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QUANDO LA COPPIA SI RIVOLGE AL GINECOLOGO

Ecco perché nel titolo si fa riferimento alla coppia; queste infezioni, infatti, riguardano spesso entrambi i partners, per cui sempre più frequentemente é il ginecologo lo specialista di riferimento in questi casi.
In ogni caso, si tratta di malattie molto diffuse ma anche facilmente aggredibili sul piano terapeutico e la cui prevenzione dipende molto dalle norme igieniche e dai controlli medici periodici che ognuno di noi deve o dovrebbe fare.
Per maggiore chiarezza espositiva sarò necessariamente schematico.
INFEZIONI DA MICETI (MICOSI)
Si tratta di infezioni molto diffuse, tanto che si considera che il 75% delle donne adulte va incontro almeno una volta durante la vita ad un’infezione di questo tipo. Non tutti i casi di micosi vulvovaginaIe sono correlate ai rapporti sessuali, infatti si calcola che soltanto nel 50-60% dei casi esse riconoscano una tale origine: in questo caso, abbastanza frequentemente é coinvolto anche il partner che é
bene sia, dunque esaminato. In circa il 90% dei casi l’agente causale più spesso coinvolto é laCandida albicans che si può considerare fondamentalmente un commensale dell’ambiente vaginale (cioè vi può soggiornare normalmente) ma che, in condizioni di variazioni dell’ambiente vaginale a causa di vari fattori (infettivi, ormonali, immunitari, farmacologici), può espletare la sua azione patogena dando luogo ad un quadro clinico abbastanza caratteristico.
La paziente incomincia ad avvertire – talvolta in modo anche repentino – prurito vulvare, bruciori, vulvovaginiti associati in genere a dispareunia (cioè fastidio doloroso in occasione di rapporti sessuali) associati in genere, nei casi caratteristici, a perdite vaginali bianche, dense, inodori, di aspetto che ricorda la ricotta, piuttosto abbondanti – anche se non sempre il quadro clinico é così chiaro e completo.
Anche il partner, se interessato, può presentare arrossamento e prurito localizzato al glande, alla corona del glande, al prepuzio; a volte, si può osservare la presenza di desquamazione sul glande e la comparsa di una modesta secrezione biancastra intorno ad esso.
La terapia consiste nell’uso di farmaci ad azione antimicotica che é opportuno somministrare, oltre che localmente (creme, ovuli, irrigazioni), ance per via orale (ad esempio il traconazolo) perché questo consente di “bonificare” soprattutto l’intestino che rappresenta una fonte di inquinamento molto importante. Infatti é molto utile, specie nei casi non rari di ricorrenze, cercare di ripristinare a livello intestinale e vaginale la flora normale – saprofita – che é quella che garantisce un’adeguata protezione.
Quindi anche l’alimentazione ha la sua importanza: mangiare, ad esempio, molto yogurt senza dubbio aiuta ma occorrerebbe assumerne molto nell’arco della giornata, per cui si preferisce associare la somministrazione di fermenti lattici e di vitamine del gruppo B.
Infine, riguardo al partner si dovrà valutare caso per caso la necessità di trattarlo o meno.
INFEZIONI DA PROTOZOI
Ci si riferisce pressoché esclusivamente al Trichomonas vaginalis che rappresenta l’agente infettivo non virale a trasmissione sessuale più diffuso nel mondo, anche se in Italia, negli ultimi dieci anni, si é verificata una progressiva riduzione della sua frequenza. Esso si può trovare sia nel tratto genitourinario della donna che in quello dell’uomo, anche se nel 50% circa dei casi può essere assolutamente asintomatico. Quando vi é invece sintomatologia. questa é rappresentata nella donna da perdite vaginali abbondanti, maleodoranti, schiumose, giallo­verdastre, bruciori e prurito, talvolta dispareunia ed eritema vulvo-vaginale. Nell’uomo, ma più raramente, può dar luogo ad uretriti e prostatiti. E’ importante identificarlo durante la gravidanza (tramite l’esecuzione di periodici tamponi vaginali) data l’associazione che é stata manifestata con la rottura prematura delle membrane, parto pretermine e basso peso alla nascita.

La terapia: è possibile trattare abbastanza facilmente i casi di triconominasi tramite il ricorso a farmaci specifici (5nitrimidazoli) che possono essere somministrati sia oralmente che localmente.
INFEZIONI DA BATTERI
Si tratta do un gruppo mollo vasto di infezioni dovute a diverse specie di batteri tanto che, per quel che riguarda la donna, si é coniato in questi ultimi anni un neologismo scientifico che indica appunto questo ampio capitolo: VAGINOSI: In quest’ambito, mi limiterò a ricordare soltanto quei quadri di maggiore importanza clinica, proprio perché più diffusi.
GARDINELLA VAGINALIS
Si tratta di un bastoncello anaerobio che spesso agisce in associazione con altri anaerobi potenzialmente patogeni. La vaginosi da Gardinerella può colpire donne di tutte le età ma prevalentemente quelle in età fertile (per cui si ipotizza anche un ruolo degli ormoni sessuali); l’incidenza aumenta notevolmente in donne con numerosi partners e nelle portatrici di spirale e, frequentemente, colpisce anche l’uomo seppure con quadri clinici molto più sfumati.
La vaginite da G.V. si manifesta, nei casi più tipici, con modesti pruriti e bruciori vulvo-vaginali accompagnati da perdite vaginali spesso abbondanti, di colore grigiastro e di odore caratteristico (che la donna ben avverte) e che é stato paragonato a quello del pesce in putrefazione, sfruttabile a fini diagnostici: infatti, basta aggiungere al secreto raccolto su vetrino qualche goccia di idrossido di potassio (esistono soluzioni pronte che il ginecologo ha sicuramente a disposizione) per aumentarne l’intensità e porre quindi facilmente diagnosi.
Dial punto di vista terapeutico può essere utile trattare congiuntamente anche il partner, sia per via locale che generale.
CHLAMYDIA TRACHOMATIS
E’ un batterio Gram-negativo che mostra un particolare topismo (cioè una specificità) per le cellule cilindriche e metapalstiche del collo uterino – e, in particolare, del canale cervicale – ed ha una caratteristica molto tipica, cioè quella di essere un parassita intracellulare obbligato, rendendo così non agevole la sua identificazione.
La trasmissione avviene sicuramente per via sessuale tranne i casi di contagio da madre a figlio durante il passaggio attraverso il canale del parto. Tale patologia può essere più frequentemente associata all’uso di spirale, alla molteplicità dei partners (specie se affetti da uretrite), alla presenza di aree di ectopia sul collo uterino (cioè quelle zone disepitelizzate comunemente ed erroneamente denominate “piaghette”).
L’infezione può decorrere in modo assolutamente silente sul piano clinico – di qui la necessità di controlli periodici ogni anno o, addirittura, ogni sei mesi nelle condizioni sopra descritte – altre volte, invece, si manifesta con perdite vaginali di aspetto purulento o mucopurolento provenienti dal canale cervicale, spesse e di colore giallastro e, talvolta, con una sintomatologia uretritica con minzione frequente e fastidiosa. Anche nell’uomo la Chlamydia può dar luogo a quadri clinici, talvolta molto seri e di non facile e immediata risoluzione: uretriti, prostatiti, epidimiti. Anche le conseguenze a distanza non debbono essere sottovalutate; tra queste, per brevità di spazio, ricorderò il ruolo della C.T. nelle flogosi genitali alte (la cosiddetta malattia infiammatoria pelvica o PID) e nel determinismo della correlata sterilità da fattore meccanico, in seguito agli esiti di tipo cicatriziale di salpingiti (flogosi delle tube su base, appunto, infettiva).
MYCOPLASMI 
Li cito qui, nelle infezioni batteriche, anche se, in realtà, si tratta di piccoli microrganismi sprovvisti di parete cellulare e, quindi, con uno spiccato polimorfismo, Li ricordo molto brevemente soprattutto per la loro associazione con la PID – di cui sopra – e, quidi, con la possibile conseguenza di sterilità femminile ma, ancor di più, con la sterilità maschile data la loro possibilità di colonizzare l’uretra maschile e, a ritroso, le vie seminali. Tuttavia, i mycoplasmi sono sensibili agli antibiotici (tetracicline, eritromicina) sia per via locale che per via generale, consentendo una loro totale eradicazione.
INFEZIONI VIRALI
I quadri più importanti sono rappresentati dalle infezioni causate da: Herpes virus tipo II (che colpisce gli organi genitali sia femminili – vulva, cervice uterina – che maschili e si trasmette in modo decisamente prevalente per via sessuale) - Cytomegalovirus (specie per l’importanza che esso può rivestire durante la gravidanza) - PapiIlomavirus o HPV.
A questo ultimo gruppo di virus è dedicato un intero articolo “Sessualità e infezioni virali” (su questo portale, in questa sezione), però, data la loro diffusione, voglio ricordare che essi sono gli agenti causali della condilomatosi genitale che può colpire con notevole frequenta sia l’apparato genitale femminile che, con minore evidenza clinica, l’apparato genitale maschile. Non sempre il quadro clinico é caratterizzato dalla comparsa delle tipiche formazioni papiIlari, multiple, a forma di piccole creste che magari sono evidenti soltanto allo striscio colpocitologico, senza una sintomatologia evidente, o, addirittura, come avviene nell’uomo, clinicamente muti.
Poiché la presenza di questo virus é stata messa in relazione con il cancro del collo uterino, voglio chiarire che questo gruppo di virus comprende circa 70 tipi diversi e che soltanto 4-5 di essi sono stati chiamati in causa per il loro ruolo oncogeno (a questo scopo esistono tecniche di laboratorio che possono facilmente tipizzare il virus in questione).
Ricordo infine soltanto nominalmente ­ dato lo spazio che richiederebbero e che non é qui concesso – virus quali quello dell’epatite B e, con minore frequenza, quello dell’epatite C, nonché l’HIV agente causale dell’AIDS responsabili di quadri clinici assai più complessi e gravi di quelli fin qui menzionati.
Desidero, in ultima analisi, ricordare che esistono ancora altri quadri di malattie a trasmissione sessuale di importanza storica quali la sifilide, la gonorrea, la pediculosi, scabbia le quali, per quanto ridotte di incidenza rispetto al passato, sono tutt’altro che rare e sconfitte.
La considerazione finale vuole essere, però, un messaggio rassicurante e non allarmistico: la sessualità richiede di essere vissuta in modo libero e completo, senza paure ingiustificate. E’ però assolutamente necessario non dimenticare le più elementari norme igieniche e di vita, ricorrendo senza pericolose ritrosie alla consulenza dello specialista ogniqualvolta si verifichi una situazione di dubbio – anche solo psicologico – che potrebbe condizionare pesantemente, se non chiarito, la propria vita oltre che la propria sessualità.

Sandro VIGLINO -ginecologo
pubblicazione del 1997

PROCREARE RESPONSABILMENTE

Ecco perchè è bene essere “responsabili” quando si mette al mondo un figlio.
Quasi tutti i bambini nascono sani, è vero, però ci sono alcuni casi in cui “l’incidente”, la nascita di un bimbo malformato o con malattie congenite, può essere previsto se non addirittura evitato.
Purtroppo il 2-3% di bambini alla nascita presenta problemi di malformazioni o di gravi malattie ereditarie che sono evidenziabili nella prima settimana di vita; taIune di esse sono incompatibili con la sopravvivenza stessa ed il bambino cessa di vivere già nei primi giorni (se non addirittura prima di nascere). Infatti le malattie congenite, da sole, sono la causa di un quarto delle morti nel primo anno di vita e di un sesto di quelle della fascia di età tra 1 e 14 anni.
Ma la mortalità non è che l’ espressione più triste della malattia, quando non sono mortali queste patologie determinano comunque un handicap persistente più o meno grave.
E’ quindi giusto che le coppie che desiderano avere un figlio, siano consapevoli dell’ esistenza del rischio di generare figli portatori di una anomalia congenita ed è un dovere il documentarsi su test o accertamenti da eseguire.
Il figlio infatti porta in sè le “caratteristiche ” del padre e della madre che gliele trasmettono attraverso i cromosomi.

Le nostre cellule contengono 46 cromosomi raggruppati a coppie, ognuna delle quali è composta da un cromosoma paterno ed uno materno.
Sui cromosomi sono posizionati i geni (punti formati da DNA, parte attiva nella trasmissione dei caratteri ereditari).
Attraverso lo studio dei geni si è arrivati a comprendere come si trasmettono le malattie che, in alcuni casi, si possono anche prevenire; infatti la conoscenza “molecolare” dei geni permette di diagnosticare il gene alterato in individui che, all’apparenza, sembrano normali. Analghe indagini sul feto permettono la diagnosi prenatale.
Non tutti i geni hanno la stessa “forza”; ad esempio il colore nero dei capelli è portato da un gene “più forte” (dominante) rispetto al colore biondo (recessivo). Dalla combinazione di queste “forze” e dalla interazione di più geni derivano le varie gradazioni di tinte dei nostri capelli e .. così anche per altre caratteristiche.
Ogni gene è posizionato su un cromosoma ben preciso ed alcuni sono localizzati su una coppia di cromosomi particolare (coppia 23) che è diversa nei due sessi: nella femmina è formata da 2 cromosomi X, nel maschio da un cromosoma X e uno Y. Quando il gene aberrante è posizionato nella coppia 23 la trasmissione è quindi collegata al sesso del nascituro e, pur seguendo le leggi di Mendel che hanno “codificato” come i geni interagiscono tra loro, si realizza secondo probabilità leggermente diverse rispetto alle malattie i cui geni non sono sulla coppia 23 (v. malattie genetiche a ricorrenza familiare).
Ecco perchè padre e madre trasmettono ai figli non solo i caratteri (colore dei capelli, degli occhi ecc.) ma purtroppo anche la malattie definite genetiche.
Molti ignorano che anche da genitori perfettamente sani possono nascere figli con malattie congenite terribili.
Col termine malattie congenite si comprendono tutte quelle condizioni che si sono determinate nelle cellule gerrninali materne e paterne, al momento del concepimento o durante la vita embrionale, e che sono diagnosticabili talvolta durante la vita prenatale, talaltra solo alla nascita o nei primi anni di vita.
E ciò rende più complesso curare i piccoli pazienti.
Infatti circa un terzo dei bambini nati con malattie congenite muore nei primi anni di vita, mentre un altro terzo resterà disabile o con handicap cronici.
Inoltre non bisogna dimenticare che anche l’ambiente in cui si vive ha molta importanza sulla salute del nascituro. Infatti il fenotipo ovvero l’ insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali dell’individuo è determinato dal genotipo (caratteristiche genetiche) interagendo con l’ambiente (alimentazione, agenti infettivi ecc).
Ma il fatto che curare sia complesso non esclude affatto che la scienza sia in grado di intervenire efficacemente, con modi e procedure diverse a seconda dei casi.
Per affrontare le malattie congenite disponiamo infatti di quattro strumenti principali:
a) la prevenzione primaria, in grado di agire sulle cause note che alterano lo sviluppo embrio-fetale, (es: vaccinando contro la rosolia);
b) la prevenzione secondaria, in grado di riconoscere alcune malattie in fase preclinica e di instaurare una terapia efficace, (es.l’ipotiroidismo, il diabete ecc);
c) il trattamento chirurgico di molte malformazioni, con ristabilimento completo dello stato di salute, (es. labbro leporino, cardiopatie);
d) il trattamento sintomatologico permanente (es. talassemia, fibrosi cistica, sindrome di Down) che pur non eliminandola, tenta di render più sopportabile la malattia di base con interventi di tipo farrnacologico, educativo o di altra natura.
Ogni membro di una coppia alla prima gravidanza deve per prima cosa soffermarsi a pensare ai suoi antenati chiedendosi se fossero stati tutti sani o se qualcuno di loro avesse avuto qualche problema mentale, fisico ecc.
Infatti solo esaminando la storia della propria famiglia si può essere certi se esistano o meno fattori di rischio; in questa ricerca può essere di valido aiuto il medico di fiducia.
Ecco che ci si affaccia così ad esaminare i grandi gruppi di rischi che il nascituro dovrà affrontare; talora ci si potrà trovare di fronte anche a concause, cioè ad un pericolo derivante dalla somma di rischi diversi (es: tossicodipendenza e infezione in gravidanza ecc):
- rischi di MALFORMAZIONI CONGENITE
- rischi di INFEZIONI IN GRAVIDANZA
- rischi derivanti da FATTORI DI RISCHIO
- rischi di DIFETTI DEL SISTEMA NERVOSO
Le coppie non alla prima esperienza dovrebbero già essere edotte dei rischi reali per loro esistenti.

MALFORMAZIONI CONGENITE
Si possono suddividere in:
-anomalie cromosomiche (mutazione genica ossia una anomala modifica del DNA).
-malattie metaboliche materne (diabete ecc).
-malattie genetiche a ricorrenza familiare.
Abbiamo visto che, come i caratteri ereditari, anche alcune malattie si trasmettono secondo le leggi di Mendel.
Esiste cioè un gene posizionato su un cromosoma che è portatore di questa malattia; è come un timbro, più o meno facile da cancellare, che minaccia il feto.
Infatti se il gene della malattia è dominante, affinchè la malattia si presenti nel figlio, è sufficiente che uno solo dei genitori sia portatore; il figlio sarà quindi timbrato.
Se invece il gene è recessivo la malattia si può presentare solo se ambedue i genitori sono portatori (possono anche essere portatori sani, cioè non evidenziare la malattia) e se al figlio passano ambedue i cromosomi. il figlio sarà timbrato.
Per essere più chiari riportiamo in schema tutto il discorso:
Se uno solo dei genitori ha il gene dominante sbagliato può generare:
-figlio sano (50% di probabilità)
-figlio malato (50% di probabilità)
Se il gene sbagliato recessivo, è portato da un solo genitore potrà generare:
-figlio sano (50% di probabilità)
-figlio sano ma portatore
(cioè in grado di trasmettere la malattia ­50% di probabilità)
Se ambedue i genitori hanno il gene sbagliato recessivo (es: Talassemia) potranno generare:
-figlio sano (25% di probabilità)
-figlio sano ma portatore (cioè in grado di trasmettere la malattia ­50% di probabilità)
-figlio malato (25% di probabilità)
Ma se il gene sbagliato recessivo si trova sul cromosoma X, che cosa succede nei figli maschio o femmina?
Se una mamma (ricordiamo che la femmina ha 2 cromosomi X) ha un gene sbagliato su un cromosoma X sarà portatrice sana di questa malattia. I suoi figli potranno ereditare da lei o la X con il gene sbagliato o la X con il gene normale. Perciò le figlie femmine (che ereditano un cromosoma X dalla madre e uno dal padre) potranno essere sane portatrici del gene sbagliato o sane non portatrici (le figlie quindi non presenteranno mai la malattia). I figli maschi invece (i maschi hanno una sola X) potranno essere sani non portatori, se avranno ereditato la X normale oppure ammalati se avranno ereditato la X con il gene sbagliato (non essendo il cromosoma Y fornito del gene normale dominante e quindi capace di bloccare l’azione del gene recessivo). Questo tipo di trasmissione si ha, ad esempio nella emofilia (malattia che determina un difetto di coagulazione del sangue).

ANOMALIE CROMOSOMICHE
La malattie cromosomiche generalmente non si ripetono nella stessa famiglia, poichè raramente sono ereditarie. L’errore del numero dei cromosomi si verifica a qualunque età dei genitori, ma più frequentemente quando la mamma ha più di 38 anni (fattore di rischio).
Le più frequenti anomalie cromosomiche sono:
Sindrome di Down (mongolismo o trisomia 21) causa ritardo intellettivo più o meno grave e malformazioni: cranio piccolo, appiattito in senso antero-posteriore, falangi corte. E’ determinata dalla presenza di un cromosoma 21 in più (l’individuo ha quindi 47 cromosomi anzichè 46). E’ una malattia abbastanza frequente con una incidenza di 1 bambino colpito ogni 700 nati.
Trisomia 18 determina ritardo mentale, anomalie del cranio, orecchie posizionate in basso, sordità, dita corte, alterazioni del setto ventricolare, collo palmato
Trisomia 13 (legata al fenotipo femminile) determina ritardo mentale, labio-palato schisi, polidattilia, anomalie a cuore, visceri e genitali.
Sindrome di Turner è caratterizzata da statura bassa, da gonadi non differenziate, bassa attaccatura dei capelli alla nuca, difetti cardiaci, sterilità. .E’ determinata dal l’ assenza di un cromosoma X.
Emofilia (legata al fenotipo maschile). .E’ dovuta alla deficienza del Fattore VIII della coagulazione.
E’ caratterizzata da emorragie spontanee, sanguinamento della bocca e delle gengive.

MALATTIE METABOLICHE MATERNE
Diabete: determina difetti nel nascituro che si possono evitare mantenendo la madre sotto controllo e cercando di portare i valori della glicemia a limiti accettabili Inoltre le coppie a rischio dovranno far seguire l’evoluzione del nascituro con opportuni controlli in modo da intervenire, se necessario, con cure già nel periodo di vita intrauterino.

MALATTIE GENETICHE A RICORRENZA FAMILIARE
E’ costituita da un gruppo eterogeneo di anemie emolitiche ereditarie che hanno in comune una diminuzione della velocità di sintesi di una o più catene dell’ emoglobina.
Si manifesta:
negli omozigoti (anemia di Cooley) sotto forma di grave anemia o con morte in utero
negli eterozigoti (thalassemia minor) con anomalie eritrocitarie

FIBROSI CISTICA (alterata produzione di secreti)
E’ una disfunzione generalizzata delle ghiandole esocrine;; è caratterizzata da segni di malattia polmonare cronica, insufficienza pancreatica, contenuto di sali eccessivamente alto nel sudore, talora cirrosi biliare.
Viene trasmessa come carattere recessivo.
DISTROFIA MUSCOLARE DUCHENNE (degenerazione dei muscoli che colpisce solo i maschi)
E’una malattia cronica e progressiva che interessa i cingoli scapolare e pelvico, ad inizio precoce nell’ infanzia.
E’ caratterizzata da astenia sempre più grave e da pseudoipertrofia dei muscoli, seguite da atrofia; il quadro clinico determina una caratteristica andatura barcollante con movimenti delle gambe ampi e scoordinati.
E’ un carattere recessivo legato al sesso.
Normalmente la morte sopraggiunge per grave insufficienza cardio- respiratoria prima della maturità dell’individuo.
NEUROFIBROMATOSI
E’ caratterizzata da macchie cutanee con tendenza alla formazione di tumori molli e peduncolati (neurofibromi).
Si hanno gravi modificazioni di sviluppo nel sistema nervoso, nei muscoli, nelle ossa e nella pelle.
X FRAGILE
E’ caratterizzata da ritardo mentale che si manifesta solo nei maschi
RENE POLICISTICO
La degenerazione dei reni è determinata da cisti sparse al loro interno.
Può essere presente già alla nascita o può evidenziarsi più tardi fino alla fanciullezza. Presenta un alto tasso di mortalità perinatale.
E’ trasmessa come carattere recessivo.
COREA DI HUNTIGTON
E’ una degenerazione neurologica.
La caratterizzano incessanti movimenti involontari rapidi e complessi che appaiono ben coordinati ma non intenzionali. La malattia procede aggravandosi sempre fino a determinare un deterioramento mentale, con esito in demenza.
Si presenta sovente in età adulta ed è trasmessa da un carattere dominante

MALATTIE DEL METABOLISMO (carenza di uno o più enzimi)
ANCODROPLASIA (nanismo) E’ caratterizzata da arti corti, con tronco normale, volto piccolo.

INFEZIONI CONTRATTE IN GRAVIDANZA
Rosolia
se contratta in gravidanza può provocare malformazioni al feto. Per questa ragione è bene provvedere ad effettuare analisi di laboratorio prima dell’inizio della gravidanza.
Il test può dare valori:
l : 16 = persona non protetta
1:32 – 1:256 = paziente che in passato ha superato la rosolia
valori superiori = paziente con probabile rosolia in atto
Toxoplasmosi
Malattia causata da un protozoo (Toxoplasma gondii)
E’ caratterizzata da lesioni del sistema nervoso centrale che possono condurre a cecità, a difetti cerebrali e, in estreme conseguenze, a morte.
I test di laboratorio possono dare i seguenti valori:
1:4 – 1:64 = immunizzazione avvenuta
1:250 – l: 16000 = supposta malattia in atto

DIFETTI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Spina bifida
Imperfetta chiusura della colonna vertebrale
Anencefalia
Si ha un incompleto sviluppo di una parte del cervello
Si può ovviare con una opportuna somministrazione di acido folico (vitamina) fin dal periodo preconcezionale
FATTORI DI RISCHIO
- età materna avanzata
- patologie autoimmuni
- malattia della tiroide o di altre ghiandole
- farmaci
- radiazioni
- fattore Rh (Fattore Rhesus)

GRAVIDANZE SUCESSIVE
Se la coppia ha già avuto figli e soprattutto se questi presentano malformazioni, è estremamente importante che si rivolga a centri specializzati che esaminino accuratamente il singolo caso.
Quale è il rischio che la anomalia si ripresenti?
La risposta si può avere solo dopo aver trovato la probabile causa del difetto.

ACCERTAMENTI IN GRAVIDANZA
Alcuni esami di laboratorio dovrebbero essere eseguiti prima dell’inizio della gravidanza:
- gruppo sanguigno
- test della rosolia
- test per le malattie veneree
Inoltre a gravidanza iniziata è bene tenersi controllate con periodici esami quali:
- esame emocromocitometrico
- azotemia e glicemia
- transaminasi
- elettroforesi delle proteine seriche
- bilirubinemia
- sideremia
- esame delle urine (proteinuria e glicosuria)
Ovviamente se la gravidanza normale deve essere attentamente seguita dal medico curante, ancor più lo deve essere una gravidanza a rischio.
Per nostra fortuna le tecniche si sono molto affinate in questi ultimi anni, rendendo possibile una valida prevenzione.
Riportiamo di seguito le analisi o indagini più significative ed più utilizzate.
ECOGRAFIA
Permette di “vedere”, con l’impiego di ultrasuoni, il feto nel ventre materno, di osservare se esistono anomalie, di valutare lo stato della placenta ecc.
L’esame può essere eseguito più volte in gravidanza e con una frequenza tanto maggiore quanto più grande è l’entità dei rischi corsi dalla gestante.
Comunque a tutte le gravide, a rischio o meno, si consiglia di sottoporsi ad ecografia almeno intorno alla 18°-20° settimana, epoca in cui la maggior parte degli organi fetali sono ben individuabili e indagabili
IL FATTORE RH
E’ presente nell’ 85% della popolazione ed è un antigene caratteristico della membrana dei globuli rossi e viene indicato con Rh+. In assenza di questo antigene si ha un gruppo sanguigno indicato con Rh-.
In gravidanza gli anticorpi antiRh si formano quindi solo nelle donne portatrici di Rh- e sono determinati dall’ “incontro” del proprio sangue con un sangue Rh+.
Il fattore Rh si trasmette secondo le leggi di Mendel e quindi può verificarsi il caso di madre Rh- gravida di feto Rh+. Il feto produce i suoi globuli rossi; il fattore Rh+ del nascituro può superare la barriera della placenta e riversarsi nel sangue della madre determinando, da parte del sangue materno gli anticorpi anti-Rh. Questi anticorpi, risuperando la barriera della placenta, possono ritornare al feto provocando una anemia emolitica (eritroblastosi fetaIe) con distruzione dei globuli rossi del nascituro.
La terapia ottimale è la sostituzione dell’ intero sangue del neonato.
La sensibilizzazione della madre avviene alla prima gravidanza in cui il feto sia Rh+, mentre il danno fetaIe si verifica con più frequenza ed intensità durante le gravidanze successive.
ALFA-FETO-PROTEINA nel sangue materno
E’ una sostanza che il feto produce a partire dalla IV settimana e poi diffonde nel liquido amniotico e nel sangue materno.
Il fatto che i valori non corrispondano alla norma non sta ad indicare necessariamente la presenza di malformazioni ma semplicemente l’aumentato rischio di malformazioni.
Si è ormai accertato che alti livelli di alfa- feto-proteina sono associati a difetti del sistema nervoso centrale (anencefalia e spina bifida), ma sono presenti anche nelle gravidanze gemellari normali. Livelli molto bassi si riscontrano in presenza della sindrome di Down e di Turner.
AMNIOCENTESI
Consiste nell’ aspirazione di un campione di liquido amniotico pungendo la parete addominale materna ed aspirando il liquido dalla cavità amniotica.
Lo si esegue con controllo ecografico per determinare il punto più idoneo per prelevare il liquido amniotico.
Va eseguita tra la 15° e la 16° settimana per ridurre al minimo il rischio di aborto spontaneo (che si verifica nell’ 1% dei casi).
Dal liquido prelevato vengono separate le cellule fetali che vengono poste in apposito terreno nutritizio.
E’ così possibile il loro sviluppo che permetterà di eseguire le successive indagini atte a determinare la presenza o meno di anomalie fetali.
Ciò avviene studiando, a seconda dei casi, cromosomi, DNA, ecc.
Sul restante liquido si potrà dosare l’ alfa-feto-proteina sul cui significato ci siamo già soffermati precedentemente.
PRELIEVO DI SANGUE FETALE
E’ una metodica recente. Si esegue prelevando sangue fetale direttamente dal cordone ombelicale.
L’esame viene eseguito nel I o nel II trimestre.
Si possono così valutare:
-Caratteristiche genetiche del feto
-Trasmissione di malattie al feto (rosolia, toxoplasmosi, cytomegolovirus)
-anemia fetale
-grado di sofferenza del feto ipo-sviluppato (cioè diminuita quantità di ossigeno nel sangue fetale)
-talassemia
-piastrinopenia (rischio di emorragie).
PRELIEVO DEI VILLI CORIALI
Sono le unità fondamentali che costituiscono la placenta.
Le loro cellule presentano le stesse caratteristiche delle cellule di sfaldamento embrionale che abbiamo visto esaminare con l’amniocentesi.
Questo esame si esegue inserendo, in anestesia locale e sotto controllo ecografico, un ago nell’ addome materno, come per l’amniocentesi ma, rispetto all’ amniocentesi, può essere eseguito già alla fine del terzo mese di gravidanza). Ha una percentuale di rischio di aborto spontaneo pari alI’amniocentesi.
Non va eseguito se non in casi di estrema urgenza, prima dell’8° settimana perchè fino a quest’ epoca gestazionale sono possibili danni agli arti del feto.
E’ particolarmente importante nel caso in cui la madre sia stata colpita, durante i primi mesi di gravidanza, da rosolia o toxoplasmosi. Infatti con questo esame si può determinare se l’infezione ha raggiunto la placenta o ha colpito solo la madre.

“Prevenire è meglio che curare” e … anche per il feto talvolta è vero il vecchio adagio.
Per quanto possibile, limitatamente ai casi di reale gravità, si può decidere di intervenire sul feto prima della nascita.
INTERVENTI DIRETTAMENTE SUL FETO
Questa scelta viene fatta sovente nei casi seguenti:
OSTRUZIONE DELLE VIE URINARIE
La si risolve con un piccolo catetere che porta l’urina all’esterno del feto, nel liquido amniotico risolvendo un blocco che può trovarsi tra i reni e la vescica o a livello dell’uretra, e che impedisce lo svuotamento naturale nel liquido amniotico.
Il blocco a livello dell’uretra è riscontrabile più facilmente nei maschi per l’accentuazione di restringimenti che normalmente si trovano nell’uretra maschile.
L’intervento precoce è giustificato dal fatto che l’alterato funzionamento, per il periodo intrauterino, può determinare un danno permanente del rene, ed inoltre, essendo il liquido amniotico in gran parte formato dall’urina del feto, un irregolare svuotamento della vescica può causare una eccessiva riduzione del liquido con danno per il feto soprattutto a livello polmonare.
Ovviamente l’intervento deve essere effettuato prima che si instauri un danno renale permanente.
Dopo la nascita si provvederà ad effettuare un intervento risolutivo.
ANEMIE FETALI
Sono in genere dovute al gruppo Rh- della madre che si “incontra” con il gruppo Rh+ del feto.
E’ possibile effettuare vere e proprie trasfusioni al feto attraverso il cordone ombelicale che correggono l’anemia. Ciò deve essere effettuato fino alla nascita, dopodiché il feto non si troverà più a contatto con gli anticorpi della madre e quindi non avrà più problemi.
INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA
E’ regolamentata dalla legge 194 del 1978
Prevede tale possibilità per gravi motivi psichici o fisici materni.
Tra i problemi psichici è compreso anche il caso in cui il feto sia portatore di una grave anomalia. L’interruzione può avvenire entro la 24 settimana (epoca di vitalità del feto).
Comunque qualora, a gravidanza iniziata, venga diagnosticata una anomalia congenita fetale, la coppia ha il dovere morale di avere un colloquio con medici specializzati.
Tale colloquio deve avere lo scopo di identificare le cause, fornire spiegazioni, e dare una stima del rischio di ricorrenza dell’anomalia per una gravidanza successiva.
In alcuni casi il rischio di ripetitività può essere calcolato con precisione se l’anomalia è stata accuratamente diagnosticata e se sono note le modalità di trasmissione.

Angelo Bodrato -farmacista
pubblicazione del 1994

DISPAREUNIA E VAGINISMO

Qualcuno distingue una dispareunia esterna (che si manifesta già all’inizio della penetrazione) da una interna (che si manifesta durante i movimenti sessuali veri e propri).
Per vaginismo si intende invece quella condizione caratterizzata da impossibilità al coito dovuta ad una contrazione spastica involontaria dei muscoli circumvaginali. Anche in questo caso se ne potrebbe distinguere una forma primaria ed una forma secondaria, anche se quest’ultima si confonde abbastanza con le forme secondarie di dispareunia.
Cause: oltre 1’80% dei casi di dispareunia riconosce cause di natura organica. Tra i fattori etiologici alla base di una dispareunia esterna ricorderemo quelle condizioni patologiche o parafisiologiche che riguardano l’ostio vaginale: imene intatto, resti infiammati dell’anello imenale, cicatrici da episiotomia (incisione cutaneo-muscolare che viene praticata all’espletamento del parto in genere nelle primipare), flogosi o cisti della ghiandola di Bartolini, ridotta elasticità dell’ostio vaginale (come conseguenza dei fenomeni menopausali),caruncola uretrale, uretriti, fistole, pato­ogia clitoridea, infezioni vaginali e così via.
Tra le principali cause di dispareunia interna o profonda ricorderemo le flogosi pelviche, l’endometriosi, esiti di interventi chirurgici sull’apparato genitale, tumefazioni annessiali, ecc.
Per quel che riguarda il vaginismo, occorre invece affermare che i fattori causali sono, nella stragrande maggioranza dei casi, di natura psichica; quelli di natura organica si confondono e si identificano con quelli presi in considerazione a proposito della dispareunia.
Secondo formulazioni psicoanalitiche alla base del vaginismo esisterebbe una sorta di ostilità nei confronti dell’uomo e un conseguente desiderio inconscio di castrarlo. Secondo le più classiche teorie psicoanalitiche dello sviluppo psicosessuale, la bambina che non ha risolto la sua invidia del pene è candidata a sviluppare, da adulta, un quadro di vaginismo. L’esperienza pratica, però, dimostra che questo non sempre è vero perchè vi sono donne che non hanno sviluppato questo tipo di inconscio habitus mentale nei confronti del maschio e anzi desiderano vivamente risolvere questa loro inadeguatezza per vivere appieno la propria sessualità.
Altre teorie postulano invece che importanza fondamentale abbia il tipo di educazione ricevuta: in effetti spesso si tratta di donne appartenenti a famiglie dove la parola “sesso” non è mai stata pronunciata per motivi strettamente moralistici o rigidamente religiosi.
Altre volte tali pazienti hanno una storia di traumi sessuali durante l’infanzia (stupri, incesti). Infine non dobbiamo dimenticare l’ignoranza e la mancata informazione sulla fisiologia sessuale (da cui paura e dolore per l’atto sessuale) nonchè il senso profondo di colpa causato da un conflitto sessuale soggiacente che ingenera paura della punizione.
Epidemiologia della donna affetta da vaginismo
E’ interessante osservare che queste pazienti presentano caratteristiche abbastanza comuni. Si tratta in genere di donne di aspetto molto piacevole, altamente orgasmiche, spesso di elevato livello socio-economico e culturale, con una vita relazionale generale di qualità apparentemente elevata.
Il partner della donna con vaginismo è generalmente persona molto tollerante e comprensiva, che mostra affetto ed interessamento per la propria compagna.
Non bisogna però dimenticare che in una discreta percentuale di casi si tratta di soggetti che presentano una forma di disfunzione sessuale (in genere eiaculazione precoce o impotenza erettiva primaria o secondaria al vaginismo della partner) .
L’età delle pazienti con vaginismo varia notevolmente a seconda del grado di disagio che tale condizione provoca spingendole così a ricorrere allo specialista: vi sono ragazze che si presentano al medico (magari a quello di famiglia) dopo i primi fallimentari rapporti sessuali completi, e donne di età avanzata che decidono di affrontare questo problema dopo 20 o 30 anni di matrimonio. A tal proposito è opportuno sottolineare che il vaginismo è fra le cause più comuni di matrimoni “bianchi”, cioè non consumati.
Trattamento: da quanto abbiamo esposto, appare chiaro che, nei casi in cui si sia ravvisata l’esistenza di un problema di natura organica, il nostro intervento sarà orientato alla risoluzione di tale problema. Pertanto sarà giustificato il ricorso alla terapia medica o chirurgica a seconda della complessità del caso.
Quando invece ci troviamo di fronte ad una situazione di chiara origine psicogena, occorre spiegare alla paziente, con molta naturalezza, che è possibile, tramite il ricorso ad una terapia sessuale specifica, il superamento di questo suo angosciante disturbo. A questo proposito va detto subito che il tipo di approccio al problema può in parte variare a seconda dell’esperienza dei vari autori. In linea generale possiamo affermare che la terapia è inizialmente orientata al superamento di alcune ” barriere” apparentemente insormontabili:
- la scarsa e spesso errata informazione che la paziente ha dei propri genitali esterni ed interni.
- l’elemento fobico che determina la contrazione involontaria dei muscoli addominali, adduttori delle cosce e circumvaginali.
Tale scopo potrà essere ottenuto da un lato dimostrando (attraverso immagini, schemi, disegni) quali sono le caratteristiche anatomiche e fisiologiche dell’apparato genitale femminile e, in particolare, della vagina; dall’altro facendo compiere alla paziente semplici esercizi di rilassamento muscolare i cui risultati potranno essere immediatamente apprezzati dalla donna stessa.
Una volta superati questi due primi e fondamentali ostacoli, si potrà passare, sempre molto gradualmente e con naturalezza, alle varie fasi di penetrazione vaginale ricorrendo al dito o a cateteri di gomma o di plastica oppure a “tutori vaginali” che consistono in un set di strumenti sterilizzabili il più grosso dei quali ha le dimensioni di un pene medio in erezione.
In ogni caso questa terza fase non può essere schematizzata molto facilmente perchè presenta frequenti variabili soggettive e dovrà essere pertanto il terapeuta, sulla base della propria esperienza, a decidere quando passare ad una tappa successiva.
E’ controverso se il partner debba o meno essere presente durante le sedute. Ritengo che la sua presenza sia veramente necessaria durante i colloqui iniziali e ogniqualvolta si presenti l’occasione o la necessità di avviare una discussione e un’analisi dei risultati. Per quel che riguarda gli aspetti pratici, tecnici, sono invece del parere che la donna debba viverli preferibilmente da sola, con la presenza rassicurante del terapeuta il quale gioca, in questo caso, quel ruolo di genitore permissivo che alla paziente è mancato durante l’adolescenza.
In conclusione si può affermare che i risultati dei trattamenti sessuoterapeutici in casi di vaginismo sono largamente positivi, a condizione che si riesca ad ottenere dalla paziente fiducia e disponibilità.
Dispiace davvero incontrare donne (e capita più frequentemente di quel che si pensi) che hanno vissuto una vita sessuale fallimentare ed umiliante, mettendo a dura prova la propria relazione di coppia, soltanto per non essere riuscite a vincere i propri condizionamenti morali e per non aver trovato la persona giusta con cui confidarsi e risolvere il proprio dramma.

Sandro Viglino -ginecologo – sessuologo
Pubblicazione del 1989

CICLO MESTRUALE

Durata del ciclo
L’intero ciclo mestruale dura in media 28 giorni, con variazioni minime da soggetto a soggetto. Il primo giorno di mestruazione è considerato il primo giorno del ciclo.
Dal 1° al 4° giorno
Il calo dei livelli di progesterone nell’organismo determina l’inizio della mestruazione cioè l’eliminazione del rivestimento uterino. In questo periodo alcuni ormoni prodotti dall’ipofisi (ghiandola pituitaria), e attivati da segnali provenienti dall’ipotalamo (una parte del cervello) stimolano la maturazione dell’ovulo nell’ovaio, che a sua volta produce crescenti quantità di estrogeni.
Dal 5° al 14° giorno
Il flusso mestruale cessa in genere dopo il 5° giorno. Nei giorni sucessivi si verificano ancora secrezioni di muco proveniente dalla cervice (collo dell’utero). Tra il 9° e il !3° giorno i livelli di estrogeni raggiungono i valori massimi e il muco secreto dalla cervice è limpido e fluido. E’ questo l’inizio del periodo fertile del ciclo. Verso il 13° giorno anche il livello degli ormoni ipofisarici che stimolano la maturazione e l’emissione dell’ovulo raggiunge i valori massimi, la temperatura corporea aumenta di circa mezzo grado essendosi verificata l’ovulazione.
Dal 15° al 23° giorno
Dopo l’ovulazione, se l’ovulo non è fecondato, il livello di estrogeni diminuisce drasticamente.Il follicolo che ha liberato l’ovulo si trasforma in una ghiandola, detta corpo luteo, che secerne progesterone. Tra il 15° ed il 16° giorno si ha la produzione del muco cervicale denso ed opaco, che in seguito scompare o si riduce.
Dal 24° al 28° giorno
L’attività del corpo luteo regredisce, con conseguente diminuzione dei livelli di progesterone, fino a scomparire. Iniziano i sintomi premestruali, come la tensione al seno, un lieve aumento di peso (dovuto a ritenzione idrica), instabilità emotiva o legera depressione. L’inizio del flusso mestruale può essere accompagnato da un diminuzione di temperatura di 1-2°C.


Luciana CASTAGNOZZI -specialista in Andrologia
Milano
pubblicazione del 2002

REGOLAZIONE NATURALE DELLA FERTILITA’: Metodo Billings

La semplice osservazione dell’andamento del muco e della sensazione da esso prodotta ai genitali esterni segnala infatti alla donna, giorno per giorno, il suo stato di fertilità o di non fertilità, indipendentemente dalla regolarità dei suoi cicli.

Il Metodo Billings presenta notevoli vantaggi:
- non altera i ritmi naturali dell’organismo;
- può venire usato in ogni circostanza della vita riproduttiva della donna: cicli
regolari, irregolari, allattamento, premenopausa, post­pillola…
- non provoca effetti secondari spiacevoli perchè non richiede l’uso di sostanze chimiche, medicamenti, o dispositivi meccanici (spirale, diaframma…),
- non è costoso da usarsi,
- non esistono obiezioni mediche, ecologiche e morali al suo uso,
- può venire insegnato da personale non medico,
-dà alla donna una mogliore conprensione del proprio corpo, e alla coppia la comprensione della propria fertilità,
- la responsabilità della regolazione della fertilità viene condivisa dai coniugi e il dialogo tra loro viene rafforzato.
Il Metodo Billings è rivolto alle coppie che guardano alla loro fertilità come a un dono da apprezzare e proteggere, e considerano l’astinenza periodica dai rapporti come un’espressione di amore e di maturità. Nonostante la sua rigorosa scientificità e l’elevata efficacia (97,8%, secondo uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), il Metodo Billings è spesso poco o mal conosciuto.
I motivi possono essere diversi:
- Economici, assenza di interessi e di sponsorizzazioni nel settore medico e farmaceutico;
- Culturali, mentalità corrente che non favorisce l’impegno personale e di coppia;
- Mezzi di comunicazione, diffusione di informazioni non sempre corrette e, in ogni caso, inadeguate per l’apprendimento del metodo che richiede l’insostituibile ausilio di un’insegnante qualificata;
- Insuccessi del metodo Ogino­Knaus, atteggiamento conseguente di sfiducia verso i metodi naturali in genere
La diffusione dei Metodi Naturali e la preparazione di operatori qualificati in questo campo, richiedono il supporto di materiale didattico adeguato.
Per avere le idee più chiare si può leggere il libro “Secondo Natura – Il Metodo Billings”, BBE-Rizzali, Torino, 1985.,della dott.ssa Anna Cappella, Direttrice del Centro Studi e Ricerche sulla Regolazione Naturale della Fertilità, Università Cattolica S. Cuore, Roma (tel. 06 33.05.49.54)
Il volume con la ricchezza di disegni e fotografie risulta facilmente accessibile.
Dalla stimolante lettura del testo può sorgere il desiderio di applicare il Metodo. A tal fine in ultima pagina vengono riportati gli indirizzi dei principali centri italiani di insegnamento.

Angela Maria Cosentino-farmacista
pubblicazione del 1986

1978 – 1987 ESPERIENZE DI ABORTO FARMACEUTICO

Insomma, non è affatto consoli­dato il semplice meccanismo per cui ad ogni richiesta di intervento abortivo (entro i novanta giorni di gravidanza) corrisponda l’otteni­mento della prestazione richiesta: dipende dall’area geografica, dal­l’organizzazione sanitaria del luo­go, dal rapporto obiettori-non obiettori della struttura sanitaria, dalla presenza o meno di un servi­zio autonomo di interruzione della gravidanza piuttosto che dalla con­fluenza dello stesso nel novero di tutti gli altri complessi servizi di un reparto di ostetricia-ginecologia, nonché dal numero di donne che richiedono la prestazione. Insom­ma l’esecuzione dell’intervento è una risultante del tutto contingente a fattori molteplici che rendono disomogenea la distribuzione degli interventi abortivi eseguiti, ed il numero complessivo costante degli aborti è piuttosto l’ espressione di un perdurare di questo intreccio di variabili e non certo indice di oscil­lazioni di tendenze nei confronti della pratica abortiva.
In effetti la regolamentazione dell’aborto in vigore in Italia ben rappresenta l’ibrido tra la sorpas­sata concezione penalizzatrice e la sconfitta posizione depenalizza­trice.
Come uscirne fuori?
A tal proposito e stato significa­tivo il recente convegno “L’inter­ruzione volontaria di gravidanza: problemi, tendenze, prevenzione”, tenutosi a Roma presso l’Istituto Superiore di Sanità, a cui ho parte­cipato con una comunicazione in qualità di coordinatore dell’Asso­ciazione per l’aborto non chirurgi­co e per l’autodeterminazione del­la donna, che da anni si batte tra l’altro per l’introduzione degli ana­loghi di prostaglandine – che con­sentono l’aborto farmaceutico ­nella Farmacopea Ufficiale. Ebbe­ne la Schering ha finalmente regi­strato il suo analogo di prostaglan­dine – sulprostone – che sotto for­ma di fiale è a disposizione in Italia nelle farmacie ospedaliere.
Possiamo essere soddisfatti di tale risultato a cui abbiamo contri­buito con anni di impegno ed iniziative (l’ultima rilevante delle quali è stata la consegna al Mini­stero della Sanità delle migliaia di firme raccolte sulla petizione po­polare per l’introduzione degli analoghi di prostaglandine nella Farmacopea Ufficiale).
L’impegno adesso ha da riguar­dare il passaggio successivo: l’a­borto di gravidanza iniziale è in grado di essere sottratto per merito degli analoghi di prostaglandine dalla gestione chirurgica e quindi ospedaliera, divenendo praticabile ambulatoriamente se non addirittura domiciliarmente sotto un me­ro controllo medico e senza defati­ganti procedure.
Dunque o cambia la legge 194 sull’aborto nel senso di una reale depenalizzazione o le donne an­dranno in ospedale (a termine di un iter obbligato) per effettuare delle semplici iniezioni o per la mera somministrazione di ovuli va­ginali di analoghi di prostaglandi­ne!, cose cioè che potrebbero be­nissimo fare anche in ambulatorio oppure a casa loro (come avviene in Svezia) sotto un normale con­trollo sanitario).
Insomma la scienza ha compiuto il suo compito offrendo alle donne l’aborto farmacologico; un prodot­to a base di analoghi di prostaglan­dine è entrato nella Farmacopea Ufficiale Italiana: si tratta ora di fronteggiare le resistenze, i pregiu­dizi, gli interessi, le mentalità e la stessa legge 194 che impediscono il valido e pieno utilizzo di tale im­portante acquisizione per la salute e l’autodeterminazione della donna.
Maurizio Mottola
pubblicazione del 1987

ABORTO NON VUOL DIRE CONTRACCEZIONE

II problema è certamente urgen­te, anche per porre un freno ai 209.954 aborti (1985) «ufficiali» ed ai quasi 300.000 clandestini, questi ultimi in gran parte riguardanti minorenni o comunque, giovanissime.
Tale aumento della sessualità tra i giovanissimi è indubbiamente favorito da fattori biologici, quali l’anticipazione della libertà e dell’età fertile, come documentato da diversi Autori.
Negli ultimi decenni si è infatti osservata nei paesi europei e nordamericani, la tendenza all’anticipazione del menarca di 3-4 mesi ogni decade, probabilmente per le migliorate condizioni alimentari ed igienico-sanitarie.
L’età media di comparsa del menarca è attualmente di 14-15 anni nei paesi rurali in via di sviluppo, mentre e di 12,5-13,5 anni nelle aree urbane di tutto il mondo.
Questi dati di fatto fanno ragio­nevolmente concludere che l’uso della pillola nelle giovanissime sia giustificato.

Luci ed ombre della contraccezione in Italia
Per contraccezione si intende il controllo della fertilità impedendo la fecondazione in via temporanea.
La contraccezione rappresenta pertanto uno dei mezzi per il controllo della fertilità (altri mezzi sono: l’aborto indotto, l’astinenza sessuale, la sterilizzazione).
Solo una certa percentuale di donne in età fertile desidera avere figli; per molte la gravidanza costituisce un ostacolo o un problema per le più diverse ragioni (professione, situazione economica, problemi di alloggio, ecc.) o addirittura un rischio (età avanzata, rischi genetici, malattie di cuore o di reni, ecc.). La scelta contraccettiva è adeguata solo quando il soggetto ottiene dalla società tutte le informazioni riguardanti le varie metodiche (scuola, Sistema Sanitario Nazionale, mass media), così da poter rapportare il rischio al beneficio relativamente alla propria situazione.
La mancanza di adeguate informazioni, ad esempio, ha determinato in molte nazioni il fallimento dei programmi di contraccezione per le giovanissime.
Le scelte contraccettive sono profondamente mutate negli ultimi vent’anni e la linea di tendenza moderna privilegia chiaramente i metodi più efficaci, primo in assoluto la pillola.
Purtroppo il nostro Paese vede sempre un notevole numero di interruzioni volontarie della gravidanza.
Notevoli sono poi le variazioni regionali riguardanti l’uso della pillola: si va dal 14,4% del Trentino-Alto Adige al 2,8% della Basilicata. Genericamente si può dire che l’uso della pillola è strettamente legato alla realtà socio-economica di ogni singola regione.
Sulla contraccezione in Italia, l’International Health Foundation ha compiuto un interessante studio su un campione di donne tra i 15 ed i 45 anni. Ne sono emerse informa­zioni interessanti, ma anche segni di disinformazione e di pregiudizio incredibili. L’indagine risale a qualche anno fa e molti dati che vi emergono sono da conside­rarsi superati, grazie soprattutto all’affidabilità ed all’innocuità delle pillole di ultima generazione.

LA PILLOLA IN ITALIA (1985)…. E GLI ABORTI INDOTTI

 

Aborti (per 1000 donne) (15 – 49 anni)

Pillola percentuale d’uso (15 – 45 anni)

Italia Settentrionale
Piemonte

18.4

7.0

Valle D’Aosta

18.5

12.6

Lombardia

14.9

8.1

Trentino Alto Adige

10.0

14.4

Veneto

6.7

6.6

Friuli

16.6

6.8

Liguria

17,5

8.5

Emilia

20.9

7.3

Italia Centrale
Toscana

19.0

6.1

Umbria

21.1

4.2

Marche

14.7

4.1

Lazio

19.0

5.1

Abruzzo

15.9

4.7

Sardegna

11.8

8.6

Italia Meridionale
Molise

14.6

3.3

Campania

11.0

3.1

Puglia

27.7

3.7

Basilicata

11.1

2.8

Calabria

8.0

2.9

Sicilia

11.6

4.7

 

LA PILLOLA IN EUROPA (1985)

 

PAESE

%

Belgio

38.4

Olanda

36.9

Francia

33.0

Svezia

31.6

Germania

31.0

Austria

26.2

Svizzera

22.0

Inghilterra

21.9

Portogallo

21.0

Finlandia

14.0

Spagna

13.6

Irlanda

11.0

ITALIA

7.3

Turchia

3.9

Grecia

1.9

 

Metodo anticoncezionale seguito:
30 % non segue alcun metodo
27% coito interrotto e/o astinenza periodica
23% profilattico
20% altri metodi

L’informazione alla donna viene fornita da:
64% Ginecologo
13% Consultorio
12% Amiche
11% Altri

Mini storia della pillola
La pillola anticoncezionale – ben presto diventata «la pillola» per antonomasia – nacque nel luglio 1960 quando Gregory Pincus la presentò a Co­penaghen al Congresso Internazio­nale sul controllo della fertilità.
Gli anni non sono passati invano. Almeno quattro generazioni di pillole si sono succedute, sempre con continui miglioramen­ti, tanto che le pillole moderne hanno ormai dosaggi ormonali bas­sissimi e sono pressoché prive di qualsiasi effetto collaterale.
Grazie a questi progressi, la pil­lola andava incontro ad un rapido successo nei paesi industrializzati ed in tutte quelle società avanzate che vedevano in essa il mezzo più efficace ed economico per attuare una procreazione responsabile a prova di errore.
Ma non fu un cammino privo di ostacoli. Cominciarono ad appari­re studi, rivelazioni, articoli che sottolineavano diversi aspetti ne­gativi della concentrazione orale ed i rischi potenziali per le donne che usufruivano di questa forma di controllo delle nascite.
La conseguenza fu ovvia e com­portò un massiccio ripensamento da parte della classe medica e delle donne nei confronti dell’uso della pillola.
Fu un castello che bisognò smontare pezzo dopo pezzo, avvalendosi di studi estremamente qualificati e degli indubbi progressi che il passare degli anni comportava nella formulazione della pillola.
Gli esempi possibili sono tanti.
Nel 1981, in Gran Bretagna, venne pubblicato da «Lancet» uno studio multicentrico che dimostrava un costante e sensibile declino della mortalità da malattie cardiocircolatorie nelle donne in età fertile, tra il 1961 ed il 1976, quando cioè l’uso della pillola era estremamente diffuso tra le inglesi.
L’ultimo episodio ha fatto cadere anche l’accusa che la pillola favorisca l’insorgere del cancro al seno. L’accusa, nata negli USA, dove 1 donna su 13 può aspettarsi di essere colpita da un cancro al seno, è rimbalzata in Europa, con­tribuendo non poco a mettere ancora nel dubbio le donne che ricorrevano alla contraccezione orale.
Gli studi compiuti in passato, sia per confutare che per confermare tale tesi, avevano il difetto di essere stati compiuti su campioni fem­minili troppo ridotti ed erano troppo a ridosso dell’assunzione di an­ticoncezionale. Poi l’autorevole «The New En­gland Journal» ha pubblicato i ri­ultati di uno studio compiuto su 4.711 donne tra i 20 ed i 54 anni che avevano avuto un tumore al seno ed un gruppo di controllo di 4.754 donne scelte a caso nelle stesse fasce d’età.
I risultati della grande indagine sono stati rassicuranti: le donne che hanno preso la pillola per periodi più o meno lunghi non hanno maggiori probabilità di sviluppare un tumore della mammella rispetto alle donne che non hanno mai usato la pillola.
Le quattro qualità indispensabili per una buona contraccezione sono:
l’efficacia,
l’innocuità,
la reversibilità (Ia donna ridiventa fertile sospendendo la pillola),
l’accettabilità.
Efficacia:
La pillola è al primo posto con una percentuale di sicurezza che rasenta il 100%, come testimoniano gli oltre 100 milioni di donne che oggi prendono la pillola. Da quando esiste, la pillola ha subìto una vera rivoluzione, pervenendo a formulazioni con sempre minore dosaggio di principi attivi. Un progresso in questo settore è rappresentato dalla pillola trifasica, che unisce i vantaggi della più bassa dose di ormoni in assoluto (il 30% in meno rispetto alle monofasiche moderne: un grammo di ormoni in 30 anni di trattamento) con quello di uno schema di somministrazione che riproduce l’andamento fisiologico del ciclo mestruale. Nel ciclo mestruale fisiologico, infatti, la quantità di ormoni prodotti nel corpo della donna non è costante nell’arco del ciclo, ma varia nelle tre fasi del periodo femminile: la fase che segue immediatamente la mestruazione, quella che coincide con l’ovulazione, quella che precede la mestruazione successiva.
Innocuità:
è legata alle caratteristiche della trifasica, fedele all’andamento naturale del ciclo, tanto da annullare possibili effetti collaterali. Questa pillola non solo non da effetti collaterali, ma migliora gli eventuali disturbi esistenti prima del trattamento: acne, nausea, mal di testa, tensione mammaria, dismenorrea; inoltre non produce aumenti della pressione del sangue e non altera il metabolismo dei grassi e degli zuccheri. Vengono così a cadere le controin­dicazioni per la donna diabetica, per quella che ha problemi di varici, per l’adolescente, per la quarantenne. Alla Trifasica la scienza medica riconosce tre vantaggi:
- non fa ingrassare
- non provoca la comparsa di peluria
- migliora l’acne preesistente
Reversibilità:
é una caratteristica peculiare della trifasica che permette il più completo ripristino della fertilità dopo 10-15 giorni dalla sospensione del trattamento.
Accettabilità:
le ultime statistiche danno un incremento nei consumi della pillola di circa il 20%.

pubblicazione del marzo 1987

IL METODO BILLINGS

Mentre il periodo postovulatorio è pressoché costante, il periodo preovulatorio può essere variabile, e la sua lunghezza dipende dal tempo richiesto perché il follicolo ovarico giunga a maturazione e si abbia il rilascio della cellula uovo o ovulazione. Il follicolo in maturazione produce estrogeni che stimolano il collo dell’utero a produrre il muco. La secrezione mucosasubisce tipiche modificazioni in rapporto all’aumento progressivo degli estrogeni in circolo. Infatti il muco da opaco, denso, vischioso quale appare all’inizio, diventa via via più elastico, filante, trasparente. Avvenuta l’ovulazione, oltre agli estrogeni viene prodotto il progesterone. Questo ormone determina un brusco cambiamento delle caratteristiche del muco cervicale che torna ad essere denso e vischioso (fig. 1). Il merito del metodo dell’ovulazione consiste nell’aver scoperto che la donna può accorgersi da sola della comparsa del muco e delle sue caratteristiche modificazioni. Il muco prodotto dal collo dell’utero si porta infatti per gravità ai genitali esterni dove la sua presenza può essere rilevata sia visivamente (senza ricorrere ad indaginose esplorazioni interne), sia indirettamente in base alle caratteristiche sensazioni che ne rivelano la presenza. Il muco cervicale non è solo un sintomo di ovulazione, è anche un fattore di fertilità, in quanto consente la sopravvivenza degli spermatozoi ed il loro transito verso la cavità uterina. In assenza di muco l’ambiente acido della vagina altera gli spermatozoi in brevissimo tempo.
Il muco prodotto sotto lo stimolo estrogenico, se osservato almicroscopio elettronico, presenta una caratteristica struttura a larghe maglie che favorisce la penetrazione e la progressione degli spermatozoi (Fig. 2).
Per effetto del progesterone il muco modifica non solo il suo aspetto macroscopico, ma anche la sua ultra struttura che presenta delle fitte maglie tali da ostacolare o addirittura impedire il passaggio degli spermatozoi (Fig. 3).

Il metodo dell’ovulazione, a differenza del metodo Ogino Knaus, non si affida a previsioni fondate su calcoli probabilistici che non sempre riproducono nella realtà la possibile variabilità dei cicli, ma è basato su solidi fondamenti scientifici. A differenza del metodo della temperatura basale, fornisce non solo informazioni sull’infertilità postovulatoria, ma anche sull’eventuale infertilità preovulatoria, che in alcune condizioni particolari (cicli irregolari, stress, allattamento, premenopausa, sospensione della Pillola…) può prolungarsi anche per mesi. Il metodo, pertanto, risulta applicabile in tutte le situazioni della vita riproduttiva.

Uno studio dell’OMS, condotto in cinque paesi del mondo di diverse condizioni economiche, sociali, sanitarie; India, Nuova Zelanda, Filippine, Irlanda, EI Salvador; ha riportato per il Metodo Billings un’efficacia del 97,8%, pari ad un indice di gravidanza del 2,2% anni donna (indice di Pearl)*

Alcune statistiche riportano tassi di gravidanza più alti perché includono anche le gravidanze riferibili all’uso consapevole di giorni fertili. Chiaramente questo tipo di gravidanze non può essere attribuita al fallimento biologico del metodo. La scelta di un metodo naturale implica che la responsabilità della pianificazione familiare sia affidata soprattutto alla coppia, che riconoscendo le indicazioni di fertilità decide liberamente e consapevolmente di evitare la gravidanza o di aprirsi alla possibilità di un concepimento. La decisione di avere o no un figlio in un dato momento, viene condiviso dai coniugi e non è affidato ad un mezzo esterno che può gravare fisicamente o psichicamente su uno dei due partners. La coppia viene stimolata a riscoprire tutta la ricchezza della sua sessualità che non si esaurisce soltanto nel rapporto sessuale. In questa ottica l’astinenza eventualmente richiesta dal metodo nella fase fertile, ove vi siano seri motivi per evitare una gravidanza, non risulta più una mortificazione, ma uno stimolo positivo a sviluppare la creatività stessa dell’amore.

Indipendentemente dalla necessità e dalla decisione di regolare la fertilità, la conoscenza del metodo dell’ovulazione potrà aiutare la donna a capire meglio il proprio corpo. È auspicabile che questa “conoscenza di sé” venga acquisita precocemente, fin dall’adolescenza. Il metodo ha infine una importanza sanitaria nel campo della medicina preventiva: non solo consente di regolare la fertilità della coppia senza l’uso di farmaci o dispositivi estranei all’organismo, ma fa si che la donna possa accorgersi precocemente di eventuali alterazioni della sua fisiologia e rivolgersi tempestivamente al medico.

* Indice di Pearl = n. di gravidanze x 100 anni-donna
n. mesi di uso del metodo

Angela Maria Cosentino Farmacista
Elena Giacchi Ginecologa
pubblicazione del 0983

L’ADOLESCENTE E IL GINECOLOGO

Da alcuni anni, invece, grazie al miglioramento delle tecniche diagnostiche e chirurgiche da un lato e della sensibilizzazione delle famiglie dall’altro, sempre più numerose sono le adolescenti (accompagnate o no) che si rivolgono al ginecologo per problemi anche di modesta entità.
In questo articolo, anche per la necessità di restare negli spazi consentiti, prenderemo in considerazione soltanto i quadri di maggior interesse perché più diffusi.

Quadri malformativi
In questo contesto voglio citare soltanto l’imperforazione imenale perché rappresenta un quadro relativamente frequente. Si tratta di un’anomalia dell’imene (che, appunto, appare imperforato) di cui ci si rende conto soltanto quando essa è causa di ostacolo al defluire di liquidi contenuti nella vagina: “mucocolpo e idrocolpo” (spesso già evidenti nella neonata e dovuti alla ritenzione di muco e secrezioni delle ghiandole, in genere, cervicali) ed “ematocolpo” (che può presentarsi, ad esempio, in coincidenza con la prima mestruazione e che è dovuto alla ritenzione di sangue, in questo caso mestruale, in vagina).
La diagnosi è relativamente semplice (talvolta già all’ispezione) mentre il trattamento consiste essenzialmcnte nel drenaggio della raccolta (mucosa o ematica).

Flogosi vulvo-vaginali (vulvo-vaginiti)
Premesso che la vagina è sterile soltanto nei primi giorni di vita postatale per poi essere colonizzata da varie specie di microrganismi (così come in tulta la restante vita fertile), le flogosi vulvovaginali sono decisamente più frequenti a partire dall’adolescenza, soprattutto perché in questa fase della vita possono avere inizio i rapporti sessuali. Così come nella donna adulta, anche nell’adolescente la vagina possiede propri mezzi di difesa che sono, principalmente, rappresentati dalla possibilità per la flora lattobacillare di utilizzare il glicogeno presente nelle cellule vaginali (sfaldate per l’effetto del progesterone prodotto nella fase postovulatoria) al fine di produrre acido lattico e quindi di mantenere il pH vaginale a quel grado di acidità che consente di attuare una vera e propria bariera nei confronti di eventuali microrganismi patogeni. Da quanto esposto si può comprendere che la presenza di secrezioni vaginali lattiginose e trasparenti deve essere considerata nella norma e anzi, rappresenta un indice dello stato di salute dell’apparato genitale. Di qui l’avvertenza di non sottovalutare l’importanza dell’igiene intima quotidiana già a partire da questa età: i primi rapporti sessuali e l’uso, ad esempio di assorbenti interni espone anche le adolescenti ad alterazioni dell’ambiente vaginale, per cui è importante istruire la giovane paziente sul corretto uso di saponi o prodotti in genere, per l’igiene intima che possano mantenere, appunto l’ambiente vaginale nelle idonee condizioni di acidità (pH 4.0-4.5). Questo dell’acidità dell’ambiente vaginale rappresenta uno dei sistemi principali di difesa ma non il solo: ci sono, infatti, altri tipi di difesa legati alle caratteristiche proprie dell’anatomia e della fisiologia dell’apparato genitale esterno, in genere. Tuttavia, come ho già detto con l’inizio dei rapporti sessuali, la vagina va più facilmente incontro ad alterazioni della normale flora commensale e, quindi, è più facile che microrganismi patogeni prendano il sopravvento su altri e diventino, così. responsabili di vere e proprie flogosi vulvovaginali. Queste sono decisamente numerose, ma mi limiterò ad elencare i quadri principali.

Vulvovaginite da Gardnerella vaginalis.
La Gardnerella è un bacillo aerobio che raramente prima del menarca (prima mestruazione) è in grado di provocare una vaginite ma che con l’inizio dei rapporti sessuali, può colonizzare la vagina e dar luogo ad una vera infezione batterica, caratteristica anche sul piano diagnostico perché si accompagna, in genere, ad una leucorrea dal tipico odore di pesce o di ammoniaca, tant’è che in alcuni casi si può fare diagnosi addirittura con il semplice olfatto. La terapia prevede la somministrazione di farmaci sia derivati dal metronidazolo che antibiotici.

Vulvovaginite micotica.
E’ questa una flogosi sempre più frequente in questi ultimi anni che interessa, prevalentemente, la donna adulta ma che può interessare anche la bambina e, ancor di più, l’adolescente, E’ legata alla presenza e alla quantità di colonie di miceti presenti in vagina: soprattutto si tratta di Candida albicans, un fungo che può normalmente trovarsi in vagina allo stato di saprofita (non patogeno) ma che, in particolari condizioni sia locali che generali (pillola, antibioticoterapie, diete squilibrate uso di indumenti troppo attillati o contenenti fibre sintetiche, inquinamento da parte dell’acqua di mare o di piscina) può essere responsabile di stati flogistici estremamente fastidiosi caratterizzati, oltre che da una leucorrea densa, abbondante, che ricorda la ricotta, anche da un fastidioso prurito in genere esteso alla regione vulvare e perineale. La diagnosi è relativamente semplice: si basa su quegli elementi clinici prima ricordati e sulla normale diagnostica di laboratorio oltre che sulla, possibilità di ricorrere a specifici tests rivelatori. La terapia consiste nell’uso di antimicotici sia per via orale (si ricordi che l’intestino rappresenta un’ importante fonte di ricolonizzazione della vagina da parte dei miceti) che localmente: a questo proposito va aggiunto che la candidosi vulvovaginale soltanto in una percentuale ridotta di casi è legata ai rapporti sessuali (in questo caso va trattato anche il partner). Li terapia va seguita scrupolosamente proprio perché alto è il numero delle recidive, specie in soggetti con difese immunitarie locali deficitarie.

Vulvovaginite da Trichomonas vaginalis.
Si tratta di una vulvovaginite causata da un protozoo (il Trichomonas vaginalis, appunto) che può rendersi responsabile di questa forma di flogosi in una percentuale di casi variabile tra il 5 ed il 10% delle vaginiti che colpiscono l’adolescente ed è quasi sempre legata ad una trasmissione di tipo sessuale, anche se non viene negata un possibilità trasmissiva da parte di servizi igienici e dell’acqua delle piscine. La sintomatologia è caratterizzata da bruciore vulvovaginale che spesso si accompagna a dispareunia (dolore in occasione di rapporti sessuali). Anche in questo caso è possibile porre la diagnosi con una certa facilità, talvolta anche prima della corrente diagnostica di laboratorio. La terapia consiste nell’uso di farmaci specifici antitrichomoniasici; In questo caso e sempre opportuno estendere il trattamento anche al partner, in considerazione del tipo di trasmissione prevalente.

Vulvovaginite herpetica.
Si tratta di una vulvovaginite causata da un herpes (in particolare dal virus Herpes simplex 2). Queste infezioni, molto rare in età prepubere, sono decisamente più frequenti in età adolescenziale perché principalmente legate ai rapporti sessuali. Si calcola che, in adolescenti sessualmente attive, le v.v. herpetiche intervengono in una percentuale di casi variabile tra l’1 ed il 6%. Dopo un breve periodo di incubazione, preceduto, in genere, da sensazioni parestesiche di formicolio e di prurito, si nota la comparsa di piccole maculopapule eritematose che si trasformano in breve tempo, in vescicole ripiene di siero che poi confluiscono e si aprono, dando luogo a tante piccole ulcerazioni. La vulva appare edematosa ed arrossata e, a seconda dell’entità del quadro, c’è spesso comparsa di un dolore urente. Come tutte le infezioni herpetiche, anche dopo guarigione l’herpes simplex tipo2 può rimanere in una stato di latenza e, in particolari condizioni (deficit immunitario, stress psicofisico), può risvegliarsi e rendersi responsabile di una nuova infezione. La diagnosi è clinica e laboratoristica. La terapia consiste nell’impiego di farmaci antivirali sia per via generale che locale (creme, pomate).

Vulvovaginite da papillomavirus.
Rappresenta un altro esempio di vulvovaginite virale, peraltro di frequenza progressivamente crescente in questi ultimi anni; è causata dal papilloma­virus, un virus presente in numerose specie (oltre 70) delle quali. però, solo alcune appaiono realmente pericolose (potenziale rischio oncogeno). Queste forme virali colpiscono la donna a tutte le età: certamente molto rare in età prepubere, cominciano a diventare frequenti proprio a partire dall’adolescenza, sempre in relazione ai rapporti sessuali. Clinicamente si caratterizzano per la comparsa di escrescenze granulo-papillari friabili (note come condilomi acuminati) visibili ad occhio nudo nella loro forma florida. Altre volte possono essere meno evidenti sul piano clinico (condilomi piani, forme subcliniche). Tale infezione può essere responsabile anche di una secrezione vaginale giallastra maleodorante e di prurito. La sede preferenziale è costituita dalle piccole e grandi labbra, dal perineo, dall’introito e dalle pareti vaginali e soprattutto, dalla cervice uterina. La diagnosi, oltreché clinica (quando è possibile), può essere meglio posta attraverso il pap test, l’esame colposcopico e la diagnosi istologica effettuata su prelievi bioptici di tessuto interessato dall’infezione. La terapia deve tener conto dell’estensione e della complessità del quadro per cui può variare da una posizione attendista (rafforzando, magari, le difese immunitarie) a trattamenti praticati attraverso elettrocoagulazione e laservaporazione. Ha perso un po’ di importanza, invece, la terapia generale attraverso l’impiego di interferone.

Det
Pubblicazione Settembre 1999

FLOGOSI VULVO – VAGINALI

Così come nella donna adulta, anche nell’adolescente la vagina possiede propri mezzi di difesa che sono, principalmente, rappresentati dalla possibilità per la flora lattobacillare di utilizzare il glicogeno presente nelle cellule vaginali (sfaldate per l’effetto del progesterone prodotto nella fase postovulatoria) al fine di produrre acido lattico e quindi di mantenere il pH vaginale a quel grado di acidità che consente di attuare una vera e propria bariera nei confronti di eventuali microrganismi patogeni. Da quanto esposto si può comprendere che la presenza di secrezioni vaginali lattiginose e trasparenti deve essere considerata nella norma e anzi, rappresenta un indice dello stato di salute dell’apparato genitale. Di qui l’avvertenza di non sottovalutare l’importanza dell’igiene intima quotidiana già a partire da questa età: i primi rapporti sessuali e l’uso, ad esempio di assorbenti interni espone anche le adolescenti ad alterazioni dell’ambiente vaginale, per cui è importante istruire la giovane paziente sul corretto uso di saponi o prodotti in genere, per l’igiene intima che possano mantenere, appunto l’ambiente vaginale nelle idonee condizioni di acidità (pH 4.0-4.5). Questo dell’acidità dell’ambiente vaginale rappresenta uno dei sistemi principali di difesa ma non il solo: ci sono, infatti, altri tipi di difesa legati alle caratteristiche proprie dell’anatomia e della fisiologia dell’apparato genitale esterno, in genere. Tuttavia, come ho già detto con l’inizio dei rapporti sessuali, la vagina va più facilmente incontro ad alterazioni della normale flora commensale e, quindi, è più facile che microrganismi patogeni prendano il sopravvento su altri e diventino, così. responsabili di vere e proprie flogosi vulvovaginali. Queste sono decisamente numerose, ma mi limiterò ad elencare i quadri principali.

Vulvovaginite da Gardnerella vaginalis.
La Gardnerella è un bacillo aerobio che raramente prima del menarca (prima mestruazione) è in grado di provocare una vaginite ma che con l’inizio dei rapporti sessuali, può colonizzare la vagina e dar luogo ad una vera infezione batterica, caratteristica anche sul piano diagnostico perché si accompagna, in genere, ad una leucorrea dal tipico odore di pesce o di ammoniaca, tant’è che in alcuni casi si può fare diagnosi addirittura con il semplice olfatto. La terapia prevede la somministrazione di farmaci sia derivati dal metronidazolo che antibiotici.

Vulvovaginite micotica.
E’ questa una flogosi sempre più frequente in questi ultimi anni che interessa, prevalentemente, la donna adulta ma che può interessare anche la bambina e, ancor di più, l’adolescente, E’ legata alla presenza e alla quantità di colonie di miceti presenti in vagina: soprattutto si tratta di Candida albicans, un fungo che può normalmente trovarsi in vagina allo stato di saprofita (non patogeno) ma che, in particolari condizioni sia locali che generali (pillola, antibioticoterapie, diete squilibrate uso di indumenti troppo attillati o contenenti fibre sintetiche, inquinamento da parte dell’acqua di mare o di piscina) può essere responsabile di stati flogistici estremamente fastidiosi caratterizzati, oltre che da una leucorrea densa, abbondante, che ricorda la ricotta, anche da un fastidioso prurito in genere esteso alla regione vulvare e perineale. La diagnosi è relativamente semplice: si basa su quegli elementi clinici prima ricordati e sulla normale diagnostica di laboratorio oltre che sulla, possibilità di ricorrere a specifici tests rivelatori. La terapia consiste nell’uso di antimicotici sia per via orale (si ricordi che l’intestino rappresenta un’ importante fonte di ricolonizzazione della vagina da parte dei miceti) che localmente: a questo proposito va aggiunto che la candidosi vulvovaginale soltanto in una percentuale ridotta di casi è legata ai rapporti sessuali (in questo caso va trattato anche il partner). Li terapia va seguita scrupolosamente proprio perché alto è il numero delle recidive, specie in soggetti con difese immunitarie locali deficitarie.

Vulvovaginite da Trichomonas vaginalis.
Si tratta di una vulvovaginite causata da un protozoo (il Trichomonas vaginalis, appunto) che può rendersi responsabile di questa forma di flogosi in una percentuale di casi variabile tra il 5 ed il 10% delle vaginiti che colpiscono l’adolescente ed è quasi sempre legata ad una trasmissione di tipo sessuale, anche se non viene negata un possibilità trasmissiva da parte di servizi igienici e dell’acqua delle piscine. La sintomatologia è caratterizzata da bruciore vulvovaginale che spesso si accompagna a dispareunia (dolore in occasione di rapporti sessuali). Anche in questo caso è possibile porre la diagnosi con una certa facilità, talvolta anche prima della corrente diagnostica di laboratorio. La terapia consiste nell’uso di farmaci specifici antitrichomoniasici; In questo caso e sempre opportuno estendere il trattamento anche al partner, in considerazione del tipo di trasmissione prevalente.

Vulvovaginite herpetica.
Si tratta di una vulvovaginite causata da un herpes (in particolare dal virus Herpes simplex 2). Queste infezioni, molto rare in età prepubere, sono decisamente più frequenti in età adolescenziale perché principalmente legate ai rapporti sessuali. Si calcola che, in adolescenti sessualmente attive, le v.v. herpetiche intervengono in una percentuale di casi variabile tra l’1 ed il 6%. Dopo un breve periodo di incubazione, preceduto, in genere, da sensazioni parestesiche di formicolio e di prurito, si nota la comparsa di piccole maculopapule eritematose che si trasformano in breve tempo, in vescicole ripiene di siero che poi confluiscono e si aprono, dando luogo a tante piccole ulcerazioni. La vulva appare edematosa ed arrossata e, a seconda dell’entità del quadro, c’è spesso comparsa di un dolore urente. Come tutte le infezioni herpetiche, anche dopo guarigione l’herpes simplex tipo2 può rimanere in una stato di latenza e, in particolari condizioni (deficit immunitario, stress psicofisico), può risvegliarsi e rendersi responsabile di una nuova infezione. La diagnosi è clinica e laboratoristica. La terapia consiste nell’impiego di farmaci antivirali sia per via generale che locale (creme, pomate).

Vulvovaginite da papillomavirus.
Rappresenta un altro esempio di vulvovaginite virale, peraltro di frequenza progressivamente crescente in questi ultimi anni; è causata dal papilloma­virus, un virus presente in numerose specie (oltre 70) delle quali. però, solo alcune appaiono realmente pericolose (potenziale rischio oncogeno). Queste forme virali colpiscono la donna a tutte le età: certamente molto rare in età prepubere, cominciano a diventare frequenti proprio a partire dall’adolescenza, sempre in relazione ai rapporti sessuali. Clinicamente si caratterizzano per la comparsa di escrescenze granulo-papillari friabili (note come condilomi acuminati) visibili ad occhio nudo nella loro forma florida. Altre volte possono essere meno evidenti sul piano clinico (condilomi piani, forme subcliniche). Tale infezione può essere responsabile anche di una secrezione vaginale giallastra maleodorante e di prurito. La sede preferenziale è costituita dalle piccole e grandi labbra, dal perineo, dall’introito e dalle pareti vaginali e soprattutto, dalla cervice uterina. La diagnosi, oltreché clinica (quando è possibile), può essere meglio posta attraverso il pap test, l’esame colposcopico e la diagnosi istologica effettuata su prelievi bioptici di tessuto interessato dall’infezione. La terapia deve tener conto dell’estensione e della complessità del quadro per cui può variare da una posizione attendista (rafforzando, magari, le difese immunitarie) a trattamenti praticati attraverso elettrocoagulazione e laservaporazione. Ha perso un po’ di importanza, invece, la terapia generale attraverso l’impiego di interferone.

Det
Pubblicazione Settembre 1999