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LO SVILUPPO DEL FETO

(cioé con l’azione del flagello, capace di muoversi con una progressione di 14-16 colpi al secondo e con la rotazione lungo l’asse principale di progressione), risalgono dal fondo vaginale con una velocità media di 2-3 mm/m’ (0,6-6 mm/m’), attraverso il canale cervicale, dopo aver superato l’acidità dell’ambiente vaginale (tamponata per circa 6-7 ore dal pH del fluido seminale) si dirigono verso l’urifizio uterino interno, ove avviene la cosidetta captazione degli spermatozoi, e nel terzo superiore delIa spalpinge incontra l’ovocita che a sua volta deve aver acquisito le caratteristiche definitive che lo rendono atto ad essere fecondato.
Dopo aver abbozzato, in linee molto generali, la via che si deve percorrere per generare una gravidanza (naturalmente, non prendiamo in considerazione la situazione femminile, cioé diamo per scontato che l’organismo femminile abbia normalmente, sia dal lato ormonale che dal lato anatomico-funzionale, generato un ovocita capace di essere fecondato) osserviamo cosa avviene quando lo spermatozoo incontra l’ovocita e lo feconda.
Avvenuta la fecondazione nella spalpinge, l’uovo procede nel suo itinere verso la cavità dell’utero e contemporaneamente va incontro ad un processo di divisione.
Dalla cellula madre si generano, per divisione, due celIule figlie poi 4, 8 e così via di seguito. Questo processo porta alIa formazione di un insieme di cellule, detto blastomero, che nel suo insieme assume un aspetto di una mora e questo stadio viene definito “morula”.
I blastomeri si tramutano alla periferia in un tessuto detto “trofoblasto”; il prodotto del concepimento a questo stadio viene definito “blastocisti o blastula”.
Tra il 7° ed il 9° giorno di sviluppo il trofoblasto si differenzia in due strati: il sincizio ed il citotrofoblasto. Successivamente verso il 9°- 10° giorno dal citotrofoblasto si differenzia il mesoblasto e questi tre strati formano assieme il cosiddetto corion. La blastocisti umana, dopo l’ 11 ° giorno si trasforma in due strati di tessuto: lo strato ectodermico e lo strato endodermico. Tra la lamina ectodermica e il corion é visibile a questo punto una piccola lacuna: é la cavità amniotica che poi aumenterà di volume. Attorno al 16° giorno tra l’endoderma ed l’ectoderma si differenzia il mesoderma che é una derivazione come invaginazione del foglietto ectodermico.
Dai tre foglietti primitivi deriveranno nel corso dell’ulteriore sviluppo i seguenti organi e tessuti;
1) (dal mesoderma): cartilagini, ossa, muscoli, tessuto connettivale, peritoneo pleure, sistema cardiovascolare, sistema urogenitale, corteccia surrenale;
2) (dall’endoderma): tratto gastrointestinale, fegato, pancreas, apparato respiratorio, tiroide, cellule germinali primitive.
3) (dall’ectoderma): cute e sue appendici, midollare surrenale, sistema nervoso, ipofisi, ghiandole salivari.
Considerando specificatamente si  può dire che alla 4a settimana di età concezionale il diametro della camera ovulare (esterno) é di 20 mm, la lunghezza dell’embrione (vertice-sacro) é di 5 mm, il peso dell’embrione é di 0,02 g.
Ad 8 settimane la camera ovulare (diametro) é di 50 mm, la lunghezza dell’embrione (sempre V­S) é di 23 mm, il peso dell’embrione é di 1 g.
A 12 settimane la lunghezza dell’embrione (V-S) é di 56 mm, il suo peso é di 14 g.
A 20 settimane la lunghezza del feto (V-S) é di 160 mm, il suo peso é di 310 g.
A 28 settimane la lunghezza del feto (vertice-tallone) é di 355 mm il suo peso é di 1080 G.
Verso la 4″ settimana di sviluppo nell’embrione é visibile l’abbozzo del cuore, dell’occhio, del proencefalo, del fegato, del rene definitivo, gli abbozzi dell’orecchio esterno, le vescicole celebrali.
Alla fine della 5a settimana si osservano sia il cordone ombelicale sia gli abbozzi degli arti superiori ed inferiori.
Alla 5a settimana il battito cardiaco embrionale può già essere evidenziato mediante apparecchi ad ultrasuoni anche se verosimilmente si può credere che le prime contrazioni cardiache avvengono già alla 4a-5a settimana.
Alla 8a settimana l’embrione mostra gli abbozzi dei muscoli, delle ossa, dei nervi, dei grossi vasi.
Alla 12a settimana si é già ben evidenziata la placenta, gli abbozzi oculari sono ricoperti dalle palpebre, le estremità presentano i primi movimenti e si ha la completa
differenziazione dei genitali esterni.
Alla 20a-21a settimana i movimenti fetali attivi sono così vivaci che possono essere avvertiti dalla gestante. Comincia a formarsi la cosiddetta vernice caseosa (che é costituita da cellule desquamate frammiste a secrezione sebacea).
Alla 28a settimana il feto raggiunge un certo grado di maturazione che, a volte, raramente, gli può permettere una sopravvivenza in caso di parto pretermine.
A questa epoca i padiglioni auricolari sono addossati dal cranio le unghie non raggiungono le estremità delle falangi quindi il feto é quasi perfettamente formato ed é simile alla immagine del neonato al momento del parto.
Questa é, a grandi linee, la meravigliosa natura della riproduzione della vita umana che nella sua complessa vicenda ci fa maggiormente comprendere quale importanza debba avere per noi la più accurata prevenzione di fatti accidentali e di incidenti nella sua gestazione.

Dott. Alessandro Masssilla
Ginecologo
Pubblicazione Maggio 1982

MAL DI TESTA E CICLO MESTRUALE

Per contro, donne abitualmente non cefalgiche possono andare incontro, in questi stessi giorni. a sintomatologia caratterizzata da sensazione di cerchio o peso alla testa o anche di dolore franco diffuso più spesso a gran parte del capo o limitato alle tempie o alla fronte.
E’ frequente il riscontro, in donne appartenenti sia al primo che al secondo gruppo, di dismenorrea cioé di mestruazioni particolarmente dolorose, facilmente accompagnate anche da irritabilità, depressione, nausea e vomito.

I FATTORI DETERMINANTI
Il trai d’ union tra la sindrome cefalgica e la sindrome premestruale o la dismenorrea é costituito da fattori ormonali. Cerchiamo qui di prenderli brevemente in esame. La normale sensibilità e tolleranza al dolore é determinata nel soggetto sano, da un giusto equilibrio tra l’azione di determinate sostanze (neuro-trasmettitori, mediatori chimici, ormoni) che combattono o modulano il dolore in varie sedi del sistema nervoso e di altre che favoriscono invece la trasmissione progressiva dello stimolo doloroso dalla
periferia del corpo all’encefalo ove viene avvertito come vera sensazione dolorosa nel dovuto contesto psicoemozionale.

LE SOSTANZE ANTI-DOLORE
Al primo gruppo appartengono le ormai famose Endorfine, vero talismano della felicità, che producono oltre all’ analgesia (analgesia= assenza di dolore) anche euforia e benessere generale; la serotonina, la dopamina, l’ormone ACTH.

 

TRASMETTITORI DEL DOLORE
Al secondo gruppo appartengono noradrenalina, sostanza P, ormoni somatotropo, prolattina ed estrogeni, istamina e bradichina.
Nelle modificazioni ormonali che determinano l’insorgere della fisiologia funzionale mestruale si ha sempre un aumento dell’increzione di estrogeni e di prolattine.
Qualora l’aumento sia eccessivo e sproporzionato come nella dismenorrea o nella sindrome premestruale o si aggiunga ad un alterato equilibrio della bilancia del dolore, come avviene nelle pazienti già sofferenti di cefalea e di emicrania, si può comprendere come possa facilmente determinare una sintomatologia iperalgica in concomitanza del periodo mestruale.

LA TERAPIA
Il miglior risultato terapeutico si ottiene con farmaci che limitano l’increzione di prolattina e stimolano quella di mediatori del sistema anti-dolore, quali la dopatmna.
Vantaggiosa può rivelarsi l’azione di preparati progestinici che riequilibrio una eventuale iper produzione di estrogeni.

 

Massimo FRANCO
Pubblicazione Aprile 1982

GRAVIDANZA: NOVE MESI DA VIVERE CONSAPEVOLMENTE

Mentre il concepimento avviene per sua natura nella massima segretezza, la gravidanza – durante l’arco dei suoi nove mesi – si esprime nella più evidente visibilità esterna: il ventre aumenta di volume e la donna percepisce sempre più la presenza di un “oggetto al suo interno”. È l’identificazione madre-figlio. Sarà questo contatto intimo che funzionerà come un invisibile cordone ombelicale che permetterà al feto prima e al neonato dopo di richiedere gratificazione ai propri bisogni.
È già un colloquio aperto quello che madre e figlio instaurano nei primi mesi di vita simbiotica. Buio e silenzio non attorniano il feto il quale sente la voce della madre, ascolta la musica, resta disturbato da una luce intensa collocata sul ventre materno e verso il quarto mese succhia piacevolmente il pollice.
Ma questa intima vita a due non si ferma alle reazioni sensoriali, investe ben presto anche la sfera affettiva: ai sentimenti della madre il feto reagisce nella misura in cui maturano i suoi circuiti neuronali. Così ansia, stress, paure della madre sono registrate dal feto perchè nel sangue materno vengono ad alterarsi determinati processi biologici.
Quindi il modo con cui si viene al mondo – cioè come la nascita sarà attesa dalla madre o con fiducia e rilassamento oppure con ansia e tensione – avrà una ripercussione sull’adulto di domani e sulle proprie capacità di viversi e di vivere il mondo attorno a sé.
Perciò alla luce di quanto accennato il desiderio di maternità non deve e non può coinvolgere solo la donna, ma deve essere sentito da entrambi i partners in quanto scelta precisa e responsabile. Spesso il desiderio di gravidanza sembra nascere in opposizione alla lucida volontà di evitarla. Tuttavia molti fattori psicologici possono condizionare sia il desiderio, sia il rifiuto della maternità e sia la sua accettazione come fatto ormai compiuto. Non a caso in certe situazioni familiari l’arrivo di un bambino è vissuto come un “buon rimedio”.
Ad essi si uniscono anche fattori sociologici che vedono nella nuova concezione della famiglia un preciso mutamento nel ruolo della donna che lavora e che trova nella sua affermazione professionale una chiara alternativa “al tema individuale della sessualità e della maternità.
Molteplici sono quindi i fattori che incidono sul desiderio di maternità definendolo un delicato momento della propria vita non certo scevro da elementi conflittuali.
Tali conflitti se non individuati e risolti per tempo possono diventare fonte di tensione psicologiche all’interno della coppia genitoriale (es. contrasto di preoccupazioni; la paura di essere “brutta” e deforme; la gravidanza come simbolo di “normalità” ecc.) possono lasciare spazio ad una sintomatologia psicosomatica in particolare della gestante (es: eccessivo vomito, eccessiva fame oppure astenia, tensioni emotive ecc.) che potrà poi mutarsi in un sentimento apertamente ambivalente nei confronti della gravidanza prima e del bambino dopo quale nuova fonte di proiezione di antichi conflitti.
Un sereno aiuto alla coppia e alla gestante: il rilassamento e il lavoro psicologico di gruppo.
Corpo e sfera psicologica più che mai in questo delicato e importante momento della vita di una coppia o di una gestante interagiscono e di questa interazione si deve tenere maggiormente conto. In più sapere e constatare che questo momento così particolare non è vissuto soltanto da una donna, soltanto da una coppia, ma può essere vissuto contemporaneamente da più donne e da più coppie può già aiutare a sentirsi meno soli per affrontare i piccoli e i più grandi problemi di una gravidanza.
Il lavoro psicologico di gruppo vede gestanti, coppie. genitoriali, donne e partners desiderosi di “maternità” incontrarsi e sedersi a cerchio l’uno accanto alI’altro per parlare insieme con più libertà in un clima accettante e psicologicamente sicuro.
Nel medesimo tempo l’attenzione invididuale centrata sul proprio corpo per aiutarlo a rilassarsi può offrire l’occasione per imparare a trarne utili vantaggi sia per la gestazione, sia per la gravidanza, sia per il parto, sia per il futuro padre che al parto vuole assistere.
Infatti numerosi fattori mentali ed emozionali accompagnano l’arco di tutta la gravidanza e del parto stesso: imparare a viverli meglio vuoI dire poter vivere con più serenità.
Così spesse volte una gravidanza può essere desiderata, può essere accettata oppure non voluta, può nascondere un forte bisogno di sentirsi fisicamente normale per simboleggiare il buon funzionamento del proprio corpo; può essere cercata come completamento della femminilità e come tale vissuta, togliendo automaticamente ma temporaneamente ogni stato depressivo; può essere il fallimento dell’uso di un metodo antifecondativo quasi per “compensare” il rapporto sessuale vissuto fino a quel momento come non fertile; il desiderio di gravidanza può essere vissuto anche come prestigio e il bambino il simbolo futuro da esibire o ancora il desiderare un bambino per una donna può essere dettato non solo da una gratificazione da soddisfare ma anche per poter inconsciamente indurre altre persone (marito, genitori, fratelli, ecc.) ad essere soddisfatte di loro.
DalI’altro lato l’apprendere a rilassare il proprio corpo “ascoltando” il proprio ritmo cardiaco, le proprie tensioni muscolari, percependo il proprio respiro tramite esercizi, può aiutare anche a superare la fatica fisiologica della gravidanza e la paura del dolore durante il parto.
Esternando quindi da un lato le più intime difficoltà; imparando nel gruppo – che è fonte di reciproca fiducia – a conoscere meglio se stesse e se stessi e lavorando dalI’altro lato sul rilassamento del proprio corpo, si può sperimentare un’immagine interiore di calma e di serenità, come scoperta di un nuovo strumento di potere personale per vivere meglio.

Elena Negri
(psicologa/conduttrice di gruppi)
Claudio Vangi
(psicologo/conduttore di gruppi)
Pubblicazione Febbraio 1985

I PROBLEMI GINECOLOGICI DELLA DONNA NON PIU’ GIOVANE

Abbiamo voluto dedicare questo spazio ad una sintetica disamina dei più comuni problemi che possono interessare la sfera genitale della donna in epoca postmenopausale o nella senilità,
Giova ricordare infatti che si definisce «postmenopausa» quel periodo della vita della donna che segue la menopausa (orientativamente cioé dopo i 55 anni) intendendo invece per «senilità» il periodo che si situa intorno ai 65 anni e che è caratterizzato dalla cessazione definitiva di una qualsiasi attività ovarica.
Non ci occupiamo qui della menopausa, essendo questo un capitolo di straordinaria importanza e vastità che richiede una trattazione a parte: faremo però riferimento ad alcuni eventi fondamentali che si verificano con la menopausa e che servono a comprendere alcune situazioni fisiopatologiche e cliniche che conseguono a quell’evento. Sappiamo che il fenomeno fondamentale che caratterizza la menopausa è l’esaurimento della attività follicolare ovarica il che significa, in altri termini, che l’ovaio va incontro ad una sorta di riposo funzionale. Questo ha due dirette conseguenze: la cessazione delle mestruazioni ed il passaggio dallo stadio riproduttivo a quello non riproduttivo. Pertanto la situazione ormonale tipica della donna ancora in età fertile, viene progressivamente ma inesorabilmente a modificarsi: la produzione ormonale ovarica (estrogeni e progesterone) va esaurendosi rapidamente, inducendo dapprima un aumento delle gonadotropine ipofisarie (FSH soprattutto e LH) in epoca postmenopausale e successivamente; nella senilità, una drastica riduzione anche di questo fenomeno.
Considerando pertanto che gli ormoni ovarici (estrogeni soprattutto) svolgono, fra l’altro, un’importante azione eutrofica sulla cute e le mucose, si comprende perché, ad esempio, sono frequenti, nella donna che ha superato l’età menopausale, fenomeni di atrofia o di distrofia a carico di tessuti come l’epitelio vaginale, del trigono vescicale e dei tessuti vascolari periuretrali aventi tutti in comune l’origine embriologica e la ricchezza di recettori ormonali per gli estrogeni.

Atrofie genito-urinarie e prolasso utero-vaginale.
È uno dei problemi che più frequentemente spingono la donna ultracinquantacinquenne dal ginecologo. I disturbi soggettivi si concretizzano in prurito vaginale, bruciore talvolta associato a leucorrea, disturbi urinari (minzione frequente diurna ma anche notturna, fastidiosa, con tendenza ad avvertire nuovamente lo stimolo una volta compiuta, talvolta senso di tensione sovrapubica). Le cause sono quelle che abbiamo prima brevemente ricordato: la carenza di estrogeni influenza il trofismo delle mucose vaginale e uretrale. La vagina, in particolare, perde la sua caratteristica elasticità e la sua mucosa diventa secca, pallida, liscia, in altri tennini atrofica. L’epitelio vaginale perde progressivamente il suo contenuto in glicogeno e diviene meno resistente alle infezioni (di qui comparsa di perdite bianche vaginali, segno di processi fIogistico-infettivi sostenuti da germi banali o da Trichomonas o da miceti).
Una conseguenza ovvia di tale situazione anatomo-funzionale è la dispareunia: la difficoltà cioé ad avere rapporti sessuali. Si tratta di un problema molto frequente e sul quale ci ripromettiamo di tornare in modo specifico in un’altra occasione. Basti dire che, indubbiamente, il modificato comportamento sessuale della donna in età postmenopausale o senile riconosce assai spesso motivazioni di carattere psicologico (per troppe donne ancora la menopausa rappresenta un evento oltremodo negativo per la propria sessualità); la comparsa però di fenomeni atrofici a carico soprattutto della vagina, rendendo dolorosi e quindi insoddisfacenti i rapporti sessuali, finisce per aggravare la situazione con riflessi inevitabilmente negativi sulla vita di coppia.
Riguardo poi ai disturbi urinari prima accennati, occorre dire che vanno qui soltanto ricordati quelli conseguenti all’alterata dinamica della minzione quale si verifica in seguito a prolasso utero-vaginale spesso associato a cistocele e incontinenza urinaria. Anche in questo caso ci limitiamo a sottolineare come anche queste manifestazioni sono la conseguenza di quel rilasciamento delle strutture pelviche (ligamenti utero-sacrali, fascia endopelvica ecc.) accelerato dai fenomeni di atrofia delle strutture di sostegno che riconoscono come primum movens la carenza estrogenica.

Perdite ematiche
Ogniqualvolta ci si trova di fronte a perdite di sangue dai genitali in donne che hanno superato l’epoca menopausale, il ginecologo deve sempre porsi in modo molto attento e preciso il problema della diagnosi differenziale. Infatti si possono configurare quadri assai diversi, per gravità e per possibilità terapeutiche, che vanno dal banale sanguinamento della mucosa vaginaIe atrofica in seguito ad un rapporto sessuale o alla semplice introduzione dello speculum durante la visita fino all’esistenza di una neoplasia endometriale. Occorre pertanto interrogare a lungo e accuratamente la paziente per cercare di scoprire la possibile causa del sanguinamento. Nel dubbio, sarà sempre opportuno consigliare alla paziente esami diagnostici più approfonditi: dallo studio della citologia uterina al curetage endouterino, all’ecografia, alla laparoscopia fino alle più recenti tecniche isteroscopiche.
Per fortuna, molte volte si tratta di sanguinamenti dovuti ad endometrite senile o a vasculopatie endometriali (specie nelle ipertese) o alla presenza di polipi uterini o all’uso di farmaci quali estrogeni o estroprogestinici somministrati in quantità eccessive. Ciò che è importante è che si riesca a porre diagnosi certa.

Patologia tumorale
Abbiamo già accennato al cancro dell’endometrio (la mucosa cioé che tappezza internamente il corpo uterino) che rappresenta il tipo di neoplasia più frequente in quest’epoca della vita.
Trattando delle distrofie vulvari abbiamo accennato al fatto che il 3-5% dei casi di lichen scleroatrofico tende a cancerizzare.
Bisogna però ricordare che, in donne di questa età, anche la patologia tumorale ovarica ha la sua importanza: la possibilità di disporre di mezzi diagnostici sempre più fini (ecografia, TAC, laparoscopia ecc.) consentono però di individuare tale patologia in stadi sempre più precoci. Meno frequenti, anche se non molto rare, sono infine le neoplasie del collo uterino.
Vorremmo concludere questo breve excursus sulle principali patologie della donna in età postmenopausale o senile, augurandoci di essere riusciti a far comprendere a chi ci ha seguito che sempre, quando si tratta della nostra salute, ciascuno di noi gioca un ruolo importante nel suo mantenimento; anche la donna non più giovane deve ricordare che un problema ginecologico magari trascurabile deve essere affrontato correttamente col medico, per far sì che eventuali provvedimenti terapeutici possano essere instaurati nei tempi e nei modi più opportuni, senza trincerarsi dietro timori o pregiudizi che non hanno più ragione di esistere.

Distrofie vulvari
Il prurito esterno, vulvare è un fastidioso disturbo che spesso porta la donna dal ginecologo: all’esame obiettivo la vulva mostra una colorazione biancastra, specie in corrispondenza delle piccole labbra che in qualche caso possono raggrinzirsi e quasi scomparire,mentre la mucosa appare ispessita. Questi quadri di craurosi vulvare possono configurare condizioni patologiche che necessitano di essere adeguatamente diagnosticate (tramite biopsia) e trattate come nel caso del “lichen scleroatrofico” che, se trascurato, nel 3-5% dei casi può esitare nel cancro vulvare. Pertanto, poiché questi stati distrofici della vulva si accompagnano quasi sempre a prurito intenso, la donna ha la possibilità di sottoporsi al controllo ginecologico e curare opportunamente e preventivamente tali condizioni.

Dott. Viglino Sandro
Specialista in Ginecologia e Ostetricia
Pubblicazione del Febbraio 1986

ULTRASONOGRAFIA IN GRAVIDANZA

Tale rischio rimane dunque come un impegno oneroso da affrontare non solo per le coppie, ma anche per una società che dovrà poi accogliere ed inserire i prodotti di un concepimento non sempre responsabile.
La prima tappa per la prevenzione di queste malattie, fu la ricerca sistematica delle cosiddette «coppie a rischio», dalla cui unione cioé sarebbe potuto nascere con molte probabilità un neonato non perfetto. Alla coppia perciò venivano imposte determinate scelte: o non concepire o accettare il rischio e rimanere con l’ansia e le speranze fino al momento del parto.
Però se scientificamente il primo problema non si poneva nemmeno, il secondo invece offriva ampi spazi per la ricerca di metodiche in grado di diagnosticare in maniera innocua alcune delle malattie non solo prima della nascita, ma anche in un periodo di gestazione compatibile con un eventuale aborto elettivo. Venne così studiata la possibilità di operare un intervento in epoca:
1) pre-concezionale, cioè prima del concepimento materiale;
2) pre-natale, cioè tra il concepimento e la sua nascita.
Due delle tecniche che ci permettono di studiare il prodotto di concepimento durante la vita nell’utero sono: l’AMNIOCENTESI e l’ECOGRAFIA MEDIANTE ULTRASUONI. In questo articolo parleremo di questi ultimi che sembrano i più adatti per effettuare indagini e controlli di massa.

Cosa sono
L a vibrazione di alcuni cristalli particolari provocata da impulsi di varia frequenza, emette echi ultrasonici che vengono diretti, dopo alcune modifiche, verso i tessuti. È una metodica nata dagli sviluppi della applicazione dei Sonar durante la Seconda Guerra Mondiale per la ricerca di sottomarini o, più recentemente, di banchi di pesci.
Si sfrutta in pratica la capacità di certe sostanze di trasformare un impulso elettrico in energia meccanica vibratoria, generando così delle onde ultrasoniche che, incontrando vari ostacoli (per es. pelle, vescica, utero ecc.), si riflettono con intensità varia a seconda delle densità incontrate: più è consistente l’ostacolo, maggiore è l’eco di ritorno alla sonda indagatrice; esso viene trasformato in impulso luminoso su un video e letto immediatamente dal medico operatore. Così il feto compare sul monitor, come una volta il sommergibile sugli schermi delle navi nemiche.
Esistono vari tipi di apparecchi ad ultrasuoni che lavorano con tecniche diverse il cui elenco certamente non è importante in questa sede, anche se è interessante ricordare che vi è la possibilità di potere interpretare l’immagine in tempo reale, cioè non come una foto statica, ma come un film in movimento.

Tecnica dell’esame
L ‘esame in sè è molto semplice: in genere la donna viene messa supina sopra un lettino posto a fianco della macchina ad ultrasuoni; l’addome viene cosparso con una sostanza gelatinosa per fare aderire meglio la sonda indagatrice che viene direttamente appoggiata e guidata manualmente; essa è collegata con un cavo ad un monitor vicino.
L’unica preparazione che per un esame ostetrico si richiede alla donna, è presentarsi con la vescica molto piena. Questo serve sia per allontanare dal campo interessato anse intestinali (l’aria è il principale nemico degli ultrasuoni), sia per rendere meglio riconoscibili le strutture anatomiche, per esempio in caso di placenta con una inserzione nell’utero molto bassa. In genere per avere un buon riempimento basta consigliare alla donna di bere molto la sera precedente l’esame cercando di non orinare più.

A cosa serve
La sua utilità può essere rias­sunta in alcuni punti:
1) confermare malattie fetali, sospettate durante la visita e con le analisi in epoca pre­concezionale;
2) scoprire una situazione di rischio pre-natale sfuggita precedentemente;
3) valutare un rischio insorto in una coppia considerata «non a rischio» ;
4) escludere che masse pelviche scoperte alla visita siano di pertinenza ostetrica;
5) controllare e monitorare nel tempo l’andamento della gravidanza;
6) controllare e valutare una sofferenza fetale cronica, per esempio scoprire un ritardato accrescimento intrauterino;
7) determinare con una certa precisione l’epoca effettiva di gravidanza.

Vantaggi
Sono numerosi grazie proprio al mezzo che si usa per l’indagine:
1) nessun rischio fetale dato che non si tratta di radiazioni ed una ripetizione dell’esame può essere fatta senza alcun problema;
2) nessun rischio nemmeno per la gestante che inoltre non necessita per un esame ostetrico di alcuna preparazione specifica: nè mezzi di contrasto per bocca o endovena, nè clisteri di pulizia, soltanto la vescica piena;
3) il risultato dell’esame è immediato e lo si può fotografare potendo ricorrervi come confronto negli esami successivi e controllare con precisione la variazione dei parametri presi in considerazione, per esempio il grado di accrescimento del feto rispetto all’età gestazionale;
4) facilità di attuazione dell’esame che se per il medico può offrire talvolta determinati problemi di lettura e interpretazione delle immagini, per la donna è certamente di minimo impegno.
Appliicazione pratica
Perchè l’esame abbia poi praticamente l’utilità ed i vantaggi prospettati, occorre ripeterlo più volte nel tempo per esempio alla 10a-11settimana, intorno poi alla 21a-22settimana e verso la 32a settimana.
Si potrebbe così porre diagnosi:
- di gravidanza
- di gravidanza multipla (gemelli)
- di aborto (se la morte avviene entro il 180° giorno di gestazione)
- di morte intrauterina (se avviene dopo il 180° giorno)
- di mola vescicolare (malattia degenerativa dei villi placentari)
- di malattie del liquido amniotico, per es. presenza di scarso liquido (oligoidramnios) o troppo abbondante (polidramnios)
-di malattie ginecologiche in gravidanza, per esempio di cisti ovarica, di fibroma uterino
- di alcune malformazioni fetali, per esempio mancata formazione di arti o organi, la presenza di ernie diaframmatiche, la presenza di malformazioni della colonna vertebrale o della testa e così via
- di impianto normale o patologico della placenta; questo dato è importante sia per scegliere le modalità del parto in caso di impianto basso («previo»), se per via naturale vaginale o con taglio cesareo, sia per evitare di danneggiarla durante l’esecuzione di una amniocentesi (puntura con aspirazione di liquido amniotico)
- distacco della placenta dall’utero, parziale o completo, in caso di una sofferenza fetale acuta o senza sintomatologia apparente
- di sesso, quando ciò è possibile
- di accrescimento fetale normale
- di presentazione fetale, cioè se podalico o cefalico
Tutto ciò può essere individuato; con poche sedute che in linea di massima non durano più di circa mezz’ora.
Tuttavia le indicazioni più frequentemente richieste sono i controlli dell’accrescimento fetale nell’ambiente uterino materno e gli indici più obbiettivi e precisi sono:
a) diametro biparietale della testa fetale;
b) diametro toracico trasverso nel suo punto massimo, circa alla altezza dello sbocco della vena ombelicale;
c) superficie dell’area toracica;
d) presenza del battito cardiaco fetale, sua visualizzazione e valutazione della frequenza mediante metodica «in tempo reale»;
e) eventuale diagnosi di sesso ricercando il sacco scrotale.
Con un buon apparecchio, un buon medico esperto e un po’ di … fortuna, si possono individuare vari elementi fin da poche settimane di gestazione:
- circa dalla 6a settimana presenza di una o più camere ovulari nell’utero;
- circa dalla 6a-7settimana presenza di un battito cardiaco fetale, anche se lo si vede costantemente solo verso la 10a 11settimana;
- circa dalla 8a-9a settimana dimostrazione di qualche movimento fetale ed inizio della misurazione del sacco ovulare;
- circa dalla 11a settimana si può iniziare a misurare la lunghezza tra vertice e sacro fetale;
- circa dalla 12a-13a settimana inizio della valutazione e misurazione del diametro biparietale della testa fetale;
- circa dalla 15settimana si può già visualizzare la colonna vertebrale;
- circa dalla 16settimana si può misurare lo spessore della placenta;
- circa dalla 16a-17a settimana si possono individuare già alcune delle malformazioni fetali;
- circa dalla 28a settimana si può fare la diagnosi di sesso.

Considerazioni conclusive
.Di fronte a simili possibilità, è chiaro che l’uso sistematico degli ultrasuoni può diventare uno dei principali metodi di controllo della gravidanza, naturalmente oltre ai classici parametri già considerati (dosaggi dell’HCG, dell’estriolo, dell’HPL ecc.).
La possibilità diretta da parte della donna, e ancor meglio della coppia, di potere osservare immediatamente durante l’esame e personalmente lo propria gravidanza, anche se sempre sotto l’interpretazione del medico operatore, può essere uno dei momenti fondamentali nel processo di scoperta e di investimento emozionale del nascituro da parte dei futuri genitori.
Nessuna donna può essere insensibile alla visione di un cuoricino che batte o di un braccino che si muove verso la bocca di un essere vivente da lei voluto e portato in grembo per nove mesi. Questi movimenti si apprezzano molto bene specie con gli apparecchi in «tempo reale», che forse meglio degli altri danno l’idea del movimento e quindi della vita.
Perchè dunque non donare alla donna un momento di felicità in più, visto che costa poco procurarglielo?
Certamente in questo modo sarebbero sempre meno avvertiti quei sentimenti di segreto opprimente, di tormentosa speranza di come sarà il nascituro, spesso presenti durante la gestazione.
Finalmente dunque un esame completamente vissuto dalla donna che vivrà così la gravidanza certamente più tranquilla e serena.

Dott. Riccardo Tripodi
Dott. Felice Repetti
Ginecologi
Pubblicazione Maggio 82 (n.3)

LE INFEZIONI VAGINALI: PROBLEMA DA NON SOTTOVALUTARE

Nell’ambito dell’apparato genitale interno femminile, la vagina rappresenta certamente il tratto anatomico in cui più facile è l’instaurarsi di un processo infiammatorio e/o infettivo, e «vaginiti» vengono definiti questi processi.
Nell’ambiente vaginale sono presenti, in una sorta di reciproco equilibrio ecologico, molti microorganismi che nel complesso costituiscono la flora vaginale normale: stafilococchi, streptococchi, lactobacilli, micobatteri ed altri ancora che di regola non sono patogeni e che soltanto in determinati casi possono diventarlo. Accanto a questi appena descritti, vi possono essere altri microorganismi decisamente patogeni quali protozoi (Trichomonas vaginalis), miceti (Candida), batteri anaerobi ed aerobi, gonococchi, virus ed altri di importanza leggermente minore.
Prima però di passare a descrivere qualcuno di questi quadri patologici, occorre premettere qualche considerazione fisiopatologica. La vagina possiede una notevole capacità difensiva che si basa sulla acidità dell’ambiente vaginale e sulla presenza in esso del cosiddetto bacillo vaginale di Döderlein. Infatti l’epitelio vaginale contiene un materiale di riserva.- il glicogeno – che ad opera del bacillo di Döderlein si trasforma in acido lattico: quest’ultimo conferisce alla vagina l’acidità caratteristica (il ph infatti è compreso fra 3.5 e 4.7). Se pensiamo poi che la produzione ed il contenuto in glicogeno dell’epitelio vaginale dipende da un normale tasso di estrogeni, si può comprendere dunque perché nella bambina prima della pubertà, nella donna in epoca post-menopausale ed in genere in tutte le condizioni in cui esista una carenza estrogenica, sono più frequenti le affezioni vaginali.
Perciò che riguarda poi il mezzo tramite il quale tali processi si diffondono, bisogna ricordare che esistono tre tipi di condizioni favorenti:
a ) il contagio sessuale;
b) qualsiasi condizione che abbassi i naturali poteri di difesa della vagina e che abbiamo già descritto;
c) situazioni ostetriche particolari quali parto e aborto.
Considerare accuratamente le caratteristiche cliniche di tutti i possibili quadri di vaginite richiederebbe una trattazione assai più ampia dello spazio offertoci dalla presente rivista e forse si trasformerebbe in un discorso un po’ troppo specialistico col rischio di annoiare qualcuno dei lettori. Ritengo pertanto più opportuno prendere in considerazione soltanto gli aspetti di più vivo interesse.
Senza dubbio tra le forme più note di vaginite sono quelle protozoiche e quelle micotiche. Le prime sono provocate da un protozoo – Trichomonas vaginalis – che può colonizzare anche l’uretra (naturalmente anche quella maschile), la vescica e le ghiandole del Bartolino. Questa vaginite è caratterizzata da un essudato abbondante biancastro o bianco-grigiastro, schiumoso, spesso maleodorante; le mucose appaiono arrossate ed edematose interessando talora anche il collo dell’utero che nell’espressione clinica più tipica presenta un caratteristico aspetto «a fragola», cioé punteggiato. Soggettivamente la paziente riferisce prurito vulvo-vaginale e talora anale, bruciore e spesso dolore risvegliato in genere dal rapporto sessuale. La diagnosi è semplice e sicura al microscopio ottico. Per ciò che riguarda la terapia bisogna ricordare che la vaginite da Trichomonas è una classica malattia di coppia e pertanto il trattamento farmacologico (locale e generale a base di prodotti derivati dell’imidazolo) deve essere esteso necessariamente anche al partner maschile.
Per ciò che concerne invece le vaginiti micotiche, queste sono provocate da varie specie di un fungo del genere Candida di cui la Candida albicans rappresenta l’agente patogeno specifico nel 98% dei casi. Va subito detto che negli ultimi decenni si è verificato un sensibile aumento di queste vaginiti tanto da superare in frequenza le forme da Trichomonas. Il quadro clinico è dato da un essudato bianco, con aspetto di latte cagliato o di ricotta; le mucose appaiono edematose ed arrossate, talvolta ricoperte da piccole chiazze biancastre. Soggettivamente esiste prurito, bruciore e spesso dolore esacerbato dal rapporto sessuale. Il trattamento, che specie nelle forme recidivanti dovrebbe essere esteso anche al partner, consiste nell’uso soprattutto topico di derivati dell’imidazolo.
Vorrei ancora ricordare che accanto a forme molto diffuse come quelle descritte e quelle batteriche aspecifiche, esistono forme meno frequenti ma la cui importanza è andata aumentando in questi ultimi tempi; e ciò sembra essere legato principalmente alla, maggiore diffusione e precocità dei rapporti sessuali, dal momento che alla liberalizzazione dei costumi non è corrisposta un’adeguata e preventiva educazione sanitaria. Si tratta di vaginiti herpetiche (provocate dall’herpes virus genitale HSV2); vaginiti da Chlamydie e da Mycoplasmi (che si stanno configurando anch’esse, specie le prime, come affezioni veneree di coppia); vaginiti da gonococco (l’agente causale della blenorragia sia nel maschio che nella femmina, un tempo diffusissimo, poi pressoché scomparso  ed oggi nuovamente in ripresa).
Vorrei infine accennare brevemente alle infezioni vaginali che si possono osservare in età pediatrica e in età senile o comunque post-menopausale. Per ciò che riguarda le bambine in età prepubere va detto che oltre alla ridotta produzione estrogenica cui abbiamo già accennato, lo scarso sviluppo delÌe piccole e grandi labbra che hanno una funzione protettiva e la mancanza di acidità nell’ambiente vaginale per l’assenza di glicogeno a livello epiteliale e del bacillo di Döderlein, costituiscono altrettanti fattori predisponenti alle infezioni vaginali.
Queste ultime sono rappresentate soprattutto da forme batteriche e meno frequentemente da forme micotiche, protozoiche, gonococciche e da ossiuri. Una condizione fisiopatologica analoga la si ritrova nelle donne in epoca post-menopausale, dove la consueta terapia specifica dev’essere integrata dalla somministrazione di estrogeni allo scopo di, ricreare un ambiente vaginale il più simile possibile a quello della donna in età fertile.
Vorrei terminare ricordando che l’uso indiscriminato di terapie locali quali irrigazioni vaginali, ovuli, candelette ecc. senza una precisa e giustificata indicazione medica, deve essere assolutamente prescritto, in quanto si rischia di alterare, talora profondamente, quel delicato equilibrio, biologico che regola la vita della normale flora vaginale. Ha senso invece sottoporsi a periodici controlli ginecologici, ricordando che ‘l’intervento del medico non si esprime e non si conclude soltanto nel momento farmacologico.

Dott. Sandro Viglino
Ginecologo
Pubblicazione Giugno 1982 ( n. 4)

VITAMINE, SALI MINERALI E ABORTO

Le variabili prese in considerazione includevano fattori individuali, sociali e nutrizionali, così come lo stile di vita, le malattie e l’assunzione di farmaci, specialmente durante i primi tre mesi di gravidanza. I preparati vitaminici e quelli a base di sali minerali venivano solitamente presi come misura profilattica generale: i primi, nella maggior parte dei casi, contenevano vitamine A, B e C, ferro e talvolta calcio, mentre nei secondi erano presenti calcio, sodio, potassio, magnesio e vitamine.

Risultati dello studio

Delle circa 15.000 gravidanze registrate nello studio, venne analizzato un campione di 7.870. Come era previsto, le perdite ematiche risultarono chiaramente associate al rischio di aborto precoce, mentre con sorpresa fu osservato che nausea e vomito non lo erano. Una sorpresa ancora più grande fu il riscontro che donne, specialmente con perdite ematiche e in qualche misura anche quelle con nausea e vomito, che avevano assunto preparati vitaminici e a base di sali minerali, risultavano avere solo la metà delle probabilità di andare incontro ad aborto precoce rispetto a quelle che non avevano assunto questi preparati. La correlazione persisteva anche dopo la correzione statistica che teneva conto dei fattori che avevano potuto influenzare questo risultato.

Incidenza di aborto spontaneo precoce in donne con perdite ematiche, nausea e vomito dopo assunzione di preparai vitaminici e a base di sali minerali.

 

 

Numero di donne

Aborti effettivi

Aborti attesi

numero

%

numero

%

Preparati vitaminici (+ sali minerali)

220

12

5,5

28,3

12,9

Preparati a base di sali mionerali (+ vitamine)

117

7

6

14,4

12,3

 

ISTITUTO DELLE VITAMINE
20090 Segrate – T. 02-2164.1
UFFICIO STAMPA
20122 Mi/ano -  T. 02-879687/671
Pubblicazione Maggio 1987

LA PSICOPROFILASSI OSTRETRICA

Per mezzo della psicoprofilassi ostretrica si intende dare alla donna gravida: 

1 ) una adeguata preparazione fisica e psichica di modo che la donna assecondi i vari tempi e fenomeni del parto nel modo più corretto;
2) un sano orientamento psicologico e morale nei riguardi della gravidanza, della maternità, e del futuro del bambino;
3) un’esatta conoscenza di quei fenomeni di cui essa è protagonista, cancellando dalla sua mente eventuali pregiudizi e superstizioni.
Da questa preparazione la donna può quindi ottenere i seguenti vantaggi:
- una condizione di fiducia in sè stessa, di serenità di fronte al parto;
- uno svolgimento più facile del parto stesso con vantaggio per il bambino;
- una attenuazione e, in qualche caso, l’abolizione del dolore.

Preparazione al parto: Metodi
I metodi di preparazione al parto sono fondamentalmente quattro, ai quali si possono associare, poi, metodi misti;
l) l’ipnosi;
2) il training autogeno di Schultz;
3) il parto naturale di Read;
4) il metodo sovietico o M.P.P.
Di questi quattro, la tecnica d’elezione per prepararsi al parto, la più seguita e sperimentata, resta il training autogeno e il suo diretto derivato, il training autogeno respiratorio (RA T).
Inoltre, il training autogeno ha una diffusione in moltissimi centri e reparti d’ostetricia su tutto il territorio nazionale, a differenza dei rimanenti metodi, che, pur essendo riconosciuti validi in quasi tutto il mondo, vengono scarsamente e quasi mai utilizzati o proposti. Ecco perchè dopo un rapido e speriamo esemplificativo excursus su di essi, ci soffermeremo in particolar modo sul training autogeno come tecnica principale.

L’ipnosi
Il metodo per ipnosi è il più vecchio ed entra ufficialmente nella ostetricia nei primi decenni dell’800. E’ considerato il precorrittore di tutti i metodi moderni di preparazione al parto. Il metodo consiste in una realizzazione di uno stato di trance ipnoidale da parte del medico sulla gestante, poi viene effettuato un condizionamento della gestante stessa con uso di suggestioni. Le suggestioni dovrebbero penetrare e integrarsi nella psiche della donna molto più facilmente che allo stato di veglia. Verrebbe, per così dire, «elaborata» la personalità del soggetto.

Il parto naturale di Read
Anche l’M.P.P. si basa su quattro momenti fondamentali, simili, ma non uguali
per impostazione teorica al metodo di Read. Essi sono: azione pedagogica con corsi di insegnamento di anatomia dell’apparato genitale femminile, sulla fisiologia della riproduzione e del parto e sulla attività nervosa superiore, seguiranno poi le lezioni volte ad un giusto apprendimento della respirazione, del rilassamento, della ginnastica.

Training autogeno
Veniamo ora a considerare il training autogeno in tutti i suoi aspetti. Diversamente dagli altri metodi il training autogeno, pur utilizzando in massima parte il rilassamento è una tecnica «autogena», cioè che si genera da sè attraverso un progressivo allenamento mentale (training). Allenamento che, attraverso sei esercizi standard, la pesantezza, il calore, il cuore, il respiro, il plesso solare, la fronte fresca, dovrebbe far sorgere spontaneamente nel soggetto un più determinato autocontrollo, una maggiore capacità d’introspezione e una maggiore coscienza di sè. L’innumerevole casistica clinica sul training autogeno, oltre 500 mila casi, ha rilevato anche effetti del tipo di recupero di energie psicofisiche, di smorzamento della reattività emotiva e di potenziamento delle capacità mnemoniche.
E’ da notare il fatto che il training autogeno viene sistematicamente usato in forma di psicoterapia per tutti i disturbi ansiosi e psicosomatici, poichè esso insegna a controllare il proprio corpo e anche quelle funzioni di esso che abbiamo sempre creduto, erroneamente, essere di dominio esclusivo del sistema nervoso autonomo; involontarie, quindi, come il tono muscolare, il respiro, il cuore e in generale l’ansia, la paura, l’emozione.

Ora, alcuni consigli utili tratti dall’esperienza sulla psicoprofilassi al parto dei maggiori ricercatori in questo campo (Schultz, Luthe, Prill, Sbriglio etc):
a) i corsi affollati, con gruppi di oltre 20 gestanti, danno risultati poco fruttuosi, specie se condotti da una sola persona;
b) non è possibile seguire contemporaneamente più di 15 gestanti, considerato che già alcune di queste sfuggiranno al controllo del rilasciamento dei muscoli massetteri e del cingolo scapolare;
c) in gruppo diventa meno efficace l’allenamento al parto simulato, diventa così impossibile fare una previsione, per tutte le gravide, circa la riuscita del metodo durante il travaglio di parto;
d) i corsi devono esclusivamente essere affidati a medici competenti o a psicologi clinici (vedere per es. l’articolo 93 del codice medico deontologico dell’Ordine dei medici di Torino, anno 1978).

Francesco Giacomazzi
Psicologo clinico
Pubblicazione Giugno 1984

VAGINITI

Esistono meccanismi biologici di protezione locale che agiscono come una barriera di fronte a germi patogeni che è importante cercare di mantenere nel miglior modo possibile e che, così come per l’intestino, sono dovuti anche alla presenza di alcuni bacilli necessari, detti saprofiti e non patogeni.
Il concetto di “ambiente vaginale” veniva preso in considerazione già da Ippocrate il quale per primo esprimava il concetto di interdipendenza di numerosi fenomeni biologici presenti nella vagina esprimendosi inoltre anche con una scrupolosa descrizione del tipo di alcune perdite vaginali dandone anche alcune caratteristiche organolettiche e proponendo alcune terapie da eseguire con l’uso di una “cannula a punta liscia da introdurre nell’ interno della stessa alla cui sommità occorreva fare alcuni piccoli forellini, mentre alla restante parte esterna, andava applicata una vescica secca di animale ripiena di liquido da iniettare; la cannula andava inserita in vagina spingendo la cannula fino in fondo a comprimere la vescica”.
C’erano già non solo i problemi delle perdite vaginali, ma anche chi si era preso l’incarico di darne una illuminata e rigorosa descrizione diagnostica e terapeutica, aggiungendo una serie di preparati a base di erbe, in grado di apportare miglioramenti.
Come si vede esisteva già il tentativo di allestire una irrigazione interna persino del tipo simile a quelle monouso presenti oggi in commercio: non solo, ma vi erano vari trattati riguardanti il tipo di “liquidi” da usare. Ebbene si andava dal “papavero bianco in brodo di semi di ortica” o dalle “foglie di melo grano dolce con galla in vino astringente” ai “pessari di mirra, iride, cipero e zafferano” o alle più imbarazzanti preparazioni a base di “miscela di teste di vermi, allume di Egitto ed annessi fetali”.
Dati anatomici precisi si possono trovare poi nelle opere di Sorano d’Efeso circa nel II secolo d.C. e, quattro secoli dopo, nei trattati per le ostetriche di Muscione (“Gynecia”) ove si suggerivano anche alcuni altri trattamenti topici: “potrai immettere in vagina con la macchina del clistere aceto annacquato o acqua di mirto, lentisco, gelso selvatico, buccia di pomogranato e foglie di salice, oppure potrai mettere dei pessari di lana imbevuta con succo di piantaggine, cicoria, uva lupina o succo di uva acerba”. Nei secoli veniva poi intuita la capacità di assorbimento della mucosa vaginale: Giovanni Mariniello (XVI sec) proponeva forse il primo test di sterilità di coppia basato su un esame certamente meno impegnativo di quelli di oggi:” introdurre uno spicco di aglio nella vagina: se poi la donna puzza di aglio dal naso, non è sterile..”.
Via via nei secoli le cose assumono un aspetto meno empirico, per giungere al settecento dove, con Morgagni, si aveva una prima distinzione del tipo di “fluor” vaginale con specifico trattamento terapeutico: per esempio veniva consigliato di “prendere le radici delle rose bianche, immergerle in un decotto di vino e berlo per alcuni giorni ” o, come in Svizzera, in cui le contadine consigliavano di mangiare” salsicce bianche e gigli bianchi bolliti in acqua”.
Esistono ancora famose annotazioni scientifiche ( .. ) secondo le quali la leucorrea era più frequente nelle donne pingui ed in quelle consumatrici di caffelatte (mentre se assunti separati, caffè e latte non producevano alcun effetto !)
Con l’ottocento si arriva alle scoperte batteriologiche ed istologiche con introduzione di alcuni concetti riguardanti certe “improprietà nel vestire” per cui “sotto le gonnelle passa una aria ghiaccia e dal terreno bagnato si sollevano umidi vapori con conseguenze che nelle più delicate parti del corpo vengono soggette a raffreddamenti certamente poco giovevoli per la igiene sessuale”. Tuttavia venivano proposti trattamenti ancora molto empirici quali “iniezioni in vagina di vapori di acido carbonico o di cloroformio, di balsami a base di china o di segaI a cornuta”.

FLORA BATTERICA VAGINALE
Nella vagina esiste un ecosistema composito in equilibrio tra i vari fattori che lo costituiscono e la cui presenza o alterazione è la principale causa di protezione, resistenza ai germi patogeni.
Esso viene creato dalla presenza di alcuni germi NON patogeni, cioè non in grado di produrre uno stato di malattia ma che vivono da saprofiti nella vagina e di cui il più importante è proprio in b. di Doderlein, e da uno stato ormonale fisiologicamente normale.

 

La vagina presenta una notevole capacità di difesa basata su:

- spessore e struttura dell’epitelio di rivestimento
- elevata acidità (pH 3 – 4,7)
- presenza del b: di Doderlein e dell’insieme dell’ecosistema qualitativamente e quantitivamente integro.
- presenza di stato ormonale fisiologicamente normale.

La presenza degli estrogeni infatti è fondamentale non solo per lo spessore dell’epitelio di rivestimento ma anche nel mantenere il grado di acidità ottimale: la loro presenza induce accumulo locale di glicogeno il quale viene poi metabolizzato dal lactobacillo di Doderlein con produzione con formazione di acido lattico
La flora batterica deve quindi essere considerata una entità dinamica i cui elementi principali vanno protetti e curati (terapie ormonali, terapie topiche con farmaci).

 

 

Le flogosi possono insorgere per:

-contagio sessuale diretto spesso con partners portatori asintomatici del germe
-per interventi praticati ( parti, aborti, esami diagnostici, terapie distruttive di lesioni cervicali uterine)
-per trasmissione attraverso elementi o soggetti ambientali
-per condizioni biologiche o ormonali particolari.

 

 

Le flogosi possono essere favorite da:

-presenza di altre patologie infettive locali
- terapie antibiotiche
-stati o terapie immuno-soppressive
-carenze ormonali fisiologiche o patologiche
-presenza di dispositivi intrauterini
-terapie locali non eseguite correttamente
-eccessivo uso di lavande interne o saponi esterni, tendenti a provocare riduzione dell’acidità vaginale con effetto tampone sull’ acido lattico prodotto. -scarsa igiene personale

 

VAGINITE da TRICHOMONAS
AGENTE INFESTANTE
Protozoo unicellulare
-riconoscibile nelle preparazioni su vetrino umido (aggiungendo cioè una semplice goccia di soluzione fisiologica al vetrino, si possono osservare i protozoi al microscopio)
-favorito dall’ ambiente vaginale poco acido, (quasi neutro, intorno a pH 4,9 – 7,5)
-diffusissimo ed isolabile spesso in persone assolutamente asintomatiche
EPIDIEMOLOGIA
- Frequente nelle persone con partners multipli, condizioni basse socio­economiche, scarsa igiene personale.
- A trasmissione prevalentemente sessuale diretta, anche se è ammesso il passaggio veicolato da alcuni agenti: asciugamani, acque di piscine anche se dorate, serbatoi di acque calde, bagni inquinati)
Il 90% dei partners delle donne infette pur essendo asintomatico, presenta il protozoo nella parte terminale dell’uretra ed il 40% nel liquido prostatico.
- Occorre una forte carica protozoaria affinchè avvenga il contagio.
- I protozoi presenti nell’uomo portatore sono in genere pochi e deboli.
- E’ possibile la reinfezione endogena da parte di Trichomonas che albergano nelle ghiandole parauretrali di Skene e nell’uretra (ciò avviene prevalentemente quando non si esegue anche una terapia per via generale)
- E’ spesso associata ad altre malattie sessuali.
FATTORI FAVORENTI
Tutte le condizioni di diminuita acidità vaginale: perdite mestruali,eccessive irrigazioni, secrezioni di lesioni cervicali, l’eccesso di muco cervicale, le infezioni da Gardnerella vaginlis (v. scheda) e, secondo alcuni, anche la stessa alcalinità dello sperma se trattenuto in loco per oltre 6- 8 ore.
CLINICA
Esiste in forma
ACUTA
CRONICA RECIDlVANTE
ASINTOMATICA
LEUCORREA profusa, giallo-verdastra, più raramente grigiastra spesso maleodorante, in genere di consistenza acquosa-schiumosa.
SINTOMI
- bruciore e dispareunia (rapporti sessuali dolorosi).
- meno frequentemente prurito, eritema e/o gonfiore della vulva, della vagina con comparsa di piccole punteggiature rossastre (petecchie) con aspetto tipico cosiddetto “a fragola”
- diffusione per contiguità alla vulva, cervice, uretra e vescica
- nelle forme croniche possono essere presenti solo la leucorrea, il tipico pH elevato, e l’odore fastidioso
- frequente è la presenza associata della Gardnerella vaginalis da cui spesso è difficile distinguerla: tuttavia la farmacologia in questi casi ci aiuta in quanto per entrambi vale lo stesso tipo di terapia farmacologica.
TERAPIA
Occorre che entrambi i partners eseguano scrupolosamente la terapia, sia locale che per via generale: pena la recidiva della sintomatologia.
Nella donna occore ripristinare la acità vaginale con l’uso di irrgazioni interne a carattere acido.

VAGINITE MICOTICA
AGENTE INFESTANTE
- Monilia Candida Alhicans (88%)
- Candida Glahrata (10%)
(sono funghi del gruppo dei lieviti)
- riconoscihile anche a fresco (dopo stesura su vetrino del preparato cui va aggiunta una goccia di idrossido di potassio al /0-20%) con osservazione diretta degli aspetti tipici delle sue due forme: sporulata o filamentosa (ife)
-si sviluppa in ambiente vaginale acido (pH 3,3 – 4,7) quindi con concomitante presenza del bacillo di Doderlein.
EPIDEMIOLOGIA
- diffusissima, spesso con portatori asintomatici
- è in parte ancora sconosciuto il motivo per cui improvvisamente da elementi saprofiti, diventino sintomatici con sviluppo di sintomi tipici (la sintomatologia si presenta infatti solo nel 30% dei casi in cui viene ritrovata durante l’esame dei secreti)
- frequentissima la recidiva, dovuta probabilmente a
- persistenza della Candida nell’ intestino (vero serbatoio)
- localizzazione intraepiteliale delle cellule vaginali
- localizzazione nell’ uretra, nelle ghiandole di Skene
- spore particolarmente resistenti
- frequente infezione a ping-pong tra i
partners
- trasmissione prevalentemente ses­suale ma è ammesso il passaggio tra­mite altri veicoli (come per il trichomonas ).
- nell’uomo è prevalentemente solo saprofita
SINTOMI
- perdite tipiche
- prurito con edema vulvare
- talvolta bruciore nella minzione
- dolore con i rapporti sessuali
- se prevale il bruciore, l’agente eziologico è la Candida Glabrata
- possibile effetto sinergico (cioè potenziamento dei sintomi) se
associata allo Stafilococcus Aureus.
FATTORI FAVORENTI
- contracccttivi estro
- progestinici
- gravidanza
- presenza di dispositivi intrauterini
- terapia con antibiotici e cortisonici
- diabete mellito
- uso eccessivo di lassativi o ammorbidenti fecali”
- dieta ricca di edulcoranti artificiali,
o ricca in latticini e carboidrati
- scorretta detersione del perinco (detersione erronea dal dietro in avanti, veicolando possibili agenti dall’ano verso la vagina)
CLINICA
- forma acuta
- forma cronica recidivante
- forma asintomatica
- Ieucorrea molto densa, tipo latte cagl iato che spesso aderisce alle pareti vaginali, arrossate e edematose. Priva di odore assume spesso l’aspetto quasi di placche biancastre che si possono reperire anche nelle mutandine.
TERAPIA
una corretta terapia dovrebbe com­prendere vari prodotti locali:
- ovuli intravaginali
- polvere aspersoria per le zone pilifere
- latte detergente
- schiuma detergente
- lavande medicate a base di sostanze antimicotiche
- trattamento necessario anche del partner con i prodotti sopra riportati
- violetto di genziana in soluzione all’ 1 % è in grado di recare sollievo ai sintomi che spesso sono di carattere urente
- necessità di disinfestare sia il serbatoio intestinale sia le varie microlocalizzazioni alternative nelle quali può persistere la Candida (v. sopra)
- occorre persistere nella terapia per un minimo di 10 giorni; ripetendola magari per alcuni periodi, anche se in assenza di sintomi
- sarebbe opportuno talvolta iniziare la terapia alcuni giorni prima delle mestruazioni, per continuarla quando sono ancora presenti tracce ematiche
- esistono vari schemi terapeutici sia per bocca che localmente mediate uso anche di prodotti deposito cioè a lenta dimissione del farmaco.
Si raccomanda in genere un precoce ricorso al proprio ginecologo per la scelta delle terapie opportune, anche se spesso la recidiva della malattia non dipende nè da una terapia tardiva nè inadeguata.

VAGINITE da GARDNERELLA VAGINALIS
Haemophylus
AGENTE INFESTANTE
- piccolo batterio scoperto da Gardner e Dukes nel 1955
- tende ad innalzare lievemente il ph vaginale
EPIDEMIOLOG lA
-presente nel 20% delle donne con atti­vità sessuale
- contagio sessuale ma anche con indu­menti, servizi igienici e asciugamani – recidiva frequentissima anche per as­soluta asintomatologia nell’uomo
SINTOMI
- nessuno specifico particolare: solo un odore forte delle perdite bianco-grigiastre
- raramente bruciore (per frequente associazione con Trichomonas) e/o prurito
DIAGNOSI
- perdite maleodoranti
- assenza sintomatologia
- tipico reperto nello striscio visionato “a fresco” di cellule con un aspetto caratteristico (detto due cells).
TERAPIA
- terapia antibiotica locale e generale (tetracidine, ampicilline, metronidazolo), sfruttando molecole ad azione terapeutica anche sul Trichomonas.

VAGINITE DA GONOCOCCO
AGENTE INFESTANTE
E’ la cosidetta “Blenorragia” o “gonorrea”
- raramente colpisce la vagina, ma più frequentemente la ghiandola del Bartolini, l’uretra e le sue ghiandole (ghiandole Skene), la cervice e specialmente le tube.
- è sostenuta da un batterio scoperto nel 1879 detto “Neisseria gonorrheae” molto sensibile in quanto è ucciso dal calore o dal freddo e la semplice acidità vaginale è in grado di distruggerlo; talvolta in condizioni di alterazioni della vagina, esso tende a “scappare” e a rifugiarsi nelle ghiandole di Bartolini o verso l’alto, nell’uretra, nella cervice fino ad arrivare nelle tube, provocando la grave “salpingite acuta” con febbre e sintomatologia generale
EPIDEMIOLOGIA
- talvolta riscontrabile nelle bambine e nelle donne in post-menopausa (condizioni di assenza degli estrogeni ­assenza di glicogeno -alterazioni della acidità vaginale;
- contagio nell’adulto: contagio diretto per via sessuale proveniente dall’uretra maschile:
la labilità del germe non consente altro tipo di contagio.
SINTOMI
- incubazione 2-7 giorni con comparsa di bruciori e dolori alla minzione con osservazione di eventuale perdita di aspetto purulento proveniente dall’uretra o dalle vicine ghiandole di Skene.
- !’infezione può risalire e giungere ad infettare le salpingi (=salpingite) nel 2-20% dei casi
- comunque raramente all’inizio si ha una sintomatologia eclatante come invece avviene nell’uomo (uretrite e/o epidimite acuta con leucorrea uretrale tipica).
TERAPIA
Antibiotici anche per bocca da usare precocemente (penicillina, amoxicillina, spectinomicina, talvolta anche associati a tetracicline e eritromicina per combattere la frequente concomitanza di infezione da Clamydia Trachematis), al fine di prevenire le terribili complicanze tubariche.

VULVOVAGINITI VIRALI
Da alcuni anni ormai i virus sono indagati a fondo poichè è emerso con certezza che sono considerati fattori importanti in grado di provocare alterazioni cellulari ad alto rischio di degenerazione maligna a livello del tratto genitale femminile.
Il loro riscontro, a livello vulvare, vaginale o perienale è importante, sia per evitare il contagio tra i partners, sia come sentinella di una possibile presenza del virus anche a livello della cervice uterina ove sarebbe in grado di intervenire come importante cofattore nella cancerogenesi locale.
I virus maggiormente responsabili sono:
H.P.V: Human Papilloma Virus o Virus dei papillomi umani
U.S.V: Herpes Simplex Virus tipo 2

Essi vivono a livello intracellulare, in cellule vive e nello spessore dell’ epitelio: quindi non entrano in competizione diretta con quei microrganismi responsabili della formazione e dell’ equilibrio dell’ecosistema vaginale.

H P V
comprende un vasto numero di piccoli virus a DNA in grado di indurre a livello dell’epitelio squamoso una proliferazione reattiva (verruche) e possono essere localizzati a livello vulvo- perineale (tipo HPV 6 e 11, a basso rischio oncogeno), cervicale (HPV 16-18-31, a alto rischio oncogeno) ed anche a livello cutaneo o orofaringeo (anch’essi a basso rischio).
CLINICA
Il virus, dopo una incubazione che varia da 1-2 a 9 mesi, infetta il nucleo delle cellule inducendone una rapida proliferazione per lo più di tipo papillare (Condiloma acuminato) a livello perineale e vulvo-vaginale; altre volte, specie a livello della cervice uterina, assume l’aspetto di un piccolo rilievo piano (condiloma piano) o con un piccolo nodulo che si approfonda (Condiloma invertito o endofitico).
Il Condiloma piano ed il Condiloma invertito sono lesioni visibili solo con l’uso del Colposcopio (v. Colposcopia D&T 8/90) mentre per le lesioni vulvari l’uso del colposcopio serve sostanzialmente per la conferma della diagnosi (vulvo-scopia).
Esiste anche per l’uomo la possibilità di diagnosticare queste piccole lesioni mediante l’applicazione del colposcopio (fallo o peno-scopia).
A livello vulvare e perineale queste lesioni possono rimanere invariate nel tempo; altre volte possono crescere e moltiplicarsi (condilomatosi multipla) e allargarsi (condiloma florido) o tendono a confluire o a formare microproIiferazioni (micropapilIomatosi) visihili solo al colposcopio.
EPIDEMIOLOGIA
Spesso si associano ad altre malattie (trichomonas, Gardnerella o HSV” e gonorrea).
- lesione tipica dell’ età fertile
- favorita dalle situazione di alterazione dello stato immunitario: gravidanza, farmaci ecc.
- contagio diretto con partner portatore di verruca non trattata.
RISCHIO ONCOGENO
E’ più alto per i virus HPV 16 e 18 a livello cervicale: il loro patrimonio genetico è stato riscontrato in quasi il 70% delle lesioni neoplastiche della cervice di grado elevato (CIN III) ed anche nel 40% di lesioni più gravi: il genoma del virus HPV 6 e 11 lo si può trovare nel 20% di lesioni meno gravi (CIN I e CIN II), è invece molto scarso per i virus HPV responsabili dei condilomi vulvari, perineali, cutanei o orofaringei.
SINTOMI
- spesso i condilomi si repertano casualmente durante una visita o sono scoperti dalla paziente stessa.
- spesso si associano ad altre infezioni per cui troviamo i sintomi derivanti da queste: leucorrea, bruciori, pruriti.
- di fronte ad un sintomo persistente nonostante una corretta terapia è utile eseguire una indagine vulvoscopica.
DIAGNOSI
- visualizzazione diretta del condiloma
- vulvoscopia (e colposcopia associata) e penoscopia
- ricerca di anticorpi specifici
TERAPIA
- vanno curati per evitare il contagio e non tanto per lo scarso rischio oncogeno, per altro presente solo per alcuni di essi
- importante valutare entrambi i partners
- esiste la possibilità di intervenire direttamente sulla lesione con applicazioni locali di soluzioni a base di podofillina o trattamenti a base di antivirali, compreso l’interferone con terapie locali (pomate) o generalizzare (iniezioni)
Infine esiste la possibilitì di recidere le lesioni verrucose con trattamenti di diatermo o crio-chirurgia o con il Laser a CO2.

H S V
Appartiene allo stesso gruppo dei virus responsabili deIl’Herpes Labiali (HSV I) e per il quale può esistere infezione crociata diretta, della Varicella Herpes Zooster, e comprendente anche il Cytomegalovirus, il virus di Epstein­Barr.
Entra nelle cellule vulvari epiteliali, si replica creando una globale disorganizzazione dell’ epitelio con flogosi acuta: si raccoglie il liquido sotto gli strati superficiali(= vescicola) ricchissimo di virus e molto infettante.
La flogosi provoca sia un interessamento dei linfonodi periferici sia una necrosi degli strati superficiali, con fuoriuscita del liquido.
Si formano così piccole ulcerazioni che tendono a confluire e a ricoprirsi di fibrina e che possono anche guarire spontaneamente. Il virus si ritira nei gangli sacrali, pronto a ripresentarsi con le stesse manifestazioni (=recidiva) anche se meno eclatanti. La presenza di vescicole erpetiche a livello vaginale è una delle indicazioni nelle donne gravide a partorire con taglio cesareo per evitare il contagio fetale (con gravi esiti) durante il passaggio del feto nel canale vaginale.
Ha una incubazione che varia (3-7 giorni) con comparsa di un edema con rossore dolente e rilevato: in 48 ore si forma la viscicola: una volta scoppiata, l’ulcera guarisce in 20-30 giorni mentre i sintomi soggettivi scompaiono in 10-12 giorni circa. Esistono una forma acuta, una sub-acuta ed una cronica-recidivante.
EPIDEMIOLOGIA
- lesione dell’ età fertile
- favorita dalle terapie antibiotiche prolungate, dallo stato di immuno­soppressione
- associata a infezioni di candida persistenti
- contagio per via sessuale diretta o trasposizione del virus proveniente da altre vescicole.
- possibile infezione crociata con virus dell’ herpes labialis (HSV1)
SINTOMI
Nella forma acuta compare dolore locale, linfoadenopatia inguinale, febbricola e malessere: persiste un dolore, limitato alla sede di lesione e bruciore; notevole è la dispareunia se è coinvolta l’uretra vi possono associare disturbi urinari. La sintomatologia delle recidive è meno impegnativa: come per HSV1 esse avvengono per varie situazioni (flogosi, shock, mestruazione, stress, esposizione al sole etc.)
RISCHIO ONCOGENO
Anch’esso sembra coinvolto nella cancerogenesi della cervice uterina: infatti in quasi il 90% dei carcinomi cervicali si reperiscono a titoli più o meno elevati, antigeni specifici per questo virus (mentre normalmente la positività nei tessuti normali non va oltre il 2%); inoltre la presenza di frammenti provenienti dal HSV di DNA o RNA all’interno del genoma della cellula tumorale, ha confermato questi sospetti.
Ugualmente, ma meno frequentemente sarebbe coinvolto nella cancerogenesi vulvare e vaginale.
DIAGNOSI
- sintomatologia e visualizzazione diretta delle vescicole:
- anamnesi di situazioni favorenti
- coltura del liquido delle vescicole con ricerca citologica di cellule caratteristiche
- ricerca degli anticorpi specifici.
TERAPIA
Si usano con vari risultati, farmaci per esempio antivirali o pomate da applicare più volte al giorno compreso l’uso di interferone intramuscolare e di immuno-modulatori, l’efficacia delle terapie migliora, quanto più precocemente viene iniziata, possibile è la eliminazione delle lesioni con il laser alla CO2.
PREVENZIONE DEL RISCHIO ONCOGENO
Una volta che viene posta diagnosi di lesione virale, va intrapreso un programma di monitoraggio molto semplice e che si collega in pratica al più ampio discorso sulla prevenzione dei tumori dell’apparato genitale femminile che da anni impegna la Sanità Pubblica e tutti i ginecologi. Esso si basa sui seguenti punti:
- va approfondita e estesa la ricerca anche a livello della cervice uterina, in quanto alcuni di questi virus, nel tempo possono produrre alterazioni nella crescita cellulare a rischio di degenerazione;
- va indagato anche il partner con un esame simile a quello cui si sottopone la donna;
- lo striscio colpocitologico a livello della cervice, è in grado, in assenza di altre indicazioni, di porre sospetto di lesione virale;
- la vulvo-scopia, la colpo-scopia e la peno-scopia, associate alla eventuale biopsia mirata, sono in grado di soddisfare completamente la necessità della prevenzione e consente di monitorare nel tempo la regressione della lesione dopo la terapia.

ENDOMETRIOSI 
Si tratta di una malattia con caratteristiche tanto particolari da distinguerla sia dalla patologia infiammatoria sia da quella neoplastica.
Essa è dovuta alla disseminazione di tessuto endometriale (cioè la parte di mucosa che ogni mese si costruisce o si sfalda ciclicamente e la cui normale sede è all’interno dell’utero) in sedi differenti da quella fisiologica.
Queste piccole isole di mucosa, pur in sede del tutto anomala, rimangono comunque sensibili agli effetti degli ormoni ovarici (estrogeni e progesterone) ed assumono microsco­picamente gli stessi aspetti della muco­sa uterina, compreso un micro­sanguinamento in epoca mestruale.
Si tratta quindi di una malattia dell’età fertile, rara nella pubertà e che regredisce con l’esaurimento della funzione dell’ ovaio (menopausa, castrazione chirurgica. etc.)
PATOGENESI
Vi sono alcune teorie che si basano su numerose ipotesi:
a) reflusso tubarico di sangue mestruale e successivo impianto di alcuni frustoli endometriali su nuovi tessuti;
b) presenza di piccole isole di cellule embrionali in vari organi, simili a quelle che concorrono a formare sotto l’influsso della stimolazione ciclica ormonale, l’apparato genitale interno femminile; queste cellule, conservando questa possibilità di evolvere e costruire tessuto endometriale, dopo il menarca inizierebbero la loro funzione in quei tessuti o organi ove sono rimaste isolate;
c) disseminazione linfatica. ematica;
d) disseminazione chirurgica
e) predisposizione genetica
f) alterazioni del sistema immunitario.
La si può trovare anche:
all’esterno dell’utero si trova con più frequenza:
- ovaio (80%)
- peritoneo del Douglas (lo spazio tra utero e retto)
- legamenti che sostengono l’utero
Ma si può reperire anche a livello delle tube, del retto, della vescica, del peritoneo che ricopre l’utero, nella vagina, nella cervice, nelle cicatrici laparotomiche etc. e persino in zone più distanti (pleura, polmone)
Si tratta comunque di una malattia che sembra in aumento; in circa 20-30% di donne sottoposte ad intervento di laparotomia per qualsiasi causa, si repertano piccoli noduli endometriosici e si accompagna spesso ad una storia anamnestica di dolori pelvici cronici, trattati con vario successo e con numerosi farmaci.
In pratica in questi piccoli isolotti di cellule endometriali, si crea un microciclo mestruale parallelo e con temporaneo a quello endometriale, con tanto di micro emoraggia; tale aspetto provoca una reazione del tessuto connettivo circostante che si organizza nel tentativo di “isolare” queste cellule con una intensa reazione fibroadesiva e creando aderenze tenaci con tutto ciò che sta intorno.
Queste piccole “cicatrici” nel tempo possono crescere trasformandosi in veri e propri “noduli” ed aumentare di numero disseminandosi.
SINTOMI
Nel 20-25% può essere asintomatica;
Dolore ciclico in sede pelvica in stretta correlazione con il ciclo mestruale (dismenorrea) o più raramente in fase ovulatoria.
Nel 40% vi può essere una dispareunia profonda (dolore con i rapporti ma a penetrazione completa)
Nel 30-40% si associa a sterilità, dovuta essenzialmente alle lesioni indirette provocate dalle aderenze sulla morfologia tubarica (angolature e dislocazioni) ma anche a situazioni concomitanti di insufficiente o mancata ovulazione per le quali si sta tuttora valutando se esista una reale correlazione con la nostra malattia.
DIAGNOSI
L’esame clinico e soprattutto l’anamnesi di dolori cronici ciclici resistenti a varie terapie, di una storia di sterilità apparentemente inspiegata e talvolta di dispareunia, consente di porre il sospetto di endometriosi. L’esame principale per la diagnosi definitiva è la Celioscopia vale a dire la visione diretta con una piccola sonda addominaIe dei noduli. (Si svolge in anestesia e dopo avere riempito, tramite la sonda stessa ,di aria l’addome al fine di rendere ogni spazio interno da virtuale a reale. Tale metodica consente sopratTutto di dare una “mappatura” delle lesioni endometriosiche valutandone il numero, la dimensione e la gravità delle aderenze potendole così confrontare a distanza di tempo a conferma dell’ esito positivo delle eventuali terapie eseguite.
Esami di supporto possono essere l’ecografia, gli esami radiografici dell’ultimo tratto dell’intestino, la pielografia disc. e cistoscopia.
Oggi vengono usate classificazioni di gravità dell’endometriosi stilate con un punteggio numerico dedotto dall’ esame celioscopico delle lesioni e che suddivide la malattia in vari stadi:
I stadio: minima
II stadio: lieve
III stadio: moderata
IV stadio: grave o severa
TERAPIA
Può essere sia chirurgica sia medica e dipende sia dallo stadio della malattia, sia dal desiderio o meno di avere una gravidanza a breve scadenza. L’intervento chirurgico permette di eliminare, anche se spesso con difficoltà, le aderenze, di cauterizzare le lesioni minime, di aspirare le cisti in sede ovarica di ancora modeste dimensioni e che sono prodotte dalla localizzazione in quella sede della malattia (la cisti si forma internamente all’ovaio stesso a causa degli stessi meccanismi ricordati in precedenza ed assume un caratteristico colore scuro dovuto alI’ accumulo di sangue).
La chirurgia effettuata sia con il semplice coelioscopio o ad addome aperto (con laparotomia) deve ripristinare la normale localizzazione dell’ovaio e delle tube ed operare tecniche il più possibile atraumatiche sui tessuti e correlate di attrezzature adeguate per la microchirurgia al fine di non aggiungere, oltre ai danni della malattia quelli iatrogeni dell’ intervento.
La terapia medica è indicata in pazienti con malattie al I-II stadio e che al momento non desiderano gravidanze. Essa in pratica tenta di riproporre farmacologicamente ciò che già avviene in natura: sia l’endometrio normale che quello eteropico durante una gravidanza subisce un processo di decidualizzazione per cui va incontro ad una necrobiosi transitoria (ecco per esempio il motivo per cui tra gli indirizzi terapeutici vi è quello di cercare di avere quanto prima una gravidanza, fattori di sterilità permettendo … ) per cui non tende a proliferare. Anche la menopausa provoca un blocco proliferativo dell’ endometrio, con conseguente atrofia della mucosa uterina.
Le varie terapie mediche soppressive esistenti tendono comunque a sopprimere transitoriameme sia l’ovulazione sia la mestruazione per un tempo variabile e dipendente dalla durata della terapia.
Le varie proposte terapeutiche necessitano di adeguati controlli ematochimici durante la loro assunzione e possono presentare alcuni effetti collaterali la cui entità andrà valutata di volta in volta.
Oggi vengono adottati con successo.
l) 17-alfa-etinil-testosterone per via orale (danazol) per almeno 6-9 mesi (provoca l’atrotia della mucosa endo­metriale)
2) somministrazione continua di gestageni (derivati del Progesterone) per bocca o sotto forma di iniezioni in “preparati deposito”
3) somministrazione periodica di gestageni iniettabili associati ad estrogeni iniettabili, sempre sottoforma di “preparati deposito”
4) pillola estro-progestinica ad alto dosaggio
I farmaci del punto 2-3-4 producono la “decidualizzazione” dell’ endometrio. Altri preparati sono a tutt’oggi allo studio (gestrinone, analoghi sintetici del Gn-RH) al fine di potere ampliare i vari schemi terapeutici
La recidiva della malattia è frequente anche in caso di terapia ottimale ed avviene in circa il 30-40% dei casi. Non esistono infine possibilità reali di una prevenzione, se non quelle di una diagnosi il più precoce possibile effettuata con accurata anamnesi e che tenga conto anche di eventuali precedenti famigliari.

Dott. Riccardo Tripodi
Ginecologo
Pubblicazione Giugno 1992

LA MENOPAUSA

Se questa considerazione la si estende, pur con le dovute differenziazioni all’intero pianeta si può avere un’idea di ciò che la menopausa rappresenta e rappresenterà in termini medici, sociali, politici ecc. (si calcola che nel 2000 circa 700 milioni di donne si troveranno in questa fase della vita). 

Dal punto di vista definitorio l’Organizzazione mondiale della Sanità ha indicato col termine di pre­menopausa quel periodo caratterizzato da disordini metabolici ed endocrinologici e dalle modificazioni fisiche che precedono la “menopausa” vera e propria che sarebbe identificabile con l’ultima mestruazione registrata (e quindi definibile soltanto a posteriori).
Col termine di perimenopausa si indica invece quel periodo che inizia con le prime modificazioni endocrine, biologiche e cliniche e termina circa 12 mesi dopo con la cessazione permanente delle mestruazioni.
Infine la postmenopausa è quel periodo che segue la menopausa.
Occorre infine distinguere la menopausa spontanea da quella indotta che può essere chirurgica (dovuta cioè all’asportazione delle ovaie con conservazione o meno dell’utero) o non chirurgica (es. da radiazioni, da chemioterapici ecc.).
L’età media attuale della menopausa oscilla intorno ai 50-52 anni e, al contrario di quanto si riteneva fino ad alcuna anni fa, fattori come l’età della prima mestruazione, il numero di figli o l’età dell’ ultimo parto, non sembrano influenzare minimamente l’età della menopausa mentre fattori come lo stato civile o il fumo anticiparla ed altri come l’obesità, ritardarla.
E’ infine un dato acquisito che l’età menopausale sia simile in membri dello stesso nucleo familiare.

FISIOLOGIA ED ENDOCRINOLOGIA DELLA MENOPAUSA
La caratteristica fondamentale del fenomeno menopausale è costituita dall’esaurimento funzionale dell’età ovarica.
Poiché le gonadotropine ipofisarie (FSH e LH), le quali hanno normalmentelo scopo di stimolare l’ovaio alla produzione ormonale che gli è propria (estrogeni, progesterone e, in minor misura, androgeni), sono correlate all’attività ovarica attraverso un meccanismo di retroregolazione positivo e negativo al fine di garantire una sorta di “omeostasi”, di equilibrio ormonale, con la menopausa accade che tale sistema venda messo in crisi. Infatti il progressivo esaurimento funzionale dell’attività ovarica determina una minor produzione ormonale il che induce un altrettanto progressivo aumento della produzione di gonadotropine (soprattutto di FSH). Tutto ciò finisce col provocare irregolarità dei cicli con modificazione di ritmo, quantità e durata.
Quando la produzione estrogenica scenderà al di sotto di determinati livelli, scatterà un’ aumentata conversione periferica di androgeni (specie androstenedione) in estrogeni a livello principalmente del tessuto adiposo e, in minor misura, di muscolo, rene, fegato e cervello.
Tutto ciò ha lo scopo di surrogare in parte la deficitaria produzione estrogenica ovarica; ecco perchè, in genere, donne che giungono alla menopausa un po’ in sovrappeso (e quindi con un tessuto adiposo più abbondante) accusano meno disturbi soggettivi ed oggettivi tipici di questa condizione e che prenderemo in esame tra poco.

CLINICA DELLA MENOPAUSA
Possiamo suddividere i sintomi clinici che contraddistinguono la menopausa in tre gruppi principali.
a) sintomi neurovegetativi: fra questi meritano di essere sottolineate le vampate ci calore che sono presenti in almeno il 70% dei casi. Esse hanno una durata variabile ( da qualche secondo a qualche minuto), sono stimolate in genere dal caldo e dallo stress, sono più frequenti nella notte e nel 75% dei casi si esauriscono in 1 anno o poco più.
Complessa è la loro etiopatogenesi: basterà ricordare che, di base, vi è una accentuata attività di sistemi neuroendocrini e neurotrasmettitoriali che modulano sia l’attività dei centri termoregolatori che quella dei centri deputati alla regolazione della funzione riproduttiva.
Altri sintomi di natura neurovegetativa sono costituiti dalla sudorazione (65% dei casi), parestesie (57%), palpitazioni (55%), cefalee (43%) vertigini (38%), precordialgie (22%)
b) sintomi di natura psicologica: tra questi ricorderemo principalmente l’ansia e l’irritabilità (64% dei casi), la depressione (44%) e l’insonnia (44%) seguiti da disturbi di minore importanza come la perdita di concentrazione, la labilità dell’umore, l’astenia ecc.
c) sintomi di natura distrofica o degenerativa: a questo proposito bisogna ricordare che un po’ tutto il distretto cutaneo risente delle modificazioni endocrine e biochimiche della menopausa.
Vi è un assottigliamento dell’epidermide, una riduzione dell’attività delle ghiandole sebacee e sudorifere, con conseguente secchezza della cute e maggiore vulnerabilità ai traumatismi.
Per quanto riguarda le mucose vanno ricordate una fastidiosa sensazione di “bocca asciutta” ed una progressiva modificazione del timbro della voce.
Ma le modificazioni più evidenti, forse, le troviamo proprio a livello dell’apparato genitale esterno ed interno.
A livello vulvare si nota un assottigliamento della cute e sottocute, diradamento dei peli, rimpicciolimento delle grandi labbra e, in epoca più avanzata, scomparsa delle piccole.
A livello della vagina si va incontro ad un suo accorciamento con progressiva obliterazione di fornici.
Riduzione delle dimensioni riguardano anche utero, tube e ovale.
Infine la perdita di tono del tessuto elastico della zona perineale predispone a modificazioni anatomiche di vescica, retto (cistorettocele), ed incontinenza urinaria, cistiti atrofiche, uretriti ecc.

CONSEGUENZE CLINICHE A LUNGO TERMINE
Sono rappresentate da:
a) osteoporosi
b) malattia aterosclerotica
c) neoplasie dell’endometrio e della mammella.

Osteoporosi: l’etiopatogenesi di questa condizione è piuttosto complessa per cui potremo così schematizzarla.
La ridotta produzione di estrogeni riduce. la sintesi dell’idrossilasi renale che trasforma la vitamina D nel suo metabolita attivo (1,25 idrossivitamina D) che A SUA volta, è importante costituente della calcium binding protein utile all’assorbimento del calcio a livello intestinale.
Tutto ciò, riducendo l’assorbimento del calcio nell’intestino, porta ad una sua minore fissazione a livello osseo; inoltre, per compensare il ridotto tasso di calcio circolante nel sangue, si verifica una aumentata ricettività tessutale del paratormone (PTH) che determina un accresciuto rimaneggiamento dell’osso che diventa così meno compatto e più fragile.
Tutto questo, unitamente ad una ridotta increzione di calcitonina (ormone che inibisce il riassorbimento osseo) è alla base dell’osteoporosi postmenopausale.
Ovviamente intervengono anche altri fattori quali la razza (le donne di colore, ad esempio, sono meno esposte), l’anamnesi familiare positiva, la mancanza dell’effetto protettivo dovuto all’esposizione ai raggi solari, gli squilibri alimentari, fumo, caffè (più di 5 tazze al giorno), alcool, e soprattutto la ridotta attività fisica.
Quello che comunque ci preme ricordare è che l’osteoporosi è alla base non soltanto di sindromi dolorose spesso associate a situazioni artrosiche ma soprattutto di pericolose fratture patologiche: si calcola che il 25% delle donne dai 60 anni in avanti vanno incontro a fratture spontanee patologiche (soprattutto del collo del femore e della colonna vertebrale).

Malattia aterosclerotica: è ormai conoscenza piuttosto diffusa il fatto che il colesterolo risulta essere costituito da 2 frazioni trasportate nel sangue da due differenti tipi di proteine per cui si distingue l’ HDL colesterolo (che sembra avere una funzione più protettiva sulla parete vascolare) e l’ LDL colesterolo (che sembra esercitare un’azione più dannosa, aterosclerotica appunto sui vasi).
Ebbene, è stato dimostrato che gli estrogeni eserciterebbero un ruolo protettivo nei confronti della malattia aterosclerotica proprio in virtù del fatto che innalzerebbero la quota di HDL a scapito dell’ LDL colesterolo. In menopausa, come è ovvio intuire, avverrebbe esattamente il contrario la carenza di estrogeni determinerebbe , di conseguenza, un aumento della frazione aterogena del colesterolo.
A ciò si aggiungerebbero altri due fattori: una ridotta produzione di Prostaglandine, sostanze che, tra le molteplici attività, esercitano anche una azione vaso-dlatatrice ed antiaggregante piastrinica, ed aumentata increzione di cortisolo e TSH con conseguenti alterazioni del metabolismo glucidico. Tutto ciò però non sembra spiegare in modo completo e certo, almeno in base a recenti studi epidemiologici, la patogenesi della malattia arteriosclerotica e delle sue conseguenze cardio- vascolari.
Senza dubbio grande attenzione meritano anche altri fattori di rischio quali diabete, ipertensione, obesità, fumo, dislipidemia.

Neoplasia dell’endometrio e della mammella.
Tali possibili conseguenze cliniche sono legate all’eccesso relativo degli estrogeni. Durante la menopausa, come abbiamo visto, aumenta la conversione periferica degli androgeni in estrogeni. L’estrogeno che circola in più alte concentrazione è l’estrone solfato che, entrato nelle cellule endometriali, viene convertito in estradiolo la cui successiva metabolizzazione è inibita dal deidro-epiandrosterone (DEA) per cui permane in attività più a lungo che di norma. Ciò spiega anche perchè donne obese hanno una percentuale di rischio maggiore di sviluppare neoplasie endometriali e mammarie.
Altro fattore importante è la dieta e, in particolare, la quota di verdure presenti nella dieta; infatti la dieta vegetariana riduce l’assorbimento degli estrogeni a livello intestinale, dove vengono eliminati in quantità due- tre volte superiori a quelli eliminati dalle donne onnivore.

TERAPIA
Attualmente lo specialista ginecologo ha la possibilità di orientarsi con maggior facilità e precisione di un tempo, nel panorama farmacologico. Infatti oggi è possibile un approccio terapeutico molto più “personalizzato” ai problemi indotti dalla situazione menopausale.
Per semplificare possiamo distinguere tre momenti terapeutici
Durante una prima fase caratterizzata da una condizione di iper- estrogenismo relativo alla ridotta produzione di Progesterone,la scelta farmacologica più adeguata può essere quella di ricorrere alla somministrazione di associazioni estro-progestiniche a basso dosaggio oppure di un progestinico che incida in scarsa misura sul metabolismo lipidico.
Durante le due successive fasi di ipo-estrogenismo e poi di definitiva carenza di produzione estrogenica, (per agire soprattutto sui disturbi di natura vegetativa, psicologica e distrofica) si può ricorrere a prodotti ormonali per via generale o locale oppure a prodotti non ormonali (veralipride bromocriptina) quando le condizioni generali lo consentano.
Cicli di trattamento con estrogeni coniugati sono consigliati in casi più particolari, a seconda dell’ entità della sintomatologia obbiettiva e soggettiva.
Altre frecce sono presenti nella faretra del ginecologo che voglia e sappia affrontare con attenzione, esperienza e buon senso i problemi legati alla menopausa soprattutto in considerazione delle sue conseguenze future, ma qui il discorso si fa tecnico e non più divulgativo.
Quello che ogni donna che entra in questa delicata fase della vita deve ricordare è che un controllo specialistico è sempre opportuno anche se le buone condizioni generali, apparentemente, non lo giustificherebbero.

Sandro VIGLINO
Ginecologo
Pubblicazione Ottobre 1990