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PRURITO VULVARE

Può essere di vario tipo: urente, continuo, intermittente, a prevalenza notturno, creando un impellente, istintivo ed improcastinabile desiderio di grattamento spesso così violento che se da una parte lenisce anche se solo momentaneamente il prurito, dall’altra crea delle vere e proprie microlesioni cutanee che infettandosi a loro volta, aggravano la situazione, confondendo e complicando sia la diagnosi sia la terapia. 

Talvolta al sintomo del prurito si accompagna quello di “”bruciore”, con arrossamento ed edema della parte, fissurazione della cute, e quello di una leucorrea biancastra le cui caratteristiche, come vedremo possono aiutare a porre diagnosi differenziale tra varie forme.
Inoltre la vulva è soggetta a subire la patologia di organi concomitanti come succede per esempio con la maggior parte delle malattie vaginali.
Poiché come vedremo, molte sono le cause responsabili di questo sintomo, alcuni hanno suggerito che di fronte a situazioni complesse sia opportuno affiancare al ginecologo un buon dermatologo.
Ciò che spinge lo specialista ad interessarsi a fondo e con attenzione di questo problema, è il fatto che esso è realmente presente, fastidioso ed imbarazzante, è frequente e che nella donna in menopausa è il primo ed unico segnale della presenza di un possibile tumore vulvare.
Accenneremo ora alle cause più frequenti di vulviti in grado di dare prurito locale, accennando anche alle involuzioni cutanee post-menopausali ed a quelle situazioni locali che possono considerarsi a rischio di sviluppare un tumore.
Per eliminare in breve e completamente il prurito, occorre porre anche diagnosi esatta del tipo di vulvite responsabile, cosa che non è sempre facile fare solo clinicamente sia per la complessità di alcuni quadri sia per la sovrapposizione di altre flogosi sopra le lesioni da grattamento.

 

DIAGNOSI DELLE VULVITI

  • anamnesi molto accurata del sintomo e della paziente (abitudini di vita, terapia effettuate o in atto, eventuali altri disturbi, malattie in atto o pregresse, diatesi allergica etc)
  • ispezione clinica attenta della zona
  • coltura di eventuale secreti o loro visualizzazione con microscopio a fresco
  • biopsie locali e altri esami o test di laboratorio

Oggi si adotta, così come avviene per il lo studio delle malattie della cervice uterina, un ingranditore locale che permette di visionare meglio certe zone e di effettuare test con alcune sostanze chimiche (toluidina) e biopsie estremamente mirate; questa metodica prende il nome di VULVO-SCOPIA ed è sempre più usata in quanto permette di scoprire micro lesioni altrimenti per nulla visibili o sospettabili.
Delle varie vulviti poi proporremo un indirizzo generale terapeutico, fiduciosi a quel punto di essere riusciti nell’intento di avere reso coscienti le donne sulla necessità di non sottovalutare il prurito e di avvicinarsi al proprio specialista di fiducia anche in quei casi che molte volte si tenderebbe a sottovalutare (come il prurito nelle donne anziane).
Valuteremo ora le distrofie vulvari mentre rimandiamo alle schede che verranno pubblicate sui numeri successivi la trattazione delle vaginiti e delle vulviti con approfondimento delle specifiche malattie. 

DISTROFIE VULVARI
E’ un capitolo molto importante in quanto nella peri e post- menopausa esse sono le cause più frequenti di prurito vulvare.
Con il termine di DISTROFlA si intende una alterazione della crescita dovuta al mancato nutrimento delle cellule, nel nostro caso della epidermide, cui fa seguito una aumentata reattività cutanea sia in senso difensivo-ipertrofico sia in senso involutivo-atrofico e delle quali il prurito rappresenta il primo sintomo.
La secchezza della pelle perivulvare, facile desquamazione cutanea, diminuzione della elasticità dell’introito vaginale e perdita delle normali difese vaginali nei confronti degli agenti esterni; si nota così una pelle di colore traslucido, sottile e rimpicciolimento delle grandi labbra tendenza all’atrofia delle piccole labbra fino quasi a scomparire. Tutti questi aspetti fisiologici favoriscono quindi l’insorgere di una distrofia cutanea, in cui il prurito, spesso estremamente fastidioso e persistente, diventa aspetto cardine di quasi tutte queste manifestazioni
Tuttavia mentre la atrofia è un fenomeno del tutto naturale, l’ ipef1rofia (ingrandimento reattivo delle cellule) lo è solo in parte, e la DISPLASlA (alterazione dello sviluppo e della organizzazione interna della cellula stessa) non lo è per nulla. Il punto nodale delle distrofie è che alcune di esse sono considerate uno stato a rischio di sviluppo tumorale e quindi, ogni volta che in menopausa comparirà un prurito, esso andrà valutato attentamente ed ogni sospetto dovrà essere diradato con l’approfondimento della diagnosi medianti VULVOSCOPlA E BIOPSlA MIRATA.
Oggi, per quanto l’inquadramento proposto dalla Società Italiana per lo studio della patologia vulvare abbi messo ordine tra le varie terminologie e eponimi della patologia vulvare, l’aspeto clinico tende ad essere considerato non alla stessa stregua della biopsia locale mirata alla quale dovrebbe spettare e solo rigorosamente ad essa, la diagnosi definitiva e l’inquadramento nosografico preciso.
L’aspetto obiettivo delle varie distrofie infatti non è così bene distinguibile, potendo osservare una cute lucente e traslucida e biancastra variante al rosso scuro o rosso vivo spesso con incapacità digitale di distinguere un fenomeno ipertrofico da uno atrofico o una distrofia da una displasia.

 

La patologia vulvare comprende quattro grandi gruppi:

1 )Distrofie di tipo
a) iperplastico = con aumento di attività e volume delle cellule (comprende le vecchie leucoplachie, le neurodermatiti

-senza atipie o irregolarità cellulare
- con atipie

b) atrofico = con atrofia ed involuzione cutanea e comprende le vecchie diziobni di craurosi vulvare e diLichen sclerosus

c) miste = con aree sia atrofiche che ipertrofiche;

2) Atipie vulvari che comprendono
a) displasia lieve
b) displasia moderata
c) displasia grave

3) Carcinoma in situ della Vulva e definito in passato anche con il nome di m. di Bowen, eritoplasia di Queyrat

4) Malattia di Paget vulvare.

1)Distrofie di tipo
a) iperplastico = con aumento di attività e volume delle cellule (comprende le vecchie leucoplachie, le neurodermatiti
-senza atipie o irregolarità cellulare
- con atipie
b) atrofico = con atrofia ed involuzione cutanea e comprende le vecchie dizioni di craurosi vulvare e diLichen sclerosus
c) miste = con aree sia atrofiche che ipertrofiche;
2) Atipie vulvari che comprendono
a) displasia lieve
b) displasia moderata
c) displasia grave
3) Carcinoma in situ della Vulva e definito in passato anche con il nome di m. di Bowen, eritoplasia di Queyrat
4) Malattia di Paget vulvare.
Anche per le malattie vulvari , così come anche per il tumore della cervice uterina, è stato introdotto ed accettato il concetto che le Displasie vulvari e la neoplasia intraepiteliale siano espressione dello stesso tipo di malattia in grado di variare l’aspeetto e la crescita cellulare allontanandolo così tanto dal modello di partenza, da evolvere a tumore se lasciata senza adeguata terapia o controllo.
Tale concetto nosografico, prende il nome di:
V.I.N. = neoplasia intraepiteliale vulvare e comprendente tutte le displasie ed il cancro in situ.
Le lesioni distrofiche sono favorite come si è detto dalla carenza degli estrogeni ed anche, pare, dalle flogosi croniche da stati di carenza cronica di Vit A e da alterazioni di quei fattori che influenzano la crescita locale cellulare (detti caloni) sia in senso di deficit che di iperattività.
Solo nel5% della atrofie può insorgere una lesione ATIPICA ed evolvere fino al cancro; e solo il 25% di quelle iperplastiche può sviluppare una lesione atipica.
La malattia di Paget vulvare è rara ma possibile in questa zona; similmente a quanto succede sulla mammella, compare sulla cute una zona eczematosa con crosticine, desquamante ed estremamente pruriginosa. Essa è da valutare con attenzione in quanto può essere sentinella superficiale cutanea di un tumore sviluppatosi in una zona molto vicino, per esempio ghiandola del Bartolini, ghiandole parauretrali di Skene o ghiandole sudoripare. Poiché tuttavia spesso è riscontrabile anche in assenza di malattia neoplastica, è ammessa oggi anche una sua manifestazione a se stante, senza tumore limitrofo.
Alla luce di quanto esposto appare chiaro come il prurito sia il sintomo più importante, in quanto presente in queste alterazioni in oltre il 60% dei casi; non solo, ma esso può precedere la loro nascita anche di alcuni anni.
Infine anche a livello vulvare esistono spesso dei nevi cutanei e la cui variazione di colore e morfologica nel tempo andrà attentamente riscontrata, esattamente come accade per le altre localizzazioni a livello cutaneo; d’altra parte è inutile segnalare che tra i sintomi presenti nei nevi ad iniziale degenerazione maligna (melanomi) può essere con frequenza presente anche il prurito.

TERAPIA DELLE DISTROFIE VULVARI.
Si sottolinea ancora come in queste forme la visione diretta ed ingrandita della area interessata e la sua lettura sotto microscopio sia un passo necessario per impostare solo una terapia sintomatologica anti-prurito
Nelle forme ATROFICHE si usano prodotti a base di testosterone che eutrofizzano la cute anche se danno talvolta l’effetto collaterale, se usati per lungo tempo, di lieve aumento della peluria
Sempre utili ma un poco meno efficaci invece sono i prodotti contenenti progesterone, i quali peraltro non portano alcun importante effetto collaterale. Queste terapie devono essere protratte a lungo (si parla di 3-4 settimane) per potere essere veramente efficaci.
Ogni tipo di estrogeno locale o per via generale non comporta alcun miglioramento del prurito locale nelle vulviti, nè riesce a migliorare il trofismo vulvare, invece è molto efficace sul trofismo della mucosa vaginale.
Nelle forme IPERPLASTICHE la terapia è medica-steroidea per le forme senza atipie, mentre è solo escissionale chirurgica per le altre; si ricorda come le distrofie iperplastiche con atipie siano le più soggette a potere degenerare in una forma tumorale maligna.
Come vedremo poi nel capitolo delle neoplasie vulvari, la terapia del cancro in situ e della m. di Paget è chirurgica escissionale e si esegue una vulvectomia semplice o radicale fino ad arrivare ai linfonodi inguinali.
Come consiglio estremamente pratico si può aggiungere che limitatamente allo scopo di lenire il dolore, e parallelamente ad una terapia specifica, si possono usare dei farmaci ad azione anestetica locale (Luan pomata o Uretral pomata) o alcune pomate anti-emorroidarie che contengono anestetico locale.

 

 

CONSIGLI ALLE PAZIENTI IN CASO DI PATOLOGIA VULVARE

  • non sottovalutare mai un prurito vulvare persistente specie se in menopausa non accompagnato da alcun altro sintomo, rivolgendosi ad uno specialista molto precocemente;
  • usare biancheria di cotone, non colorata e poco aderente alle zone di frizione
  • evitare se possibile di indossare indumenti troppo stretti (collant o blue jeans attillati)
  • usare preferibilmente detergenti acidi, rispetto all’uso dei comuni saponi e evitare profumi, deodoranti intimi.
  • alcuni prodotti vegetali usati in erboristeria, se usati su pelli già danneggiate, possono avere effetto sensibilizzante o irritante;
  • nelle forme a probabile eziologia infettiva, usare assolutamente biancheria da bagno personale
  • non esitare ad eseguire un dosaggio della glicemia: un prurito secondario ad una micosi vulvare persistente, può essere il primo sintomo di un inizialissimo diabete.

 

Riccardo TRIPODI
Ginecologo
Pubblicazione Ottobre 1990

GRAVIDANZA E LAVORO

È dunque naturale che anche un evento importante quale una gravidanza debba tener conto di tale realtà. 

La donna che si appresta ad affrontarla si rivolgerà al ginecologo non soltanto per essere sottoposta ai normali controlli diagnostici e clinici, ma anche per ricevere consigli circa l’igiene personale, l’alimentazione, lo sport, i viaggi, l’attività sessuale e soprattutto circa il comportamento da tenere nei confronti della attività lavorativa.
Compito del medico sarà innanzitutto quello di raccogliere informazioni circa il tipo di lavoro, l’ambiente in cui si svolge, la distanza che lo separa dall’abitazione, gli eventuali problemi psicologici ad esso correlati ecc.
Sarebbe qui troppo lungo, e forse non del tutto giustificato, enumerare tutti i tipi di lavorazioni che possono costituire pericolo per la normale prosecuzione della gravidanza: ci sono leggi (art. 5 del D.P.R. 25/11/76 n. 1026; D.P.R. 20/1/76 n. 432; D.P.R. 19/3/1956 n. 303) che si occupano specificamente di ciò ed in particolare degli aspetti medico-legale e giuridico. A noi basterà ricordare alcuni concetti generali.
Per quel che riguarda l’astensione obbligatoria dal lavoro, questa è prevista due mesi prima dell’epoca presunta del parto e tre mesi dopo; ovviamente ci sono attività lavorative particolarmente faticose o pericolose che prevedono un anticipo di tale astensione (1 mese) oppure un anticipo di periodi di tempo anche più lunghi se esistono gravi complicazioni della gestazione o se il lavoro viene considerato pregiudizievole per la salute della donna e del nascituro o se la lavoratrice non può venire occupata in altri compiti.
Va ricordato inoltre che essa ha diritto ad un periodo di astensione facoltativa dal lavoro per un massimo di 6 mesi entro il 1° anno di vita del bambino.
Ovviamente esiste il divieto di licenziamento (dall’inizio della gravidanza fino al compimento del 1° anno di vita del bambino), tranne nei casi – anche questi previsti dalla legge – in cui si verifichino situazioni di particolare gravità o necessità.
Come si vede esistono numerose disposizioni in materia volte a salvaguardare la normale evoluzione della gravidanza, anche se qualcuno sostiene forse giustamente, che occorrerebbe una normativa che tutelasse anche la prima fase della gestazione dato il frequente verificarsi di interruzioni spontanee della stessa nei primi 3-4 mesi, senza contare che il prodotto del concepimento è, in questa fase, più esposto alle influenze negative dell’ambiente esterno.
Riteniamo comunque che nella maggioranza dei casi vada fatto appello al buon senso; molte attività lavorative non sono di per sé pericolose: spesso è sufficiente che la donna ricorra ad alcuni elementari accorgimenti (non compiere sforzi, evitare gli strapazzi fisici, interrompere ogni tanto l’attività per brevi pause, non mantenere troppo a lungo la stazione eretta, ecc.) per evitare a volte conseguenze spiacevoli. D’altra parte lo stesso discorso investe un poco tutte le abitudini di vita della gestante: ricordiamoci che il fumo, l’alcool, lo stress, l’uso di determinati farmaci possono causare danni assai più gravi.

Sandro M. Viglino
Specialista in Ginecologia
e Ostetricia
Pubblicazione Febbraio 1985

CONTRACCEZIONE: UNA REALTA’ PER LA COPPIA

«Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza … non è mezzo per il controllo delle nascite» 

Partendo da questo presupposto, considerando l’enorme incremento che la popolazione umana ha avuto negli ultimi decenni, e, soprattutto, essendo personalmente convinti che ogni bambino ha il diritto di nascere desiderato, appare logico sostenere che l’educazione sessuale, la prevenzione e soprattutto l’infor­mazione sui metodi contraccettivi vanno intensificate.
II discorso sulla contraccezione può essere condotto in modo molto ampio, data la complessa sfaccettatura del problema. Noi cercheremo di schematizzare quanto più possibile la trattazione, mettendo in evidenza quegli aspetti che rivestono un interesse più generale lasciando poi al colloquio col ginecologo il compito di chiarire quei punti che possono rivestire un interesse più particolare e personale. A questo proposito va subito detto che la prima e più importante questione riguarda proprio il rapporto medico-paziente. Troppo spesso infatti il ginecologo si trova ad affrontare il discorso sulla contraccezione esclusivamente con la donna, il che denota l’esistenza di un disinteresse o almeno di una sorta di imbarazzo da parte del partner maschile. Va invece ancora una volta sottolineato come la contraccezione sia un problema di coppia e che va affrontato con la coppia al fine di valutare la reale motivazione e necessita dell’uso di un metodo contraccettivo. E’ basilare che la coppia rifletta sui metodi anticoncezionali proposti o sconsigliati dal ginecologo al fine di scegliere quello più accetto.
Possiamo dividere i metodi contraccettivi in alcuni gruppi in base al meccanismo d’azione. Distingueremo pertanto:
- metodi di barriera maschili
- metodi di barriera femminili
- metodi basati sul ritmo mestruale
- contraccezione ormonale
- dispositivi intrauterini (IUD)
Prima di passare in rassegna questi gruppi di tecniche contraccettive occorre spendere qualche parola su quello che purtroppo resta ancor oggi il più diffuso dei metodi contraccettivi, se così si può definire: vogliamo cioè alludere al cosiddetto «coito interrotto». Questo termine sta ad indicare quella tecnica consistente nell’estrazione del pene dalla vagina prima che avvenga l’eiaculazione.
A parte la considerazione che la media delle gravidanze indesiderate si aggira intorno al 18-19% donne-anno, dimostrando così il suo alto margine di insicurezza, resta il fatto che questo metodo finisce con l’indurre nella coppia uno stato d’ansia, di tensione psichica che impedisce di vivere completamente e liberamente il rapporto sessuale.
Sempre come premessa è utile ricordare il concetto di efficacia di un metodo contraccettivo. La formula più semplice per valutarla è il cosiddetto «indice di Pearl» proposto da Raymond Pearl nel 1932. Esso esprime il numero di gravidanze che si hanno in 100 donne che usano un dato metodo per la durata di un anno (di qui il concetto di donne-anno espresso poc’anzi). Ad esempio per ciò che riguarda il coito interrotto l’indice di Pearl, secondo gli Autori, e compreso tra 10 e 30.

Metodi di barriera maschili
Questi metodi si esprimono fondamentalmente nell’uso del profilattico. Esso può venire usato in alcune condizioni:
- quando è il partner maschile ad assumersi la responsabilità della contraccezione;
- quando la donna ha partorito da poche settimane e non può quindi ancora ricorrere ad altri contraccettivi;
- quando la donna è in attesa di iniziare ad assumere la pillola o di applicare un dispositivo intrauterino;
- quando si hanno rapporti ses­suali sporadici e poco frequenti;
- nei casi in cui non è possibile, per ragioni mediche, ricorrere ad alcun altro metodo contraccettivo.
Il profilattico deve essere usato immediatamente prima del rapporto sessuale ed estratto dalla vagina subito dopo l’eiaculazione in modo da impedire che una certa quantità di sperma possa fuoriuscire. Esso è privo di effetti dannosi sull’organismo ed è il metodo più semplice che si può utilizzare in casi di emergenza, quando il rapporto sessuale non era stato previsto. Se si rispettano scrupolosamente tutte le precauzioni, si può affermare che il rischio di gravidanza e inferiore al 5 %.

Metodi di barriera femminili
A parte i vari tipi di coppe (cervicale – a volta – vimule) questi metodi si concretano
essenzialmente nel «diaframma». Esso è costituito da una sottile cupola di gomma inserita su un anello metallico elastico. Ne esistono diversi tipi e di diverse misure a seconda delle caratteristiche anatomiche del soggetto. Per ciò che riguarda il meccanismo d’azione esso consiste nel creare una barriera che impedisce agli spermatozoi di raggiungere l’uovo e di fecondarlo. Esso va applicato 1-2 ore prima del rapporto sessuale – dopo averlo cosparso ai lati di una crema spermicida che ne aumenta l’efficacia e quindi la sicurezza – e non va tolto prima di 6-8 ore dopo che il rapporto è avvenuto.
E’ quindi fondamentale che la donna accetti volentieri questo metodo perché è l’unico che richieda l’acquisizione da parte della donna di una certa manualità per poter inserire e rimuovere il diaframma stesso. Quindi non è indicato nei casi in cui la donna prova fastidio a toccare frequentemente i propri genitali o teme che possa spostarsi durante il rapporto. Infine non permette di avere più di un rapporto nell’arco di 6-8 ore dal momento che occorre applicare nuovamente la crema spermicida e quindi rimuoverlo e reinserirlo. Sono punti a suo favore invece il fatto di essere innocuo, economico, nel complesso facile da usare e utilizzabile dalla maggior parte delle donne.
E’ utile tuttavia farsi controllare dal ginecologo con una certa frequenza ed eseguire uno striscio vaginale ogni anno. Se viene usato con tutte le precauzioni il rischio di gravidanza e intorno all’8%.

Metodi basati sul ritmo mestruale
Il concetto su cui si fondano questi metodi e quello di evitare i rapporti nel periodo ovulatorio, quel periodo cioè che coincide con lo scoppio del follicolo maturo a livello dell’ovaio e che fa si che l’uovo sia fecondabile. Di questo gruppo ricorderemo essenzialmente:

L’astinenza periodica o metodo di Ogino – Knaus
E’ un metodo basato sul fatto che l’uovo conserva la possibilità di essere fecondato per circa 24 ore mentre gli spermatozoi hanno la capacità di sopravvi­venza e di fecondazione per circa 48-72 ore. Ne consegue che in ogni ciclo c’è un breve periodo durante il quale è possibile la fecondazione: la difficoltà sta nel fatto che i cicli mestruali di una donna possono non avere sempre la stessa durata e che anche in donne con cicli regolari fattori accidentali (stress, malattie, ecc.) possono modificarne la durata. A questo va aggiunto che il metodo ritmico ha lo svantaggio di limitare i rapporti a certi periodi del ciclo mestruale con conseguenti restrizioni dell’attività e della soddisfazione sessuale. L’indice di Pearl e circa 26.

Metodo della «temperatura basale».
Tale tecnica si basa sul rilievo della temperatura, mediante apposito termometro, posto nel retto o in vagina per 5 minuti, tenuto conto che nella donna in fase di ovulazione si può regi­strare un innalzamento della temperatura di 0.7 – 0.8 C’.
Se tali valori termometrici sono stati scrupolosamente registrati e se tale innalzamento termico si mantiene tale per almeno 72 ore, è giustificato pensare che il concepimento sia assai poco probabile nel periodo che va fino all’inizio della successiva mestruazione. Se il coito libero è dunque limitato alla fase postovulatoria, su 100 coppie che usano tale metodo, si hanno circa 7 gravidanze in desiderate in un anno.
Resta comunque il fatto che tali metodi di astinenza periodica sono da considerare nel complesso negativi sia per l’alto numero di gravidanze indesiderate che per i lunghi periodi di astinenza che essi impongono.
Rimangono ora da trattare gli ultimi due capitoli sulla contraccezione, vale a dire la contraccezione ormonale (pillola) e i dispositivi intrauterini (IUD).

Contraccezione ormonale (pillola)
Il discorso, in tema di pillola, è quanto mai vasto e complesso dal momento che gli studi compiuti al suo riguardo sono ancor oggi al centro dell’attenzione dei medici e non soltanto dei medici. Certo è che la pillola ha rappresentato e rappresenta il massimo risultato ottenuto dalla ricerca sui contraccettivi.
Per quanto riguarda il nostro Paese bisogna dire che il suo uso è ancora piuttosto limitato, specie se ci rapportiamo agli altri Paesi come l’Olanda, l’Australia, la Germania, gli USA ecc.: questo probabilmente trova spiegazione da un lato nei pesanti condizionamenti culturali, di costume e di tradizioni che ancora ci affliggono e dall’altro nell’ancora insufficiente informazione ed educazione sanitaria.
Intanto è opportuno spendere qualche parola sulle caratteristiche biologiche della pillola. Essa risulta dalla combinazione di due ormoni: estrogeni e progestinici. Come si sa, questi sono gli ormoni che normalmente vengono prodotti dall’ovaio: la loro regolazione dipende dall’attività dell’ipofisi (una piccola ghiandola posta alla base del cervello) che, nella sua azione di controllo sui sistema endocrino, produce, tra l’altro, 2 ormoni: l’ormone follicolo-stimolante o FSH e l’ormone luteinizzante o LH. A sua volta l’ipofisi risponde ad un controllo superiore esercitato dall’ipotalamo il quale dismette delle sostanze (definite releasing hormones o RH) che tramite il sistema vascolare portale giungono all’ipofisi controllandone cosi l’attività. Appare chiaro dunque che l’attività ipotalamo-ipofisi-ovaio è strettamente correlata: infatti se, ad esempio, la produzione ovarica di estrogeni e progesterone aumenta, si riduce proporzionalmente la dismissione ipotalamica di FSH-LH RH e conseguentemente quella di FSH ed LH ipofisari. II contrario avviene naturalmente qualora l’attività ovarica si riduca.
Date queste premesse è forse più facile adesso comprendere il meccanismo d’azione della pillola.
Essa infatti agisce a diversi livelli:
-a livello centrale, determinando una inibizione dell’ovulazione. Questo è ottenuto tramite un abbassamento della secrezione tonica delle gonadotropine (FSH ed LH), con conseguente abolizione del loro picco ovulatorio.
-a livello ovarico, determinando una riduzione della sensibilità alle gonadotropine unitamente ad una diminuita steroidogenesi da parte dell’ovaio stesso.
-a livello del muco cervicale, che viene reso particolarmente denso e impenetrabile agli spermatozoi da parte della componente progestinica della pillola.
-a livello endometriale, dove il progestinico induce uno stato di inattività, di riposo funzionale: azione quest’ultima che può essere più o meno evidente a seconda del cosiddetto «clima» della pillola (a seconda cioè che prevalga l’azione estrogenica o progestinica).
-a livello tubarico, inducendo un’alterata motilità interferendo così con il trasporto dell’uovo.
Capita abbastanza spesso che quando si informa la donna che richiede contraccezione sulle caratteristiche della pillola, si venga da questa interrotti affermando di rifiutare tale metodo contraccetivo perché dannoso. E’ opportuno pertanto sfruttare questa occasione per ribadire ancora una volta alcuni concetti sulla pre­sunta patogenicità della pillola. Ogni farmaco presenta ovviamente delle controindicazioni; ed è altrettanto ovvio che chi presentasse dette controindicazioni non può assumere o può assumere solo sotto stretto controllo medico tale farmaco. Questo discorso vale naturalmente anche per la pillola.
Esistono infatti delle controindicazioni assolute (casi nei quali non deve assolutamente essere usata) e delle controindicazioni relative (casi nei quali può essere usata solo con molta cautela) al suo uso. Fra le prime potremo ad esempio ricordare l’allattamento e la gravidanza, una patologia tromboembolica e/o tromboflebitica in atto o pregressa, malattie cerebrovascolari e coronariche, il cancro dell’endometrio, il cancro della mammella, il diabete ed altre.
Fra le seconde l’obesita in donne di età inferiore ai 35 anni, l’epilessia, i fibromi uterini, l’ipertensione, la depressione psichica, le cefalee, ecc.
Un discorso a parte meritano l’età ed il fumo.
Per quel che riguarda l’età, è sconsigliabile somministrare la pillola a donne di età superiore ai 35 anni ed alle giovanissime, salvo casi particolari, finchè non è stato completato lo sviluppo dell’apparato genitale interno (in effetti il problema della contraccezione nelle adolescenti è talmente complesso e delicato da richiedere in futuro una esposizione a parte). Riguardo al fumo va subito detto che l’indicazione fondamentale e quella della sua sospensione; esso infatti agisce come fattore aggiuntivo al fine di aumentare determinati rischi. Basti pensare che donne di età superiore ai 40 anni, usatrici di pillola e fumatrici di oltre 15 sigarette al giorno presentano un rischio di infarto miocardico 4 volte superiore a quello di donne della stessa età, usatrici di pillola ma non fumatrici.
Un grande allarmismo è stato fatto in tema di cancro della mammella e di cancro del collo dell’utero; questo è un esempio di come spesso le convinzioni personali di chi gestisce la salute pubblica non collimino e non tengano conto di quanto invece hanno appurato gli studi statistici. Proprio in riferimento al cancro del collo dell’utero, il fatto che ne fosse stato rilevato un maggior numero di casi fra le donne usatrici di pillola, aveva ingenerato la convinzione che l’uso della pillola predisponesse al cancro del collo uterino. In realtà non si era tenuto e non si tiene conto del fatto che le donne che impiegano un contraccettivo si sottopongono periodicamente a controllo ginecologico a differenza della popolazione femminile generale, e questo pertanto permette di identificare un maggior numero di forme neoplastiche, peraltro allo stadio iniziale e quindi passibili di una risoluzione pressoché totale. Recentemente addirittura un gruppo di ricercatori statunitensi ha affermato che la pillola svolgerebbe un ruolo protettivo nei confronti del cancro della cervice uterina, dell’ovaio e della mammella. Mentre per quest’ultimo già da tempo è stato dimostrato un ruolo preventivo della pillola (sempre che venga assunta da donne che abbiano, all’inizio del trattamento, mammelle sane), per i primi due l’affermazione ci sembra un pochino ottimistica; però l’abbiamo riportata per dimostrare che ciò che conta sono i numeri e non le «voci» spesso divulgate da fonti non attendibili. Ritornando alle caratteristiche della pillola bisogna aggiungere che ne esistono diversi tipi: quella che più comunemente viene impiegata a scopo contraccettivo è quella combinata (estrogeno+progestinico). Altri tipi sono quella sequenziale, bifasica, minipillola ed infine la trifasica. Oltre che il tipo di pillola, anche il dosaggio dei suoi componenti (estrogeno e progestinico) può variare, ed e proprio sfruttando queste differenze che si può, caso per caso, personalizzare la scelta della pillola più adatta.
Abbiamo già accennato al fatto che questo e il metodo contraccettivo caratterizzato dal più alto indice di sicurezza (0.5-0.7 gravidanze 100 donne/anno). Per quel che riguarda le modalità di somministrazione va detto che ogni «ciclo» consta di 21 confetti che si iniziano ad assumere dopo un intervello di 7 giorni durante il quale avviene la mestruazione. Prima di prescrivere una contraccezione ormonale, una volta escluse controindicazioni assolute o relative, occorre verificare che esistano le condizioni permittenti tramite un accurato esame ginecologico e laboratoristico della funzionalità epatica, renale, del metabolismo lipidico e glucidico, della coagulazione del sangue. Naturalmente occorre eseguire controlli periodici dapprima ogni 3-6 mesi ed in seguito ogni anno. Un ultimo problema da affrontare riguarda la sospensione periodica dell’assunzione: a differenza del passato quando si riteneva meno rischioso fare sospensioni frequenti, si ritiene oggi più logico attuare una sospensione di uno-due mesi dopo uno-due anni di assunzione, sempre che non sorgano problemi durante il trattamento.
In conclusione la scelta di una contraccezione ormonale può essere una scelta estremamente semplice e priva di rischi a patto che venga affrontata con senso di responsabilità sia da parte del ginecologo che, soprattutto, da parte della donna.

Dispositivi intrauterini (DIU)
Dal punto di vista storico pare che per ritrovare i primi esempi di contraccezione meccanica intrauterina occorra risalire agli arabi i quali introducevano una piccola pietra levigata nell’utero delle loro cammelle, prima di intraprendere un lungo viaggio, affinché non restassero gravide. Certamente già nel secolo scorso il problema di poter inserire corpi inerti nell’utero anche a scopo contraccettivo costituiva per certi ricercatori l’occasione per compiere tutta una serie di esperimenti. Si realizzarono infatti diversi dispositivi di forma e materiali differenti (tra i quali anche il dispositivo a forma di spirale, forma che ha poi finito per rappresentare per antonomasia questo tipo di contraccettivo) che rappresentano i progenitori degli attuali DIU. Va detto a questo proposito che un vero e proprio progresso nel campo della contraccezione meccanica intrauterina è stato raggiunto con la realizzazione dei cosiddetti DIU medicati (DIUM). Infatti dapprima si era pensato che variando la forma, le dimensioni, la consistenza dei vari tipi di DIU fosse possibile ottenere un miglioramento dell’efficacia e della tollerabilità. In realtà effetti collaterali se ne riscontravano sempre: metrorragie, dolori, espulsioni ecc. Zipper e collaboratori dimostrarono, negli anni 1969­1970, che l’inserimento di un filo di rame nell’ utero della coniglia determinava una notevole diminuzione del numero degli impianti di gravidanze. Inoltre dimostrarono che l’efficacia contraccettiva del rame era proporzionale alla superficie del filo e che da 0 a 200 mmq l’indice di Pearl scendeva da 18.3 a 1. Attualmente pertanto i tipi di DIU in commercio sono tutti quanti medicati al rame (eventualmente con un’anima di argento), sono costituiti in genere da polietilene reso radio-opaco ed hanno varie forme: a T, a 7, a V, a ferro di cavallo ecc.
Meccanismi di azione: mentre l’azione della pillola estro-progestinica si svolge a monte (col blocco dell’ovulazione) il meccanismo contraccettivo sfruttato dalla cosiddetta «spirale» si esercita verosimilmente a livello dell’annidamento, dell’impianto in utero cioè della nuova entità data dall’unione dello spermatozoo maschile con l’uovo femminile. I DIU in plastica provocherebbero infatti a livello endometriale una reazione infiammatoria da corpo estraneo (una sorta di infiammazione asettica) che renderebbe inadatto l’ambiente uterino ad accettare il prodotto di concepimento. Per quel che riguarda invece i DIU medicati al rame il meccanismo sarebbe diverso, anche se sulla sua esatta interpretazione si sta ancora discutendo: secondo alcune teorie agirebbe antagonizzando lo zinco tanto che quest’ultimo diminuirebbe a livello endometriale nella fase secretiva del ciclo nelle donne portatrici di DIUM; secondo altre agirebbe anche a livello tubarico alterando il trasporto dell’uovo dalle tube all’utero; altre infine sostengono che la presenza del DIUM provocherebbe un aumento della contrattilità della muscolatura uterina con conseguente espulsione del prodotto di concepimento.
Indicazioni e controindicazioni
Fondamentalmente le indicazioni principali sono rappresentate da quelle donne che non sono in grado di utilizzare la contraccezione ormonale, che non tollerano gli estroprogestinici o che presentano controindicazioni al loro uso.
Fra le controindicazioni ricorderemo la gravidanza, le infezioni pelviche, le malformazioni uterine, fibromi e neoplasie uterine ecc.
Per quel che riguarda gli svantaggi rispetto alla pillola ricordiamo primo fra tutti la minore sicurezza contraccettiva (2-3 gravidanze 100 donne-anno), metrorragie e contrazioni dolorose, la possibilità di reazioni infiammatorie, le espulsioni.
Inserimento e rimozione.
L’inserimento del dispositivo intrauterino è una pratica estremamente facile (in mani esperte) e assai meno dolorosa di quel che spesso viene riferito. L’effetto contraccettivo inizia subito dopo l’inserimento e si protrae per circa due anni, dopo i quali la spirale va rimossa e, se non ci sono ostacoli, sostituita nello stesso momento. La rimozione è del tutto indolore ed in genere semplicissima.
Naturalmente anche per i dispositivi intrauterini così come per la pillola, occorrono controlli ginecologici periodici allo scopo di verificare che tutto proceda regolarmente.

Sandro Viglino – ginecologo
pubblicazone 1882

GRAVIDANZA E FARMACI: COME COMPORTARSI?

Ovviamente bisogna dire che le osservazioni cliniche, le indagini statistico-epidemiologiche e le analisi retrospettive hanno permesso di riconoscere delle relazioni tra l’uso di determinati farmaci e la comparsa di malformazioni neonatali. Occorre però anche tener presente che su molte categorie di farmaci persistono ancora notevoli dubbi circa la loro teratogenicità (la capacità cioè di causare danni malformativi a carico del feto) e ciò deve pertanto indurre ad una estrema cautela nel giudizio. 

Per molte altre categorie di farmaci, viceversa, è stata ormai da tempo dimostrata la loro assoluta innocuità per il feto.
Ciò che, in altri termini, ci preme sottolineare è che non sempre l’uso di un farmaco in gravidanza significa necessariamente danno sul feto, ma anzi occorre comprendere che non ricorrervi nei casi in cui vi è necessità, può costituire un rischio assai maggiore.
Un esempio può valere per tutti: nel 5-7% delle gravide si può rivelare l’esistenza di un’infezione delle basse vie urinarie senza che questa si manifesti clinicamente (batteriuria asintomatica): la decisione di non instaurare un trattamento antibiotico espone la donna al rischio di una pielonefrite acuta asintonatica nel 25-35% dei casi. Lo stesso discorso vale per il diabete, l’epilessia, ecc …
Ecco perchè va sempre valutato il rapporto rischio-beneficio da parte del medico, evitando qualsiasi tipo di automedicazione da parte della donna.
Bisogna inoltre ricordare che esiste una relazione tra pericolosità del farmaco e periodo della gravidanza in cui viene assunto. Infatti la fase decisamente più rischiosa, in questo senso, è rappresentata dallo stadio embriogenetico, quel periodo cioè che corrisponde ai primi mesi di gravidanza e durante il quale si differenziano i tessuti di tutti gli organi: l’uso di determinati farmaci può portare in questo caso anche alla morte del prodotto di concepimento. Anche successivamente però, durante il periodo di sviluppo del feto, l’assunzione di certe sostanze medicamentose può indurre alterazioni neonatali talora transitorie e talora permanenti quali gravi ritardi mentali.
A questo proposito occorre infatti ricordare che il feto deve essere considerato come un vero e proprio compartimento dell’organismo materno, per cui trattamenti protratti possono portare a concentrazioni di farmaco analoghe nel corpo della madre e del feto.
Un esempio, purtroppo sempre più frequente, è rappresentato dai casi di madre tossicodipendenti (specialmente eroino-dipendenti): l’eroina infatti può venire riscontrata nel sangue e nei tessuti fetali dopo 1 ora circa dall’assunzione da parte della madre.
È ormai risaputo che una sindrome di astinenza nella gestante può indurre un’analoga situazione nel feto con conseguente ipossia; ugualmente nel neonato possono svilupparsi sindromi da astinenza da 6 ore ad 8 giorni dopo il parto.
Partendo dal presupposto che verificare la teratogenicità o comunque la pericolosità di un farmaco (magari sospetta o accertata tramite esperienze sugli animali) sull’organismo della gestante e del feto non è sempre agevole, si può affermare la regola generale che qualsiasi sostanza farmacologica è da considerarsi potenzialmente tossica in corso di gravidanza, per cui va fatto ricorso ad essa soltanto nei casi in cui esista una reale necessità e sotto stretto controllo del medico specialista.
Ricordando che tra i fattori di rischio in gravidanza vanno annoverati, accanto ai farmaci, anche il fumo, lo stress, l’alcool, la sottonutrizione, concludiamo questa breve esposizione presentando una tabella che riporta schematicamente i principali gruppi di farmaci ed i loro effetti sul feto o sul neonato.

FARMACI IN GRAVIDANZA

 

FARMACO PRUDENZA NELL’USO CONTRO INDICATO POSSIBILI CONSEGUENZE
Analgesici narcotici:
morfina, meperidina, metadone
Insufficienza respiratoria, morte neona­tale
Anabolizzanti androgeni Mascolinizzazione del feto ed accelera­zione dello sviluppo osseo.
Anestetici locali:
procaina, lidocaina, oxetacina
A dosi medie. Non contrindicati in gravi­danza o travaglio. Ad alte dosi o iniettati in prossimità delle arterie dell’utero bra­dicardia nel feto, insufficienza respirato­ria neonatale
Ansiolitici: benzodiazepine Si consiglia di limitare l’uso nei primi tre mesi di gravidanza accertato il passaggio transplacentare
Anticoagulanti orali Emorragie e morte del feto
Antistaminici: prometazina e simili A dosi terapeutiche. Nell’uomo sembra­no privi di tossicità sul feto a differenza che negli animali
Antimalarici Possibile sordità congenita
Antipertensivi: reserpina Congestione nasale, ostruzione respira­toria, bradicardia, anossia neonatale.
Antibiotici: cloramfenicolo No anche ndurante l’allattamento
Streptomicina ed altri aminogicosidici Possibile sordità da lesione del nervo acustico
Tetraciclina Alterazione struttura dei denti. Inibizione sviluppo osseo
Antineoplastici:
antimetabolici, alchilanti, alcaloidi, anti­biotici
Possibili malformazioni fetali
Antipsicotici: fenotiazine, cIorpromazi­na, promazina e trifluperazina Ittero nenatale, ipotensione fetale
Litio glutammato, carbonato Può provocare malformazioni fetali e sul neonato aritmia, morte
Antitiroidei: Iodio e ioduri, mezzi di contrasto iodati Ipertiroidismo, gozzo nel feto
Corticisteroidi Palatoschisi, aborto
Diuretici: clorozotide, idroflumetiazide Trombocitopenia nel neonato. Aplasia midollare e morte neonatale
Estrogeni: estriolo Il virilizzazione di feti femmina. Non controindicato
Stilbenici Possibile adenocarcinoma vaginale nel feto femmina
Estroprogestinici anticoncezionali malformazioi in periodo embrionale
Ipnotici: barbiturici Possibile emmoragie neonatale per ipoprotrombinemia
Ipoglecemizzati orali Forse teratogeniche
Sulfaniluree Ipersulineia fetale
Progesterone Non controindicato
Progestinici derivati dal 19 nortestosterone Virilizzanti sul feto femmina
Salicilati Emmoreagia neonatale, difetti di coagulazione
Sulfamidici Ittero neonatale
Antipolio per os (Sabin)
Antirosolia, antivaiolo, Antifebbre gialla
Antitubercolare B.C.G
Anatossina tetanica Nessun particolare periodo
Immunoglobuline: antimorbillo, antipa· rotitica, antipertosse, antirosolia, antite· tanica, antivaccinica, normale Non sono controindicate
Vitamine: vitamina A Se in eccesso può provocare aborto, malformazioni urogenitali
Vitamine K Se in eccesso e nell’ultimo trimestre, grave iperbilirubinemia e anemia emoli­tica nel neonato calcificazioni della placenta
Vitamine D Se in eccesso sofferenza fetale, ritardo mentale, iperossiicazioni

 

 

Sandro Viglino
Specialista in Ginecologia
e Ostetricia
Pubblicazione Giugno 1984

IPERTENSIONE E GRAVIDANZA

Bisogna tener presente infatti che durante la gravidanza avvengono profondi cambiamenti del sistema cardiovascolare materno e che non è facile definire con precisione il punto limite in cui questi cambiamenti possono essere considerati ancora normali o già patologici. 

Per questo motivo esistono numerose classificazioni in cui le differenze vertono essenzialmente sui valori di pressione arteriosa (diastolica e sistolica) da considerare come elevati, e sulla possibilita’ o meno di associare la perdita di proteine nelle urine e la presenza di edemi nella sindrome pre-eclamptica .
In un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è stato proposto, sulla base di dati clinici epidemiologici, il valore di 90 mmHg di pressione minima come punto di separazione tra gravidanza normale ed ipertensione gravidica.
Occorre tenere inoltre presente che la gravidanza di per sè provoca inizialmente un abbassamento dei valori pressori, e quindi se 90 mmHg può essere considerato un valore limite corretto nella seconda metà della gravidanza, non può esserlo nelle prime 20 settimane, in cui la diastolica può essere fisiologi­camente anche di 15 mmHg.
Il secondo segno importante, rilevabile in presenza di disturbi di tipo ipertensivo in gravidanza è la perdita di proteine attraverso le urine.
Anche se non è inusuale riscontrare una modesta quantità di proteine nelle urine della gravida, proprio perché i già citati cambiamenti nell’assetto circolatorio, presenti anche a livello renale, rendono possibile questa evenienza, facilitata dallo stare molto in piedi e dal maggior peso.
Quindi se si riscontrano proteine nelle urine, prima di allarmarsi, è bene fare una successiva verifica, raccogliendo le urine prodotto nell’arco delle 24 ore: in questo caso valori non superiori ai 300 mg sono da considerare ancora normali, altrimenti siamo in presenza di un eccesso di perdita proteica.
Altri segni della patologia possono essere la comparsa di edemi e l’eccessivo aumento di peso.
Bisogna tuttavia tener presente che la presenza di edemi non è facile da valutare e che la comparsa dei singoli segnali isolatamente non deve allarmare; inoltre è sempre solo il medico che è in grado di valutare se si è veramente in presenza di una gravidanza a rischio.
Sono da considerarsi a rischio le gravidanze in presenza di :
-disturbi renali della gravida o di parenti stretti
-diabete
-prima gravidanza
-età avanzata della gravida
,-pre-eclampsia nella precedente gravidanza
Infatti la molteplicità e la sfaccettatura con cui si presentano i vari fattori in gioco, la non ancora completa conoscenza delle cause che conducono a questa patologia non rendono semplici diagnosi e profilassi.
Negli anni passati qualche tentativo di cura è stato fatto, ma con scarso successo.
Si pensava che potesse essere utile ridurre l’apporto di sale, si sono impiegati diuretici, sono stati utilizzati anticoagulanti quali eparina e suoi derivati, ma il risultato non è stato soddisfacente.
Si è pensato quindi di attuare una profilassi che si basi essenzialmente su una diagnosi precoce ed un attento monitoraggio della gravida.
Negli ultimi anni così si è fatto qualche passo avanti anche nella comprensione dei meccanismi fisiopatologici che sono alla base del disturbo.
E’ stato così evidenziato l’evento scatenante: uno squilibrio della normale produzione di due sostanze, il trombossano (aggregante piastrinico e vasocostrittore) e la prostaciclina (potente vasodilatatore e inibitore dell’ aggregazione piastrinica.
Durante la gravidanza normale aumenta la sintesi di entrambi e quindi l’equilibrio viene mantenuto.
Viceversa nella gravidanza complicata da ipertensione si verifica uno squilibrio, con aumento di trombossano e diminuzione di prostaglandina.
Queste sostanze derivano entrambe dall’acido arachidonico attraverso l’azione dell’enzima cicloossigenasi.
Si è scoperto che l’acido salicilico, la comune aspirina, è in grado di bloccare la cicloossigenasi e, se somministrato a basse dosi, può agire selettivamente sopprimendo solo la produzione di trombossano senza interferire con quella della prostaglandina.
Si è così verificata l’efficacia di un trattamento con aspirina a basso dosaggio (60 mg/giorno), iniziato a partire dalla 28 settimana, in primipare che presentavano ancora pressione normale, ma giudicate a rischio.
Si è così giunti a ridurre a metà i casi di ipertensione in gravidanza e di conseguente ritardo nella crescita intrauterina.
Uno studio analogo viene proposto anche dall’Istituto Mario Negri , in collaborazione con diversi Centri di Ostetricia in tutta Italia, attualmente in corso.
Da questo studio si è rilevato anche che la parziale inibizione dell’aggregazione piastrinica presente anche a livello fetale non sembra interferire sui meccanismi di emostasi, come confermato clinicamente dall’assenza di complicanze emorragiche nel neonato.
Studi paralleli hanno inoltre escluso la possibile associazione tra utilizzi di aspirina ed eventuali difetti congeniti del neonato.
Lo sforzo ancora da compiere ora è quello di verificare se i benefici di un simile trattamento sono usufruibili anche da donne gravide il cui rischio di presentare questa patologia è meno elevato.
L’importanza di questi studi è data dal fatto che questa patologia (pre­eclampsia) ed il ritardo di crescita intrauterina restano tuttora tra le più frequenti patologie della gravidanza e tra le più importanti cause di pre­maturità, morbosità e mortalità neonatale e di mortalità materna.

Dott. A. Bodrato
Farmacista
Pubblicazione Aprile 1990

TUMORI FEMMINILI – PREVENZIONE

TUMORI DELL’UTERO 

Se il rinvenimento del tumore ha luogo in fase sufficientemente precoce l’intervento medico può essere risolutivo.
Ecco perché l’azione preventiva è indispensabile e lo screening di massa auspicabile nelle donne dopo i 30-50 anni.
Laddove si è praticato uno screening di massa si è avuta una drastica riduzione dell’incidenza del cervico-carcinoma.
Il rischio di morte è diminuito da 41 a 5 donne ogni 10.000; un dato estremamente convincente sull’ efficacia di una seria iniziativa della prevenzione.
Lo sforzo delle autorità sanitarie deve quindi essere accolto dalla popolazione femminile ed ogni donna deve rendersi parte attiva nel mettere in pratica le indicazioni fornite.

Analisi Classiche
Pap -Test
Si tratta dell’esame citologico che deriva il nome dal suo ideatore, Papanicolau; viene utilizzato da una cinquantina di anni. Consiste nel prelievo di cellule, (realizzato con una spatola in legno e quindi assolutmnente indolore) dal collo dell’utero. Le cellule poste su di un vetrino sono esaminate al microscopio. Sovente per una maggior validità dell’esame vengono anche prelevate celIule del canale cervicale utilizzando una cyto­brush.

Biopsia
Si tratta del prelievo mirato di alcune cellule della zona in cui si sospetta resistenza di una neoplasia cervicale.
Il risultato dell’ esame non lascia adito a dubbi e quindi può essere una valida base di partenza per una terapia mirata.

Colposcopia
Si effettua utilizzando uno strumento ottico (colposcopio) con il quale il ginecologo osserva a vari ingrandimenti la cervice uterina. L’osservazione avviene in tre tempi diversi.
Prima il collo dell’utero viene osservato dopo detersione con soluzione fisiologica; poi dopo applicazione di ac. acetico diluito a 3-5%; da ultimo con jodio e ioduro secondo il test di Schiller. Grazie a questa triplice osservazione il colposcopista può individuare quadri “normali”, “anormali non significativi” (presenza di epitelio bianco sottile e/o displasia lieve)e “anormali significativi” (epitelio bianco ispessito e/o carcinoma in situ).
Questo tipo di indagine potrebbe quasi azzerare la percentuale dei flalsi negativi legati al Pap-test; però la complessità della metodica ne impedisce l’impiego come screening di massa.

Speculoscopia
Consiste nell’ illuminare direttamente l’interno della cavità uterina per esaminare eventuali variazioni.
La Speculoscopia in affiancamento al Pap-Test può ridurre drasticamente il numero di donne che svilupperà il tumore al collo dell’utero.
Sarebbe necessario effettuare indagini diagnostiche sul 70-80% della popolazione femminile tra i 20 ed i 65 anni, scrcening di massa che pur richiedendo un impegno notevole sia di denaro pubblico che di tempo, sarà tuttavia possibile realizzare; soprattutto se i medici di base ed i ginecologi si sentiranno impegnati in prima linea in questa lotta al male. Purtroppo la realtà quotidiana ci insegna che siamo ancora molto lontani dal compimento di questo “sogno”.
Innanzitutto le donne che regolarmente si sottopongono al pap-test sono ancora in numero troppo limitato e inoltre il solo Pap-test può dare risultati “falsi negativi”; infatti talora non riesce ad individuare la presenza di lesioni precancerose rendendo vano lo scopo stesso dello screening che è formulare una diagnosi preclinica del carcinoma cioè scoprire i precursori e le degenerazioni di vario grado.
Proprio per indicare i diversi possibili stadi della malattia si sono adottate due scale di misurazione delle degenerazioni:
CIN I CIN II CIN III (CIN= Neoplasia Cervicllie Intra-epiteliale) e SIL basso grado SIL alto grado (Lesione Squamosa Intraepitcliale) .

Nuova Tecnica
Più che di una vera nuova tecnica si tratta di un nuovo sistema per attuare la speculoscopia impiegando la luce chimica (cioè fredda) di Speculite.
Questa nuova tecnica consiste nell’osservare direttamente la cervice precedentemente umettata con acido acetico al 5%.
La luce fredda di Speculite differenzia visivamente le aree di tessuto sano da quelle patologiche (aceto-bianche) e su queste ultime si dirigeranno le successive indagini. I risultati di un confronto tra le attuali metodiche di screening per la prevenzione del cervico­carcinoma e la speculoscopia, condotto in Italia su circa 3200 donne hanno dimostrato una riduzione dei falsi negativi di circa il 20% con una sensibilità del 94%. Da queste riflessioni si evidenzia che l’abbinamento Pap-test Speculoscopia con Speculite può diventare, nel suo insieme, l’analisi
base dello screening di massa, lasciando colposcopia e biopsia quali analisi di secondo livello. Attualmente il tumore del collo dell’utero rappresenta ancora una patologia con un tasso di incidenza troppo elevato, in particolare se si considera il ruolo crescente che in essa ha il Papilloma-virus. Si calcola che ogni anno in EUROPA muoiano 13.000 donne per una mancata diagnosi precoce di questa malattia.

TUMORE AL SENO
E’ una delle cause più frequenti di morte nelle donne e purtroppo si stima che i valori attuali si raddoppieranno entro il 2000. Estremamente importante è la diagnosi precoce, unica speranza di esito favorevole delle cure; infatti mentre un tumore al seno scoperto
in fase avanzata ha quasi sempre una prognosi infausta per il riformarsi della neoplasia entro brevissimo tempo, il 95% delle donne a cui è stato diagnosticato in fase iniziale non presenta recidive. Ovviamente più è avanzato lo stadio del tumore, meno è probabile il successo della terapia; per rendere un’idea più chiara di quanto sia importante diagnosticare per tempo la neoplasia riportiamo la tabella della probabile sopravvivenza dopo 5 anni dall’ intervento chirurgico a seconda dello stadio del tumore al momento dell’intervento stesso:

 

STADIO

5 ANNI DI SOPRAVVIVENZA

0

95%

I

85%

II

66%

III

41%

IV

10%

 

La prevenzione va quindi attuata con costanza e deve essere iniziata sin dalla giovane età; infatti proprio i tumori che colpiscono le giovani donne sono i più difficili da guarire e quindi bisogna intervenire immediatamente, mentre le neoplasie riscontrate dopo i 50 anni hanno più probabilità di non avere conseguenze letali.
E per fortuna sono molto più numerose le donne colpite da tumore alla mammella in età ancora più avanzata.
Come sempre le abitudini di vita giocano un fattore importante; tra esse le più significative sono:
-assenza di gravidanza
-gravidanza in età avanzata
-sovrappeso
-precedenti in famiglia
Possono essere motivo di allarme e comunque vanno sempre segnalati al medico curante o al ginecologo:
nodulo al seno
nodulo all’ascella
secrezione dal capezzolo
retrotlessione del capezzolo
zone infossate del seno
zone con cute raggrinzita sul seno
E vediamo ora come attuare la prevenzione.

Autopalpazione
L ‘ autopalpazione è un autocontrollo che ogni donna dovrebbe eseguire periodicamente al raggiungimento dell’ età adulta.
E’ importante infatti, dopo aver imparato a conoscere le proprie forme, mantenerle sotto controllo per individuare anche la più piccola anomalia che potrebbe presentarsi improvvisa. Siccome però anche l’aspetto del seno può subire variazioni legate al ciclo, è bene effettuare i controlli sempre nello stesso momento, ad esempio sempre al termine delle mestruazioni.
COME COMPORTARSI:
- Davanti ad uno specchio, con le braccia lungo i fianchi osservare seni e capezzoli di fronte e di lato per verificare che non vi siano variazioni di forma o di aspetto della cute
- ripetere l’esame a braccia levate
- sollevare il braccio sinistro e con la mano destra sottoporre a leggera pressione tutta la superficie del seno sinistro
- ripetere la stessa operazione per la parte destra
- sdraiarsi con un cuscino sotto le spalle e tenere il braccio sinistro sotto la testa; con la mano destra palpare tutta la superficie del seno sinistro, muovendo dalla periferia verso il capezzolo
- ripetere l’operazione per la parte destra
- controllare la zona che si estende tra seno e ascella e la zona all’interno deIl’ ascella sia per la parte destra che sinistra
- premere delicatamente il capezzolo per verificare l’eventuale presenza di secrezioni.

Mammografia
Consiste in una radiografia del seno eseguita con radiazioni poco penetranti.
Aspirazione
Si esegue inserendo un piccolo ago dentro il nodulo per estrarre un campione di liquido da sottoporre ad analisi di laboratorio.
Agobiopsia
Si esegue inserendo un ago nel seno e prelevando una particella di tessuto da sottoporre ad analisi.
Trrapia
Per fortuna i progressi medici e chirurgici hanno consentito recentemente importanti e significa­ivi miglioramenti in termini di sopravvivenza.
L’uso della chemioterapia ad esempio, quale coadiuvante della chirurgia e della radioterapia, ha migliorato la sopravvivenza di quei pazienti che presentano la malattia in fase iniziale, offrendo risultati particolarmente significa­ivi nelle donne tra i 35 e i 50 anni. Secondo molti esperti solo lo sviluppo di strategie per trattamenti terapeutici ancora più efficaci di quelli comunemente usati costituirà la vera vittoria sul tumore al seno. Negli ultimi anni ha dato ottimo risultati la chemioterapia ad alto dosaggio: Si tratta di un trattamento chemioterapico in cui le dosi sono pari a tre volte la dose, utilizzata nei trattamenti normali. La tossicità, in particolare quella a livello del midollo osseo, ha creato alcuni problemi che sembrano superabili grazie a tecniche di protezione del midollo (raccolta e trapianto di cellule periferiche progenitrici del sangue PBPC, trapianto autologo del midollo ecc.)
Comunque i test hanno dimostrato che la somministrazione di chemioterapia ad alto dosaggio garantisce tassi di risposta più alti della terapia condotta con dosi standard anche in donne con metastasi.
A conclusione di questa nostra breve presentazione non resta che concludere comunque che la prevenzione resta comunque sempre la prima arma di difesa per ognuno di noi.

Det
Pubblicazione Dicembre 1995

ESAMI PRE-CONCEZIONALI

La coppia dovrà effettuare un’ accurata visita medica con misurazione della pressione arteriosa ed inoltre si consigliano pochi esami facilmente eseguibili e di basso costo sociale. 

Si tratta di: esame urine, emocromo, azotemia, glicemia, transaminasi, bilirubinemia, R.W. che saggiano le condizioni generali di salute potendo rivelare, tra l’altro, uno stato diabetico o prediabetico di rilevante importanza, soprattutto nella donna, per le gravi conseguenze che può comportare sulla salute del neonato. Con lo stesso prelievo di sangue si può conoscere il gruppo ed il fattore Rh: se la madre è Rh negativa e il padre Rh positivo ed il figlio eredita il gruppo Rh del padre, nel corso della gravidanza possono venir prodotti anticorpi Rh che, passando la placenta, provocano gravi conseguenze nel feto. Tale situazione è improbabile alla prima gravidanza, mentre si verifica frequentemente nelle successive. Le conseguenze di questa situazione, anche disastrose, possono essere prevenute infondendo alla madre, nelle ore immediatamente successive al parto, le adatte immunoglobuline.
Inoltre alle coppie di origine meridionale o sarda o del Delta Padano saranno consigliati l’elettroforesi dell’ emoglobina e le resistenze globulari che sono utili per riconoscere i portatori di microcitemia frequenti in quelle zone.
Oltre a quanto detto finora, la donna deve sottoporsi a qualche esame in più, a parte la visita ginecologica, per prevenire la trasmissione al feto di alcune infezioni. Sono pertanto indicati: toxotest, rubeo-test, marker dell’ epatite.
Il toxo-test, mediante la valutazione del titolo anticorporale, è utile per sapere se la donna ha già superato un’infezione di toxo-plasma. Nel caso in cui il titolo anticorpale sia negativo, l’esame sarà ripetuto ogni mese durante la gravidanza. Se nel frattempo la donna avesse contratto la malattia deve essere iniziata la terapia specifica. In ogni caso, alcune “misure di sicurezza” possono essere molto valide per prevenire l’infezione: astenersi dal mangiare carne cruda, lavare molto bene frutta e verdura, allontanare eventuali animali domestici (soprattutto gatti) che sono fonti di contagio, evitare il contatto con il terriccio nel quale può annidarsi il protozoo in forma cistica.
Altro esame da eseguire almeno tre mesi prima del concepimento è il rubeo-test che valuta se la donna è già immunizzata nei confronti della rosolia, malattia che, se trasmessa al feto, provoca una grave sindrome malformativa. Se l’esame risulta negativo, la vaccinazione antirubeolica – almeno tre mesi prima del concepimento – previene questo rischio.
Infine la ricerca del marker dell’ epatite è utile per conoscere lo stato di portatore: il virus può contagiare il feto al momento del parto, ma con la somministrazione di immunoglobuline specifiche e con un’immediata vaccinazione del noenato, si può prevenire l’infezione.
Una particolare attenzione deve essere riservata a “coppie a rischio”, che abbiano cioè una storia familiare di malattie genetiche accertate o sospette per presenza di sindromi malformative o morti in epoca neonatale. In questi casi, prima di programmare una gravidanza, è consigliabile una consulenza genetica alla coppia che potrà chiarire i dubbi e conoscere i rischi d’incidenza della malattia.

ESAMI DA ESEGUIRE PRIMA DEL CONCEPIMENTO

ALLA COPPIA
Emocromo
Azotemia
Glicemia
R.W.
Gruppo e fattore Rh
Esame urine

ALLA DONNA
Toxo-test
Rubeo-test
Marker dell’epatite
visita ginecologiga

Se di orinine meridionale, sarda o proveniente dal Delta Padano, anche:
elettroforesi dell’emoglobina e resistenze globulari.
Visita medica con misurazione del P.A.

Dott.ssa Massocco Daniela
Istituto Giannina Gaslini
Genova
pubblicazione del 1985

IPOTIRODISMO E GRAVIDANZA

Lo studio, condotto dal Dr. James Haddow della Fondazione per la Ricerca sul Sangue, indica che un modesto deficit di funzionalità tiroidea non trattato nella madre potrebbe influenzare negativamente lo sviluppo del cervello fetale, inducendo un ridotto quoziente di intelligenza e delle abilità attitudinali e visivo/motorie del bambino. 

“Quanto riportato suggerisce che la determinazione del TSH debba essere praticata prima o all’inizio della gravidanza per permettere un adeguato trattamento della madre e del bambino”, ha sostenuto Larry Jameson, President della Endocrine Society, che ha enunciato una presa di posizione con raccomandazioni a seguito della valutazione dello studio.
“I segni ed i sintomi dell’ipotiroidismo sono non specifici e possono essere mascherati dalla gravidanza; gli esami su sangue sono il modo migliore per fare questa diagnosi. Appare ora che il deficit materno di ormoni tiroidei possa essere aggiunto alla lista di condizioni materne correggibili che possono avere un importante impatto sul feto”.
Jameson ha notato che i risultati del nuovo studio sono in linea con precedenti meno estese ricerche. Essi indicano che bambini nati senza ipotiroidismo da madri che avevano deficit tiroidei non riconosciuti possono sviluppare ridotte capacità mentali. In 15 tests praticati su bambini di 7-9 anni in questa categoria, i figli di madri ipotiroidee ottenevano risultati meno buoni in tutti i tests.
Jameson ha detto che un’ulteriore ricerca è necessaria per determinare quando debba essere fatto lo screening, il metodo di esame, i criteri di diagnosi per l’ipotiroidismo materno, le linee guida di trattamento ed i costi.
“Per adesso, le donne con una storia personale o familiare di malattie tiroidee, o con sintomi, debbono praticare una determinazione dei livelli di TSH nel sangue quando pianificano una gravidanza o il prima possibile dopo il concepimento” ha aggiunto.
Il gruppo di ricerca di Haddow ha testato retrospettivamente campioni di siero per l’evidenza di ipotiroidismo in un gruppo di 25.216 donne gravide che avevano partorito tra il 1987 ed il 1990. Sono state identificate 62 donne che erano state ipotiroidee durante la gravidanza. I bambini, di età compresa tra i 7 e i 9 anni all’epoca dello studio, sono stati paragonati con quelli di un gruppo di controllo di bambini le cui madri erano ipotiroidee durante la gravidanza. I bambini delle madri ipotiroidee hanno avuto risultati meno brillanti in tutti i tests.
La Endocrine Society comprende più di 10.000 scienziati e medici in più di 80 paesi. E’ la più grande e più attiva organiz­zazione del mondo dedicata alla ricerca sugli ormoni ed alla pratica clinica in endocrinoIogia.
I Pazienti con disordini ormonali come l’ipotiroidismo sono comunemente indirizzati agli endocrinologi, che hanno la preparazione specialistica e l’esperienza necessaria per una eftìcace valutazione e trattamento.
La Endocrine Society ha diffuso queste raccomandazioni:
* Una strategia che tenga conto del rapporto costo/efficacia per lo screening dell’ipotiroidismo nelle donne in gravidanza, da attuarsi prima o al più presto durante la gravidanza. Questo richiederà una ulteriore ricerca per determinare quando lo screening debba essere fatto in relazione al concepimento, il metodo del test, i criteri diagnostici dell’ ipotiroidismo materno, le linee guida di trattamento ed il costo dello screening.
* Per ora, le donne con una storia personale o familiare di patologia tiroidea, o con sintomi che suggeriscono un possibile ipotiroidismo, devono essere sottoposte a screening mediante la determinazione dei livelli di TSH plasmatici quando stanno pianificando una gravidanza, o il prima possibile dopo il concepimento.
* Le donne in cui viene rilevato un ipotiroidismo durante la gravidanza devono iniziare la terapia sostitutiva con ormone tiroideo immediatamente per fornire un adeguato livello di ormoni tiroidei al feto in via di sviluppo.
* Il fabbisogno di ormoni tiroidei aumenta di circa il 25-50% durante la gravidanza. Conseguentemente, le donne con ipotiroidismo noto devono praticare monitoraggio degli ormoni tiroidei durante la gravidanza e devono essere fatti appropriati aggiustamenti del dosaggio della terapia sostitutiva con ormone tiroideo.
“L’ipotiroidismo è relativamente comune fra le donne” ha detto Jameson, con una incidenza di circa 1: 100 nell’ età fertile. Egli ha sottolineato che ogni 1.000 donne gravide studiate, se
1 su 100 fosse ipotiroidea, in base al nuovo studio si potrebbe predire che il QI di due bambini potrebbe essere influenzato negativamente, qualora la madre non venisse adeguatamente diagnosticata e trattata.
Jameson è a capo della Divisione di Endocrinologia, Metabolismo e Medicina Molecolare della Northwestern MedicaI School. Le sue principali aree di ricerca riguardano le basi genetiche dei disordini tiroidei e riproduttivi, i meccanismi d’azione degli ormoni tiroidei, le malattie tiroidee, ipofisarie e della sfera riproduttiva.

Deficit di ormoni tiroidei durante la gravidanza: implicazioni per lo sviluppo cognitivo del bambino.
Come già evidenziato i bambini delle madri che erano state ipotiroidee durante la gravidanza hanno presentato risultati inferiori in tutti i tests. Il loro QI era inferiore di 4 punti rispetto al gruppo di controllo. Differenze di QI maggiori venivano osservate in bambini nati da un sottogruppo di madri che non avevano mai ricevuto alcun trattamento con ormone tiroideo (riduzione media del QI di 7 punti). In questo gruppo, il 9% della prole aveva un QI inferiore a 85, a fronte del 5% dei bambini del gruppo di controllo.
Questo studio conferma i dati di diversi precedenti piccoli studi e suggerisce che il deficit non diagnosticato di ormoni tiroidei durante la gravidanza influenzi negativamente lo sviluppo cerebrale. L’ipotiroidismo è relativamente comune; si verifica in 1 donna su 100 in età fertile. Diventa più comune con l’età, aspetto rilevante visto che un sempre maggior numero di donne procrastina la gravidanza nel tempo. Il feto in via di sviluppo è incapace di produrre i suoi propri ormoni tiroidei nelle fasi iniziali della gravidanza. Quindi, gli ormoni tiroidei devono essere trasferiti dalla madre al feto attraverso la placenta fino a che la tiroide fetale non inizia a funzionare durante il secondo trimestre.
Le conseguenze della privazione materna di ormoni tiroidei durante la gravidanza sembrano sostanziali e non reversibili. Idealmente, l’ipotiroidismo dovrebbe essere diagnosticato prima, o nelle fasi iniziali della gravidanza, per permettere un adeguato trattamento della madre e del feto. Poiché i segni e i sintomi dell’ipotiroidismo (stanchezza, pelle secca, caduta dei capelli, aumento di peso, stipsi, irregolarità mestruali) non sono specifici, e possono essere mascherati dalla gravidanza, i tests su sangue sono la maniera più efficace di fare la diagnosi. Sembra ora che il deficit materno di ormoni tiroidei possa essere aggiunto alla lista di condizioni materne correggibili come la carenza di folati, l’incompatibilità di gruppo sanguigno ed il diabete gestazionale che hanno un importante impatto sulla salute del feto di sviluppo.

(Per maggiori informazioni visitare il sito della Endocrine Society all’indirizzo di seguito riportato:
www.endo-society.org)

Det
Pubblicazione Marzo 2005

GRAVIDANZA: FABBISOGNI SPECIFICI

In ogni caso non ha senso aumentare a dismisura il quantitativo calorico quotidiano, anche per evitare di assumere troppi chili durante la gravidanza e quindi aumentare il pericolo di problemi al momento del parto. Controllare il peso durante la gravidanza significa anche ritornare facilmente e rapidamente al proprio peso­forma dopo la nascita del bebé. Durante la gravidanza quindi é sufficiente aumentare l’apporto calorico nella misura di circa 200 calorie al giorno, pari a circa il 10% del fabbisogno energetico in condizioni abituali. Tale aumento consente alla donna di raggiungere il peso ideale prima del concepimento e di predisporre la riserva adiposa necessaria per far fronte ai maggiori fabbisogni energetici nel successivo periodo di allattamento.

L’aumento di peso in gravidanza va attentamente sorvegliato, cercando di fare in modo che esso sia graduale e non superi, al termine, 10-12 chilogrammi. Questo aumento dovrebbe essere compreso fra 1 e 2 chilogrammi nel primo trimestre e tra 350 e 400 grammi per settimana nel periodo successivo.
Maggior attenzione va portata alla qualità della dieta della gestante, soprattutto nell’ambito di vitamine e sali minerali.
La gravidanza comporta un passaggio considerevole di calcio dall’organismo materno al feto: un maggior fabbisogno quotidiano di questo minerale é essenziale per lo sviluppo fetale di ossa e denti, oltre che per l’aumentato metabolismo materno.
Se la quantità di calcio introdotto con la dieta é insufficiente, sarà sottratta all’organismo materno il quale andrà incontro a carie dentaria e ad altre manifestazioni morbose dipendenti dalla carenza calcica.
In questo periodo aumenta anche il fabbisogno di ferro, essenziale per la maggior sintesi di emoglobina materna e per la necessità di costituire depositi nell’organismo fetale, in modo che il neonato possa sopperire da solo alle proprie necessità metaboliche; questo minerale dovrebbe essere assunto dalla donna gravida in quantità doppia di quella ritenuta sufficiente nelle condizioni pregravidiche: la sua carenza può essere causa di stanchezza, debolezza, mancanza di appetito.
Tra le vitamine, aumentano i fabbisogni del complesso B in quanto cresce la necessità di un valido metabolismo proteico e di produrre grandi quantità di energia.
Una presenza sufficiente di acido folico assicura la maturazione dei globuli rossi del feto e un corretto sviluppo dei tessuti embrionali, in particolare durante le prime settimane di gravidanza quando il sistema nervoso del futuro bambino inizia a formarsi.
Una carenza di acido folico é correlabile con un maggior rischio di una grave malformazione della spina dorsale, la cosiddetta “spina bifida”.
In gravidanza inoltre aumentano le richieste di vitamina C che facilita l’assorbimento di ferro, aiuta la placenta a formarsi correttamente e accresce la resistenza alle infezioni. Anche la vitamina D é importante ma si pensa che una moderata esposizione alla luce solare basti per evitare eventuali carenze.
Secondo i dati del National Research Council, nella seconda metà della gravidanza é consigliabile per la donna “media”, un supplemento di 20 grammi di proteine rispetto al fabbisogno della donna non gravida. L’apporto di carboidrati sarà contenuto entro giusti limiti per evitare la tendenza all’aumento di peso.
Conviene ridurre lo zucchero da tavola e le sostanze che lo contengono perché lo zucchero é facilmente assorbibile, mentre gli amidi della pasta, del pane, e delle patate contengono vitamine e proteine vegetali, favoriscono il senso di sazietà e richiedono un giusto lavorio digestivo. Un disturbo frequente della gravidanza é la stitichezza, dato che il progredire del contenuto intestinale é turbato per lo sviluppo del feto:quindi alla pigrizia intestinale, già così frequente, si aggiunge un impedimento meccanico progressivamente crescente. Per ovviare questo problema é opportuno assumere alimenti ricchi di fibre non idrosolubili, come la cellulosa, che regolano le funzioni e l’igiene intestinali, aumentano la massa delle feci e ne riducono la permanenza nell’intestino, riducendo i fenomeni di stipsi. Sono ricchi di tali fibre tutti gli alimenti di origine vegetale come la frutta, la verdura, i legumi ed i cereali integrali.
In questo periodo é opportuno ridurre in larga misura l’uso del sale nella preparazione degli alimenti, che oltre a favorire uno stato di eccitabilità e di ipertensione, può provocare la formazione di edemi e gonfiori.
E’ inoltre importante evitare il consumo di bevande nervi ne quali caffè, tè e bevande a base di cola, per i possibili effetti sulla reattività nervosa del feto o del lattante.
E’ necessario evitare il consumo di carni e pesci crudi o poco cotti, nonché di insaccati e lavare bene frutta e verdura, per prevenire il rischio di contrarre la toxoplasmosi (infezione che se si verifica in donne non immuni nei primi stadi della gravidanza, può provocare danni fetali).
Alimenti ricchi di calcio:
Latte e latticini in genere,ma anche uova,vegetali a foglia larga, broccoli e legumi
Alimenti ricchi di ferro:
Principalmente carne e fegato (facilmente assorbito)
Verdure (spinaci, erbette, ecc.), uova, piselli e legumi in genere, fiocchi di avena, pesce.
Vitamine del gruppo B:
Carne, fegato, uova
Latte (B2), frutta secca, legumi, soia
Vitamina A:
Latte e latticini, fegato e altre fonti animali come beta-carotene nella frutta e nella verdura di colore arancione e negli ortaggi di colore verde scuro.
Vitamina D:
Latte, burro, tuorlo d’uovo, cereali, olio di fegato di merluzzo.
Acido folico:
ortaggi verdi, legumi, lievito di birra, fegato, banane e fragole.
La gravidanza comporta una serie di modificazioni a carico dell’organismo materno che rispondono allo stimolo intenso determinato dallo sviluppo della placenta e del feto.
Una delle modificazioni più evidenti in gravidanza é l’aumento di peso della madre. Una buona parte della crescita ponderale va attribuita allo sviluppo del feto, degli annessi embrio-fetali (membrane, placenta, liquido amniotico) e all’ipertrofia dell’utero. Il resto è dovuto alla ritenzione idrica e all’aumento dei depositi adiposi.
L’aumento ponderale fisiologico nel corso della gravidanza segue una curva leggermente sigmoide, con velocità di accrescimento massimo dopo la 20a settimana. L’aumento totale di peso in una gravidanza fisiologica è in media di 12.4 Kg, ma durante il primo trimestre l’aumento del peso è solo di un chilogrammo. Notevoli possono essere le variazioni individuali senza che l’esito della gestazione venga pregiudicato, tuttavia le tre complicazioni ostetriche più importanti (gestosi, parto pretermine, mortalità perinatale) hanno incidenza minore proprio nel gruppo con incre­mento ponderale medio. Nella seconda metà della gravidanza quest’ultimo si aggira intorno ai 450 g alla settimana.
Ciò che modifica essenzialmente l’aspetto generale della donna è la ritenzione di acqua nel compartimento extracellulare, ritenzione che si verifica in tutti i tessuti. I tessuti in generale acquisiscono così una consistenza pastosa e ciò è dovuto in gran parte all’azione degli estrogeni.
A termine di gravidanza in una donna di media corporatura la ritenzione idrica media totale compresa l’acqua presente nel feto, negli annessi (placenta e liquido amniotico) e nei tes-
suti materni (mammelle, utero e massa circolante) è di circa otto litri e mezzo. La maggioranza delle gravide a termine, infatti, presentano edema alle caviglie e agli arti inferiori. particolarmente accentuato la sera. Questo edema degli arti inferiori che deriva dall’accumulo di un litro e mezzo circa d’acqua, si spiega, oltre che con l’azione sopra descritta degli estrogeni, con la ridotta pressione colloidoosmotica del plasma (dovuta alla riduzione della concentrazione delle proteine) e con l’aumentata pressione venosa. L’aumentata pressione delle vene degli arti inferiori dipende dalla forza di gravità e dall’ostacolo al ritorno venoso indotto dalla compressione della vena cava da parte dell’utero gravido e, al termine della gravidanza, anche dalla compressione sulle vene iliache esercitata dalla parte presentata del feto. Fisiologicamente, insieme alla ritenzione idrica, vi è poi una certa ritenzione di elettroliti, soprattutto sodio, potassio e calcio.
In gravidanza si incrementano anche i depositi adiposi che creano una specie di riserva energetica. Sono responsabili dell’aumento del peso corporeo di circa 3,5 Kg e si accumulano nella parete addominale, nella parte alta della schiena, sui fianchi e sulle cosce. Ciò avviene più marcatamente tra la 20a e la 30a settimana.
Il particolare equilibrio ormonale della gravidanza (progesterone) provoca anche un rilassamento delle pareti venose che tendono così a sfiancarsi più facilmente. A questo si aggiunge l’aumento del volume del sangue, che a termine di gravidanza varia dai 1200 ai 1900 mi, e la pressione dell’utero sulla vena cava, che ostacola il riflusso del sangue dalle gambe a partire dal quarto-quinto mese. Tutti questi elementi favoriscono la comparsa di vene varicose alle gambe: le vene diventano visibili sotto la pelle, gonfie e tortuose e provocano fastidio o senso di peso nella stazione eretta prolungata. Le donne più a rischio sono le obese, quelle con precedenti in famiglia e chi ne soffriva prima della gravidanza. Sotto la pelle può comparire qualche venula sottile e rossastra che non desta preoccupazione, perché l’unico danno è quello estetico, rimediabile facilmente a gravidanza conclusa.
Le vene varicose non vanno però trascurate. Non regrediscono dopo il parto e possono diventare un problema serio nel puerperio o nel caso di eventuali gravidanze successive.
I suggerimenti per evitare che peggiorino sono i seguenti:
- evitare di stare ferme in piedi o nella stessa posizione a lungo e cercare invece di camminare, facendo passeggiate ad andatura regolare. Basta un’ora al giorno!
- sollevare spesso le gambe il più in alto possibile. Ad esempio: sdraiarsi . per terra e appoggiare i piedi al muro, oppure da seduti appoggiare i piedi sulla scrivania o eventualmente su una sedia.
- usare scarpe comode a pianta larga e a tacco medio (spesso in gravidanza si ha bisogno di una misura in più)
- ogni sera prima di coricarsi fare qualche minuto di ginnastica per favorire la circolazione. Ad esempio, sdraiarsi e fare delle pedalate in aria.
- coricarsi con il materasso sollevato dalla parte dei piedi ed evitare di tenere le gambe troppo al caldo, ad esempio con borse dell’acqua calda, termofori, ecc.
- usare calze elastiche (tipo a vita larga per gestanti) durante tutta la giornata e toglierle solo prima di coricarsi
- non esporre le gambe al sole e non fare bagni caldi e lunghi
- eventualmente con un gel defaticante specifico per le gambe oppure con una pomata a base di estratto di cipresso, ippocastano, rusco e ammamelis, preparata in farmacia, si possono fare massaggi drenanti dal basso verso l’alto
- smettere di fumare e di bere alcolici che, oltre a provocare disturbi circolatori, danneggiano anche il feto.
Per il gonfiore alle caviglie e agli arti inferiori i consigli da seguire sono gli stessi, ma è importante non ridurre l’assunzione giornaliera di acqua e non assumere diuretici.
Durante la gravidanza le mammelle che risentono immediatamente del diverso stato ormonale vanno incontro ad importanti modifiche che le predispongono all’ allattamento. Durante le prime settimane di gravidanza la donna avverte infatti indolenzimento e formicolii.
Dopo il secondo mese le mammelle si ingrossano, si induriscono e si possono palpare molti noduli dovuti allo sviluppo degli alveoli mammari. Il reticolo venoso superficiale si rende più evidente, le areole e i capezzoli aumentano di dimensione e diventano più scuri. I capezzoli accentuano la loro capacità erettile e dopo i primi mesi è possibile, in molti casi, che fuoriesca un liquido denso e giallognolo, il colostro. Nella superficie dell’areola si trovano disseminate molte piccole sporgenze, i cosiddetti tubercoli di Mongomery, che rappresentano l’ipertrofia delle ghiandole sebacee. Se la distensione della cute che ricopre le mammelle è molto accentuata si possono osservare anche strie cutanee (smagliature).
Suggerimenti:
- procurarsi al più presto un reggiseno adatto, in grado di sostenere bene le mammelle e prevenire rilasciamenti dei tessuti e smagliature (meglio se di fibre naturali o anallergiche, con coppe che non stringano e non comprimano troppo e spalline regolabili che non segnino le spalle)
- durante tutta la gravidanza prendersi cura della pelle del seno e fare molta attenzione all’igiene del capezzolo, utilizzando creme detergenti e ammorbidenti specifiche che aiutano a mantenere l’igiene e l’elasticità della pelle e a prevenire le ragadi.

D I E T A   T I P O

COLAZIONE

 Caffè macchiato con latte intero
Frutta cotta g. 200

SPUNTINO 

Centrifugato di verdura mista g. 200

PRANZO

Pasta al pesto g.70 , o riso, o patate bollite
Insalata mista g.100, o verdura cotta
Agnello ai ferri g.160, vitello manzo magro, carne bianca, pesce ( 200g)
Frutta cotta g. 100 o fresca
Acqua minerale

SPUNTINO

 Macedonia di frutta g. 100 o spremuta 1 bicchiere grande

CENA

Insalata verde g. 100 o verdura cotta a piacere
Frittata di 2 uova, o formaggi magri (90g) o legumi (100 g)
1 pacchetto di crekers non salati
Acqua minerale

Evitare i salumi
e insaccati, dolci molto elaborati vino e superalcolici

 

Dott. Giacomo FIORI
Studio Dietologico Italiano
Tel: 02.76021568
Pubblicazione Dicembre 2005

LE DONNE E IL FUMO

In Italia in particolare, mentre negli anni si è assistito a una graduale diminuzione del numero dei fumatori maschi, per le donne non si è verificato tale fenomeno, essendo la prevalenza delle fumatrici almeno raddoppiata dagli anni cinquanta ad ora. Considerando anche la maggiore prevalenza di fumatrici nelle classi sociali elevate, a scolarità e guadagni superiori, nelle aree geografiche del Nord, nelle fasce d’età giovanile, si osserva come la tendenza sia contraria a quella dei maschi, e l’unica spiegazione possibile è che l’abitudine al fumo, da parte del “gentil” sesso, sia considerata, più o meno consapevolmente, come un segno di raggiunta e ostentata parità sociale. 

Un altro aspetto strano di tale fenomeno è che, causando un invecchiamento più precoce e provocando altre spiacevoli conseguenze estetiche (cattivo alito e odore dei capelli e dei vestiti, denti e dita ingiallite), contrasta con la maggior cura che si tende ad avere per il proprio corpo rispetto al passato, che comporta attenzione alla propria igiene, abitudine ad attività spor­ive, uso di cosmetici, ecc.
Riguardo alle patologie correlate al fumo di sigaretta, le donne, oltre a tutte quelle in cui incorrono gli uomini( polmonari, cardiovascolari, tumorali, ecc), vanno incontro a diverse malattie specifiche per il loro sesso. Quelle che verranno enumerate sono solo le più significative, e, in questa sede, non verranno descritte nei loro dettagli, occorrendo in tal caso molto più spazio:
Alterazioni del Ciclo mestruale; Menopausa anticipata (in media 3 anni prima delle non fumatrici) con rischio di osteoporosi precoce e più accentuata; aumento dei tumori del collo dell’utero e, in misura più ridotta, della mammella; divieto di usare la pillola contraccettiva al di sopra dei 35 anni, con uso controllato dal ginecologo al di sotto; diminuzione della Fertilità.
Per quanto riguarda i problemi in GRAVIDANZA e PUERPERlO:
* Basso peso dei neonati (200-500 grammi in meno, in relazione al numero di sigarette)
* Aumento del numero di aborti e parti prematuri; quest’ultimi sono dose-dipendenti, con un aumento in media di 2 volte. La prematurità è la prima causa di ritardo mentale e di rallentata
crescita intrauterina.
* Aumento della mortalità neonatale
* Aumento del rischio trombo-embolico nel puerperio
*Alterazioni del latte, con possibili disturbi nel poppante.

Per quanto riguarda infine gli EFFETTI NOCIVI SULLA PROLE, a causa del fumo in gravidanza e del fumo nell’ambiente familiare:
* Aumento, fino a 4 volte, del numero delle morti improvvise in culla
* Aumento delle infezioni neonatali delle alte e basse vie respiratorie.
* Esacerbazioni di asma bronchiale e di otiti acute dell’orecchio medio
*Aumento dei tumori infantili:
il 15% del loro totale si calcola siano legati al fumo passivo in famiglia
* Alterazioni dello sviluppo psicofisico dei bambini, con maggior frequenza di difficoltà scolastiche
* Maggior numero di figli fumatori,
rispetto alle famiglie con genitori non fumatori.

Domenico ENEA,
Vincenzo ZAGÀ
Pubblicazione Giugno 2001