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QUANDO UN ECCESSO DI PELI PORTA LA DONNA DAL GINECOLOGO

Bisogna intanto distinguere tra i due termini di ipertricosi e di irsutismo. L’ipertricosi consiste in un eccessivo sviluppo pilifero nelle sedi normali, senza cioè che vi sia una variazione nella caratteristica distribuzione dei peli nel sesso femminile. L’irsutismo, invece, è quella condizione nella quale i peli non solo sono eccessivi ma distribuiti in sedi dove normalmente non si riscontrano (volto, petto, linea ombelico-pubica, ecc.).
Vi sono forme di irsutismo nelle quali non è possibile dimostrare un preciso disordine ormonale: tali forme si definiscono di «irsutismo idiopatico». Si tratta di donne per lo più giovani che non hanno delle manifestazioni cliniche ben definite: talvolta si associano acne, ipersudorazione, disturbi circolatori alle estremità, alterazioni mestruali ed altri sintomi e segni aspecifici. Si ritiene che in questi casi, oltre ad una predisposizione individuale sulla base di una eredità familiare, esista un’abnorme
sensibilità del sistema pilifero agli androgeni (gli ormoni sessuali dai quali dipende principalmente lo sviluppo dei peli).
Altri tipi di irsutismo riconoscono invece precisi fattori causali. Oltre a forme di rara osservazione quali la sindrome di Achard- Thiers o «diabete delle donne barbute» (diabete, obesità, ipertensione e naturalmente irsutismo) oppure quadri morbosi legati a tumori ipofisari (adenoma ipofisario acidofilo e basofilo), le cause più frequenti di irsutismo possono essere di origine surrenalica od ovarica.
Tra le cause surrenaliche si debbono ricordare la iperplasia surrenale congenita e tardiva e i tumori surrenalici virilizzanti. Tali condizioni morbose si caratterizzano clinicamente per i segni legati alla iperattività dei surreni (ipertensione, atrofia muscolare, alterazioni cutanee, segni di virilismo: ipertrofia del clitoride, atrofia mammana, tendenza alla calvizie, modificazione del timbro della voce ecc.) e biologicamente per un aumentato tasso di testosterone plasmatico.
Sebbene anche in queste condizioni la sfera genitale venga direttamente coinvolta, esistono tuttavia delle situazioni in cui il ginecologo è chiamato a svolgere una parte di primo piano. L’ovaio secerne principalmente androstenedione ed in parte testosterone: tale produzione, che in condizioni normali è minima, in alcuni casi può aumentare enormemente. È il caso dei tumori ovarici virilizzanti (ad esempio l’arrenoblastoma) o della sindrome di Stein-Leventhal caratterizzata da un’abnorme produzione di androstenedione e soprattutto di testosterone – prodotto biologicamente più attivo – e sul piano clinico da sterilità, oligomenorrea e poi amenorrea secondaria e ovviamente da irsutismo. Anche in menopausa si osserva un certo grado di ipertricosi associata ad un diradamento o ad una caduta dei peli pubici ed ascellari: questo fenomeno, fra le varie ipotesi, potrebbe essere spiegato dal fatto che, in mancanza del freno esercitato dagli estrogeni sulla produzione di gonadotropine ipofisarie, queste ultime stimolerebbero eccessivamente le cellule ilari dell’ovaio deputate alla produzione degli androgeni ovarici.
Vi è infine un tipo di irsutismo che è andato assumendo un’importanza sempre maggiore: l’irsutismo da farmaci. Vi sono infatti delle categorie di farmaci (androgeni, anabolizzanti e progestinici) che, se somministrati in dosi eccessive o a soggetti particolarmente predisposti, possono indurre quadri di irsutismo e, se assunti in giovanisSima età, addirittura di virilizzazione.
Per quanto riguarda infine le possibilità terapeutiche, va detto che nei casi di irsutismo e virilismo sostenuti da una patologia organica surrenalica od ovarica, la terapia è ovviamente chirurgica. Nei casi di patologia funzionale la terapia può avvalersi anche di presidi farmacologici: a questo proposito è opportuno ricordare il «ciproterone», progestinico dotato di caratteristiche antiandrogene ed anche di una buona azione antigonadotropinica; inoltre associato ad un estrogeno può essere utilizzato anche a scopi contraccettivi. L’azionene dei farmaci va comunque completata con l’ausilio della depilazione elettrica o di altre forme di depilazione e della psicoterapia, nei casi in cui questa problematica situazione estetica crea gravi conflitti emotivi specie nelle pazienti più giovani.

Dott. Sandro Viglino
Ginecologo
Pubblicazione Aprile 1992

PREVENZIONE ALLA PATOLOGIA MAMMARIA

Dal punto di vista diagnostico possiamo affermare che tre sono le tappe principali su cui soffermarsi: l’esame clinico del seno che resta sempre il primo e più importante momento di diagnosi e, a parte tecniche più sofisticate che non è adesso il caso di esaminare, la mammografia (cioè l’esame radiologico al seno) e la termografia (tecnica che
sfrutta l’energia termica che ogni tessuto emana) due tecniche estremamente semplici ed innocue, indolori, e che soprattutto garantiscono una notevole sicurezza diagnostica.
La termografia in particolare permette, con dosi molto basse di radiazioni, di ottenere una mappa colorata molto precisa dell’intera regione mammaria facendo sì che quadri sospetti di patologia del seno vengano svelati al medico in epoca molto precoce il che, evidentemente, è di estrema utilità preventiva.

Termografia
Il principio fisico-chimico su cui si basa la tecnica termografica è rappresentato dai cosiddetti cristalli liquidi colesterici (C.L.C.), sostanze organiche che, nel passare dallo stato solido a quello liquido, assumono uno stadio intermedio comportandosi come liquidi dal punto di vista meccanico pur conservando alcune delle proprietà ottiche dei cristalli. L’utilizzazione medica dei C.L.C. è basata sulla comparsa e sulle modificazioni successive di molteplici risposte cromatiche (cioè di colore) ­dipendenti dalle variazioni della temperatura cutanea – che si realizzano sulla superficie del C.L.C., quando quest’ultimo sia applicato sulla cute del settore corporeo in esame.
Ciò differenzia la Termografia a contatto dalla Teletermografia basata sulla captazione a distanza delle radiazioni infrarosse emesse dalla superficie cutanea.
Ciò che contraddistingue la Termografia a contatto è la sua assoluta innocuità e semplicità di esecuzione. È evidente che occorre rispettare alcune norme affinchè la riuscita dell’esame sia ottimale; tra queste ricorderemo:
a) la scelta della fase mestruale (devono essere preferibilmente scelti i primi dieci giorni del ciclo);
b) le condizioni psicologiche della paziente (infatti una eccessiva emotività determina diffusa vasocostrizione);
c) l’acclimatazione della paziente alla temperatura ambientale (bisogna cioè che si verifichi un lieve raffreddamento dell’area cutanea mammaria).
Osservate queste semplici norme, si può sottoporre la paziente all’esame vero e proprio che prevede una prima fase (termoscopica) in cui si osserva il formarsi dell’immagine sulla placca dopo l’applicazione sulla superficie mammaria e una seconda fase (termografica) in cui si ottiene la registrazione fotografica delle immagini più esplicative.
In questo modo si possono ottenere informazioni utilissime sullo stato delle mammelle e sull’individuazione di una loro eventuale patologia. Ecco perchè la termografia, congiuntamente all’esame clinico e alla mammografia, costituisce uno dei cardini fondamentali della semeiotica mammaria.

Dr. Sandra Viglino
Ginecologo
Pubblicazione Marzo 1982 (n.1)

LO SVILUPPO DEL FETO

(cioé con l’azione del flagello, capace di muoversi con una progressione di 14-16 colpi al secondo e con la rotazione lungo l’asse principale di progressione), risalgono dal fondo vaginale con una velocità media di 2-3 mm/m’ (0,6-6 mm/m’), attraverso il canale cervicale, dopo aver superato l’acidità dell’ambiente vaginale (tamponata per circa 6-7 ore dal pH del fluido seminale) si dirigono verso l’urifizio uterino interno, ove avviene la cosidetta captazione degli spermatozoi, e nel terzo superiore delIa spalpinge incontra l’ovocita che a sua volta deve aver acquisito le caratteristiche definitive che lo rendono atto ad essere fecondato.
Dopo aver abbozzato, in linee molto generali, la via che si deve percorrere per generare una gravidanza (naturalmente, non prendiamo in considerazione la situazione femminile, cioé diamo per scontato che l’organismo femminile abbia normalmente, sia dal lato ormonale che dal lato anatomico-funzionale, generato un ovocita capace di essere fecondato) osserviamo cosa avviene quando lo spermatozoo incontra l’ovocita e lo feconda.
Avvenuta la fecondazione nella spalpinge, l’uovo procede nel suo itinere verso la cavità dell’utero e contemporaneamente va incontro ad un processo di divisione.
Dalla cellula madre si generano, per divisione, due celIule figlie poi 4, 8 e così via di seguito. Questo processo porta alIa formazione di un insieme di cellule, detto blastomero, che nel suo insieme assume un aspetto di una mora e questo stadio viene definito “morula”.
I blastomeri si tramutano alla periferia in un tessuto detto “trofoblasto”; il prodotto del concepimento a questo stadio viene definito “blastocisti o blastula”.
Tra il 7° ed il 9° giorno di sviluppo il trofoblasto si differenzia in due strati: il sincizio ed il citotrofoblasto. Successivamente verso il 9°- 10° giorno dal citotrofoblasto si differenzia il mesoblasto e questi tre strati formano assieme il cosiddetto corion. La blastocisti umana, dopo l’ 11 ° giorno si trasforma in due strati di tessuto: lo strato ectodermico e lo strato endodermico. Tra la lamina ectodermica e il corion é visibile a questo punto una piccola lacuna: é la cavità amniotica che poi aumenterà di volume. Attorno al 16° giorno tra l’endoderma ed l’ectoderma si differenzia il mesoderma che é una derivazione come invaginazione del foglietto ectodermico.
Dai tre foglietti primitivi deriveranno nel corso dell’ulteriore sviluppo i seguenti organi e tessuti;
1) (dal mesoderma): cartilagini, ossa, muscoli, tessuto connettivale, peritoneo pleure, sistema cardiovascolare, sistema urogenitale, corteccia surrenale;
2) (dall’endoderma): tratto gastrointestinale, fegato, pancreas, apparato respiratorio, tiroide, cellule germinali primitive.
3) (dall’ectoderma): cute e sue appendici, midollare surrenale, sistema nervoso, ipofisi, ghiandole salivari.
Considerando specificatamente si  può dire che alla 4a settimana di età concezionale il diametro della camera ovulare (esterno) é di 20 mm, la lunghezza dell’embrione (vertice-sacro) é di 5 mm, il peso dell’embrione é di 0,02 g.
Ad 8 settimane la camera ovulare (diametro) é di 50 mm, la lunghezza dell’embrione (sempre V­S) é di 23 mm, il peso dell’embrione é di 1 g.
A 12 settimane la lunghezza dell’embrione (V-S) é di 56 mm, il suo peso é di 14 g.
A 20 settimane la lunghezza del feto (V-S) é di 160 mm, il suo peso é di 310 g.
A 28 settimane la lunghezza del feto (vertice-tallone) é di 355 mm il suo peso é di 1080 G.
Verso la 4″ settimana di sviluppo nell’embrione é visibile l’abbozzo del cuore, dell’occhio, del proencefalo, del fegato, del rene definitivo, gli abbozzi dell’orecchio esterno, le vescicole celebrali.
Alla fine della 5a settimana si osservano sia il cordone ombelicale sia gli abbozzi degli arti superiori ed inferiori.
Alla 5a settimana il battito cardiaco embrionale può già essere evidenziato mediante apparecchi ad ultrasuoni anche se verosimilmente si può credere che le prime contrazioni cardiache avvengono già alla 4a-5a settimana.
Alla 8a settimana l’embrione mostra gli abbozzi dei muscoli, delle ossa, dei nervi, dei grossi vasi.
Alla 12a settimana si é già ben evidenziata la placenta, gli abbozzi oculari sono ricoperti dalle palpebre, le estremità presentano i primi movimenti e si ha la completa
differenziazione dei genitali esterni.
Alla 20a-21a settimana i movimenti fetali attivi sono così vivaci che possono essere avvertiti dalla gestante. Comincia a formarsi la cosiddetta vernice caseosa (che é costituita da cellule desquamate frammiste a secrezione sebacea).
Alla 28a settimana il feto raggiunge un certo grado di maturazione che, a volte, raramente, gli può permettere una sopravvivenza in caso di parto pretermine.
A questa epoca i padiglioni auricolari sono addossati dal cranio le unghie non raggiungono le estremità delle falangi quindi il feto é quasi perfettamente formato ed é simile alla immagine del neonato al momento del parto.
Questa é, a grandi linee, la meravigliosa natura della riproduzione della vita umana che nella sua complessa vicenda ci fa maggiormente comprendere quale importanza debba avere per noi la più accurata prevenzione di fatti accidentali e di incidenti nella sua gestazione.

Dott. Alessandro Masssilla
Ginecologo
Pubblicazione Maggio 1982

MAL DI TESTA E CICLO MESTRUALE

Per contro, donne abitualmente non cefalgiche possono andare incontro, in questi stessi giorni. a sintomatologia caratterizzata da sensazione di cerchio o peso alla testa o anche di dolore franco diffuso più spesso a gran parte del capo o limitato alle tempie o alla fronte.
E’ frequente il riscontro, in donne appartenenti sia al primo che al secondo gruppo, di dismenorrea cioé di mestruazioni particolarmente dolorose, facilmente accompagnate anche da irritabilità, depressione, nausea e vomito.

I FATTORI DETERMINANTI
Il trai d’ union tra la sindrome cefalgica e la sindrome premestruale o la dismenorrea é costituito da fattori ormonali. Cerchiamo qui di prenderli brevemente in esame. La normale sensibilità e tolleranza al dolore é determinata nel soggetto sano, da un giusto equilibrio tra l’azione di determinate sostanze (neuro-trasmettitori, mediatori chimici, ormoni) che combattono o modulano il dolore in varie sedi del sistema nervoso e di altre che favoriscono invece la trasmissione progressiva dello stimolo doloroso dalla
periferia del corpo all’encefalo ove viene avvertito come vera sensazione dolorosa nel dovuto contesto psicoemozionale.

LE SOSTANZE ANTI-DOLORE
Al primo gruppo appartengono le ormai famose Endorfine, vero talismano della felicità, che producono oltre all’ analgesia (analgesia= assenza di dolore) anche euforia e benessere generale; la serotonina, la dopamina, l’ormone ACTH.

 

TRASMETTITORI DEL DOLORE
Al secondo gruppo appartengono noradrenalina, sostanza P, ormoni somatotropo, prolattina ed estrogeni, istamina e bradichina.
Nelle modificazioni ormonali che determinano l’insorgere della fisiologia funzionale mestruale si ha sempre un aumento dell’increzione di estrogeni e di prolattine.
Qualora l’aumento sia eccessivo e sproporzionato come nella dismenorrea o nella sindrome premestruale o si aggiunga ad un alterato equilibrio della bilancia del dolore, come avviene nelle pazienti già sofferenti di cefalea e di emicrania, si può comprendere come possa facilmente determinare una sintomatologia iperalgica in concomitanza del periodo mestruale.

LA TERAPIA
Il miglior risultato terapeutico si ottiene con farmaci che limitano l’increzione di prolattina e stimolano quella di mediatori del sistema anti-dolore, quali la dopatmna.
Vantaggiosa può rivelarsi l’azione di preparati progestinici che riequilibrio una eventuale iper produzione di estrogeni.

 

Massimo FRANCO
Pubblicazione Aprile 1982

GRAVIDANZA: NOVE MESI DA VIVERE CONSAPEVOLMENTE

Mentre il concepimento avviene per sua natura nella massima segretezza, la gravidanza – durante l’arco dei suoi nove mesi – si esprime nella più evidente visibilità esterna: il ventre aumenta di volume e la donna percepisce sempre più la presenza di un “oggetto al suo interno”. È l’identificazione madre-figlio. Sarà questo contatto intimo che funzionerà come un invisibile cordone ombelicale che permetterà al feto prima e al neonato dopo di richiedere gratificazione ai propri bisogni.
È già un colloquio aperto quello che madre e figlio instaurano nei primi mesi di vita simbiotica. Buio e silenzio non attorniano il feto il quale sente la voce della madre, ascolta la musica, resta disturbato da una luce intensa collocata sul ventre materno e verso il quarto mese succhia piacevolmente il pollice.
Ma questa intima vita a due non si ferma alle reazioni sensoriali, investe ben presto anche la sfera affettiva: ai sentimenti della madre il feto reagisce nella misura in cui maturano i suoi circuiti neuronali. Così ansia, stress, paure della madre sono registrate dal feto perchè nel sangue materno vengono ad alterarsi determinati processi biologici.
Quindi il modo con cui si viene al mondo – cioè come la nascita sarà attesa dalla madre o con fiducia e rilassamento oppure con ansia e tensione – avrà una ripercussione sull’adulto di domani e sulle proprie capacità di viversi e di vivere il mondo attorno a sé.
Perciò alla luce di quanto accennato il desiderio di maternità non deve e non può coinvolgere solo la donna, ma deve essere sentito da entrambi i partners in quanto scelta precisa e responsabile. Spesso il desiderio di gravidanza sembra nascere in opposizione alla lucida volontà di evitarla. Tuttavia molti fattori psicologici possono condizionare sia il desiderio, sia il rifiuto della maternità e sia la sua accettazione come fatto ormai compiuto. Non a caso in certe situazioni familiari l’arrivo di un bambino è vissuto come un “buon rimedio”.
Ad essi si uniscono anche fattori sociologici che vedono nella nuova concezione della famiglia un preciso mutamento nel ruolo della donna che lavora e che trova nella sua affermazione professionale una chiara alternativa “al tema individuale della sessualità e della maternità.
Molteplici sono quindi i fattori che incidono sul desiderio di maternità definendolo un delicato momento della propria vita non certo scevro da elementi conflittuali.
Tali conflitti se non individuati e risolti per tempo possono diventare fonte di tensione psicologiche all’interno della coppia genitoriale (es. contrasto di preoccupazioni; la paura di essere “brutta” e deforme; la gravidanza come simbolo di “normalità” ecc.) possono lasciare spazio ad una sintomatologia psicosomatica in particolare della gestante (es: eccessivo vomito, eccessiva fame oppure astenia, tensioni emotive ecc.) che potrà poi mutarsi in un sentimento apertamente ambivalente nei confronti della gravidanza prima e del bambino dopo quale nuova fonte di proiezione di antichi conflitti.
Un sereno aiuto alla coppia e alla gestante: il rilassamento e il lavoro psicologico di gruppo.
Corpo e sfera psicologica più che mai in questo delicato e importante momento della vita di una coppia o di una gestante interagiscono e di questa interazione si deve tenere maggiormente conto. In più sapere e constatare che questo momento così particolare non è vissuto soltanto da una donna, soltanto da una coppia, ma può essere vissuto contemporaneamente da più donne e da più coppie può già aiutare a sentirsi meno soli per affrontare i piccoli e i più grandi problemi di una gravidanza.
Il lavoro psicologico di gruppo vede gestanti, coppie. genitoriali, donne e partners desiderosi di “maternità” incontrarsi e sedersi a cerchio l’uno accanto alI’altro per parlare insieme con più libertà in un clima accettante e psicologicamente sicuro.
Nel medesimo tempo l’attenzione invididuale centrata sul proprio corpo per aiutarlo a rilassarsi può offrire l’occasione per imparare a trarne utili vantaggi sia per la gestazione, sia per la gravidanza, sia per il parto, sia per il futuro padre che al parto vuole assistere.
Infatti numerosi fattori mentali ed emozionali accompagnano l’arco di tutta la gravidanza e del parto stesso: imparare a viverli meglio vuoI dire poter vivere con più serenità.
Così spesse volte una gravidanza può essere desiderata, può essere accettata oppure non voluta, può nascondere un forte bisogno di sentirsi fisicamente normale per simboleggiare il buon funzionamento del proprio corpo; può essere cercata come completamento della femminilità e come tale vissuta, togliendo automaticamente ma temporaneamente ogni stato depressivo; può essere il fallimento dell’uso di un metodo antifecondativo quasi per “compensare” il rapporto sessuale vissuto fino a quel momento come non fertile; il desiderio di gravidanza può essere vissuto anche come prestigio e il bambino il simbolo futuro da esibire o ancora il desiderare un bambino per una donna può essere dettato non solo da una gratificazione da soddisfare ma anche per poter inconsciamente indurre altre persone (marito, genitori, fratelli, ecc.) ad essere soddisfatte di loro.
DalI’altro lato l’apprendere a rilassare il proprio corpo “ascoltando” il proprio ritmo cardiaco, le proprie tensioni muscolari, percependo il proprio respiro tramite esercizi, può aiutare anche a superare la fatica fisiologica della gravidanza e la paura del dolore durante il parto.
Esternando quindi da un lato le più intime difficoltà; imparando nel gruppo – che è fonte di reciproca fiducia – a conoscere meglio se stesse e se stessi e lavorando dalI’altro lato sul rilassamento del proprio corpo, si può sperimentare un’immagine interiore di calma e di serenità, come scoperta di un nuovo strumento di potere personale per vivere meglio.

Elena Negri
(psicologa/conduttrice di gruppi)
Claudio Vangi
(psicologo/conduttore di gruppi)
Pubblicazione Febbraio 1985

I PROBLEMI GINECOLOGICI DELLA DONNA NON PIU’ GIOVANE

Abbiamo voluto dedicare questo spazio ad una sintetica disamina dei più comuni problemi che possono interessare la sfera genitale della donna in epoca postmenopausale o nella senilità,
Giova ricordare infatti che si definisce «postmenopausa» quel periodo della vita della donna che segue la menopausa (orientativamente cioé dopo i 55 anni) intendendo invece per «senilità» il periodo che si situa intorno ai 65 anni e che è caratterizzato dalla cessazione definitiva di una qualsiasi attività ovarica.
Non ci occupiamo qui della menopausa, essendo questo un capitolo di straordinaria importanza e vastità che richiede una trattazione a parte: faremo però riferimento ad alcuni eventi fondamentali che si verificano con la menopausa e che servono a comprendere alcune situazioni fisiopatologiche e cliniche che conseguono a quell’evento. Sappiamo che il fenomeno fondamentale che caratterizza la menopausa è l’esaurimento della attività follicolare ovarica il che significa, in altri termini, che l’ovaio va incontro ad una sorta di riposo funzionale. Questo ha due dirette conseguenze: la cessazione delle mestruazioni ed il passaggio dallo stadio riproduttivo a quello non riproduttivo. Pertanto la situazione ormonale tipica della donna ancora in età fertile, viene progressivamente ma inesorabilmente a modificarsi: la produzione ormonale ovarica (estrogeni e progesterone) va esaurendosi rapidamente, inducendo dapprima un aumento delle gonadotropine ipofisarie (FSH soprattutto e LH) in epoca postmenopausale e successivamente; nella senilità, una drastica riduzione anche di questo fenomeno.
Considerando pertanto che gli ormoni ovarici (estrogeni soprattutto) svolgono, fra l’altro, un’importante azione eutrofica sulla cute e le mucose, si comprende perché, ad esempio, sono frequenti, nella donna che ha superato l’età menopausale, fenomeni di atrofia o di distrofia a carico di tessuti come l’epitelio vaginale, del trigono vescicale e dei tessuti vascolari periuretrali aventi tutti in comune l’origine embriologica e la ricchezza di recettori ormonali per gli estrogeni.

Atrofie genito-urinarie e prolasso utero-vaginale.
È uno dei problemi che più frequentemente spingono la donna ultracinquantacinquenne dal ginecologo. I disturbi soggettivi si concretizzano in prurito vaginale, bruciore talvolta associato a leucorrea, disturbi urinari (minzione frequente diurna ma anche notturna, fastidiosa, con tendenza ad avvertire nuovamente lo stimolo una volta compiuta, talvolta senso di tensione sovrapubica). Le cause sono quelle che abbiamo prima brevemente ricordato: la carenza di estrogeni influenza il trofismo delle mucose vaginale e uretrale. La vagina, in particolare, perde la sua caratteristica elasticità e la sua mucosa diventa secca, pallida, liscia, in altri tennini atrofica. L’epitelio vaginale perde progressivamente il suo contenuto in glicogeno e diviene meno resistente alle infezioni (di qui comparsa di perdite bianche vaginali, segno di processi fIogistico-infettivi sostenuti da germi banali o da Trichomonas o da miceti).
Una conseguenza ovvia di tale situazione anatomo-funzionale è la dispareunia: la difficoltà cioé ad avere rapporti sessuali. Si tratta di un problema molto frequente e sul quale ci ripromettiamo di tornare in modo specifico in un’altra occasione. Basti dire che, indubbiamente, il modificato comportamento sessuale della donna in età postmenopausale o senile riconosce assai spesso motivazioni di carattere psicologico (per troppe donne ancora la menopausa rappresenta un evento oltremodo negativo per la propria sessualità); la comparsa però di fenomeni atrofici a carico soprattutto della vagina, rendendo dolorosi e quindi insoddisfacenti i rapporti sessuali, finisce per aggravare la situazione con riflessi inevitabilmente negativi sulla vita di coppia.
Riguardo poi ai disturbi urinari prima accennati, occorre dire che vanno qui soltanto ricordati quelli conseguenti all’alterata dinamica della minzione quale si verifica in seguito a prolasso utero-vaginale spesso associato a cistocele e incontinenza urinaria. Anche in questo caso ci limitiamo a sottolineare come anche queste manifestazioni sono la conseguenza di quel rilasciamento delle strutture pelviche (ligamenti utero-sacrali, fascia endopelvica ecc.) accelerato dai fenomeni di atrofia delle strutture di sostegno che riconoscono come primum movens la carenza estrogenica.

Perdite ematiche
Ogniqualvolta ci si trova di fronte a perdite di sangue dai genitali in donne che hanno superato l’epoca menopausale, il ginecologo deve sempre porsi in modo molto attento e preciso il problema della diagnosi differenziale. Infatti si possono configurare quadri assai diversi, per gravità e per possibilità terapeutiche, che vanno dal banale sanguinamento della mucosa vaginaIe atrofica in seguito ad un rapporto sessuale o alla semplice introduzione dello speculum durante la visita fino all’esistenza di una neoplasia endometriale. Occorre pertanto interrogare a lungo e accuratamente la paziente per cercare di scoprire la possibile causa del sanguinamento. Nel dubbio, sarà sempre opportuno consigliare alla paziente esami diagnostici più approfonditi: dallo studio della citologia uterina al curetage endouterino, all’ecografia, alla laparoscopia fino alle più recenti tecniche isteroscopiche.
Per fortuna, molte volte si tratta di sanguinamenti dovuti ad endometrite senile o a vasculopatie endometriali (specie nelle ipertese) o alla presenza di polipi uterini o all’uso di farmaci quali estrogeni o estroprogestinici somministrati in quantità eccessive. Ciò che è importante è che si riesca a porre diagnosi certa.

Patologia tumorale
Abbiamo già accennato al cancro dell’endometrio (la mucosa cioé che tappezza internamente il corpo uterino) che rappresenta il tipo di neoplasia più frequente in quest’epoca della vita.
Trattando delle distrofie vulvari abbiamo accennato al fatto che il 3-5% dei casi di lichen scleroatrofico tende a cancerizzare.
Bisogna però ricordare che, in donne di questa età, anche la patologia tumorale ovarica ha la sua importanza: la possibilità di disporre di mezzi diagnostici sempre più fini (ecografia, TAC, laparoscopia ecc.) consentono però di individuare tale patologia in stadi sempre più precoci. Meno frequenti, anche se non molto rare, sono infine le neoplasie del collo uterino.
Vorremmo concludere questo breve excursus sulle principali patologie della donna in età postmenopausale o senile, augurandoci di essere riusciti a far comprendere a chi ci ha seguito che sempre, quando si tratta della nostra salute, ciascuno di noi gioca un ruolo importante nel suo mantenimento; anche la donna non più giovane deve ricordare che un problema ginecologico magari trascurabile deve essere affrontato correttamente col medico, per far sì che eventuali provvedimenti terapeutici possano essere instaurati nei tempi e nei modi più opportuni, senza trincerarsi dietro timori o pregiudizi che non hanno più ragione di esistere.

Distrofie vulvari
Il prurito esterno, vulvare è un fastidioso disturbo che spesso porta la donna dal ginecologo: all’esame obiettivo la vulva mostra una colorazione biancastra, specie in corrispondenza delle piccole labbra che in qualche caso possono raggrinzirsi e quasi scomparire,mentre la mucosa appare ispessita. Questi quadri di craurosi vulvare possono configurare condizioni patologiche che necessitano di essere adeguatamente diagnosticate (tramite biopsia) e trattate come nel caso del “lichen scleroatrofico” che, se trascurato, nel 3-5% dei casi può esitare nel cancro vulvare. Pertanto, poiché questi stati distrofici della vulva si accompagnano quasi sempre a prurito intenso, la donna ha la possibilità di sottoporsi al controllo ginecologico e curare opportunamente e preventivamente tali condizioni.

Dott. Viglino Sandro
Specialista in Ginecologia e Ostetricia
Pubblicazione del Febbraio 1986

ULTRASONOGRAFIA IN GRAVIDANZA

Tale rischio rimane dunque come un impegno oneroso da affrontare non solo per le coppie, ma anche per una società che dovrà poi accogliere ed inserire i prodotti di un concepimento non sempre responsabile.
La prima tappa per la prevenzione di queste malattie, fu la ricerca sistematica delle cosiddette «coppie a rischio», dalla cui unione cioé sarebbe potuto nascere con molte probabilità un neonato non perfetto. Alla coppia perciò venivano imposte determinate scelte: o non concepire o accettare il rischio e rimanere con l’ansia e le speranze fino al momento del parto.
Però se scientificamente il primo problema non si poneva nemmeno, il secondo invece offriva ampi spazi per la ricerca di metodiche in grado di diagnosticare in maniera innocua alcune delle malattie non solo prima della nascita, ma anche in un periodo di gestazione compatibile con un eventuale aborto elettivo. Venne così studiata la possibilità di operare un intervento in epoca:
1) pre-concezionale, cioè prima del concepimento materiale;
2) pre-natale, cioè tra il concepimento e la sua nascita.
Due delle tecniche che ci permettono di studiare il prodotto di concepimento durante la vita nell’utero sono: l’AMNIOCENTESI e l’ECOGRAFIA MEDIANTE ULTRASUONI. In questo articolo parleremo di questi ultimi che sembrano i più adatti per effettuare indagini e controlli di massa.

Cosa sono
L a vibrazione di alcuni cristalli particolari provocata da impulsi di varia frequenza, emette echi ultrasonici che vengono diretti, dopo alcune modifiche, verso i tessuti. È una metodica nata dagli sviluppi della applicazione dei Sonar durante la Seconda Guerra Mondiale per la ricerca di sottomarini o, più recentemente, di banchi di pesci.
Si sfrutta in pratica la capacità di certe sostanze di trasformare un impulso elettrico in energia meccanica vibratoria, generando così delle onde ultrasoniche che, incontrando vari ostacoli (per es. pelle, vescica, utero ecc.), si riflettono con intensità varia a seconda delle densità incontrate: più è consistente l’ostacolo, maggiore è l’eco di ritorno alla sonda indagatrice; esso viene trasformato in impulso luminoso su un video e letto immediatamente dal medico operatore. Così il feto compare sul monitor, come una volta il sommergibile sugli schermi delle navi nemiche.
Esistono vari tipi di apparecchi ad ultrasuoni che lavorano con tecniche diverse il cui elenco certamente non è importante in questa sede, anche se è interessante ricordare che vi è la possibilità di potere interpretare l’immagine in tempo reale, cioè non come una foto statica, ma come un film in movimento.

Tecnica dell’esame
L ‘esame in sè è molto semplice: in genere la donna viene messa supina sopra un lettino posto a fianco della macchina ad ultrasuoni; l’addome viene cosparso con una sostanza gelatinosa per fare aderire meglio la sonda indagatrice che viene direttamente appoggiata e guidata manualmente; essa è collegata con un cavo ad un monitor vicino.
L’unica preparazione che per un esame ostetrico si richiede alla donna, è presentarsi con la vescica molto piena. Questo serve sia per allontanare dal campo interessato anse intestinali (l’aria è il principale nemico degli ultrasuoni), sia per rendere meglio riconoscibili le strutture anatomiche, per esempio in caso di placenta con una inserzione nell’utero molto bassa. In genere per avere un buon riempimento basta consigliare alla donna di bere molto la sera precedente l’esame cercando di non orinare più.

A cosa serve
La sua utilità può essere rias­sunta in alcuni punti:
1) confermare malattie fetali, sospettate durante la visita e con le analisi in epoca pre­concezionale;
2) scoprire una situazione di rischio pre-natale sfuggita precedentemente;
3) valutare un rischio insorto in una coppia considerata «non a rischio» ;
4) escludere che masse pelviche scoperte alla visita siano di pertinenza ostetrica;
5) controllare e monitorare nel tempo l’andamento della gravidanza;
6) controllare e valutare una sofferenza fetale cronica, per esempio scoprire un ritardato accrescimento intrauterino;
7) determinare con una certa precisione l’epoca effettiva di gravidanza.

Vantaggi
Sono numerosi grazie proprio al mezzo che si usa per l’indagine:
1) nessun rischio fetale dato che non si tratta di radiazioni ed una ripetizione dell’esame può essere fatta senza alcun problema;
2) nessun rischio nemmeno per la gestante che inoltre non necessita per un esame ostetrico di alcuna preparazione specifica: nè mezzi di contrasto per bocca o endovena, nè clisteri di pulizia, soltanto la vescica piena;
3) il risultato dell’esame è immediato e lo si può fotografare potendo ricorrervi come confronto negli esami successivi e controllare con precisione la variazione dei parametri presi in considerazione, per esempio il grado di accrescimento del feto rispetto all’età gestazionale;
4) facilità di attuazione dell’esame che se per il medico può offrire talvolta determinati problemi di lettura e interpretazione delle immagini, per la donna è certamente di minimo impegno.
Appliicazione pratica
Perchè l’esame abbia poi praticamente l’utilità ed i vantaggi prospettati, occorre ripeterlo più volte nel tempo per esempio alla 10a-11settimana, intorno poi alla 21a-22settimana e verso la 32a settimana.
Si potrebbe così porre diagnosi:
- di gravidanza
- di gravidanza multipla (gemelli)
- di aborto (se la morte avviene entro il 180° giorno di gestazione)
- di morte intrauterina (se avviene dopo il 180° giorno)
- di mola vescicolare (malattia degenerativa dei villi placentari)
- di malattie del liquido amniotico, per es. presenza di scarso liquido (oligoidramnios) o troppo abbondante (polidramnios)
-di malattie ginecologiche in gravidanza, per esempio di cisti ovarica, di fibroma uterino
- di alcune malformazioni fetali, per esempio mancata formazione di arti o organi, la presenza di ernie diaframmatiche, la presenza di malformazioni della colonna vertebrale o della testa e così via
- di impianto normale o patologico della placenta; questo dato è importante sia per scegliere le modalità del parto in caso di impianto basso («previo»), se per via naturale vaginale o con taglio cesareo, sia per evitare di danneggiarla durante l’esecuzione di una amniocentesi (puntura con aspirazione di liquido amniotico)
- distacco della placenta dall’utero, parziale o completo, in caso di una sofferenza fetale acuta o senza sintomatologia apparente
- di sesso, quando ciò è possibile
- di accrescimento fetale normale
- di presentazione fetale, cioè se podalico o cefalico
Tutto ciò può essere individuato; con poche sedute che in linea di massima non durano più di circa mezz’ora.
Tuttavia le indicazioni più frequentemente richieste sono i controlli dell’accrescimento fetale nell’ambiente uterino materno e gli indici più obbiettivi e precisi sono:
a) diametro biparietale della testa fetale;
b) diametro toracico trasverso nel suo punto massimo, circa alla altezza dello sbocco della vena ombelicale;
c) superficie dell’area toracica;
d) presenza del battito cardiaco fetale, sua visualizzazione e valutazione della frequenza mediante metodica «in tempo reale»;
e) eventuale diagnosi di sesso ricercando il sacco scrotale.
Con un buon apparecchio, un buon medico esperto e un po’ di … fortuna, si possono individuare vari elementi fin da poche settimane di gestazione:
- circa dalla 6a settimana presenza di una o più camere ovulari nell’utero;
- circa dalla 6a-7settimana presenza di un battito cardiaco fetale, anche se lo si vede costantemente solo verso la 10a 11settimana;
- circa dalla 8a-9a settimana dimostrazione di qualche movimento fetale ed inizio della misurazione del sacco ovulare;
- circa dalla 11a settimana si può iniziare a misurare la lunghezza tra vertice e sacro fetale;
- circa dalla 12a-13a settimana inizio della valutazione e misurazione del diametro biparietale della testa fetale;
- circa dalla 15settimana si può già visualizzare la colonna vertebrale;
- circa dalla 16settimana si può misurare lo spessore della placenta;
- circa dalla 16a-17a settimana si possono individuare già alcune delle malformazioni fetali;
- circa dalla 28a settimana si può fare la diagnosi di sesso.

Considerazioni conclusive
.Di fronte a simili possibilità, è chiaro che l’uso sistematico degli ultrasuoni può diventare uno dei principali metodi di controllo della gravidanza, naturalmente oltre ai classici parametri già considerati (dosaggi dell’HCG, dell’estriolo, dell’HPL ecc.).
La possibilità diretta da parte della donna, e ancor meglio della coppia, di potere osservare immediatamente durante l’esame e personalmente lo propria gravidanza, anche se sempre sotto l’interpretazione del medico operatore, può essere uno dei momenti fondamentali nel processo di scoperta e di investimento emozionale del nascituro da parte dei futuri genitori.
Nessuna donna può essere insensibile alla visione di un cuoricino che batte o di un braccino che si muove verso la bocca di un essere vivente da lei voluto e portato in grembo per nove mesi. Questi movimenti si apprezzano molto bene specie con gli apparecchi in «tempo reale», che forse meglio degli altri danno l’idea del movimento e quindi della vita.
Perchè dunque non donare alla donna un momento di felicità in più, visto che costa poco procurarglielo?
Certamente in questo modo sarebbero sempre meno avvertiti quei sentimenti di segreto opprimente, di tormentosa speranza di come sarà il nascituro, spesso presenti durante la gestazione.
Finalmente dunque un esame completamente vissuto dalla donna che vivrà così la gravidanza certamente più tranquilla e serena.

Dott. Riccardo Tripodi
Dott. Felice Repetti
Ginecologi
Pubblicazione Maggio 82 (n.3)

LE INFEZIONI VAGINALI: PROBLEMA DA NON SOTTOVALUTARE

Nell’ambito dell’apparato genitale interno femminile, la vagina rappresenta certamente il tratto anatomico in cui più facile è l’instaurarsi di un processo infiammatorio e/o infettivo, e «vaginiti» vengono definiti questi processi.
Nell’ambiente vaginale sono presenti, in una sorta di reciproco equilibrio ecologico, molti microorganismi che nel complesso costituiscono la flora vaginale normale: stafilococchi, streptococchi, lactobacilli, micobatteri ed altri ancora che di regola non sono patogeni e che soltanto in determinati casi possono diventarlo. Accanto a questi appena descritti, vi possono essere altri microorganismi decisamente patogeni quali protozoi (Trichomonas vaginalis), miceti (Candida), batteri anaerobi ed aerobi, gonococchi, virus ed altri di importanza leggermente minore.
Prima però di passare a descrivere qualcuno di questi quadri patologici, occorre premettere qualche considerazione fisiopatologica. La vagina possiede una notevole capacità difensiva che si basa sulla acidità dell’ambiente vaginale e sulla presenza in esso del cosiddetto bacillo vaginale di Döderlein. Infatti l’epitelio vaginale contiene un materiale di riserva.- il glicogeno – che ad opera del bacillo di Döderlein si trasforma in acido lattico: quest’ultimo conferisce alla vagina l’acidità caratteristica (il ph infatti è compreso fra 3.5 e 4.7). Se pensiamo poi che la produzione ed il contenuto in glicogeno dell’epitelio vaginale dipende da un normale tasso di estrogeni, si può comprendere dunque perché nella bambina prima della pubertà, nella donna in epoca post-menopausale ed in genere in tutte le condizioni in cui esista una carenza estrogenica, sono più frequenti le affezioni vaginali.
Perciò che riguarda poi il mezzo tramite il quale tali processi si diffondono, bisogna ricordare che esistono tre tipi di condizioni favorenti:
a ) il contagio sessuale;
b) qualsiasi condizione che abbassi i naturali poteri di difesa della vagina e che abbiamo già descritto;
c) situazioni ostetriche particolari quali parto e aborto.
Considerare accuratamente le caratteristiche cliniche di tutti i possibili quadri di vaginite richiederebbe una trattazione assai più ampia dello spazio offertoci dalla presente rivista e forse si trasformerebbe in un discorso un po’ troppo specialistico col rischio di annoiare qualcuno dei lettori. Ritengo pertanto più opportuno prendere in considerazione soltanto gli aspetti di più vivo interesse.
Senza dubbio tra le forme più note di vaginite sono quelle protozoiche e quelle micotiche. Le prime sono provocate da un protozoo – Trichomonas vaginalis – che può colonizzare anche l’uretra (naturalmente anche quella maschile), la vescica e le ghiandole del Bartolino. Questa vaginite è caratterizzata da un essudato abbondante biancastro o bianco-grigiastro, schiumoso, spesso maleodorante; le mucose appaiono arrossate ed edematose interessando talora anche il collo dell’utero che nell’espressione clinica più tipica presenta un caratteristico aspetto «a fragola», cioé punteggiato. Soggettivamente la paziente riferisce prurito vulvo-vaginale e talora anale, bruciore e spesso dolore risvegliato in genere dal rapporto sessuale. La diagnosi è semplice e sicura al microscopio ottico. Per ciò che riguarda la terapia bisogna ricordare che la vaginite da Trichomonas è una classica malattia di coppia e pertanto il trattamento farmacologico (locale e generale a base di prodotti derivati dell’imidazolo) deve essere esteso necessariamente anche al partner maschile.
Per ciò che concerne invece le vaginiti micotiche, queste sono provocate da varie specie di un fungo del genere Candida di cui la Candida albicans rappresenta l’agente patogeno specifico nel 98% dei casi. Va subito detto che negli ultimi decenni si è verificato un sensibile aumento di queste vaginiti tanto da superare in frequenza le forme da Trichomonas. Il quadro clinico è dato da un essudato bianco, con aspetto di latte cagliato o di ricotta; le mucose appaiono edematose ed arrossate, talvolta ricoperte da piccole chiazze biancastre. Soggettivamente esiste prurito, bruciore e spesso dolore esacerbato dal rapporto sessuale. Il trattamento, che specie nelle forme recidivanti dovrebbe essere esteso anche al partner, consiste nell’uso soprattutto topico di derivati dell’imidazolo.
Vorrei ancora ricordare che accanto a forme molto diffuse come quelle descritte e quelle batteriche aspecifiche, esistono forme meno frequenti ma la cui importanza è andata aumentando in questi ultimi tempi; e ciò sembra essere legato principalmente alla, maggiore diffusione e precocità dei rapporti sessuali, dal momento che alla liberalizzazione dei costumi non è corrisposta un’adeguata e preventiva educazione sanitaria. Si tratta di vaginiti herpetiche (provocate dall’herpes virus genitale HSV2); vaginiti da Chlamydie e da Mycoplasmi (che si stanno configurando anch’esse, specie le prime, come affezioni veneree di coppia); vaginiti da gonococco (l’agente causale della blenorragia sia nel maschio che nella femmina, un tempo diffusissimo, poi pressoché scomparso  ed oggi nuovamente in ripresa).
Vorrei infine accennare brevemente alle infezioni vaginali che si possono osservare in età pediatrica e in età senile o comunque post-menopausale. Per ciò che riguarda le bambine in età prepubere va detto che oltre alla ridotta produzione estrogenica cui abbiamo già accennato, lo scarso sviluppo delÌe piccole e grandi labbra che hanno una funzione protettiva e la mancanza di acidità nell’ambiente vaginale per l’assenza di glicogeno a livello epiteliale e del bacillo di Döderlein, costituiscono altrettanti fattori predisponenti alle infezioni vaginali.
Queste ultime sono rappresentate soprattutto da forme batteriche e meno frequentemente da forme micotiche, protozoiche, gonococciche e da ossiuri. Una condizione fisiopatologica analoga la si ritrova nelle donne in epoca post-menopausale, dove la consueta terapia specifica dev’essere integrata dalla somministrazione di estrogeni allo scopo di, ricreare un ambiente vaginale il più simile possibile a quello della donna in età fertile.
Vorrei terminare ricordando che l’uso indiscriminato di terapie locali quali irrigazioni vaginali, ovuli, candelette ecc. senza una precisa e giustificata indicazione medica, deve essere assolutamente prescritto, in quanto si rischia di alterare, talora profondamente, quel delicato equilibrio, biologico che regola la vita della normale flora vaginale. Ha senso invece sottoporsi a periodici controlli ginecologici, ricordando che ‘l’intervento del medico non si esprime e non si conclude soltanto nel momento farmacologico.

Dott. Sandro Viglino
Ginecologo
Pubblicazione Giugno 1982 ( n. 4)

VITAMINE, SALI MINERALI E ABORTO

Le variabili prese in considerazione includevano fattori individuali, sociali e nutrizionali, così come lo stile di vita, le malattie e l’assunzione di farmaci, specialmente durante i primi tre mesi di gravidanza. I preparati vitaminici e quelli a base di sali minerali venivano solitamente presi come misura profilattica generale: i primi, nella maggior parte dei casi, contenevano vitamine A, B e C, ferro e talvolta calcio, mentre nei secondi erano presenti calcio, sodio, potassio, magnesio e vitamine.

Risultati dello studio

Delle circa 15.000 gravidanze registrate nello studio, venne analizzato un campione di 7.870. Come era previsto, le perdite ematiche risultarono chiaramente associate al rischio di aborto precoce, mentre con sorpresa fu osservato che nausea e vomito non lo erano. Una sorpresa ancora più grande fu il riscontro che donne, specialmente con perdite ematiche e in qualche misura anche quelle con nausea e vomito, che avevano assunto preparati vitaminici e a base di sali minerali, risultavano avere solo la metà delle probabilità di andare incontro ad aborto precoce rispetto a quelle che non avevano assunto questi preparati. La correlazione persisteva anche dopo la correzione statistica che teneva conto dei fattori che avevano potuto influenzare questo risultato.

Incidenza di aborto spontaneo precoce in donne con perdite ematiche, nausea e vomito dopo assunzione di preparai vitaminici e a base di sali minerali.

 

 

Numero di donne

Aborti effettivi

Aborti attesi

numero

%

numero

%

Preparati vitaminici (+ sali minerali)

220

12

5,5

28,3

12,9

Preparati a base di sali mionerali (+ vitamine)

117

7

6

14,4

12,3

 

ISTITUTO DELLE VITAMINE
20090 Segrate – T. 02-2164.1
UFFICIO STAMPA
20122 Mi/ano -  T. 02-879687/671
Pubblicazione Maggio 1987

LA PSICOPROFILASSI OSTRETRICA

Per mezzo della psicoprofilassi ostretrica si intende dare alla donna gravida: 

1 ) una adeguata preparazione fisica e psichica di modo che la donna assecondi i vari tempi e fenomeni del parto nel modo più corretto;
2) un sano orientamento psicologico e morale nei riguardi della gravidanza, della maternità, e del futuro del bambino;
3) un’esatta conoscenza di quei fenomeni di cui essa è protagonista, cancellando dalla sua mente eventuali pregiudizi e superstizioni.
Da questa preparazione la donna può quindi ottenere i seguenti vantaggi:
- una condizione di fiducia in sè stessa, di serenità di fronte al parto;
- uno svolgimento più facile del parto stesso con vantaggio per il bambino;
- una attenuazione e, in qualche caso, l’abolizione del dolore.

Preparazione al parto: Metodi
I metodi di preparazione al parto sono fondamentalmente quattro, ai quali si possono associare, poi, metodi misti;
l) l’ipnosi;
2) il training autogeno di Schultz;
3) il parto naturale di Read;
4) il metodo sovietico o M.P.P.
Di questi quattro, la tecnica d’elezione per prepararsi al parto, la più seguita e sperimentata, resta il training autogeno e il suo diretto derivato, il training autogeno respiratorio (RA T).
Inoltre, il training autogeno ha una diffusione in moltissimi centri e reparti d’ostetricia su tutto il territorio nazionale, a differenza dei rimanenti metodi, che, pur essendo riconosciuti validi in quasi tutto il mondo, vengono scarsamente e quasi mai utilizzati o proposti. Ecco perchè dopo un rapido e speriamo esemplificativo excursus su di essi, ci soffermeremo in particolar modo sul training autogeno come tecnica principale.

L’ipnosi
Il metodo per ipnosi è il più vecchio ed entra ufficialmente nella ostetricia nei primi decenni dell’800. E’ considerato il precorrittore di tutti i metodi moderni di preparazione al parto. Il metodo consiste in una realizzazione di uno stato di trance ipnoidale da parte del medico sulla gestante, poi viene effettuato un condizionamento della gestante stessa con uso di suggestioni. Le suggestioni dovrebbero penetrare e integrarsi nella psiche della donna molto più facilmente che allo stato di veglia. Verrebbe, per così dire, «elaborata» la personalità del soggetto.

Il parto naturale di Read
Anche l’M.P.P. si basa su quattro momenti fondamentali, simili, ma non uguali
per impostazione teorica al metodo di Read. Essi sono: azione pedagogica con corsi di insegnamento di anatomia dell’apparato genitale femminile, sulla fisiologia della riproduzione e del parto e sulla attività nervosa superiore, seguiranno poi le lezioni volte ad un giusto apprendimento della respirazione, del rilassamento, della ginnastica.

Training autogeno
Veniamo ora a considerare il training autogeno in tutti i suoi aspetti. Diversamente dagli altri metodi il training autogeno, pur utilizzando in massima parte il rilassamento è una tecnica «autogena», cioè che si genera da sè attraverso un progressivo allenamento mentale (training). Allenamento che, attraverso sei esercizi standard, la pesantezza, il calore, il cuore, il respiro, il plesso solare, la fronte fresca, dovrebbe far sorgere spontaneamente nel soggetto un più determinato autocontrollo, una maggiore capacità d’introspezione e una maggiore coscienza di sè. L’innumerevole casistica clinica sul training autogeno, oltre 500 mila casi, ha rilevato anche effetti del tipo di recupero di energie psicofisiche, di smorzamento della reattività emotiva e di potenziamento delle capacità mnemoniche.
E’ da notare il fatto che il training autogeno viene sistematicamente usato in forma di psicoterapia per tutti i disturbi ansiosi e psicosomatici, poichè esso insegna a controllare il proprio corpo e anche quelle funzioni di esso che abbiamo sempre creduto, erroneamente, essere di dominio esclusivo del sistema nervoso autonomo; involontarie, quindi, come il tono muscolare, il respiro, il cuore e in generale l’ansia, la paura, l’emozione.

Ora, alcuni consigli utili tratti dall’esperienza sulla psicoprofilassi al parto dei maggiori ricercatori in questo campo (Schultz, Luthe, Prill, Sbriglio etc):
a) i corsi affollati, con gruppi di oltre 20 gestanti, danno risultati poco fruttuosi, specie se condotti da una sola persona;
b) non è possibile seguire contemporaneamente più di 15 gestanti, considerato che già alcune di queste sfuggiranno al controllo del rilasciamento dei muscoli massetteri e del cingolo scapolare;
c) in gruppo diventa meno efficace l’allenamento al parto simulato, diventa così impossibile fare una previsione, per tutte le gravide, circa la riuscita del metodo durante il travaglio di parto;
d) i corsi devono esclusivamente essere affidati a medici competenti o a psicologi clinici (vedere per es. l’articolo 93 del codice medico deontologico dell’Ordine dei medici di Torino, anno 1978).

Francesco Giacomazzi
Psicologo clinico
Pubblicazione Giugno 1984