
- filler
- rivitalizzazione con prodotti iniettivi
- laserterapia
- blefaroplastica, lifting e molti altri interventi di chirurgia plastica

Il prodotto utilizzato è a base di: Acido Jaluronico (sotto forma di sodio jaluronato) con azione di stimolare il metabolismo della matrice extracellulare dermica + Esapeptide questa molecola, presente in alta concentrazione, ha azione miorilassante, per intenderci botulino-simile, e grazie all’ applicazione della corrente elettrica elettro-pulsata è possibile esasperarne la sua penetrazione attraverso la cute e garantirne quindi una notevole concentrazione a livello del tessuto sottocutaneo.
Allo scopo di :
- ottimizzare l’ aspetto cutaneo per una maggiore levigatezza, luminosità e distensione dei tratti del volto
- combattere la disidratazione naturale e iatrogena causata da alcuni trattamenti estetici
- ripristinare più velocemente un normale aspetto cutaneo post-trauma (interventi, e altre terapie medico-estetiche filler, peeling , laser).

Studio:
Sono stati trattati 30 pazienti di età compresa tra i 30 e i 60 anni, la durata di ogni trattamento è stata di 20 minuti per un numero di 10 sedute, con frequenza bisettimanale.

Vantaggi:
- aumento della durata nel tempo di tutti gli altri trattamenti precedenti
- incremento e cooperazione notevole dell’ efficacia estetica
- mancanza di effetti collaterali locali e generali
- possibilità di alte concentrazioni di prodotto localmente nella zona trattata
- minore quantità di principio attivo impiegato
- assenza di traumaticità della metodica
- assenza di tossicità

Risultati:
Aumento:
- del tono e dell’ elasticità cutanea
- dell’idratazione
- della luminosità e compattezza

Diminuzione
- dei vari inestetismi che creano disomogeneita del colorito (come macchie, arrosamenti, ispessimenti della cute, pelle secca o grassa )
In tutti i pazienti

Conclusione:
Questa metodica del tutto incruenta, perchè elimina l’uso degli aghi, definita anche “rivitalizzazione senza puntura” o “siringa virtuale”, riconosce una notevole compliance da parte dei pazienti.

Clara RIGO -dermatologa
pubblicazione del 2005

Rivitalizzazione cutanea e botox anche per lui

Quindi mi sembra sacrosanto che anche i signori uomini abbiano il diritto di preoccuparsi dell’aspetto estetico del loro manto cutaneo e si rivolgano al dermatologo, che è la persona più qualificata, per una vera cura ristrutturante della propria epidermide. Attualmente i mezzi di informazione popolari: riviste, radio, televisione, dedicano spazi di rilievo al problema della pelle e creano sempre di più sensibilizzazione, sia nei confronti dei pericoli che corre la pelle, ma anche nell’importanza di mantenere questo organo il più sano e il più giovane possibile fino a tarda età, dato che esso è sicuramente il nostro primo biglietto da visita.

Inoltre con l’accrescersi dell’importanza della “self image” nelle relazioni interpersonali, non solo per quelle persone che fanno della loro bellezza uno strumento di lavoro (attori, modelle ecc), ma anche per le persone comuni, la ricerca ha affinato le sue armi verso la scoperta di nuove sostanze che possono intervenire e diciamo in qualche modo “modulare” i processi di invecchiamento cutaneo.
Sempre un po’ ostili i nostri maschi nel prendere in considerazione le cosiddette “creme di bellezza” , come prevenzione. Molto più predisposti i giovani, specialmente se affetti da qualche patologia in atto o che ha lasciato qualche segno sulla cute.
Per gli interventi chirurgici cambia, invece, la storia ed è molto più probabile che un uomo si sottoponga ad un intervento di chirurgia estetica, rispondente ad un bisogno di benessere quasi immediato e comunque più concreto, che a qualche settimana di cure. In questa senso si può parlare oggi di “effetto Berlusconi”, che ha favorito, per fenomeno emulativo iI ricorso da parte del sesso maschile e di persone anche del ceto medio, a interventi riservati, nella mentalità comune, alle donne o ad un certo ambiente sociale. Ma noi in queste pagine ci rivolgiamo non alla chirurgia estetica ma alla dermatologia, che propone metodi meno invasivi del bisturi, e cioè luce pulsata, filler, peeling, botulino, rivitalizzazione con acido jaluronico e vitamine, queste sedute non alterano la vita quotidiana del paziente, ma si possono considerare completativi di altri interventi.
Un continuo dibattito esiste per definire quale procedura è migliore per il trattamento di rughe, cicatrici, photoaging, macchie e cheratosi solari.
In realtà, a mio avviso, non c’è una risposta di una tecnica giusta o sbagliata rispetto ad un’altra, in quanto i risultati di ciascuna di esse dipendono da un numero elevato di variabili, prima fra tutti I’indicazione precisa a quel trattamento, poi la risposta biologica dell’organismo sottoposto al trattamento e non ultimo I’abilità dell’operatore.
Uno dei componenti principali di una buona biostimolazione è sicuramente I’acido jaluronico, nella nostra pelle è il principale componente dei glucosaminoglicani, che costituiscono la matrice fondamentale del derma, e grazie al suo elevato peso molecolare è in grado di richiamare una grande quantità di acqua. Con I’andar degli anni e in seguito a stress vari: foto-esposizioni, inquinamento atmosferico, abuso di alcolici, fumo, vita frenetica, poco sonno la nostra produzione di acido jaluronico endogeno cala drammaticamente e con esso la capacità della pelle. Per le guance, il mento, i contorni della bocca si può agire reintegrando questa sostanza insieme ad un pool di vitamine antiossidanti. Queste molecole non sono considerate farmaci, ma dispositivi medici che si iniettano a microgocce nel derma superficiale con un piccolo ago molto corto di 4 mm. Il protocollo prevede una seduta alla settimana per un totale di 5-6 sedute, ripetibili almeno due volte I’anno e comunque ogni volta che per la pelle si è verificato un evento stressante, come una forte disidratazione dopo un’intensa esposizione solare.
Non si può definire un vero trattamento estetico, ma complementare nel raggiungere I’obiettivo di ringiovanimento estetico del volto.
Per voler puntualizzare i nostri trattamenti, si può dire che suddividendo idealmente il viso in due parti una superiore ed una inferiore, fino ad ora ci siamo occupati di quest’ultima, ma per I’altra si può parlare di vero e proprio trattamento estetico.
Infatti per la zona della fronte e per le rughe perioculari è molto valido il trattamento al botulino. Anni di fronte corrugata e di sguardi accigliati producono un segno quasi indelebile e via via sempre più accentuato con il passare del tempo conferendo al volto un aspetto torvo, cupo, in particolare negli uomini, dove la cute piu spessa dà luogo alla formazione di pesanti rughe di espressione.
Le cattive notizie che ne hanno dato i mass media in questi anni, le informazioni non corrette, anche dal punto di vista scientifico, che alcuni medici hanno divulgato ha sicuramente, molto a torto, penalizzato questa metodica di grande efficacia e sicurezza. Certamente bisogna rivolgersi al professionista competente, informato, buon conoscitore dell’anatomia umana, in particolare dei muscoli mimici del volto in grado di agire con sicurezza nei punti desiderati.
La mia esperienza clinica di questi anni di lavoro è stata di grande interesse e gratificazione, le aspettative iniziali sono state ampiamente superate e I’indice di soddisfazione dei pazienti è stato altissimo. La tossina botulinica è prodotta da uno specifico batterio anaerobio iI Clostridium botulinum, viene trattata e detossificata per I’uso medico e così solo una piccola parte di essa è utilizzata per dare quell’effetto di distensione del muscolo quando viene iniettata. Attenzione non di paralisi, come certe persone poco informate fanno credere ai loro pazienti, se si verifica ciò significa che c’è stato uno sbaglio tecnico.
Anzi la tossina botulinica ha dimostrato di essere il rimedio di gran lunga più efficace e, malgrado la sua limitazione di durata nel tempo pari a circa 4 mesi, i pazienti si sottopongono con regolare richiesta alle sedute di mantenimento.
Concludendo, con una buona selezione dei soggetti da trattare, scartando quelli con caduta della palpebra e sottoponendoli prima a blefaroplastica, avendo cura di indebolire il tono del muscolo che così mantiene in parte le sue funzioni, mescolandolo alle tecniche precedenti descritte, si ottiene una gradevolezza di espressione ed un piacevole aspetto estetico che anche per I’uomo che voglia dimostrarsi “maschio” non guasta.

PELLE & SOLE: L’IMPORTANZA DELLA FOTOPROTEZIONE

II Sole emette radiazioni elettroma­gnetiche (REM) con diversa lunghezza d’onda, che vanno da quelle molto corte (raggi gamma) a quelle estremamente lunghe (onde radio). A causa dell’assorbimento atmosferico, lo spettro solare al suolo e composto solamente da radiazioni con lunghezza d’onda compresa tra 290 e 3000 nm, cioè gli UV corti (UV-B 280-320 nm), gli UV lunghi (UV-A 320-400 nm), la luce visibile (VIS 400-780 nm) e una parte dell’infrarosso.

(IR 780-3000).
Le radiazioni non-ionizzanti che colpi­scono la cute umana sono composte per il
* 10% da UV (di cui 0,5% UV-B e 9,5% UV-A)
* 40% da VIS
* 50% da IR

L’interazione Luce-cute
La capacità di penetrazione delle REM nella cute umana e direttamente proporzionale alla loro lunghezza d’onda:
* I’UV-B penetra fino allo strato basale dell’epidermide
*I’UV-A giunge al derma papillare
* il VIS si spinge fino all’ipoderma
* l’IR viene bloccato dal grasso sotto­cutaneo che funge da isolante termico

Gli ettetti biologici della luce solare
La luce solare può provocare:
* reazioni dirette
eritema
pigmentazione
immuno-modulazione
foto-invecchiamento
foto-carcinogenesi
* reazioni foto-mediate
da fotosensibilizzante endogeno 0 esogeno
* reazioni di foto-sensibilità dovuta a diminuita resistenza alla luce, da cause genetiche (es. Xeroderma pigmentoso, albinismo etc … ) o acquisite (es. Vitiligine)
La reazione cutanea di più frequente riscontra e rappresentata dall’eritema solare, provocato soprattutto dall’UV-B, ma cui cooperano anche gli UV-A.
Per eritema solare si intende il classico arrossamento, accompagnato da bruciore, che esordisce dopo 12-24 ore dall’esposizione al sole e la cui intensità dipende fondamentalmente dall’irradianza solare, dalla durata dell’esposizione e dal fototipo.
L’esposizione della cute alla luce solare o a radiazioni UV artificiali provoca inoltre un incremento della pigmentazione (la cosidetta “abbronzatura”), la cui intensità è sotto controllo genetico. Responsabili della pigmentazione sono tutte le bande dell’UV, anche se in modo differente: in seguito a esposizione agli UV-A la melanina si dispone negli strati basale e soprabasale dell’epidermide, mentre quella indotta da UV-B si distribuisce in tutta l’epidermide; il VIS e l’infrarosso sono poco o nulla implicati nella normale melanogenesi.
L’osservazione clinica fornisce infine chiare evidenze sui fatto che gli UV agiscono sui sistema immunitario. L’esposizione ad UV può infatti influenzare numerose patologie a patogenesi immunitaria, sia in senso positivo (ad es. psoriasi, dermatite allergica da contatto, dermatite topica … ), che negativo (lupus eritematoso, dermatomiosite … ) .
Causate dalla cronica esposizione al sole sono anche le modificazioni cutanee tipiche del fotoinvecchiamento, o photo-aging; da non confon­dere con I’invecchiamento cutaneo tipico del trascorrere del tempo (chro­no-aging) caratterizzato da cute atrofica (sottile), pallida lassa e solcata da fini rugosità.
Al contrario il fotoinvecchiamento produce un ispessimento cutaneo particolarmente marcato sulla nuca (cute romboidale) e/o su fronte e zigomi, il contorno degli occhi e contrassegnato da rughe spesse e profonde, le aree cutanee presentano macchie scure e macchie chiare, perdita di elasticità; il collagene e le fibre elastiche, infatti in seguito all’azione diretta deIl’UV-B, ma anche a quella dell’UV-A e attraverso la formazione di radicali liberi, vanno incontro ad una progressiva degradazione, con caratteristica comparsa di una cute prematuramente senescente.

Foto-carcinogenesi
Numerose evidenze epidemiologiche e cliniche dimostrano come la radiazione solare sia implicata nella genesi di tumori cutanei sia di natura epiteliale (carcinomi baso- e spino- cellulari) che melanocitaria (melanoma). Nel caso ad esempio, dei carcinomi spinocellulari la loro frequenza è notevolmente più elevata in individui che per ragioni professionali sono stati esposti cronicamente al sole (marinai, contadini, bagnini), mentre per il carcinoma basocellulare ed il melanoma le esposizioni a rischio sembrano essere quelle saltuarie ma particolarmente intense, soprattutto se hanno provocato ustioni in età infantile.
L’esposizione solare nel corso dell’infanzia condiziona anche il numero dei nevi, a sua volta considerato un fattore di rischio per lo sviluppo del melanoma.
Con quale meccanismo le radiazioni solari possono causare la comparsa di un tumore cutaneo?
L’UV corto (UV-B 290-320 nm) viene assorbito direttamente dal DNA, generando dimeri pirimidinici e altri fotoindotti, mentre l’UV lungo ( UV-A 320-400nm) agisce sugli acidi nucleici soprattutto per via indiretta, attraverso la produzione di specie reattive dell’ ossigeno.
A seguito delle alterazioni del DNA, le cellule mettono in opera meccanismi riparativi che iniziano con l’arresto del ciclo cellulare; dopo l’arresto dell’attività replicativa, i sistemi riparativi eliminano le parti danneggiate, consentendo ala cellula di ritornare alle sue normali funzioni.
Se la cellula non riesce ad essere riparata, intervengono ulteriori meccanismi di difesa, rappresentati dall’apoptosi, o morte cellulare programmata: la cellula danneggiata, ma non riparata, verrà eliminata senza avere la possibilità di trasmettere l’anomalia alle cellule figlie.
In alcuni casi però la mutazione porta a inattivazione anche dei geni oncosoppressori e ad alterazione a carico dei geni che regolano l’apoptosi, con conseguente espansione clonale e comparsa di neoplasia.

La fotoprotezione naturale
Nel corso dell’evoluzione gli esseri viventi hanno messo a punta meccanismi naturali di fotoprotezione, rappresentati da
* capacita di inspessimento dell’epidermide dopo ripetute fotoesposizioni
* produzione di melanine fotoprotettive (eu-melanine)
* efficienza di sistemi enzimatici
* antiossidanti (superossidodismutasi, catalasi, glutatione perossidasi) in grado di contrastare l’azione del radicali liberi dell’ossigeno
* efficienza di sistemi enzimatici capaci di riparare il danno degli acidi nucleici (endonucleasi, elicasi, DNA polimerasi … )
* assunzione con la dieta di sostanze antiradicaliche (vitamine C ed E, ubichinone, licopene, carotene)
La pigmentazione costituzionale e la capacita di pigmentazione fotoindotta sono gli elementi essenziali per definire la sensibilità della pelle nei confronti degli UV.
II concetto di fototipo fu formulato da T. Fitzpatrick e si basa sui rilievo dell’anamnesi solare, cioè del comportamento della pelle in occasione dell’esposizione al sole.

(vedi Tabella le 2)

Tabella 1
Fototipo Sensibilità
Reazione all’Esposizione solare
Scottature Abbronzatura
I Elevata Sempre, con facilità Mai
II Elevata Sempre, con facilità Poco
III Media Sempre, moderatamente Gradulmente
IV Scarsa Minima Sempre, con rapidità
V Minima Raramente Sempre, con rapidità
VI Nulla mai Sempre iperpigmentato
Tabella 2

fototipo capelli pelle occhi
I Celtico Biondo-rossi Chiara con efi Blu-verdi
I I Germanico Biondi Chiara +/- efilidi Blu-verdi
III Misto Castani Chiara bruni
IV Mediterraneo Scuri-neri Scura Scuri
V Sud americano Neri Olivastra Scuri
VI Razza nera Neri Nera Scuri

Anche se i fototipi non permettono di individuare con certezza assoluta il grado di rischio del paziente, rappresentano uno strumento di pratica utilizzazione clinica.
L’unico dato che consente pero di stabilire il grado di sensibilità individuale alla radiazione UV e la determinazione della dose minima eritemigena (MED), cioè la dose minima di UV in grado di evocare una risposta eritemigena ben percettibile e a bordi netti.
Questo test, di facile esecuzione, viene effettuato utilizzando un simulatore solare o una lampada UV a banda larga (290-320nm) e irradiando con dosi progressive sei aree cutanee non abbronzate. La lettura si effettua dopo 24 ore e permette di identificare la personale sensibilità all’esposizione solare.
La fotoprotezione topica
Filtri chimici
A questa categoria appartengono un gruppo di molecole organiche in grado di assorbire un intervallo variabile di radiazioni UV nocive, senza impedire l’accesso alla cute di altre radiazioni.
In base alla loro struttura si differenziano in derivati dell’acido para­amino-benzoico (PABA), cinnamati, derivati della benzilidencanfora, salicilati, benzofenoni etc.

Filtri fisici
Ossido di zinco, di magnesio, di ferro, di titanio … so no composti che oppongono un vero e proprio schermo fisico alle radiazioni UV attraverso la riflessione e la diffusione delle radiazioni. Un tempo poco apprezzati perchè conferivano alla pelle una colorazione biancastra, piuttosto antiestetica, attualmente vi sono in commercio forme micronizzate con ottimi risultati anche in termini di gradevolezza cosmetica.
Per la scelta di un filtro solare il criterio di maggior importanza è sicuramente il fattore di protezione o SPF (Sun Protector Factor).
L’SPF viene definito come il rapporto tra la minima quantità di energia di UV-B necessaria a produrre una reazione eritematosa nettamente percepibile (MED= minima dose eritematosa) su cute protetta da un filtro solare e la quantità di energia UV-B necessaria a determinare lo stesso grado di eritema su cute non protetta.
II COLIPA (Comite de Liaison des Industriels de la Parfumerie) distingue invece i prodotti solari, non più in base ad un dato numerico, ma in base all’indicazione del grado di foto­protezione. (Tabella 3)

Tabella 3

 

Classificazione COLIPA SPF corrispondente
Bassa 6-10
Media 15-20-30
Alta 30-50
Molto alta 50+

Autore: Dr.ssa Cristina FIORUCCI
Specialista in Dermatologia e Venereologia
Genova
Pubblicato giugno 2010

DERMATITE ALLERGICA DA CONTATTO

La presenza di lesioni anche in altre sedi è frequente a seguito dell’assorbimento per via ematica dell’aptene o perchè la sostanza in causa può essere ingerita e/o inalata o trasferita dal paziente con le mani ad altre parti del corpo. Si possono avere forme di origine professionale e non, anche se non sempre è possibile tracciare un limite netto dato che lo stesso aptene può essere presente in prodotti e materiali diversi e quindi in ambiente lavorativo ed extra lavorativo. Tra i diversi settori occupazionali hanno particolare importanza l’edilizia, soprattutto a causa del contatto con sali di cromo e di cobalto contenuti nei cementi, l’industria metalmeccanica (olii emulsionabili e metalli), l’industria tessile(coloranti, apprettanti). Anche il personale sanitariogli addetti alle pulizie, i parrucchieri, le estetiste, i conciatori sono categorie frequentemente, colpite dalla dermatite da contatto. Anche la vita di tutti i giorni, nei suoi più diversi aspetti e con le sue evenienze abituali ed occasionali, espone al rischio potenziale di una dermatite da contatto.L’abbigliamento e gli accessori (soprattutto quelli metallici), i prodotti igienico-cosmetici ed i medicamenti per uso topico risultano tra i principali responsabili. Non è da sottovalutare inoltre come possibile fonte di sensibilizzazione, l’attività ricreativa del paziente ed il contatto con i vegetali

Le principali sostanze sensibilizzanti dei tessuti sono soprattutto i coloranti dispersi (azoici ed antrachinonici) di abiti e calze, le resine formaldeidiche utilizzate come apprettanti antipiega ed il cromo usato come mordenzante. Negli oggetti di pelle e nelle pellicce gli apteni principali si trovano tra i concianti (sali di cromo) e i coloranti.
L’azione sensibilizzante delle parti metalliche di indumenti e degli accessori metallicidell’abbigliamento è dovuta principalmente ai sali di nichel, cromo e cobalto, mentre per iguanti di gomma deve essere riferita ad alcune sostanze acceleranti il processo di vulcanizzazione e antiossidanti che, per azione del sudore, possono liberarsi dalla gomma stessa.
Anche la dermatite da contatto da cosmetici è notevolmente aumentata negli ultimi anni anche se, rapportata all’elevatissimo numero di preparati, non ha raggiunto livelli allarmanti.
Nella dermatite da contatto da medicazione, che rappresenta la reazione più frequente nel campo di quelle cutanee da farmaci, gli eccipienti dei preparati per uso topico, i conservanti, gli stabilizzanti, i profumanti, sono conosciuti ed hanno un’ importanza superiore a quella dei principi attivi. Il danno causato da farmaci topici talora non si esaurisce con l’eliminazione del contatto, in quanto, per reazioni crociate, possono comparire nuove manifestazioni eczematose dovute all’impiego locale di farmaci chimicamente affini, nonchè reazioni generalizzate in seguito alla loro utilizzazione per via parenterale o enterale.
In questi ultimi anni l’attenzione dei dermatoallergologi, si è rivolta verso il settore deivegetali (piante e legni) come causa di dermatiti. Le sostanze chimiche dotate di attività sensibilizzante non sono note per tutte le piante, ma appartengono a tre gruppi: fenoli, terpeni e derivati dello stilbene. Agiscono attraverso il contatto diretto o veicolati attraverso l’aria come polline o polvere di segatura. Anche certi vegetali come aglio, cipolla, sedano possono causare, soprattutto in casalinghe e cuochi dermatiti prevalentemente localizzate ai polpastrelli delle dita delle mani.

PRINCIPALI CATEGORIE LAVORATIVE A RISCHIO DI DERMATITI DA CONTATTO E RELATIVI MATERIALI IN CAUSA

 

Operai edili cemento, collanti e vernici, legnami, guanti e stivali di cuoio e gomma.
Metalmeccanici e
verniciatori
metalli, additivi di oli emulsionabili e di grassi lubrificanti
collanti e vernici,
guanti di gomma.
Operai dell’industria tessile coloranti, mordenzanti, apprettanti.
Personale sanitario farmaci, disinfettanti,
guanti di gomma.
Addetti alle pulizie detersivi, disinfettanti,
guanti di gomma.
Parrucchieri, estetiste tinture, liquidi per permanenti, shampoos, creme,
olii da massaggio, guanti di gomma.
Operai dell’industria, della pelle e
del cuoio
concianti e collanti

 

Dr. E.R. Rossi
Allergologo
pubblicazione del 1989

UNA PATOLOGIA PIUTTOSTO FREQUENTE: L’ALOPECIA AERATA

FREQUENZA 

Difficile stabilirla con precisione. Di certo trattasi di affezione estremamente diffusa.
Costituisce il 2.5 % delle dermatosi che si osservano nel nostro Istituto con circa 600 nuovi casi/anno. Ù
Compare più spesso in soggetti con meno di 20 anni. Colpisce indifferentemente sia maschi che femmine con
prevalenza a volte degli uni a volte degli altri.

EZIOLOGIA
Dal punta di vista eziologico, le più antiche ricerche volte alla dimostrazione di un agente microbico causale sono tornate in auge. Se e pur vero i che foci, spesso dentari, sono frequentemente dimostrabili nei soggetti portatori di area Celsi, autorevoli fonti negano che la loro bonifica comporti necessariamente regressione dell’alopecia.
Sull’onda delle interessanti prospettive aperte dalla medicina psicosomatica, è stata ripresa in considerazione la teoria psicogena, secondo la quale fattori psichici di varia natura possono agire sia direttamente che provocando interferenze con il sistema immunitario. A sostegno di tale ipotesi interpretativa alcune Scuole, tra cui la nostra, hanno fornito alcuni suggestivi argomenti, quali il rilievo della comparsa della malattia in stretta correlazione con l’insorgenza di condizioni di conflittualità o il verificarsi di eventi fonte di stress più o meno acuto.

ASPETTI CLINICI
I diversi quadri clinici non sono differenziabili in una base di tipo strettamente morfologico, in quanto sempre e comunque caratterizzati dalla comparsa di aree più o meno estese di alopecia di tipo cicatriziale.
Si distinguono comunemente le seguenti forme:
* in chiazze: caratterizzate dalla presenza di aree glabre, di numero ed estensione variabili, eventualmente.
Più frequentemente sono interessante le zone del capillizio e/o della barba, a livello delle quali si apprezzano più o meno ampie zone residuali di mantello pilare con caratteri apparentemente normali;
* ofiasica: interessa le regioni tempo­ro-occipitali che vengono elettivamente coinvolte a partire dalla attaccatura dei capelli;
* totale ed universale: consistenti nella perdita di tutti i capelli e dell’ intero manto pilare.
Molta infrequente e la regressione spontanea.

Menzione a parte merita la cosiddetta alopecia areata incognita, che si manifesta can pattern di diradamento annessiale non in chiazze ma diffuso, a tipo “telogen effluvium”.
A parte questa ultima variante clinica, l’obiettività dell’Area Celsi è affatto monomorfa e stereotipata.
Indipendentemente dal pattern morfologico esibito dalla malattia, la cute interessata dal processo patologico appare liscia, aflegmasica, di un biancore latteo o eburneo. Essa si presenta del tutto a quasi completamente denudata, potendosi a volte osservare nel suo contesto rari peli troncati a breve distanza dall’emergenza.
In quanta completamente asintomatica, la malattia viene osservata del tutto casualmente dal paziente nel pettinarsi a lavarsi i capelli, oppur da un congiunto a dal parrucchiere. La cute può comunque risultare ipersensibile a stimolazioni meccaniche anche di modesta entità.
A volte il paziente riferisce prurito, formicolio. La progressione del processo patologico e di tipo centrifugo e può essere più o meno rapida (da giorni a mesi). II decorso della malattia è molto spesso capriccioso, con imprevedibile ed ostinata alternanza di fasi di ricrescita, anche totale, e di riattivazione del processo patologico.
A volte sona associate alterazioni ungueali che hanno carattere focale o diffuso e possono anche precedere l’esordio all’alopecia.
Un’associazione spesso documentata e la sindrome di Down.

ISTOPATOLOGIA
Si registra la presenza di un infiltrato rotondocellulare, di varia compattezza, localizzato in sede peri-vascolare e peri­bulbare. I bulbi piliferi subiscono una serie di alterazioni, che vanno dall’instaurarsi di fenomeni degenerativi più o meno rilevanti alla completa distruzione.

APPROCCIO TERAPEUTICO
Can varia fortuna ed eco bibliografico sana state proposte le seguenti opzioni terapeutiche:
Crioterapia mediante massaggio can neve carbonica,applicazione di sostanze rubefacenti, quali catrame a capsaicina, steroidi topici, intralesionali e sistemici, diaminofenilsulfone, ormoni timici quali timopentina, soluzione di minoxidil al 2% o 5%, calcipotriola, immunoterapia per contatto can svariati agenti sensibilizzanti, quali DNCB a SADBE.
E’ superfluo ribadire che a tutt’oggi non si dispone di una “ricetta miracolosa” in grado di garantire una sufficiente approssimazione prognostica in ogni singolo caso.
E’ ben nota, tra l’altro, il carattere “migratorio” della “gens celsiana”, spesso ostinatamente alla ricerca di ancora improponibili soluzioni radicali al proprio problema.

Autore:
Dr. Antonio BANDIERA
Specialista in Dermatologia e Venereologia
Via XX Settembre 3 TARANTO
Cell. 347.3891461
Pubblicazione maggio 2010

STRATEGIA VINCENTE PER LE ANTIPATICHE MACCHIE SCURE

Le macchie sono una modificazione del colorito normale della pelle, legate ad un’alterata distribuzione del pigmento melanico. Possono essere “ipercromiche”, in questo caso si distinguono per un aumento della colorazione, oppure “acromiche” e allora c’e un difetto o un’alterazione della colorazione, sono cioè biancastre. Ancora le macchie possono essere circoscritte a determinate regioni del corpo, come al volto, o diffuse a una larga regione. Si differenziano poi in primitive, quando sono presenti da sempre o secondarie, cioè come esito di altre malattie della pelle o dermatosi. 

Possono regredire spontaneamente in un tempo più o meno lungo, ma in genere sono permanenti e persistono indefinitamente. Le macchie “ipercromiche o iperpigmentazioni” sono dovute ad un’ alterata colorazione della cute causata da un’anormale distribuzione quantitativa e qualitativa del pigmento, cioè ad un eccesso di melanina, e sono le macchie vere, possono avere forma variabile e colorito che va dal bruno, al bruno- giallastro, al bruno- nerastro. Esistono delle pseudomacchie o ipercromie non riferibili a variazioni del pigmento, ma a sostanze coloranti estranee penetrate direttamente nella cute dall’esterno, come nel caso dei tatuaggi o arrivate ad essa attraverso il sangue, cioè dall’interno come ad esempio i pigmenti derivati dall’ emoglobina o i carotenoidi: queste ultime non sono macchie vere.
Le iperpigmentazioni vere sono quelle che ci interessano in modo particolare. Esse sono dovute a molteplici fattori:
GENETICHE: come ad esempio le efelidi i o le macchie melaniche
DA CAUSE ESTERNE: come quelle legate alla eccessiva fotoesposizione, il cosiddetto “fotoinvecchiamento” dove fondamentale e la durata negli anni dell’esposizione solare.
I danni cutanei indotti dall’esposizione cronica alla radiazione ultravioletta consistono in assottigliamento dell’epidermide, alterazioni della pigmentazione che si presenta irregolare con formazione di macchie e lentiggini solari o senili, comparsa di rughe, secchezza e fragilità di superficie, fino alla formazione di papule giallastre e di placche.
Più in profondità il danno solare cronico può portare alla formazione delle cosiddette “cheratosi”: sono lesioni che si presentano frequentemente, in genere sono multiple e insorgono dopo i 45 anni, localizzate alle zone fotoesposte come il volto, il collo, i/l petto, il dorso, ma un po’ dovunque.
Progressivamente queste piccole formazioni diventano rilevate, più grandi, più scure e si ricoprono di squame- croste ruvide; la caratteristica è che nonostante siano superficiali, in realtà sono le pia frequenti lesioni precancerose e per questa vanno verificate e asportate con mezzi fisici, come i laser o con tecniche chirurgiche.
POST-INFIAMMATORIE: rientrano in questa gruppo tutti gli esiti conseguenti a patologie dermatologiche come la ben nota acne, i traumi, le ustioni e molte altre dermatosi.
Di origine ORMONALE: è il cosiddetto melasma cioè le macchie di colorito bruno, di forma irregolare, localizzate per lo più al volto: fronte, labbro superiore, guance, porzioni laterali del viso, che si formano in corso di terapie estro­progestiniche o in seguito all’assunzione o all’uso di sostanze foto sensibilizzanti.
Ed ancora con il nome di cloasma si descrivono e macchie che compaiono durante la gravidanza. In genere alle prime fotoesposizioni, già in primavera, si evidenziano o si scuriscono, se già presenti, creando notevole disagi. Ancora possono essere di ORIGINE METABOLICA e NEOPLASTICA.
A questa punta che cosa fare per debellare questa antipatico problema?
La strategia esiste cominciando dall’uso di foto-protezioni molto alte adatte al tipo di pelle, che vanno applicate sempre in ogni stagione, ma di più quando la luce si fa intensa e soprattutto in qualsiasi luogo all’aperto, quindi anche in città ogni volta che si esce. Tenendo presente che la melanina mantiene la memoria e una volta foto stimolata in modo da creare la macchia, questa stessa tende a ricomparire nella medesima posizione ed eventualmente ad allargarsi e anche a peggiorare.
Inoltre bisogna valutare gli eventuali prodotti per l’igiene cutanea, detergenti, creme o prodotti da trucco utilizzati perchè possono contenere dei componenti che con il concorso della luce stimolano
la melanina in modo scorretto . Abbiamo detto precedentemente che le ipercromie o macchie melaniche una volta comparse tendono a permanere, quindi occorrono opportuni trattamenti dermocosmetici.
Per la melanina superficiale in genere pratico un peeling combinato con più sostanze presenti che agiscono a vari livelli nel processo di melanogenesi provocando dei blocchi nei vari passaggi di maturazione, impedendo così l’accumulo del pigmento nelle aree macchiate.
A distanza poi di circa quindi giorni si interviene sui pigmento depositato più in profondità a livello del derma con un particolare tipo di laser.
II sistema laser Fraxel e una nuova tecnologia molto avanzata, nata negli USA, che, sapendola gestire in modo corretto, serve ad ottenere in modo efficace, sicuro e prevedibile l’eliminazione delle macchie cutanee con una convalescenza minima e vedremo pia avanti non solo questo. E’ particolarmente indicato il trattamento di zone come il viso, il colo , il decolletè e le mani, ma si può usare in qualsiasi zona del corpo, come dorso, le spalle, il seno, le natiche, gli arti e qualsiasi altra zona presenti questo inestetismo .
Questa apparecchiatura e un laser a fibrere ottiche, la cui prerogativa è quella unire i vantaggi di due tipi di laser fino ad oggi utilizzati per questi in estetismi, quelli ablativi (con asportazione dello strato superficiale della cute) e queelli non ablativi (che non asportano questa parte esterna).
Come un laser non ablativo non vaporizza gli strati superficiali della cute e non crea abrasioni o croste, ma riesce ad arrivare in profondità.
Infatti attraverso il manipolo si producono migliaia di minuscoli buchini; oltrepassando lo strato corneo più superficiale che rimane indenne, la luce laser arriva precisamente nel derma dove zone colpite dalla luce laser, zono microtermiche, si trovano accanto a zone completamente indenni di tessuto che non viene danneggiato e rimane sano. Questo particolare tipo di laser è l’ultima innovazione nella tecnologia laser in medicina estetica per la ristrutturazione della pelle.
La tecnica provoca un effettivo, prevedibile e sicuro, non cruento trattamento per pazienti con melasma o alterazione del colore da causa ormonale, macchie da sole e da invecchiamento.
Esso produce anche un sostanziale miglioramento del tono, della texture e della pigmentazione della cute con un limitato tempo di recupero .
Anche per lentiggini e aumentata pig­mentazione di vecchie cicatrici sia traumatiche, che chirurgiche, è un effettivo strumento di ristrutturazione per la cute.
Si usa per il fotodanneggiamento del viso, collo, decolletè, mani e braccia, si notano miglioramenti del colore, della texture, delle rughe sottili e la cute appare più tesa e tonica e con un colore chiaro ed omogeneo.
II Fraxel ha il potenziale di creare un danno al derma profondo senza i tempi di guarigione delle tecniche ablative.
E’ adatto a tutti i tipi di cute con fototipo da I a VI; poichè non è associato a significative complicazioni possono essere trattate anche le pelli scure, cioè i soggetti di colore, e anche per melasma resistente ad altri trattamenti. La penetrazione più profonda causa una migliore catabolizzazione del derma usurata e una digestione del pigmento, per una rigenerazione naturale di nuovo collagene che crea un ottimo rimodellamento del derma.
La tecnologia scannerizzata del Fraxel crea un’uniformità di applicazione dell’ energia a differenza di altri sistemi che usano una modalità a stampo, e il risultato finale è un trattamento più uniforme.
Si può considerare una tecnica aggiuntiva per i pazienti che si sottopongono a interventi chirurgici che possono così aumentare il tono, migliorare la texture e schiarire la pelle in modo da completare il risultato delle procedure chirurgiche a cui si sono sottoposti.
Sebbene l’esatto meccanismo del photodanneggiamento sia complesso e per ora si siano individuati bene i segni clinici e gli aspetti biochimici associati al processo, il concetto di rimodellamento non ablativo del collagene fu sviluppato in seguito ai rischi anche di formazione di macchie e al significativo tempo di recupero associato all’ uso dei tratta­menti ablativi.
In conclusione, oltre a seguire gli opportuni accorgimenti per la fotoprotezione, l’associazione del peeling con l’impiego del laser Fraxel rappresenta una strategia vincente in grado di debellare una problematica difficile, quella delle antiestetiche macchie solari.

Autore:Dr.ssa Clara RIGO
Specialista in Dermatologia e Dermatologia estetica
VERONA Tel. 045 8300334
MILANO Tel. 02 2046160 3201106247
www.chirurgiadermatologiaestetica.it
info@chirurgiadermatologiaestetica.it
Pubblicazione aprile 2010

TATUAGGI COME RIMUOVERLI

Nel Medioevo i pellegrini usavano tatuarsi con simboli religiosi dei santuari visitati. La religione ebraica vieta tutti i tatuaggi permanenti, ovvero ogni incisione accompagnata da una marca indelebile di inchiostro o di altro materiale che lasci una traccia permanente. I tatuaggi permanenti sono vietati anche dalla religione musulmana mentre sono concessi i tatuaggi temporanei fatti per mezzo dell’ henna, pigmento organico di color rosso-amaranto, ricavato dalla pianta della “Lawsonia inermis”, “Henna” in arabo. I tatuaggi d’henna sono estremamente decorativi, quasi sempre con motivi floreali stilizzati; quelli molto elaborati finiscono per sembrare delle opere d’arte che hanno la durata media di qualche settimana. Altri popoli che svilupparono la tecnica del tatuaggio sono quelli dell’Oceania, famosi i Maori. Alla fine del XIX secolo l’uso di tatuarsi si diffuse anche fra le classi aristocratiche europee, tatuati celebri furono, ad esempio, lo Zar Nicola II e Sir Winston Churchill. E da segnalare che il criminologo Cesare Lombroso ritenne, in un’epoca di positivismo, essere il tatuaggio segno di personalità delinquente. La diffusione del tatuaggio in tutti gli strati sociali e fra le persone più diverse negli ultimi trent’anni relega tali considerazioni criminologiche a mera curiosità storica. 

I tatuaggi possono essere di vario tipo ma la forma più conosciuta, èquella che si effettua con un ago che introduce dell’inchiostro nella pelle. II risultato è un disegno che a seconda della miscela può essere permanente o temporaneo.
II tatuaggio occidentale viene invece eseguito tramite un disposivo elettrico, cui sono fissati degli aghi in numero vario a seconda dell’effetto desiderato; il movimento della macchina permette l’entrata degli aghi nella pelle, i quali depositano il pigmento nel derma. Tra e sostanze più usate ci sono il cinabro (per ottenere il rosso), il cromossido (per il verde) e il cobalto (per il blu) o polveri fini di minerali, oro o argento.
Più o meno grandi, con o senza scritta, i tatuaggi tradizionali durano per sempre, ma con il passare degli anni si schiariscono se non sono eseguiti da un professionista; non provocano in genere effetti collaterali, raramente però si possono verificare delle allergie alle sostanze coloranti usate.
In ogni caso è sempre preferibile ricorrere ad esperti che operino in ambienti idonei adatti, in condizioni igieniche ottimali ed utilizzino strumentazione monouso, dal momento che in caso contrario esiste il rischio di contrarre infezioni anche assai gravi.
Per quanta riguarda il trattamento successivo all’esecuzione di un tatuaggio la prassi consiste normalmente nell’applicazione di un bendaggio da rimuoversi dopo 1-3 ore per sciacquare (possibilmente con sapone neutro) eliminando il colore in eccesso. Da quel momento si consiglia di far prendere aria al tatuaggio e di coprirlo più volte al giorno con un sottilissimo velo di pomata lenitiva e protettiva. II tatuaggio deve essere lavato quotidianamente e guarisce completamente in 20-30 giorni.
Un tatuatore ha il compito di iscrivere sulla pelle in modo indelebile un disegno. Per la responsabilità conferitagli, egli deve essere persona coscienziosa e con profonda cono­scenza del mestiere. Un tatuatore serio, informa dettagliatamente il cliente sui rischi e gli oneri che comportano le sedute che servono a realizzare un lavoro.

COME RIMUOVERE UN TATUAGGIO
La crescente tendenza a sottoporsi a tatuaggi decorativi tra gli adolescenti e i giovani adulti ha determinato un
aumento dei pazienti che richiedono la rimozione di un tatuaggio. L’avvento del laser Q-switched ha rivoluzionato il trattamento per rimuovere i tatuaggi, dopo le delusioni legate all’utilizzo di altre tecniche, quali dermoabrasione, salabrasione, laser Argon o CO 2 che lasciavano esiti cicatriziali permanenti al posta del tatuaggio.
Quando si trattano i tatuaggi e importante determinare il tipo di tatuaggio, attraverso la valutazione del colore. Poichè i tatuaggi sono realizzati con vari colori di inchiostro e varie composizioni della tintura, la reazione ai trattamenti laser non è uniforme.
Una classificazione semplificata dei tatuaggi può essere questa:
* tatuaggi professionali (realizzati da un artista con una pistola per tatuaggi),
* tatuaggi artigianali (realizzati da un non professionista, utilizzando inchiostro India o carbonio),
* tatuaggi traumatici (dovuti alla penetrazione nella pelle di particelle estranee),
* tatuaggi cosmetici (cosiddetto “trucco permanente”),
* tatuaggi medici (utilizzati come guida per i trattamenti a radiazione o l’applicazione di apparecchi medici interni).

La maggior parte dei tatuaggi che si incontrano al giorno d’oggi è eseguita da professionisti.
I tatuaggi professionali sono più difficili da rimuovere di quelli; amatoriali perchè sono disegnati con inchiostri di più colori posti a varie profondità nel derma e spesso sono impossibili da rimuovere completamente con l attuali tecnologie.
Pertanto, definire aspettative realistiche per ciascun paziente è fondamentale per raggiungere un risultato soddisfacente. Deve essere ribadito con chiarezza che di norma sono necessari trattamenti multipli, variabili tra 5 e 20. Inoltre, anche dopo numerosi trattamenti, è probabile che alcuni pigmenti persistano.
Prima di sottoporre il paziente alla rimozione del tatuaggio, è fondamentale un’accurata anamnesi e la valutazione dei criteri d’esclusione comuni a tutti i trattamenti laser.
Si deve procedere con estrema cautela nei pazienti di carnagione scura (fototipi IV-VI secondo Fitzpatrick) o abbronzata perchè possono presentarsi come effetti collaterali al trattamento con il laser sia ipopigmentazione temporanea sia ipopigmentazione iperpigmentazioni permanenti dovute all’assorbimento competitivo della luce da parte della melanina che si trova nell’epidermide.
II paziente ideale per la rimozione di un tatuaggio è un soggetto dalla carnagione chiara non abbronzata (foto­tipo I 0 II) e con un tatuaggio blu scuro o nero che è state fatto da almeno un anno. Più vecchio è il
tatuaggio, migliore sarà la risposta al trattamento con il laser poichè i macrofagi ovvero le cellule “spazzine” sono già presenti nella cute e stanno attivamente tentando di fagocitare i pigmenti estranei per rimuoverli. Questo tentativo naturale dell’organismo di rimuovere i pigmenti estranei dell’inchiostro del tatuaggio è la ragione per cui i tatuaggi più vecchi sono spesso illeggibili e hanno margini sfocati o indistinti. Quando un tatuaggio viene trattato con luce proveniente da un laser Q­switched, le particelle del tatuaggio si scompongono in frammenti più piccoli, facilitando la rimozione da parte dei macrofagi e rendendo possibile in alcuni casi la rimozione completa del tatuaggio.Al contrario, tatuaggi recenti a più colori fatti su individui di carnagione scura possono essere molto difficili da rimuovere completamente e il trattamento dovrebbe essere tentato solo da chirurghi esperti per ridurre il rischio di cicatrici o di alterazioni della pigmentazione.
Come detto in precedenza, di solito sono necessari 5-20 trattamenti per rimuovere completamente o quasi un tatuaggio e anche dopo numerosi trattamenti alcuni tatuaggi possono non essere rimossi completamente con le attuali tecnologie.
La risposta del tatuaggio alla luce laser è influenzata dal colore, dalla profondità e dalla composizione chimica dell’inchiostro utilizzato.
I tatuaggi blu scuro o neri rispondono meglio alla laser terapia mentre i pigmenti giallo, rosso e verde possono rispondere poco o solo in maniera incompleta al trattamento. II trattamento dei tatuaggi bianchi e cosmetici dovrebbe essere evitato da medici che non abbiano acquisito una buona esperienza poichè questi possono mutare permanentemente in un colore più scuro o grigio immediatamente dopo la terapia con il laser Q switched e risultare poi impossibili da rimuovere.
Quando un tatuaggio viene completamente rimosso dal laser, di solito lo è in maniera permanente.
Bersaglio della luce laser e il pigmento, con un minima coinvolgimento dei tessuti circostanti. Questo fa si che la maggior parte dei pazienti avverta solo un modesto disagio durante il trattamento. Nei pazienti più sensibili è prevista l’applicazione di una crema anestetica.
Vi e un’ampia variabilità di costi per la rimozione di un tatuaggio mediante laser legata alla dimensione del tatuaggio e al numero di trattamenti necessari per ottenere un’eliminazione il più completa possibile. Alcuni tatuaggi di grandi dimensioni, policromatici e resistenti possono richiedere molti trattamenti costosi per ottenere uno schiarimento sufficiente a soddisfare il paziente.
Una profilassi orale antivirale dovrebbe essere sempre presa in considerazione nei pazienti con una storia di herpes simplex (HSV) nel sito del trattamento o vicino ad esso. Se e presente un’infezione da HSV attiva nel giorno previsto per il trattamento laser, l’appuntamento dovrebbe essere annullato e rimandato fino ala completa guarigione dell’area e finchè il paziente non possa essere sottoposto a un’appropriata profilassi antivirale preoperatoria prima dell’inizio del trattamento.
La luce dei laser Q-switched può causare danno permanente alla retina e perdita della vista. Pertanto è necessario proteggere gli occhi con occhiali schermati od occhialini specifici per il laser in uso.
Anche le persone presenti nella stanza durante il trattamento laser dovrebbero indossare adeguate protezioni per gli occhi.
Subito dopo il trattamento residua un po’ di gonfiore, che può essere ridotto raffreddando la pelle con l’applicazione di ghiaccio.
Se è stato usato un laser Q-switched, l’area pare abrasa dopo il trattamento. Occorre applicare uno strato di unguento antibiotico o vaselina sotto un bendaggio non adesivo e insegnare al paziente a cambiare la medicazione due volte al giorno dopo aver ripulito delicatamente l’area con acqua e sapone. L’operazione dovrebbe essere ripetuta finchè l’area non si è completamente riepitelizzata. L’area dovrebbe essere tenuta umida con vaselina o con un unguento antibiotico e non si dovrebbe mai formare una crosta secca. L’area trattata dovrebbe guarire in 5-14 giorni.
Ulteriori trattamenti dovrebbero aver luogo a distanza di 6-8 settimane. Nei trattamenti successivi, il flusso di energia (J/cm2) può essere aumentato poco a poco (1-2 Joule) fino ad un massimo che varierà in base al laser e alla natura del tatuaggio trattato.
Quando si valuta un paziente con un tatuaggio prima di iniziare la terapia, bisogna palpare con cura ed esaminare il sito per essere sicuri che non siano presenti cicatrici, ipopigmentazione o indurimenti. E’ probabile che molti pazienti non si rendano conto che le attuali procedure di tatuaggio possono causare sia cicatrici sia perdita della normale pigmentazione. Se il trattamento laser per la rimozione di un tatuaggio fa emergere una
di queste complicanze, può accadere che il paziente accusi ingiustamente il medico di averla causata, quando, di fatto, era gia presente prima del trattamento. La fotografia preoperatoria e un altro metodo eccellente per documentare l’aspetto del tatuaggio sia prima sia nel corso del trattamento. Molti pazienti possono scoraggiarsi nel non vedere evidenti miglioramenti dopo alcuni trattamenti, ma le fotografie scattate prima e durante le varie fasi del trattamento possono essere mostrate al paziente e dimostrare l’effetto che trattamento ha avuto.

Rimozione di tatuaggi cosmetici.
Quando i tatuaggi vengono usati per far risaltare la forma delle labbra, ricostruire o migliorare l’aspetto delle sopracciglia o ricostruire l’aspetto dell’areola in seguito a una mastectomia, la tecnica prende il nome di tatuaggio cosmetico. Gli inchiostri sono di solito una miscela di pigmenti bianchi (titanio) e rossi (ossido di ferro), la cui relativa concentrazione e determinata dal sito e dalla pigmentazione naturale dell’area da trattare. Talvolta, questi tatuaggi sono eseguiti da persone inesperte, oppure lo stile cambia rendendo l’aspetto del tatuaggio “fuori moda”, oppure ancora il paziente può semplicemente non gradirne l’aspetto.
Indipendentemente dal motivo, alcuni pazienti chiedono la rimozione di un tatuaggio cosmetico. In queste situazioni, bisogna sempre prestare attenzione al fenomeno dello scurimento del pigmento, che è stato ormai osservato con tutti i laser Q­switched usati per la rimozione dei tatuaggi. Quasi immediatamente
dopo il trattamento laser, nella cute ha luogo una reazione chimica che cambia l’originale colore bianco o rosso in grigio o nero. Questo colore non è solo inaccettabile dal punta di vista cosmetico, ma è anche molto difficile da rimuovere con successivi trattamenti. Per questa ragione, si deve adottare estrema cautela eseguendo in primo luogo un piccolo test nella parte meno visibile del tatuaggio usando uno spot il più piccolo possibile. Normalmente, il cambio di colore è immediato. Per una maggiore sicurezza, sarebbe preferibile condurre il test e poi visitare il paziente 6-8 settimane dopo, per stabilire se siano indicati ulteriori trattamenti. Se non si è verificato alcuno scurimento del tatuaggio e il colore si è sbiadito, sarebbe ragionevole procedere con il trattamento vero e proprio, ma solo con il consenso scritto del paziente perchè lo scurimento può ancora verificarsi durante trattamenti futuri e può essere permanente.

Autore: Dr.ssa Tiziana LAZZARI
Medico Specialista in Dermatologia, Venereologia e Chirurgia estetica
Genova
Pubblicazione aprile 2010

CELLULEVIVE: BIORIVITALIZZAZIONE E ANTIAGING DEL FUTU

Occorre sottolineare che circa un 6% di pazienti è allergico al collagene con comparsa di reazioni avverse, anche se oggi il prodotto si è evoluto e ha superato certi limiti e si è arrivati al collagene di derivazione umana, che è stato estratto dapprima dall’ uomo e poi elaborato con l’ ingegneria genetica che si occupa di tessuti e riprodotto nella sua esatta composizione in laboratorio. E ancora che queste sono correzioni temporanee, poiché le proteine da cui sono costituiti i filler sono distrutte dalle collagenasi e dai radicali liberi presenti nei tessuti vivi in cui sono iniettati, per cui, entro qualche mese dall’ iniezione, il prodotto è completamente degradato e metabolizzato. 

Per superare tutti questi limiti, si è pensato di sviluppare una tecnica di coltura di cellule vive autologhe, cioè provenienti da quella persona stessa che si sottopone al trattamento.

Cellule vive: è questa la parola chiave intorno a cui si muove la medicina del futuro, base da cui partire per individuare le terapie più avanzate.
Occorre tenere presente che i problemi dell’invecchiamento sono legati a molti cambiamenti, in particolare della cute, dove nel derma c’e via via una perdita di acido jaluronico che comporta una minore idratazione e, contemporaneamente, un’usura delle fibre collagene ed elastiche.
Queste stesse mantengono la corretta architettura strutturale del derma, cioè l’impalcatura dove poggia l’epidermide che è la parte più superficiale e visibile.
Una volta alterata si ha una conseguente formazione di rughe e rilassamento dei tessuti con evidente cedimento dei contorni del viso per scollamento della cute dai tessuti sottostanti; con questa tecnica insieme ad altre metodiche mediche o chirurgiche si cerca di agire riparando la comparsa di questi eventi.
Le proteine connettivali, collagene ed elastina vengono prodotte da un tipo di cellula chiamata “fibroblasto” presente nel derma.
Quando queste cellule sono vive, vitali e numerose la cute appare sana, compatta ed elastica. L’invecchiamento penò comporta una diminuzione di numero e di attività di queste cellule, con rallentamento e cattiva produzione della proteina chiave del derma, cioè del collagene. Ciò si traduce in riduzione dello spessore, della compattezza e dell’ elasticità cutanea.
Con l’uso delle cellule vive si può arrivare ad una sufficiente correzione dei difetti del viso e si verificano meno rischi di reazioni avverse perchè le cellule sono del proprio organismo.
Si tratta di una metodica innovativa: è una sorta di biorivitalizzazione veramente rivoluzionaria, che non si basa sull’uso di vitamine o biostimolanti, ma dei propri fibroblasti.
Come si arriva ad ottenere queste preziose cellule per la salute della pelle?
La tecnica consiste, dapprima, in un minimo prelievo ambulatoriale di una piccolissima e sottile porzione, 3 mm di cute della regione dietro l’ orecchio, prelevata dal paziente che si vuole sottoporre al trattamento.
Da questo microprelievo, inserito in un apposita provetta con un brodo di conservazione, cioè un liquido dove viene immerso il frammento di cute, viene estratta una riserva personale di cellule fresche vitali e attive, in grado di restituire al viso un aspetto tonico e giovane.
II laboratorio biotecnologico dove viene inviato il frammento e specializzato nella coltura e conservazione di tessuti umani, come ad esempio il cordone ombelicale. Le cellule chiave della rivitalizzazione dei tessuti cutanei vengono perciò estratte, espanse e una parte crioconservate:
- 196 gradi centigradi, in azoto liquido, e la temperatura a cui vengono conservate per dieci o venti anni le cellule di cute prelevate .
Queste cellule, cioè i fibroblasti autologhi vivi, moltiplicati numericamente, vengono poi riiniettati direttamente nel derma del paziente come un rivitalizzante o un filler, senza pericolo di rigetto o allergie.
Dove vengono collocate, queste stesse creano un sistema continuo di riparazione proteica.
Coltivare in vitro i fibroblasti estratti dal campione prelevato permette di disporre in poco tempo di un elevato numero di cellule vitali e attive; il loro deposito e destinato ad un impiego immediato, ma anche futuro.
Congelando un campione delle proprie cellule a bassissime temperature oggi, è possibile, alla comparsa dei primi segni del tempo, reiniettarle moltiplicate e vitali dove serve. Recenti studi hanno dimostrato obiettivamente e soggettivamente, durante i 12 – 48 mesi successivi, un aumento di produzione di fibre collagene nei difetti del viso trattati.
E anche l’analisi istologica dimostra che l’iniezione dei fibroblasti, oltre ad aumentare la formazione di collagene, è accompagnata da un concomitante aumento della compattezza e delila densità della texture cutanea.
Ringiovanire la pelle riportandola indietro nel tempo con l’utilizzo di tecniche assolutamente naturali come quella descritta è ifl sogno di ogni uomo e donna e le biotecnologie dei tessuti umani ci stanno venendo sempre più incontro per trasformare questo sogno in realtà.

Autore: Dr.ssa Clara RIGO
Specialista in Dermatologia e Dermatologia estetica
VERONA Tel. 045 8300334
MILANO Tel. 02 2046160 www.chirurgiadermatologiaestetica.it
info@chirurgiadermatologiaestetica.it
Pubblicazione marzo 2010

LE ALLERGIE PROFESSIONALI

Questo dato è spiegabile con il fatto che apprendisti e neoassunti sono più spesso destinati a mansioni che comportano una maggiore esposizione a detergenti, sostanze chimiche aggressive ed acqua (lavaggio, tintura e pulizie dell’ambiente), rispetto ai professionisti più esperti, impiegati in attività a minor contatto con agenti irritanti ed allergizzanti (taglio e piega). Nei primi anni di lavoro, inoltre, vi è una minor consapevolezza dell’importanza dell’utilizzo costante di misure di protezione individuale come i guanti. 

Nei parrucchieri sono frequenti sia le dermatiti eczematose da contatto irritante (DIC), che le dermatiti allergiche da contatto (DAC) delle mani.
Le prime sono indotte dalle frequen­tissime esposizioni ad acqua, shampoo e balsami. Lo sviluppo di una DIC delle mani è pertanto di solito il risultato di una esposizione cronica e cumulativa a deboli irritanti piuttosto
che ad irritanti forti. II “lavoro bagnato”, quando si protrae per oltre 2 ore, è ritenuto il principale fattore di rischio per DIC. Inoltre, il contatto con i tensioattivi presenti negli shampoo, compromettendo I’organizzazione dei lipidi cutanei, modifica la permeabilità e le capacità di barriera della cute.
Clinicamente la DIC si manifesta con una dermatite caratterizzata da arrosamento, desquamazione e fissurazioni soprattutto nelle aree di flessione delle articolazioni delle mani; con il tempo possono insorgere profondi spacchi ragadiformi tanto dolorosi da compromettere le normali capacità lavorative. La DAC si verifica solo in coloro che si allergizzano a qualche sostanza (allergene). , più comuni allergeni responsabili di DAC nei parrucchieri sono le amine aromatiche presenti nelle tinture permanenti per capelli, come la parafenilendiamina (responsabile del colore nero) e la paratoluendiamina (colorazione più rossastra). II 17-58% dei parrucchieri sottoposti a patch test mostra una reazione positiva alla parafenilendiamina e il 14-25% alia paratoluendiamina. Altri importanti allergeni professionali dei parrucchieri sono l’ammonio persolfato presente in prodotti decoloranti e il gliceril monotioglicolato in prodotti per permanenti. Sono frequenti anche allergie a coloranti azoici (Disperso arancio 3), che possono dare reazioni crociate sia con la parafenilediamina che con la paratoluendiamina.
Clinicamente la DAC si manifesta in modo simile alla DIC e i due quadri, che possono coesistere, sono spesso difficilmente distinguibili. Nelle DAC sono più accentuati gli aspetti infiammatori e nelle forme acute sono talora evidenti piccole vescicole che, rompendosi, comportano fenomeni essudativi. Nelle forme croniche si apprezza cute secca, ispessita e fissurata. Più intensa è di solito la sintomatologia pruriginosa. Gli estetisti sono esposti agli stessi rischi dei parrucchieri essendo a contatto sia con agenti irritanti (lavoro umido, detergenti … ) che con allergeni come oli essenziali, profumi e conservanti dei cosmetici .Una recente fonte di allergia professionale osservata negli estetisti è rappresentata dalla attivà di ricostruzione delle unghie.
Le lavoratrici sono esposte a resine acriliche altamente allergizzanti durante il processo di costruzione dell’unghia. In questo caso sembrano essere agenti responsabili delle allergie soprattutto i monomeri liberati durante il processo di polimerizzazione delle resine (idrossietilmetacrilato, metil metacrilato .. ). La dermatite interessa le falangi distali delle dita per estendersi poi a tutte le dita e al dorso delle mani. Sono possibili anche localizzazioni a distanza (volto, collo) per diffusione aerotrasmessa degli allergeni. Per una diagnosi corretta delle dermatiti delle mani, sia in parrucchieri che in estetisti, è fondamentale l’esecuzione dei test epicutanei a lettura ritardata (patch test) da eseguirsi anche con le specifiche serie professionali di allergeni (Serie Parrucchieri, serie Profumi e serie Cosmetici). Spesso, specie negli estetisti, è utile eseguire i test anche con i prodotti commerciali utilizzati in ambiente lavorativo, testati come tali.
Ovviamente tali test devono essere eseguiti in centri dermatologici specializzati. Una volta che la dermatite da contatto si è instaurata è spesso difficile ottenerne la guarigione se persiste l’esposizione agli irritanti ed agli allergeni, cioè se l’operatore continua la mansione. E pertanto di fondamentale importanza l’attuazione di misure di prevenzione come l’utilizzo di guanti per evitare il contatto con allergeni ed irritanti, “uso di creme emollienti ed idratanti appropriate, ma soprattutto istituire corsi informativi ed educativi sulla pericolosità delle sostanze manipolate. E’ ora dimostrato che i guanti, anche di diversi materiali (latice, vinile, nitrile), se appropriatamente usati, sono una valida barriera verso i principali allergeni di parrucchieri ed estetisti. Bisogna però evitare di ri-indossare o riciclare guanti già usati che, se indossati a rovescio, potrebbero essere contaminati e potrebbero addirittura, data l’occlusione, facilitare la penetrazione di allergeni.

DERMATITE ALLERGICA DA CONTATTO DA COSMETICI
Dr.ssa Rosella Gallo
Sezione di Dermatologia – Di.S.E.M.
I prodotti cosmetici possono causare diversi tipi di reazioni avverse, la cui prevalenza sembrerebbe relativamente bassa se rapportata all’ampio uso di questi prodotti. Si ritiene che il fenomeno sia in realtà sottostimato perchè molte reazioni da irritazione, soprattutto se di lieve entità, non giungono all’attenzione dei dermatologi e non vengono segnalate dai consumatori che risolvono il problema semplicemente sostituendo i prodotti in causa.
Ben diverso è il caso delle ermatiti allergiche da contatto (DAC) che, qualora non vengano riconosciute e correttamente diagnosticate, possono causare notevoli disagi e quadri clinici anche gravi. La prevalenza di DAC da cosmetici nella popolazione generale è bassa (0.4%), ma sale al 10% circa tra i pazienti sottoposti a test epicutanei, i test diagnostici utilizzati dai dermato-allergologi per identificare gli allergeni causa di DAC (1). Tali test, detti anche “patch test”, consistono nella applicazione sulla cute del dorso di speciali cerotti contenenti una serie dei più comuni allergeni da contatto integrati eventualmente da allergeni supplementari sospettati in base all’anamnesi. I cerotti vengono rimossi dopo 48 ore con un secondo controllo dopo 72 ore per verificare se uno o più allergeni hanno dato reazione positiva. Molti ingredienti dei cosmetici, in particolare fragranze e conservanti, sono potenziali allergeni da contatto e la serie standard dei test epicutanei comprende ben tre sostanze rivelatrici di allergia a fragranze (Profumi mix, Balsamo del Peru e Lyral) e quattro conservanti (Kathon, Parabeni, Formaldeide, Metildibromo, Glutaronitrile). Altri comuni allergeni correlati ai cosmetici so no la Paraenilendiamina, (il principale allergene delle tinture per capelli) gli Alcoli della Lanolina (una sostanza emolliente) e la Colofonia (una sostanza resinosa ricavata dalle conifere, i cui derivati si possono trovare soprattutto in prodotti da trucco come mascara e matite per occhi). La legislazione Italiana sui cosmetici, in conformità con quella CEE, contiene norme specifiche volte a limitare il rischio di reazioni allergiche da contatto e a facilitare l’identificazione dei prodotti che contengono potenziali allergeni. In particolare, il Dig n. 50 del 15-2-2005 riporta indicazioni e restrizioni riguardanti fragranze e conservanti. Per esempio il Kathon non può essere usato in concentrazione superiore allo 0,0015 %, mentre la normativa ha di recente proibito l’impiego nei cosmetici del Dimetildibro-moglutatronitrile, un conservante fortemente allergenico fino ad ora consentito, a basse concentrazioni, solo nei prodotti a risciacquo. A partire dall’ 11 marzo 2005, inoltre, vige l’obbligo per i produttori di indicare in etichetta gli ingredienti con il loro nome INCI (International Nomenclature Cosmetic Ingredients), una terminologia, prevalentemente in lingua inglese, stabilita dalla COLIPA per dare uniformità internazionale all’etichettatura dei cosmetici. II Kathon, per esempio, è riportato in etichetta come Methylchloroisothiazolinone/Methylisothiazolinone. Per quanta riguarda le fragranze, a tutt’oggi la più frequente causa di DAC da cosmetici, la legge prescrive che le sostanze profumate siano segnalate in etichetta con il termine generico “parfum” o “aroma”, salvo che nel caso di 26 sostanze specifiche, a riconosciuto potere sensibilizzante, che devono essere elencate singolarmente, con il loro nome INCI, se presenti in concentrazione superiore ai 0,01% nei prodotti a risciacquo e 0,001% nei prodotti che non vengono risciacquati (creme, lozioni, fondotinta ecc). La concentrazione consentità è piu alta per i prodotti a risciacquo in quanto questi, non restando a lungo a contatto con la pelle, comporterebbero teoricamente un minor rischio di sensibilizzazione. Tuttavia saponi e detergenti in genere, se vengono poco e mal risciacquati, possono facilmente causare irritazione ed eventualmente anche allergia. L’etichettatura INCI è molto utile da un punta di vista dermato-allergologico perché consente di identificare i cosmetici contenenti l’uno o l’altro allergene, ad eccezione di eventuali impurezze che non si ritrovano ovviamente tra gli ingredienti. Per quanto riguarda il nichel, la più nota tra queste impurezze, la legge sottolinea il fatto che nessun cosmetico può contenere nichel se non in tracce inevitabili dovute ai processi di lavorazione. Grazie all’ottimizzazione di tali processi i consumatori allergici al nichel possono utilizzare oggi senza rischi la grande maggioranza dei prodotti in commercio e la DAC da nichel nei cosmetici può essere considerata ormai un evento raro, se non eccezionale. Sebbene tutte queste misure contribuiscano a limitare l’incidenza di DAC causata dagli allergeni più comuni, nessuna formulazione cosmetica è del tutto esente dal
rischio di indurre sensibilizzazione allergica e la letteratura è ricca di segnalazioni di DAC da “allergeni emergenti”. Di fronte al sospetto clinico di reazione allergica da contatto da cosmetici è importante rivolgersi
al dermatologo e sottoporsi ai test epicutanei. In caso di negatività dei patch test standard, è importante sospendere i cosmetici sospetti ed eventualmente testarli come tali con la metodica del test ripetuto in aperto (ROAT). II ROAT consiste nell’applicare il prodotto sospetto alla piega del gomito, mattino e sera, fino alla comparsa di una reazione eczematosa o per un massimo di 10 giorni, qualora non si verifichi nessuna reazione.
Una volta individuato con certezza il prodotto o i prodotti responsabili, sarà possibile effettuare test più approfonditi per identificare il/i componenti allergenici. Fino a quando non si siano identificati gli allergeni o, quantomeno, i prodotti in causa, sarebbe opportuno utilizzare pochi prodotti cosmetici, a composizione molto semplice e con basso numero di componenti. Ciò può, da un lato, favorire la guarigione clinica, riducendo il rischio di reazioni avverse, dall’altro facilitare l’identificazione dell’allergene, qualora si verifichi una reazione avversa ai prodotti scelti.

DERMATITI DA CONTATTO ALLERGICHE IN ETA’ PEDIATRICA
Serena Lembo, Nicola Balato
Clinica Dermatologica
Università di Napoli Federico II
Le dermatiti da contatto allergiche dei bambini sono ritenute, oggi, essere molto più comuni di quanto si pensasse in precedenza, rappresentando circa il 20 % delle dermatiti dell’età pediatrica. In passato si credeva che
i bambini fossero meno esposti a sostanze chimiche e che il loro siste­a immunitario non fosse stimolato alla produzione di anticorpi specifici.
Numerosi studi ed analisi retrospettive di database italiani ed internazionali hanno dimostrato che si tratta, invece, di un problema di frequente riscontro. II picco di incidenza di tale patologia, secondo alcuni autori, è riferibile a bambini di età inferiore ai 3 anni, secondo altri, invece, sembra i essere l’adolescenza il periodo più rappresentativo. La cute del bambino è più sottile di quella dell’adulto, la matrice cementante extracellulare è spesso deficitaria, per cui l’incompleta adesione tra i cheratinociti non garantisce la perfetta impermeabilità
della barriera cutanea rispetto agli agenti esterni irritanti. Inoltre si deve considerare che al di sotto degli 8 anni l’aumento del rapporto superficie cutanea/volume corporeo predispone i bambini ad assorbire maggiormente le sostanze chimiche applicate sulla cute, rispetto all’adulto. Anche le sostanze chimiche a cui sono esposti i bambini differiscono da quelle degli adulti: basta pensare all’ industria cosmetica di prodotti per l’igiene dei bambini, come creme, detergenti e shampoo specifici, preparazioni associate ai pannolini, o, ancora, alle sostanze contenute nei giocattoli, o in alcuni medicinali e vaccini specifici. E’ compito del dermatologo saper riconoscere i segni di una dermatite da contatto ed indirizzare i genitori dei “giovani” pazienti attraverso specifiche procedure diagnostiche, terapeutiche e preventive.
Sui territorio nazionale sono numerosi i centri di dermatologia allergologica collegati con la Socieàa Italiana di Dermatologia Allergologica, Professionale ed Ambientale (SIDAPA) che propone linee guida sempre aggiornate nel settore. Quando il dermatologo sospetta una dermatite da contatto invita i genitori del piccolo ad effettuare test allergologici chiamati test epicutanei o patch test: attraverso l’applicazione cutanea diretta di una serie specifica di sostanze, si riesce ad individuare quella eventualmente responsabile del problema cutaneo. Esiste per l’appunto una serie “pediatrica” di apteni da testare, risultati dalla selezione di quelli più frequentemente responsabili di dermatiti dell’età infantile. Questa serie di sostanze viene periodicamente aggiornata e talora integrata, secondo le condizioni ambientali e le abitudini comportamentali che potrebbero portare nuovi componenti dannosi a contatto con la pelle dei bambini. I più recenti studi italiani, in accordo con quelli internazionali, indicano i metalli come responsabili più comuni delle dermatiti allergiche da contatto in età pediatrica: tra questi il Nichel solfato ed il Cobalto contenuti nei monili, nelle monete, nelle sedie di scuola, negli apparecchi ortodontici. Anche alcune fragranze e conservanti, come il Timerosal o le Cocamidopropilbetaine componenti di bagnoschiuma, shampoo e creme, sono frequentemente responsabili di dermatiti. Da non sottovalutare inoltre il potere irritante ed allergizzante di alcuni componenti delle scarpe, di coloranti tessili e di alcuni principi farmaceutici contenuti nelle creme che vengono prescritte per curare la stessa dermatite. I cortisonici topici, ad esempio, possono essere responsabili di dermatiti da contatto.
Per una corretta diagnosi e indispensabile rivolgersi al dermatologo e praticare le indagini adeguate.
Se non si individua e non si allontana l’agente causale, la dermatite assumerà andamento recidivante o cronico a dispetto di ogni terapia. E’ inoltre fondamentale saper consigliare i genitori su come evitare i prodotti contenenti la sostanza responsabile, fornendo schede informative su che cosa può, o non può, essere usato dal piccolo paziente.

LE FOTO DERMATITI ALLERGICHE
Paolo Daniele Pigatto
Dipartimento di Tecnologie per la Salute Ospedale R Galeazzi & Università degli Studi di Milano
Nella pratica dermatologica stanno aumentando i casi di dermatiti indotte dal contatto con alcune sostanze
ambientali e dall ‘esposizione alla radiazione ultravioletta ; queste forme vengono diagnosticate come fotodermatite allergica da contatto (fotoDAC) rappresentano circa il 10 % del totale delle fotodermatiti.
La frequenza è in aumento sia perchè vengono utilizzati molti prodotti cosmetici e aumenta il contatto con materiali presenti in alcune lavorazioni ma soprattutto per l’aumentata esposizione a fonti di radiazioni UV sia naturali che artificiali. Molte sostanze sono state definite fotoallergizzanti, ma l’esatto meccanismo d’azione con il quale si instaura la sensibilizzazione allergica rimane ancora non completamente chiarito. Infatti il trattamento UV appare interferire direttamente con l’induzione e l’espressione della ipersensibilità da contatto, senza deprimere invece alcune reazioni immuni cellulomediate. Lo sviluppo di cloni T linfocitari citolitici e il rigetto di tessuti allogenici non è alterato dalla esposizione animale a radiazioni UV. Al momento attuale non sembra invece possibile stilare dei dati conclusivi sugli altri tipi di immunità cellulomediata e saranno necessari altri studi per valutare il comportamento delle risposte immuni di tipo ritardato ad antigeni proteici e la risposta alle infezioni da microorganismi intracellulari.
I soggetti affetti da fotoDAC rappresentano una minoranza di soggetti esposti a sostanze immunogene forse legata alla loro costituzione genetica. La prevalenza della FotoDAC è variabile negli anni legata probabilmente all’introduzione e l’uso di nuove sostanze nei cosmetici e nei farmaci. Esistono pochi studi significativi pubblicati (Am.J.Cont.Derm. 7: 158-163, 1996) e solo lo scorso anno è stato pubblicato un lavoro frutto di
un lungo studio di standardizzazione delle metodiche diagnostiche e di una rilevazione dei risultati a livello nazionale (Contact Dermatitis 2008: 59: 103-108). I centri che hanno partecipato all’indagine sono stati numerosi e distribuiti in modo omogeneo a livello nazionale (tab1). Lo studio è state condotto in modo retrospettivo multicentrico per determinare la prevalenza di fotoallergica dermatite da contatto in Italia. La procedura prevedeva l’ applicazione di una doppia serie di apteni tenuti in situ per 48 ore. Dopo questo periodo entrambe le serie venivano rimosse e una soltanto veniva ricoperta con materiale opaco. Si procedeva alla fotoirradiazione con una dose variabile in relazione al fototipo da 3 a 5 Jcm2 (precedentemente 5-10 J cm2) di luce UVA ottenuta da 6 lampade Philips TLK 40 /09 N in grado a 20 cm di distanza di emettere 5 mW/cm2. I tempi di irradiazione variavano pertanto da 10 a 17 minuti. I pazienti venivano osservati a 10 minuti e a 24 e 48 ore dopo la fotoirradiazione.
L’ allergia da contatto fotoallergica veniva diagnostica quando la sola zona fotoirradiata era positiva mentre l’altra non mostrava alterazioni. Infine per la valutazione della rilevanza il paziente positivo veniva reinquadrato in base alla storia clinica , la effettiva presenza dell’aptene e un nesso temporale valido tra foto-esposizione e comparsa della dermatite. Sono stati valutati un totale di 1.082 pazienti con storie e caratteristiche cliniche suggestive
di dermatite da contatto fotoallergica Tutti i pazienti erano stati sottoposti a photopatch test con allergeni proposti per l’Italia, nonchè con altre sostanze suggerite dalla storia personale di ciascun paziente. 234 pazienti (21,6%)
sono risultati positivi ad almeno una sostanza al photopatch test standard con un totale di 290 reazioni positive. 204 delle reazioni sono state vere reazioni fotoallergiche; 68 reazioni sono state di tipo allergico semplice; 18 le reazioni sono state considerate fototossico. Lo sforzo unificativo e di selezione sia dei pazienti che dei centri operanti sui territorio nazionale che si estende in senso verticale dal 46° al 38° parallelo ha dovuto tenere conto di condizioni di esposizioni solari e d’abitudini di vita molto differenti. Il gruppo predominante dei fotoallergeni era quello dei farmaci, seguita dai filtri UV e dagli agenti antimicrobici. II gruppo merceologico più cospicuo è costituito dai farmaci con il chetoprofene leader indiscusso del gruppo topico di impiego tipicamente mediterraneo per la piccola traumatologia e la terapia domestica del dolore . II chetoprofene è ora giunto al primo posto tra i fotoapteni sempre più autosomministrato in Italia mentre molto meno frequenti appaiono gli
altri farmaci arilpropionici come ibuproxam e ibuprofene. Recentemente si è aggiunto l’etofenamato con un numero cospicuo di fotoallergie già precedentemente segnalato dai colleghi spagnoli come importante fotoaptene della realtà iberica. Facendo un confronto con il nostro primo studio vediamo che non abbiamo notato nessun nuovo caso di fotoDAC da additivi dei cosmetici e da piante. Rispetto alla nostra precedente indagine stanno acquistando una certa rilevanza numerica i casi dovuti a topici protettori solari che sono saliti al secondo posto assoluto dopo i farmaci. La campagna di difesa dall’ esposizione sconsiderata al sole sta sortendo i suoi effetti.

Tabella 1 . Centri che hanno
preso parte nello studio
Genova
Verona
Roma
Bologna
Firenze
Bari
Milano
Napoli

“UPDATE” SULLA DERMATITE DA CONTATTO DA NICHEL
Colombina Vincenzi, Antonella Tosti
Dipartimento di Medicina Interna, dell’Invecchiamento e Malattie Nefrologiche
Gruppo di Ricerca in Clinica Dermatologica, Alma Mater Studiorum Universita di Bologna

II nichel rappresenta la causa più frequente di dermatite da contatto nella popolazione generale (incidenza di sensibilizzazione 15% per le donne e 3% nei maschi), sia nei bambini che negli adulti, e anche in campo professionale è la causa più frequente di dermatite da contatto cronica delle mani. II nichel si trova in moltissimi prodotti sia industriali che di uso comune come l’acciaio inossidabile, parti metalliche di abbigliamento (bottoni, fibbie, ganci), bigiotteria, orologi, monete di metallo, ect, ed è pertanto quasi impossibile evitarne il contatto nella vita quotidiana. La principale fonte di sensibilizzazione al nichel è rappresentata dal “piercing” cioè dalla foratura dei lobi auricolari o di qualsiasi altro distretto cutaneo; l’81.5% delle donne che sono allergiche al nichel avevano fatto il “foro” all’orecchio. L’allergia al nichel è favorita anche dalla sudorazione, infatti il sudore aumenta il rilascio di ioni liberi di nichel dagli oggetti di metallo. II rischio di sensibilizzazione al nichel aumenta quano più nichel viene rilasciato dagli oggetti metallici a contatto con la cute e da quanta più è prolungato il contatto dell’oggetto con la superficie cutanea. Nel tentativo di ridurre l’incidenza della dermatite da contatto da nichel, nel 1994 l’Unione Europea emanava una direttiva (94/27 ICE) in cui inseriva il nichel fra le sostanze ed i preparati pericolosi, limitandone l’impiego in alcuni oggetti destinati ad entrare in contatto diretto e prolungato con la cute (limite di 0.5 ug/kg/week) . Nonostante questa direttiva il nichel continua ad essere al “primo” posto come prevalenza di causa di allergia fra i soggetti sottoposti a patch test, raggiungendo picchi del 30% fra le donne e 8% fra i maschi; e frequente anche nei bambini (15%) e nei soggetti più anziani (13%). Sono stati descritti anche casi di allergia al nichel in neonati e bambini molto piccoli e in questi casi le fonti di sensibilizzazione sono diverse fra cui, oltre agli orecchini, i gioielli usati dalla madre, culle di metallo, bottoni e ganci delle tutine, giocattoli di metallo, maniglie delle porte e altro. Anche gli apparecchi ortodontici possono essere causa di allergia al nichel, manifestandosi con cheilite, dermatite periorale e stomatite, anche se si è visto che la frequenza di sensibilizzazione al nichel è più bassa fra i bambini che, prima di effettuare il piercing, hanno usato un apparecchio con il nichel. E’ invece ancora da stabilire quanto una protesi ortopedica di metallo possa indurre o esacerbare una dermatite da contatto da nichel; l’allergia al nichel non viene comunque considerata una controindicazione all’applicazione di una protesi. In ambito professionale, soprattutto fra coloro che lavorano nelle industrie che producono acciaio inossidabile, materiali elettrici, batterie, monete etc, il contatto con il nichel è alquanto significativo e quindi è alto il rischio di sviluppare non solo una dermatite da contatto da nichel ma anche problemi respiratori come l’asma allergico. Non si conosce però la prevalenza di allergia da nichel dovuta esclusivamente all’ambiente lavorativo, in genere chi è già sensibilizzato al nichel può sviluppare secondariamente una dermatite da contatto, in genere delle mani, che è difficile prevenire anche con l’utilizzo di guanti di gomma in quanto il nichel è in grado di penetrare anche attraverso la gomma. II trattamento della dermatite da contatto da nichel , vista la sua ubiquitarietà, è molto difficile e quindi è importante una diagnosi precoce e attuare strategie sia preventive che terapeutiche. Per la diagnosi è importante valutare la sede della dermatite in quanto la dermatite da contatto da nichel è in genere localizzata nelle sedi di diretto contatto con gli oggetti metallici come il lobo delle orecchie (orecchini), il polso (orologio), il collo (collane) e la regione ombelicale (bottone dei jeans), ma anche il volto ed il cuoio capelluto possono essere interessati (telefoni cellulari, piercing, fermagli per capelli). In individui allergici al nichel è possibile anche l’’insorgenza di una dermatite da contatto generalizzata in seguito all’esposizione per altre vie come le vie respiratorie o orale. Anche la disidrosi delle mani, la cosiddetta”pompholyx”, è stata associata all’allergia al nichel ma però non c’e ancora una dimostrazione diretta della loro correlazione. I patch test rappresentano l’indagine diagnostica utile per confermare l’allergia al nichel che viene testato sotto forma di nichel “solfato” in vaselina alla concentrazione del 5% negli adulti e al 2.5% nei bambini, anche se secondo alcuni studi anche nei bambini può essere testato al 5%; una concentrazione inferiore è invece raccomandata in caso di reazione dubbia. In caso di reazione falsamente negativa, in presenza di un aspetto clinico fortemente suggestivo per allergia da nichel, è indispensabile ripetere il patch test utilizzando il nichel sotto forma di “cloruro” (5% in vaselina), forma che aumenta la concentrazione del nichel oppure utilizzare, prima di applicare il patch test, sostanze che favoriscono la penetrazione come il dimetilsulfossido o effettuare lo scratch cutaneo.
Per gli individui allergici al nichel è anche disponibile un test (spot-test alla dimetilgliossima) che serve ad identificare gli oggetti di metallo che contengono un’alta concentrazione di nichel. E’ un kit che contiene una soluzione alcolica a1l’1% di dimetilgliossima e al 10% di ammonio cloruro: si strofina con un cotton-fioc imbevuto di tale soluzione l’oggetto personale di metallo e se la punta del cot­ton-fioc diventa di colore rosa significa che l’oggetto contiene un’alta quantità di nichel e ne viene pertanto sconsigliato l’uso. Sopratttutto nei casi di dermatite da contatto delle mani di origine professionale può essere utile il test dell’immersione
del dito, che consiste nel fare immergere una o più dita del soggetto allergico in una soluzione contenente nichel per valutare a quale concentrazione di nichel la dermatite delle mani si riaccende.
E’ ben documentato che evitare il contatto con oggetti di metallo è il metodo migliore per evitare le recidive della dermatite da contatto da nichel. La strategia di ricoprire gli oggetti di metallo con smalto per unghie ocon adesivi e/o altre resine in realtà può essere rischioso in quanto esiste la possibilità di sviluppare un’allergia anche a queste sostanze. Anche alcuni cosmetici possono contenere il nichel; ad esempio il mascara e gli ombretti per occhi possono essere causa di allergia alle palpebre in soggetti allergici al nichel e per questo è utile consigliare l’utilizzo di cosmetici “nichel-free” che contengono cioè basse quantità di nichel (<1ppm). In alcuni casi si può consigliare l’uso di deodoranti antiperspiranti allo scopo di diminuire la sudorazione che, come già sottolineato, aumenta la liberazione di ioni di nichel dagli oggetti metallici a contatto con la cute. Anche il fumo rappresenta un rischio per i soggetti allergici al nichel in quanto in alcuni tabacchi può essere contenuta un’alta concentrazione di nichel (contenuto medio per sigaretta da 1 a 3 ug).

Per quanta riguarda il trattamento della dermatite da contatto da nichel varia in correlazione alla gravità delle manifestazioni: antistaminici orali se e presente intenso prurito (assolutamente da sconsigliare l’uso di antistaminici topici in quanta altamente sensibilizzanti); cortisonici topici di bassa potenza per aree cutanee come il viso e le braccia o anche di alta potenza per aree cutanee più spesse come il palmo delle mani e la pianta dei piedi; cortisonici per via orale da usare per periodi brevi in caso di dermatite più diffusa. Le creme cosiddette “barriera” possono essere utili in quanto, applicate sulla cute, possono agire come un “guanto invisibile” ed impedire la penetrazione del nichel grazie alla presenza in esse di sostanze in grado di legare il nichel; le sostanze più utilizzate nelle creme barriera sono l’EDTA (acido etilendiamino tetra-acetico), il cliochinolo (5-cloro-7-iodochionolin-8-olo), e i sili­coni. Alcuni cibi hanno un alto contenuto di nichel, ad esempio la farina integrale, l’avena, i legumi, le noccioline, la liquirizia e il cioccolato ma è ancora controverso quanto sia utile prescrivere una dieta a basso contenuto di nichel ai soggetti allergici, anche se alcuni pazienti ne hanno tratto beneficio. In particolare sarebbe utile seguire le cosiddette “linee guida di Veien” che consistono nel controllare l’efficacia della dieta nichel free per 1-2 mesi, dopo i quali decidere se continuare o meno.
Esiste anche la possibilità di utilizzare un vaccino orale allo scopo di indurre una tolleranza nei confronti
del nichel: è stato condotto uno studio in cui la somministrazione orale di 5.0 mg di nichel solfato 1 volta alla settimana per 6 settimane ha ridotto notevolmente le manifestazioni cutanee dell’allergia da nichel; in un altro studio si è invece utilizzata la metodica di somministrare il nichel solfato in quantità crescenti da 0.3 ng a 3000 ng associata ad una dieta nichel-free in 24 soggetti allergici e si è visto dopo 16 mesi una diminuzione dei sintomi in tutti e in 20 di essi la reintroduzione del nichel nella dieta non è stata seguita da alcuna manifestazione allergica. Nonostante questi studi l’efficacia dei vaccini per il nichel attualmente in commercio non è stata ancora provata.
La gestione dei pazienti con allergia da nichel di possibile insorgenza professionale richiede un’attenzione particolare in quanto sono più difficili sia la diagnosi che la prevenzione e il trattamento. Generalmente le pilù colpite sono le mani, che sono le più esposte al contatto con strumenti che rilasciano il nichel e la dermatite delle mani che ne con segue spesso porta ad invalidità lavorativa, essendo le mani fondamentali per la maggior parte delle attività. E’ necessario valutare l’effettiva esposizione al nichel nell’ambiente di lavoro e per questa sarebbe senz’altro utile un test che è in grado di quantificare il contenuto di nichel nelle unghie e nella cute che è stato descritto in uno studio ma che purtroppo non è ancora disponibile. Accertata la dermatite da nichel sarebbe necessario mobilitare il soggetto in un’altra mansione che non comporti il contatto con i metalli e comunque raccomandare a tutti misure protettive come l’utilizzo di guanti di PVC (polivinilcloride).

Tabella 2 . Risultati dei fotopatch tests
Farmaci antinfiammatori
Arilpropionici
Ketoprofen
Ibuproxam
Ibuprofen
Altri fotoallergici
Octocrylene
Piroxicam
Fentichlor
Benzophenone
Benzophenone- 3
Ethyhexyl
Prometazine
Buyl methoxydibenzoylmethane
Fragrance mix I
Drometrizole trisiloxane
Trichlorocarbanilide
Isoamy p-methoxycinnamate
Dichlorophene
Benzophenone
Bithionol
Chlorhexidine digluconate
PABA
Musk mix
Tribromasalicylanilide
Ethyhexyl triazone
Polyethylene glycol-25 PABA
Sesquiterpene lactone mix
4-methylbezylidene campphor
Ethylhexyl dimethyl PABA
Thiourea
Triclosan
6-methyl coumarin
Etofenamate
Homosalate
Phenybenzimidazone sulfonic acid
116
110
5
1

23
19
16
10
15
13
12
9
8
5
5
4
4
4
3
3
2
2
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
0
0

Pubblicazione gennaio 2010