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ETEROPLASIA OSSEA PROGRESSIVA

La POH è caratterizzata da ossificazioni in posti dove l’osso normalmente non c’e e che, a partire dalla cute, interessano progressivamente i tessuti connettivi più profondi fino ad interessare fasce muscolari, tendini, legamenti, muscoli e diventando perciò, in vario grado, invalidante a secondo delle sedi anatomiche colpite; le sedi infatti sono colpite in apparente maniera casuale a tipo mosaico, soprattutto gli arti.
La POH è un disordine dello sviluppo embrionale ed interessa la differenziazione delle cellule del mesenchima. La teoria più seguita indica che una cellula mesenchimale totipotente capace di differenziarsi in cellula ossea e/o cellula adiposa, per una mutazione, perde in alcune sedi l’inibizione a differenziarsi in cellula ossea e, quindi, quelle cellule che dovevano differenziarsi in cellule adipose si differenziano in cellule osteo­progenitrici.
Esistono casi sporadici, frutto di mutazioni spontanee, e casi familiari trasmessi per via autosomica dominante per via paterna. La maggior parte dei malati è portatore di una mutazione del gene GNAS situato sui cromosoma 20 al locus q13.2-13.3. II 35% dei malati non sono però portatori di tale mutazione e sono stati anche studiati due soggetti maschi, portatori della mutazione, non affetti dalla malattia che però hanno dato luogo a figli affetti. Inoltre tale mutazione può dar luogo ad altre patologie come:

* l’Osteoma Cutis, che è una forma minore della POH caratterizzata dalla mancanza della progressione delle ossificazioni verso i tessuti profondi, restando limitato il problema alla sola pelle;

* Lo PseudoPseudoloooaratiroidisrrio caratterizzato da un tipico aspetto morfologico che configura quella che viene chiamata Sindrome di Albright (faccia a luna piena, obesità, bassa statura, alterazioni metacarpali, ritardo mentale) che accompagna le ossificazioni (queste ultime però possono anche mancare) ed è sempre ereditato per via paterna;

* Lo Pseudoloooaratiroidismo tipo la caratterizzato sempre dalla Sindrome di Albright, ma accompagnata anche da resistenza ormonale, aumento del Paratormone, Ipocalcemia, calcificazioni intracraniche, e che si trasmette per via materna.

La POH inizia alla nascita o subito dopo, con un rash cutaneo caratteristico formate da noduli (le ossificazioni) della pelle che progressivamente guadagnano i tessuti sottostanti oppure estrudono materiale gessoso scomparendo e lasciando esiti più o meno evidenti. Ovviamente quando le ossificazioni si formano intorno ad un’articolazione, la stessa viene a bloccarsi sia anatomicamente che funzionalmente, portando a inabilità
e talvolta a sviluppo abnorme degli arti in flessione forzata con malformazioni secondarie. In realtà, nell’approfondirsi, le ossificazioni seguono l’andamento dei fasci neuro-vascolo­connettivali, creando così una specie di rete ossea che va ad inglobare i tessuti muscolari, giustificando l’ aspetto caratteristico radiologico lacunare, a rete, a merletto, a bozzolo, come i tralci della vite, aspetto ovviamente che è ben evidente nei preparati anatomici macroscopici e istologici. Questi preparati mettono in evidenza, inoltre, che il processo ossificativo avviene per lo più per via diretta membranosa, senza una fase cartilaginea.
Caratteristicamente non è associata a malattie o malformazioni primitive dello scheletro, non c’e coinvolgimento degli organi interni, non ci sono alterazioni ormonali, gli esami di laboratorio sono sempre normali salvo, in alcune fasi, un aumento della Fosfatasi Alcalina. II decorso è variabile ed è caratterizzato da fasi in cui la produzione di osso ectopico è rallentata e fasi in cui il processo diviene più rapido senza apparenti motivazioni. Non ci sono comunque fasi di riacutizzazione improvvisa o di rapidissima diffusione delle ossificazioni a tipo flare-up. Il dolore spesso è presente ed è causato dalla pressione delle ossificazioni sui tessuti circostanti o dal blocco dell’accrescimento di un arto ed è difficile da trattare,
Al momento non ci sono cure o farmaci disponibili per la terapia di questa malattia.
La ricerca scientifica attualmente è volta a comprendere bene i meccanismi molecolari e biochimici della formazione dell’osso per trovare un farmaco che vada a rimettere in sesto quell’interruttore disattivato dalla mutazione genetica e poter inibire così la differenziazione delle cellule mesenchimali pluripotenti in cellule osteoprogenitrici.

Dal 2001 in Italia è stata costituita l’Associazione Italiana per “Eteroplasia Ossea Progressiva con l’obiettivo di supportare la ricerca scientifica nella scoperta delle cause e di una cura per la POH, costituire una rete di supporto per le famiglie ed essere fonte di istruzione, formazione ed informazione per i malati, i loro familiari e amici, ma anche per i medici, infermieri, assistenti sociali.
Nel marzo del 2009 si è svolto a Cerignola il 1° Meeting Italiano sulla POH a cui hanno partecipato sia il Prof. F.S. Kaplan che la d.ssa Eileen Shore che sono i massimi esperti mondiali di questa malattia, entrambi di Philadelphia dove esiste l’unico laboratorio che si interessa della ricerca su questa malattia (che colpisce nel mondo meno di 100 persone) e sono i responsabili del POH International Collaborative Research Group che unisce scienziati di varie parti del mondo per collaborare allo studio della POH.
Per ulteriori notizie sulla malattia e sull’Associazione si può consultare il sito www.ipohaonlus.org, dove chi vuole può anche capire come aiutarci nella nostra lotta.
Se ti senti di condividere con noi le finalità della nostra Associazione fai una donazione libera versando il tuo contributo sui cc.postale n. 30708853 ovvero tramite bonifico bancario a BancoPosta: cod ice IBAN:
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Nella prossima dichiarazione dei redditi, destina il tuo “5 per mille” alla nostra Associazione Onlus, senza alcun costo aggiuntivo da parte tua, inserendo alla voce “5 per mille” il nostro Codice Fiscale: 90017210718
E’ disponibile una litografia dell’artista Gioacchino Loporchio, pensata per i nostri malati, dal titolo “Verso la luce” (formato 30 x 30 cm) assieme ad un catalogo (formato 30 x 30 cm) di raccolta di immagini dei quadri dell’autore (visionabile parzialmente su http://www.gioacchinoloporchio.it/) per contributi superiori ad euro 50,00 che verrà inviata a chi ne farà richiesta per iscritto, anche per e-mail, con spese postali a carico del destinatario.
Autore: Dr. Roberto BUFO
Presidente Associazione Italiana per l’Eteroplasia Ossea Progressiva Onlus
Pubblicazione Maggio 2010

LA SINDROME DI MOEBIUS

L’ aspetto predominante della Sindrome di Moebius e l’ animia facciale ovvero l’assenza di movimento dei muscoli facciali.
Nei neonati il primo sintomo che solitamente si riscontra è la difficoltà di suzione.
Sempre a causa del blocco dei muscoli facciali molti pazienti non riuscendo a chiudere bene la bocca presentano problemi di salivazione/bava. Sono frequenti i casi di strabismo e di persone che presentano malformazioni alla lingua, alla mascella, alle mani, ai piedi (piede torto).
Molti bambini presentano una bassa tonicità dei muscoli, soprattutto nella parte superiore del corpo.
In definitiva i sintomi/aspetti generali possono essere così riassunti:
* mancanza di espressività facciale, impossibilità a sorridere, fare smorfie;
* problemi di alimentazione, difficoltà di deglutizione con rischio di soffocamento (a volte sono necessari tubi speciali per nutrire i pazienti; si deve prestare particolare attenzione con cibi solidi);
* sensibilità dell’occhio a causa dell’impossibilità a chiudere gli occhi (spesso sono consigliati l’utilizzo di occhiali da sole e di cappellini);
* assenza di movimento laterale degli occhi;
* ritardo nello sviluppo della motorietà generale causato dalla scarsa tonicità dei muscoli della parte superiore del corpo (in genere i bambini colpiti dalla Sindrome d Moebius iniziano a gattonare più tardi);
* strabismo (correggibile con la chirurgia).
* bava;
* palato alto, palato schisi;
* lingua corta o deformata, movinto limitato della lingua;
* problemi dentali;
* problemi d’udito (causa fluido nelle orecchie, a volte si deve ricorrer all’utilizzo di particolari tubi);
* difficoltà a parlare (specialmente con le lettere labiali m, p, b).

La Sindrome di Moebius è poco cosciuta in Italia. Proprio per la scara conoscenza della malattia, spesso la sindrome non viene diagnosticata se non dopo mesi/anni dalla nascita .
La rarità della Sindrome di Moebius diventa quindi una complicazione in più oltre alle problematiche fisiche della malattia stessa.
La mancanza di conoscenza causa agli individui affetti dalla Sindrome Moebius ed alle loro famiglie incurezza, sconforto e angoscia.
La mancanza di informazione limita anche la diagnosi e la ricerca col risultato che non vengono sviluppate conoscenze sulle possibili cure, terapie esistenti nel mondo.

L’ ASSOCIAZIONE
L’Associazione Italiana Sindrome di Moebius O.n.l.u.s. è una organizzazione senza fini di lucro fondata da genitori che si sono uniti con lo scopo di combattere la Sindrome di Moebius ed altresì di promuovere in Italia lo sviluppo e la diffusione della ricerca scientifica nel campo della diagnosi e della cura della Sindrome stessa, nonchè di favorire il miglioramento dei servizi e dell’assistenza socio­sanitaria in favore dei bambini colpiti dalla Sindrome di Moebius e delle loro famiglie, attuando una progressiva collaborazione con le Associazioni e gli Istituti operanti in Italia e all’estero. Sebbene si tratti di un’associazione giovane, i risultati sin qui ottenuti sono di assoluto rilievo, sia dal punta di vista della visibilità ottenuta che da quello squisitamente medico scientifico.
In particolare è stato realizzato il 1° Convegno Internazionale in Europa sulla Sindrome di Moebius, a
Venezia, sull’Isola di S. Servolo, presso la Venice International University, nel mese di Luglio 2001, il 2° Convegno Internazionale aRoma nel mese di luglio 2003, il 3° Convegno Internazionale che si è tenuto Piacenza il 28 e il 29 Maggio 2005 e il 4° Convegno Internazionale che si è tenuto a Piacenza nelle giornate del 4-5-6 maggio 2007 con la partecipazione di Relatori provenienti da diversi Paesi.

Risultati:
* esistono percorsi terapeutici e chirurgici da coordinare e, soprattutto, da introdurre in Italia o per quanto riguarda la chirurgia, in Europa;
* nasce il comitato scientifico nazionale per la sindrome di Moebius, cui hanno aderito illustri scienziati,
che si e insediato ufficialmente il giorno 17 Dicembre 2001;
* è in corso, in collaborazione con I’Istituto Superiore di Sanità, il censimento dei 2500 casi che la statistica ci indica possano approssimativamente esistere nell’area di intervento;
* si è concretizzata la possibilità di organizzazione dei corsi in Italia per “acquisizione delle innovative tecniche terapeutiche, psicologiche e chirurgiche presentate al convegno, indispensabili nel trattamento della
sindrome di Moebius ma anche di altre affezioni di varia origine e complessità.

In particolare:
Oral-motor-therapy
Terapia di tipo “logopedistico” attuata da tempo negli Stati Uniti dalla dottoressa Sara Rosenfeld-Johnson, con risultati scientificamente documentati. Abbiamo organizzato il 1^ e il 2^ corso di formazione in Europa di Oral-Motor Therapy, tecnica ideata appunto dalla Dottoressa americana Sara Rosenfeld-Johnson.
II corso, a cui hanno partecipato terapisti e logopedisti provenienti da tutta Italia e da diversi paesi d’Europa, ha riscosso un grosso interesse tanto che e richieste pervenute ci spingono ad organizzare un nuovo periodo di training per gli specialisti italiani. AI fine di allargare la possibilità di utilizzo di questa tecnica anche per altre patologie l’Associazione ha promosso il Corso di Certificazione sulla tecnica Oral-Motor Therapy per 6 Specialiste Italiane tenutosi nelle giornate dal 19 al 23 Febbraio 2007.

Smile Surgery
Sino giugno 2003 una sola persona al mondo era in grado di restituire il sorriso ai bambini. E’ il dott. Ronald
Zuker Primario presso I’Hospital for Sick Children di Toronto. In estrema sintesi l’operazione consiste nell’asportazione di una porzione del gracile dall’interno della gamba al fine di un autotrapianto nella guancia. 170 operazioni eseguite ed altrettanti sorrisi donati a bambini che non ne avevano la possibilità
Al suo ritorno a Toronto ha dato incarico alla responsabile progetti internazionali dell’Ospedale di contattarci per concordare le possibili collaborazioni. Risultato: per la prima volta il Prof. Zuker si rende disponibile a ricevere in sala operatoria chirurghi stranieri esterni al suo gruppo (da noi indicati), per iniziare una formazione da concludersi in Italia. Si tratta di un’opportunità assolutamente irripetibile: egli è disposto a venire a operare presso una struttura in Italia al fine di poter mettere in condizioni una equipe del nostro Paese di operare in autonomia.
Dal mese di Settembre 2002, quindi, è iniziata la formazione di chirurghi italiani per l’apprendimento della chirurgia della Smile-Surgery Dopo 2-3 sessioni di formazione a Toronto il Dottor Zuker, da noi invitato, ha operato in Italia in collaborazione con lo staff medico della nostra Associazione. Ora la tecnica è definitivamente acquisita dal nostro staff medico. Numerose sono le richieste di poter accedere a questa tecnica; richieste che ci vengono avanzate da famiglie italiane e da famiglie provenienti da diversi paesi europei.

M.S.I.
Moebius Syndrome International
A Chicago in data 21 luglio 2002 è stata fondata la confederazione mondiale delle associazioni di supporto alla Sindrome di Moebius; la nuova nata si chiama M.S.I. ovvero Moebius Syndrome International ed il Presidente eletto è il Sig. De Grandi, già Presidente della nostra associazione. Anche questa è un passo notevole; uscirà ora un unico logo per tutte le varie associazioni, un unico comunicato, un unico coordinamento del board scientifico, un unico data­base mondiale.
Per ottenere i risultati sopra riportati come si può ben comprendere necessitiamo di diversi appoggi e aiuti non solo economici. Nella fattispecie è iniziato dal mese di luglio 2003 la raccolta per la costituzione della prima Banca DNA dela sSndrome di Moebius in collaborazione con diverse associazioni mondiali.
In collaborazione con la Fondazione Americana è stato organizzato il 1° Convegno medico per lo studio e la cura della malattia che si è tenuto negli Stati Uniti nel mese di aprile 2007.
Nell’anno 2009 abbiamo ottenuto un grande risultato: siamo stati convocati per far parte del gruppo di lavoro assieme al Presidente del Senato On. Schifani, al Ministero della Salute e all’Istituto Superiore di Sanità, per la revisione delle leggi assistenziali per i pazienti affetti da malattie rare. Oltre ad essere un grande riconoscimento e una certificazione dell’operato svolto è un grande passo avanti a tutela di tutti coloro che vivono la dura realtà di una vita con una patologia rara.
Inoltre il 2009 ha sancito definitivamente un forte legame con molti artisti in primis Sergio Sgrilli: grazie ad un’intuizione ed ad un’iniziativa di Sergio Sgrilli è stato pubblicato:
“Razza Ridens: nati per far ridere”;è un libro scritto dai comici di Zelig e Colorado pieno di battute esilaranti che oltre a farvi divertire aiuterà con la sua vendita a finanziare l’attività dell’Associazione (costo copia € 14). E’ un ottima idea per un regalo pieno di risate.
Assoclazione ltaliana Sindrome dl Moebius Onlus
P.zza Libero Grassi, 3
20053 Muggio’ (MI)
Tel. 039/2726229 – Fax 039/2724931
www.moebius-italia.it

Come sostenere l’Associazione
C.C. Postale n° 2736268
C.C. Bancario n° 180705/91
ABI 8440 – CAB 33430
IBAN IT 74 R 08440 33430 000000180705
presso: Banca di Credito Cooperativo di Carate
Brianza Filiale dl Muggiò

Destinazione 5 per 1000 IRPEF
Quest’anno rientriamo anche noi nell’elenco delle Associazioni avente diritto alla destinazione della quota del 5/1000 dell’IRPEF.
Bisogna Inserire nella dichiarazione dei Redditi il nostro
Codice Fiscale 97272700150
Pubblicazione aprile 2010

IPERTENSIONE ARTERIOSA POLMONARE

I sintomi sono prevalentemente rappresentati da affanno, da facile affaticabilità anche per sforzi lievissimi
e/o da sincopi, da emottisi.
La malattia è molto subdola. E’ caratterizzata da un incremento dei valori pressori nella circolazione polmonare che determina un aumento del lavoro a carico del cuore destro.
Colpisce indifferentemente uomini, donne, bambini, giovani o anziani. Sino a qualche anno fa, le risorse terapeutiche erano poche e nei casi più avanzati si ricorreva al trapianto dei polmoni o cuore/polmoni.
Oggi nuove modalità terapeutiche consentono di limitare il ricorso al trapianto, di migliorare la qualità di vita del paziente o almeno di stabilizzarla. I problemi sono ancora tanti: dalla scarsità di conoscenze e di Centri Medici Specializzati alla difficile reperibilità dei farmaci.

Ipertensione Polmonare e cardiopatie congenite.
Numerose sono le cardiopatie congenite che possono causare l’ipertensione Arteriosa Polmonare. La sindrome di Eisenmenger rappresenta la forma più severa di IAP associata a queste condizioni. La presenza del difetto cardiaco congenito (in genere una comunicazione anomala tra le due circolazioni sistemica e polmonare) condiziona inizialmente un flusso patologico di sangue dal cuore sinistro al cuore destro che determina un iperafflusso nella circolazione polmonare. La persistenza nel tempo dell’iperafflusso favorisce lo sviluppo di lesioni ostruttive nella circolazione polmonare che determina la comparsa di una IAP stabile e quindi della cianosi (inversione del flusso di sangue attraverso il difetto).
La definizione di sindrome di Eisenmenger prevede l’ esistenza di un difetto cardiaco congenito che determina inizialmente iperafflusso polmonare responsabile della sviluppo di vasculopatia ostruttiva polmonare e di IAP con conseguente inversione della direzione del flusso di sangue. Nelle fasi iniziali di iperafflusso (primi anni di vita) la correzione chirurgica del difetto può evitare lo sviluppo di IAP, mentre una correzione tardiva non impedisce lo sviluppo successivo di questa temibile complicanza. Quando è presente la sindrome di Eisenmenger la correzione chirurgica non e più possibile perchè potrebbe essere controproducente. Nella classificazione clinica della IP, le cardiopatie congenite can IP e la sindrome di Eisenmenger sano state incluse tra le forme associate di IAP (classe diagnostica 1). Infatti, il quadro delle alterazioni ostruttive è sostanzialmente identico a quello descritto nelle altre condizioni come la forma idiopatica a quella associata alle malattie del tessuto connettivo a alla infezione da HIV.
Non esistono studi epidemiologici finalizzati a valutare la prevalenza della IAP nei soggetti adulti affetti da cardiopatie congenite. In base ai dati di un recente registro europeo si stima che la prevalenza della IAP nei pazienti adulti affetti da cardiopatie congenite sia compresa tra il 5% e il10%. In termini assoluti si dovrebbe osservare una riduzione di incidenza di casi di sindrome di Eisenmenger nei paesi occidentali dove la diagnosi prenatale e le nuove tecniche chirurgiche consentono una precoce correzione completa e in ogni caso entro i due anni di vita. In realtà ancora oggi la prevalenza di questa diagnosi nell’ambito delle casistiche di soggetti can IAP rimane consistente sia perchè i soggetti affetti da sindrome di Eisenmenger possono raggiungere anche la sesta e settima decade di vita sia per la presenza di pazienti provenienti da paesi in via di sviluppo.
I sintomi e i segni clinici dei pazienti affetti da IAP associata a cardiopatie congenite sono legati alla persistenza di regimi pressori elevati nella circolazione polmonare e alle conseguenze del flusso di sangue invertito attraverso il difetto cardiaco. Nei pazienti affetti da sindrome di Eisenmenger il quadro clinico è caratterizzato da affanno di respiro e cianosi (colorazione blu delle unghie e delle labbra). La tolleranza alla sforza e ridotta e la quantità di globuli rossi presenti nel sangue aumenta per compensare la ridotta concentrazione di ossigeno. I sintomi nei soggetti can IAP associata a cardiopatie congenite possono rimanere stabili per molti anni e consentire una qualità di vita non molto compromessa.
La diagnosi della cardiopatia congenita come causa della IAP in genere non è complessa e si avvale delle indagini comuni come l’ecocardiogramma e il cateterismo cardiaco. Attualmente la diagnosi di cardiopatia congenita è effettuata prima del parto e la correzione chirurgica viene pianificata appena possibile dopo il parto evitando lo sviluppo di IAP. In passato (e ancora oggi nei paesi in via di sviluppo) questa non era possibile e ciò spiega lo sviluppo di IAP quando il difetto non era riconosciuto e corretto tempestivamente. A volte nei soggetti adulti la diagnosi può trarre vantaggio dalla risonanza magnetica cardiaca.
Quando il difetto cardiaco congenito non può essere più corretto chirurgicamente o attraverso una procedura interventistica (cateterismo cardiaco) si possono utilizzare tutti i farmaci che sono stati approvati per i soggetti can IAP. In particolare il bosentan/Tracleer è stato specificamente approvato per questa condizione, ma anche gli altri farmaci hanno dimostrato la loro efficacia.
In passato nei soggetti con sindrome di Eisenmenger venivano effettuati salassi per ridurre il valore di ematocrito e quindi la viscosità del sangue. Oggi si ritiene che la necessità di tale procedura sia molto ridotta e viene effettuata in genere per valori di ematocrito elevati (>65%) e in presenza di sintomi di iperviscosità. Vanno adottate anche le altre misure generali consigliate in tutti i casi di IAP come le vaccinazioni, la limitazione dell’attività fisica eccessiva e il controllo della fertilità. La gravidanza infatti può risultare pericolosa in particolare in presenza di sindrome di Eisenmenger.
Come in tutti i casi di IAP, in presenza di non soddisfacente risposta alla terapia medica si ricorre al trapianto polmonare con correzione del difetto cardiaco a al trapianto cardio-polmonare quando il difetto cardiaco non possa essere corretto chirurgicamente.

IAP associata a infezione da HIV (AIDS)
La disponibilità di nuovi farmaci antiretrovirali e la gestione più aggressiva delle infezioni opportunistiche hanno contribuito a migliorare significativamente la prognosi dei pazienti affetti da infezione da HIV. Lipertensione Arteriosa Polmonare (IAP) è una rara complicanza dell’infezione da HIV: la prevalenza della IAP è variabile da 0.1 % a 0.5% e l’incidenza stimata e pari a 0.1%. La IAP può manifestarsi in qualsiasi stadio dell’infezione da HIV e l’intervallo di tempo che intercorre tra la diagnosi di infezione e la diagnosi di IAP e compreso tra 0 e 9 anni. Dal punta di vista epidemiologico, differentemente da quanto si osserva nella IAP idiopatica, vi è una prevalenza del genere maschile. Negli ultimi anni era stato ipotizzato che l’utilizzo dei nuovi farmaci antiretrovirali potesse determinare una riduzione dell’incidenza della IAP associata a infezione da HIV, ma tale dato non è stato confermato. II meccanismo patogenetico alla base dello sviluppo della IAP nei pazienti affetti da infezione da HIV non è noto. La predisposizione costituzionale svolgere un ruolo importante dato che questa complicanza colpisce solo una minoranza di pazienti affetti da infezione HIV.
Per pore una diagnosi corretta di IAP associata a infezione da HIV è di fondamentale importanza escludere la presenza di alte condizioni cliniche potenzialmente responsabili di un aumento dei valori di pressione nel circolo polmonare e, in particolare: le patologie del cuore sinistro, le patologie polmonari parenchiali e il cuore polmonare cronico tromboembolico. Inoltre, tali pazienti presentano spesso infezioni virali epatiche concomitanti ed è pertanto necessario indagare l’eventuale presenza di cirrosi epatica e di Ipertensione Portale. Per la diagnosi finale è indispensabile il cateterismo cardiaco destro.
La IAP associata a infezione dia HIV presenta caratteristiche cliniche, emodinamiche, e istologiche simii alla IAP idiomatica. Anche la strategia terapeutica è identica a quella della IAP idiomatica. Dati recenti documenterebbero che i pazienti con IAP associata ad HIV tendono a rispondere molto favorevolmente ai farmaci specifici per la IAP. Debbono comunque essere prese precauzioni per le interazioni farmacologiche tra i farmaci approvati per la IAP, i farmaci antiretrovitali e le eventuali patologia epatiche concomitanti. Per tali motivi i pazienti debbono essere seguiti in stretta collobarozione tra i centri eperti per il trattamento della IAP e i centri dedicati alla terapia da HIV.

AIPI ASSOCIAZIONE IPERTENSIONE POLMONARE ITALIANA ONLUS
L’AIPI (ASSOCIAZIONE IPERTENSIONE POLMONARE ITALIANA) è una ONLUS, nata nel 2001 ad opera di un ristretto (allora!) numero di pazienti con la finalità di fare sentire la loro voce e di contribuire a migliore il benessere psicologico, fisico e sociale delle persone affette da Ipertensione Polmonare.
Uno degli scopi principali dell’ AIPI ONLUS, oltre alla raccolta fondi, è la divulgazione di informazione sulla malattia per far si che i pazienti arrivino al Centro di Eccellenza al più presto ed evitino perdite di tempo preziosissimo. Le attività sono svolte esclusivamente da volontari e finanziate dalle quote sociali e donazioni di privati e di aziende.
Negli anni sono state attivate svariate forme di supporto di tipo personale, organizzativo ed economico, tutte assolutamente gratuite per i pazienti e per i loro familiari:
- una linea telefonica attiva 24 ore su 24 per informazioni e assistenza su questioni varie inerenti la malattia
- l’assistenza psicologica gratuita offerta da uno psicologo-psichiatra
- invio trimestrale di un notiziario AIPI News che e il diario dell’Associazione e che fornisce aggiornamenti in campo scientifico, farmacologico, normativo
- sito web www.aiplitalia.org aggiornato costantemente con informazioni sulla malattia e sulle attività dell’Associazione
- il forum di discussione all’interno del sito
- assemblea annuale dei Soci, occasione di incontro e socializzazione oltre che di aggiornamento sulla malattia e questioni connesse.
- corsi periodici di formazione/informazione su Ipertensione Polmonare destinati a pazienti, familiari e
volontari, tenuti dal Prof. Nauareno Galie, responsabile del Centro per l’Ipertensione Polmonare dell’ospedale S.Orsola-Malpighi, Università di Bologna.
- consulenza relativa a problemi riguardanti I’applicazione delle disposizioni legislative su invalidità, handicap, assegno di cura
- la presenza di un volontari due giorni la settimana presso gli ambulatori e il reparto di Cardiologia del Centro per l’Ipertensione Polmonare
- assistenza a pazienti e/o familiari per problemi di pernottamento, logistica, parcheggio
L’API è iscritta all’Anagrafe Unica delle Onlus, è riconosciuta dall’Istituto Superiore di sanità ed è inserita nel registro Nazionale delle Associazioni di malattie Rare presso lo stesso Ente. Inoltre è socio fondatore di PHA Europe, federazione ‘ombrello’ di 14 nazioni europee. Registra presso il tribunale di Molano al n. 206 del 2.4.08.
Dal 2007 l’API ha avviato un rapporto di collaborazione EURORDIS, Associazione Europea per le Malattie Rare. A livello internazionale collabora con PHA USA (Pulmonary Hypertension Association- USA) e fa parte della rete informatica PHA Placet che riunisce circa 40 associazioni di pazienti con IP nel mondo.
L’API è regolarmente invitata e partecipa a convegni scientifici in Italia e all’estreo.
Chiunque desidera maggiori informazioni, può visitare il sito dell’associazione www.alpitalia.org o digitare su un motore di ricerca: IPERTENSIONE POLMONARE. Dove troverà indirizzi e numeri telefonci utili.
Presidente AIPI Onlus: Silvia FERRARI

Autore: Prof. Nazzareno GALIE’
Direttore del Centro di Eccellenza per l’IP
Ospedale S .0rsola Malpighi
Università di Bologna
Pubblicazione marzo 2010

LA SINDROME DI CRISPONI

La temperatura corporea intorno ai 38° e accompagnata con picchi in grado di raggiungere i 42° (la morte sopraggiunge durante questi episodi). Le difficoltà di termoregolazione sono in alcuni casi gravissime, si scatenano quando l’ambiente non ha una temperatura idonea, degenerando in crisi che mettono in serio pericolo la sopravvivenza dei bimbi e limitando la normale possibilità di spostamento all’esterno. Presto si presentano
gravi problemi alla colonna vertebrale e di immobilizzazione delle articolazioni delle dita delle mani (campodattilia), grave reflusso gastroesofageo, problemi alla cornea. Nell’adolescenza l’esposizione agli ambienti freddi scatena crisi incontrollabili di freddo e profusa sudorazione paradossa, fino al coinvolgimento in età adulta del sistema endocrino. I dati epidemiologici evidenziano la concentrazione di questa patologia in Sardegna. La Sindrome viene descritta per la prima volta nel 1996 dal Dott. G.Crisponi, dal quale prenderà il nome. Ad oggi sono stati segnalati nell’isola 25 casi di cui solo 5 ancora in vita. Altri 4 piccoli vivono in Italia (1) e Germania (3). Nel 2007 il gruppo di ricerca guidato dalla Dott.ssa L.Crisponi del INN CNR, identifica il gene Crlf1 implicata nella sindrome, scoprendo che i bimbi nascono da 2 portatori sani. Dopo la scoperta, altre segnalazioni sono in fase di analisi e giungono da parti del mondo. Attualmente non esistono cure farmacologiche per alleviare i sintomi se non quello di controllare meccanicamente la temperatura immergendo i pazienti in acqua fredda (per cercare di contro le crisi febbrili) o calda (durante le crisi di freddo). Come per la maggior parte delle patologie rare, non esiste un codice sanitario di riferimento, la normativa di tutela è scarsa e poco applicata. Questo comporta che le spese di gestione del problema sono a carico delle famiglie. La speranza di identificare un farmaco è unita alla consapevolezza delle difficoltà economiche a cui si andrà incontro (farmaci orfani).

NEL DETTAGLIO
Le caratteristiche cliniche fondamentali, evidenti già dalle prime ore di vita, sono rappresentate in sintesi da contrattura accessuale tetaniforme della muscolatura mimica e del’orofaringe, con conseguente impossibilità alla suzione e alla deglutizione con scialorrea (salivazione abbondante) continua, pianto soffocato con periodi di apnea variabili, moderato ipertono accessuale con tendenza all’opistotono che si manifestano dopo stimoli anche lievi e durante il pianto e conferiscono al volto una particolare espressione. Le contratture tendono a scomparire nelle fase di quiete e nel sonno. Sono presenti aspetti dismorfici del viso con faccia ampia, naso grande con narici anteverse, filtro lungo, guance piene. Le mani presentano camptodattilia bilaterale con prevalente contrattura del
3 e 4° dito sul palmo e le altre dita sovrapposte.
Talvolta sono presenti micrognatia, anomalie di inserzione della dita dei piedi, torcicollo e reflusso astroesofageo. II decorso clinico è stato caratterizzato inoltre da grave difficoltà nell’alimentazione e dalla comparsa di febbre continuo remittente sui 38°C con puntate di ipertermia irregolare oltre i 42°C, in epoca variabile dalla nascita ad alcune settimane e accompagnate in alcuni pazienti da manifestazioni convulsive generalizzate. La maggioranza dei bambini à deceduta dopo un periodo di alcune settimane o mesi coincidente con febbre oltre i 41°C. Sono attualmente viventi cinque soggetti su venti, quattro femmine e un maschio, la maggiore di anni 28 e l’ultima nata, attualmente di 5 anni. L’ultima bimba e deceduta nel 2009 a pochi mesi dalla nascita.

EVOLUZIONE CLINICA
L’evoluzione clinica di questi individui e stata contrassegnata da una lenta regressione della sintomatologia distonica, da una persistenza della distermia, lenta ripresa dell’alimentazione spontanea. Nel corso degli anni è comparsa una grave cifoscoliosi parzialmente corretta con l’uso del corsetto ma progressivamente ingravescente da richiedere l’ intervento chirurgico.
In tutti i bambini dopo circa cinque anni dalla nascita si è manifestata una sudorazione paradossa, evidente in particolare nella stagione fredda, preceduta da brividi di freddo e copiosissima sudorazione con variabile frequenza settimanale. E’ presente un ritardo psicomotorio di variabile gravità.
Tutte le indagini sinora eseguite non hanno fornito indicazioni utili per un inquadramento diagnostico. L’analisi del cariotipo con varie metodiche di bandeggio e risultata normale. La TAC e la risonanza magnetica non hanno evidenziato anomalie del SNC. Le numerose indagini per malattie metaboliche sono risultate nella norma. Le analisi elettromiografiche, sulla conduzione de nervo e le biopsie muscolari esaminate con tecniche istochimiche e immunoistochimiche non hanno evidenziato anomalie. Gli esami culturali eseguiti durante gli episodi di ipertermia su sangue, liquor, urine e feci sono risultati ripetutamente negativi, come gli indici di flogosi.
Un basso dosaggio di Gaba sulI liquor riscontrato in un paziente non è stato confermato in successivi analisi su altri bambini affetti.
(tratto da “La Sindrome di Crisponi” di G.Crisponi , 2005)

Peculiarità Sarda
Sebbene alcune malattie genetiche siano rare, esistono realtà geografi­che e demografiche, come la Sardegna, in cui sono più diffuse. Questa regione, nella sua interezza, è stata a lungo considerata un “isolato genetico”. II suo isolamento millenario, la crescita lenta della popolazione originatasi da pochi individui fondatori e la mancanza di flussi immigratori importanti, hanno fatto si che gli abitanti attuali abbiano un patrimonio genetico più omogeneo rispetto a popolazioni allargate. Per tale ragione è stata oggetto di numerosi studi genetici, in particolare per alcune malattie monogeniche a trasmissione mendeliana, in cui l’individuazione della mutazione genica ha rivelato l’esistenza di un forte effetto “fondatore”. Mutazioni insorte anticamente e trasmesse alla progenie, si ritrovano oggi in famiglie apparentemente non imparentate, con una frequenza maggiore rispetto alle altre popolazioni, e ciò si manifesta con una più alta incidenza di malattie rare.
L’isolamento che fino a ieri è state considerato uno svantaggio, diventa oggi un formidabile strumento per la ricerca di geni implicati nello sviluppo di malattie, e la popolazione Sarda rappresenta perciò una ricchezza unica per tutta l’umanità.
(…) Gli eterozigoti per i geni di malattie recessive (portatori) sono di solito asintomatici ma l’identificazione del gene coinvolto può portare a individuare marcatori biochimici che permettono di valutarne lo stato.
(tratto da “Identificazione e caratterizzazione del gene coinvolto nella Sindrome di Crisponi” A.Meloni, Tesi di Dottorato 2007).

La difficoltà dei numeri pochi … ricerca
Le problematiche relative alle patologie rare sono legate all’esiguo numero di pazienti su cui poter compire gli studio. Nelle patologie rarissime i numeri di pazienti nel mondo toccano davvero numeri bassissimi.Spesso i pazienti sono distribuiti in tutto il mondo, età e sesso differenti. A complicare il quadro si aggiungono le scarse pubblicazioni e studi pregressi sulla stessa patologia. Gli strumenti e le risorse necessarie sono innumerevoli. Gli
studi sono inoltre gravanti anche dalla scarsissima disponibilità di fondi.

I PASSI DELLA RICERCA
1996 G.Crisponi,
Prima descrizione della Sindrome di Crisponi.
Gruppo di ricerca:
Dott. Giangiorgio Crisponi, Centro per lo Studio delle Malformazioni Congenite dell’Università di Cagliari
Pubblicazione:
Autosomal recessive disorder with muscle contractions resembling neonatal tetanus, characteristic face, camptodactyly, hyperthermia, and sudden death: a new syndrome?
Gennaio 2006
Progetto Identificazione del gene coinvolto nella Sindrome di Crisponi
Gruppo di ricerca:
Dott.Laura Crisponi, Istituto di Neurogenetica e Neurofarmacologia del CNR di Cagliari
Dr. Frank Rutsch, Center for Genomics di Colonia e /a University Children’s Hospital di Muenster
Campione di analisi: 8 famiglie, 5 sarde e 3 turche
Maggio 2007
Progetto Identificazione del gene coinvolto nella sindrome di crisponi Pubblicazione: Crisponi Syndrome Is Caused by Mutations in the CRLF1 Gene and Is Allelic to Cold-Induced Sweating Syndrome Type 1. American Journal of Human Genetics, 2007, 80:971-81

Risultati delia ricerca:
II CRFL1 (cytokine receptor factor like 1), gene che mappa sul cromosoma 19, viene identificato come implicata nella patogenesi della sindrome.
Si evidenziano 5 diverse mutazioni.
I risultati ottenuti finora dalle nostre ricerche hanno permesso di sviluppare i reagenti necessari per effettuare sia la diagnosi molecolare e prenatale della malattia, sia una diagnosi differenziale con altre sindromi simili.

Correlazioni
II gene CRLF1 è coinvolto anche nella patogenesi di un’altra sindrome, la CISS1 (Cold induced sweating syndrome type 1).
La sindrome di Crisponi e la CISS1 appartengono ad un gruppo di disordini con fenotipi simili, che includono anche la CISS2, (cold induced sweating syndrome type 2) e la SWS/SJS2 (Stuve Wiedemann sindrome/Schwartz-Jampel syndrome type 2), causate rispettivamente da mutazioni nei geni CLCF1 e LIFR.
Tutti questi geni sono coinvolti nella via del recettore CNTF (Ciliary Neurotrophic Factor), importante per losviluppo ed il mantenimento del sistema nervoso. CRLF1 e CLCF1 sono citochine espresse nelle ghiandole sudoripare ed attualmente questo complesso è uno dei piu probabili candidati come fattore di differenziazione per l’innervazione colinergica delle ghiandole sudoripare.
La presenza di molte caratteristiche fenotipiche simili nei pazienti adolescenti, quali sudorazione paradossa e scoliosi e l’associazione delle due sindromi con mutazioni nello stesso gene, indicherebbero che la sindrome di Crisponi e la CISS1 siano due varianti della stessa entità genetica.

Nuovi passi della ricerca
L’obiettivo della ricerca ora si amplia con la definizione della via fisi-opatologica del gene coinvolto.
Questo e un passo determinate per i lo sviluppo di terapie specifiche per la sindrome.
Una delle finalità è quella di sviluppare trattamenti che utilizzati alla nascita, o durante lo sviluppo, possano prevenire e curare i disturbi tipici della sindrome.
Risulta importante evidenziare che scoperte relative a questa rarissima sindrome potrebbero implicare importanti sviluppi anche per patologie ben più frequenti.
Attualmente sono in corso approfondimenti clinici e lo studio di un farmaco per limitare i problemi relativi alla sudorazione paradossa. Ancora oggi non esistono soluzioni all’enigma della sindrome.

ASSOCIAZIONE SINDROME DI CRISPONI , E MALATTIE RARE

Impegno principale dell’associazione e quello di finanziare la ricerca per la sindrome di Crisponi, con l’obiettivo nel tempo di dedicarsi anche ad altre malattie rarissime. Le ricerche spaziano dalla ricerca medica a quella relativa agli studi ausili e nuove tecnologie che possano innalzare la qualità della vita.
L’associazione si occupa di sensibilizzazione e informazione. Tra i progetti dell’ente attualmente sono in finanziamento studi relativi agli aspetti genetici, clinici e sociali per la sindrome di Crisponi.
L’associazione sostiene inoltre una borsa di studio pediatrica per malattie rare presso Il Microcitemico di Cagliari.

Contatti: presidente@sindromedicrisponi.it - www.sindromedicrisponi.it

Testo a cura di:
Emanuela Serra
Coordinamento Generale Associazione Sindrome di Crisponi e Malattie Rare
Tel. 0783.093936
Pubblicazione febbraio 2010

SINDROME DI MARFAN

Le persone affette da tale sindrome di solito sono più alte e magre rispetto alla media e presentano : 

• corpo sottile e braccia lunghe;
• parte inferiore del corpo più lunga (dolicomegalia);
• dita molto lunghe, con pollice allungato, le cosiddette mani da pianista (aracnodattilia);
• scoliosi;
• petto carenato;
• piedi piatti;
• lussazione clavicole, anche e ginocchia;
• lussazione del cristallino.
La gravità delle manifestazioni cliniche della sindrome di Marfan, può essere molto variabile da persona a
persona, anche all’interno della stessa famiglia; infatti, alcuni individui presentano sintomi lievi, mentre altri possono avere disturbi gravi.

I principali disturbi causati dalla sindrome di Marfan
I disturbi cardiovascolari sono quelli più gravi e, in genere, riguardano il prolasso della valvola mitrale e la dilatazione dell’aorta ascendente (aneurisma) che può passare inosservata anche per molti anni, perchè può essere asintomatica. La progressiva dilatazione dell’ aorta, la dissezione e la rottura sono complicanze che costituiscono ancora oggi, la principale causa di morte o causa di interventi chirurgici d’urgenza.
I disturbi dell’apparato scheletrico sono rappresentati da lussazioni, piedi piatti, petto carenatum o excavtum, scoliosi e lordosi di gravità vari bile; in genere le articolazioni sono particolarmente lasse.
I disturbi della vista vanno dalla miopia, dovuta in genere alla lussazione del cristallino, fino al distacco della retina.

La diagnosi
La diagnosi clinica della Sindrome d Marfan può essere problematica, data la varietà dei sintomi, ma la precocità della diagnosi e la consulenza genetica sono importanti per prevenire o ritardare le complicanze cardrdiovascolari. La diagnosi si basa sull’associazione di caratteristiche cliniche ( cardiovascolari, scheletriche, oculari e sulla storia familiare. Oggi si conoscosce il gene che codifica per la fibrillina 1 (FBN1). La diagnosi molecolare diretta e complessa a causa delle grosse dimensioni del gene. Sono state finora individuate oltre 1500 mutazioni a carico del gene in discorso.

La terapia
Allo stato attuale non esiste ancora una terapia specifica per questa malattia. Si può però intervenire per rallentare il progredire di alcuni sintomi, e per prevenire pericolose complicazioni sia farmacologicamente (beta­bloccanti) che adottando un adeguato stile di vita.
La prevenzione e l’informazione assumono quindi un ruolo decisivo ai fini della sopravvivenza del soggetto affetto dalla sindrome di Marfan.
Una speranza viene riposta nello studio clinico (iniziato nella seconda metà del 2008) in corso presso il Centro Marfan dell’ospedale San Matteo di Pavia diretto dalla Prof.ssa Eloisa Arbustini che attraverso la somministrazione di una nuova combinazione di farmaci si tenta di rallentare la progressione della dilatazione dell’aorta.

NUMERI UTILI

ASSOCIAZIONE IT. PER LA LOTTA ALLA SINDROME DI MARFAN E PATOLOGIE CONNESSE (ASSOCIAZIONE MARFAN) - Presidente dott.ssa Gisovvi Maria Rosaria
Via Nocera Umbra 88 – 00181 ROMA – TEL. 06.78.34.64.37 349.08:67.158
e-mail: assomarfan@hotmail.com

ASSOCIAZIONE PRISMA ONLUS – PROGRAMMA INTERDISCIPLINARE PER LA SINDROME DI MARFAN E VASCULOPATIE EREDITARIE - Presidente Sig. Guasconi
C/o Centro Malattie Genetiche Cardiovascolari – policlinico San Matteo di Pavia P.le Goigi 2 – 27100 Pavia – Tel. 0382.50.12.06-1486 - info.marfan@smatteo.pv.it

ASSOCIAZIONE STEFANO-BAMBINI E MARFAN C/O FAM. PIFFARETTI
Via ai poggi 9 – 23843 Dolzago (LC) – Tel. 0341.450022 e-mail:assostefano@alice.it

A.S.M. SARDEGNA – ASSOCIAZIONE PER LO STUDIO DELLA SINDROME DI MARFAN ­ONLUS
Pres. Avv. Santandrea
Via dell’Abazia 4 – 09129Cagliari
e-mail: marfanangioletti@tiscali.it
assosardegna@sindrome-marfan.it

Pubblicazione gennaio 2010

PARTO INDOLORE: POSSIBILITA’ E LIMITI

Per procedere con sicurezza all’espletamento del parto in analgesia è necessario che la gestante si trovi in buone condizioni generali accertate tramite una scrupolosa visita anestesiologica e l’esecuzione di prove di laboratorio (elettrocardiogramma, ecografia, esami del sangue e delle urine). Devono essere state escluse anomalie statiche e dinamiche del canale del parto (per es. alterata motilità uterina) e malformazioni del bacino materno. Eventuali sproporzioni fra le dimensioni del bacino della madre e il feto devono essere attentamente valutate dall’ostetrico e dall’anestesista che sceglieranno la tecnica più adatta o la rinuncia al parto indolore. Un accertato stato di sofferenza fetale intrauterina impone l’astensione dal procedimento o la sua sospensione se già avviato.
L’organizzazione del reparto di maternità riveste notevole importanza ai fini della sicurezza della madre e del bambino durante l’esecuzione del parto indolore. Deve essere garantita la presenza continua dell’ostetrico e dell’anestesista la cui collaborazione ed affiatamento sono condizione imprescindibile per una attuazione routinaria del parto in analgesia. È parimenti indispensabile la sorveglianza strumentale continua delle fasi contrattili dell’utero e dell’attività cardiaca fetàle: ciò si ottiene per mezzo di apparecchi denominati cardiotocografi che registrano su nastro i valori di questi due parametri.
Un altro apparecchio, l’emogasanalizzatore, permette di controllare ripetutamente lo stato di ossigenazione e l’equilibrio metabolico del feto che sta per venire alla luce. Tale importante controllo strumentale permette di ridurre al minimo le possibili complicanze del parto indolore che sono sempre, se tempestivamente diagnosticate, ovviabili. Queste possono essere essenzialmente ricondotte a due ordini di fattori: un rallentamento delle fasi di espletamento del parto stesso e uno stato incipiente di sofferenza fetale. Tali evenienze, molto rare, rendono necessaria l’interruzione della tecnica di analgesia e un’estrazione più rapida del feto, se necessario anche con l’ausilio di strumenti quale la ventosa ostetrica o il forcipe.

Metodi di analgesia al parto
Farmacologici.
Sono attualmente a disposizione dell’anestesista diversi farmaci capaci di determinare un sufficiente stato di analgesia e sedazione materna senza ostacolare il normale decorso del travaglio.
Anestetici generali ad azione rapida: propanidide, alfadione, tiopentone, metoexithone, acido gammaidrossibutirrico, ketamina.
- Tranquillanti: diazepam
- Analgesici maggiori: petidina, fentanyl
- Anestetici per inalazione: metossiflurano, etrano, protossido d’azoto. L’uso di questi farmaci per via generale determino sempre un certo grado di obilamento della coscienza della partoriente.

Anestesia loro-regionale (locale).
Blocco periduale continuo segmentario, epidurale sacrale, pracervicale, blocco dei nervi pudenti, rachianestesia: tutte queste diverse tecniche consistono nell’interruzione funzionale con anestetici locali dei nervi o tronchi nervosi che conducono la sensibilità dell’utero, del perineo e del bassoaddome. Tali strutture vengono infiltrate con l’anestetico locale per mezzo di un sottile ago o di un cateterino introdotto in vicinanza di esse.
Un vantaggio considerevole di tali tecniche è il mantenimento della piena integrità della coscienza della partoriente pur permettendo un’ottima analgesia. È quindi resa possibile la più completa partecipazione, anche se emotiva, della partoriente alle vane fasi del parto a fronte di una assente o trascurabile influenza della metodica analgesica sulle funzioni vitali del neonato.
In conclusione possiamo affermare che i progressi compiuti dalla anestesiologia e dalla ostetricia anche per mezzo della tecnologia uniti a criteri di funzionalità dei reparti di maternità e alla fattiva collaborazione di anestesisti e ostetrici rendono oggi possibile partorire senza dolore e in sicurezza. Ciò rende realizzabile anche in questo campo uno degli obiettivi più importanti e spesso trascurati della medicina: il sollievo dal dolore.

Dotto. Massimo Franco
Anestesista

Pubblicazione dell’Ottobre 1982

QUANDO SOSPETTARE UNA VERA STERILITA’

Questo a livello sociopolitico ed in una simile visuale del problema delle coppie con zero figli risulta latentizzato, socializzato, manifesto.
Quante sono le coppie senza figli (pur desiderandone)? Perché? C’e la soluzione?
Capita sempre più di frequente al ginecologo di ricevere coppie con questo problema, anche se non sempre del tutto reale.
Si valuta in circa il 15% il numero di coppie che non riesce ad avere figli, e questa percentuale è forse in aumento in confronto ai tempi passati, anche se mancano dati obiettivi di confronto.
Certamente ragioni per un aumento della frequenza delle coppie sterili non mancano e sono per lo più immodificabili.
I famosi «ritmi della vita moderna» comportano matrimoni in età sempre più avanzata (e con fertilità ridotta, essendo essa massima intorno ai 18-20 anni) e «programmazione» di un figlio dopo intervalli anche lunghi, in relazione ai problemi del lavoro, delle abitazioni troppo ristrette (o introvabili), del desiderio di vivere spensieratamente la gioventù (che grazie al cielo non scompare né dopo i 20 anni né dopo i 30) senza pesanti responsabilità.
Ma quando si può dire sterile una unione? E perciò quando e come si deve intervenire per curare il problema?
La fertilità umana è, contrariamente a molte apparenze, piuttosto bassa, infima in confronto a quella di alcuni animali (un rapporto sessuale dà alla coniglia una possibilità di gravidanza superiore al 90%, alla donna di circa 8%) cosicché su 100 coppie fertili, dopo 6 mesi una gravidanza è in corso in poco più di 60 e in 90 dopo 12 mesi, mentre le 10 gravidanze mancanti saranno raggiunte spontaneamente solo nel secondo anno.
E’ pertanto giusto considerare sterile una coppia solo dopo due anni di tentativi
Questa affermazione scientificmente corretta, è per altro fuori della realtà quando le coppie in questione non più giovanissime (ed e il caso più frequente nella casistica di noi «sterilologhi») e mi sembra perciò corretto, previo colloquio chiarificatore, sottoporre ad alcuni esami relativi alla fertilità coppie prive di prole anche solo dopo 6-12 mesi; anzi il mio consiglio usuale, quando ho la opportunità di esporlo, è di inserire questi controlli nel novero degli esami prematrimoniali.
Si tratta peraltro di valutazioni del tutto innocue, economiche e facili: per l’uomo un esame del liquido seminale, per la donna il rilievo della temperatura basale e possibilmente, la contemporanea annotazione delle «perdite» mucose intermestruali secondo Billings.
Questi semplici rilievi sono spes­so in grado di dare una sufficiente valutazione per discriminare già casi in cui conviene semplicemente lasciar passare il tempo (ricordando che la «gravidanza è un risultato statistico» nella maggior parte dei casi, cioè senza certezza positiva o negativa) o passare ad una più accurata diagnosi e conseguente terapia, che devono peraltro essere sempre personalizzate ai problemi fisici della coppia ed ancor più alle problematiche psicologiche.
Nevrotizzare una sterilità, vera o presunta è sempre il miglior modo per non riuscire ad ottenere il figlio desiderato.

pubblicazione del 1985

IL COITO DOLOROSO: IL PUNTO SULLA DISPAREUNIA

Si era soliti distinguere scolasticamente una dispareunia esterna da una interna, e una primaria da una secondaria: attualmente si preferisce mantenere una più netta separazione tra dispareunia e vaginismo anche in considerazione del fatto che il vaginismo (contrazione spasmodica involontaria dei muscoli perineali) si innesta più spesso su personalità disturbate e che si verifica a prescindere dal fatto che la condizione negativa sia reale o immaginaria o che la donna ne sia più o meno consapevole. Per ciò che riguarda la dispareunia invece, se è vero da un lato che si ricercano e spesso si ritrovano una serie di fattori psicogeni corre­lati con i conflitti della paziente riguardanti la propria femminilità, il proprio partner, il proprio ruolo sociale ecc., d’altro canto molteplici osservazioni confermano che il dolore durante il rapporto è, nella maggioranza dei casi, dovuto a una lesione organica, magari difficilmente diagnosticabile, che acquisisce una diversa fenotipizzazione sintomatologica a seconda della personalità della donna, della sua sessualità, dei suoi conflitti.
Insomma, la causa organica, anche se non riconoscibile non può mai essere esclusa (Bocci & Coll.).
Se vogliamo esaminare tutte le cause organiche di dispareunia, possiamo affermare che non esiste una sola affezione pelviperineale che non sia in grado di provocare rapporti sessuali dolorosi: e non solo cause ginecologiche, ma anche disturbi di tipo gastroenterico, come il colon irritabile, la diverticolite, o di tipo urologico, come cistiti, calcolosi ureterali, ptosi re­nali ecc.
E’ quindi indispensabile ricercare accuratamente tali noxe patogene ed è stato più volte suggerito di completare lo studio clinico di queste pazienti in più sedute per poter confermare le prime impressioni. Si ricordi infine che anche in assenza di ogni più piccolo reperto patologico, non si può non tenere conto che la maggior parte degli Autori sono concordi nell’affermare che i disturbi circolatori, specie la congestione passiva, sono fattori importanti nella dispareunia e nel dolore pelvico cronico. La congestione sanguigna dell’utero aumenta la tensione delle pareti uterine ed è in grado di determinare dolore.
La tendenza a ricercare una causa psicologica quale spiegazione della dispareunia si basa appunto sull’assenza di cause organiche ben evidenziabili e sugli scarsi risultati ottenuti dall’esame clinico di queste pazienti: ma quando non vi sia alcun disordine della personalità o un comportamento particolarmen­te nevrotico è più probabile che la causa sia organica, anche se al momento il meccanismo del dolore non è ancora chiarito.
Insomma se da un lato è inutile colpevolizzare la paziente dicendo che si tratta soltanto di un sintomo nervoso, è altrettanto inutile spaventarla con strane dia­gnosi di lesioni o gravi infiammazioni. La genesi multifattoriale della dispareunia ci impone quindi di affrontare il problema da più ango­lazioni in un lavoro di equipe. Spetta al ginecologo ricercare e rimuovere le cause organiche della dispareunia, spetta alla sessuologia clinica rimuovere gli ostacoli non strettamente organici che impediscono una piena realizzazione di una vita sessuale soddisfacente e gratificante.

Vittorio Azzarini -ginecologo
pubblicazione del 1982

SESSO SICURO

Non sempre il nostro agire risponde ad una logica di scelta razionale così come spesso diamo più ascolto all’altro che a noi stessi; d’altronde anche i valori culturali cambiano e noi con loro, così come a volte capita che ci si metta in contrapposizione, in posizione di sfida di questi. Tutto ciò ci riporta ad una condizione di rischio e comunque di disagio psicofisico. Pensiamo infatti che i rischi connessi all’agire sessuale non siano solo quelli relativi ad un concepimento indesiderato o al contrarre una malattia sessualmente trasmessa, ma che molto danno possono fare all’individuo anche quei rapporti sessuali nei quali la componente affettiva e quella fisica siano troppo separate. Il rischio è infatti quello di aderire ad una visione della vita troppo meccanicistica, di freddo uso e consumo di sé e dell’altro. Questo non può non avere ricadute sullo sviluppo emozionale dei giovani già fin troppo preda di un ritmo di vita frenetico, dominato dalla logica della competizione, della prevaricazione, del consumismo, dell’individualismo sfrenato. Non può esserci una sessualità serena al di fuori di un rapporto di conoscenza di sé e dell’altro, di rispetto reciproco di tale conoscenza. Nella sessualità umana gli aspetti del piacere, della relazione e della procreazione si intrecciano tra loro in modo inestricabile. Ciò nonostante è possibile porsi di fronte all’atto sessuale in modo consapevole di quelli che sono i bisogni di ciascuno, di quello che sono i possibili passi in una posizione di rispetto dei valori e delle esigenze connesse alle varie fasi della vita che ciascuno sta attraversando. Per controllare la valenza procreativa della sessualità già da millenni l’uomo utilizza metodi contraccettivi più o meno validi. La ricerca scientifica in questo campo ha dato risultati molto validi sul piano dell’efficacia contracettiva al punto che oggi la gravidanza non può essere più un evento ineluttabile da accettare passivamente. Ciò nonostante spesso capita che la gravidanza sia inconsciamente ricercata come tentativo di colmare un vuoto esistenziale o il modo per confermare una propria capacità procreativa; a volte diventa il modo per affermare il proprio ingresso nel mondo “adulto”. Spesso si respira una cultura diffusa che vede in modo separato e diverso il momento dell’agito sessuale, lo stato di gravidanza da quello che da essa consegue: il figlio. Si hanno percezioni distinte e non sovrapponibili all’interno di un continuum naturalmente dato dell’atto sessuale a sé, del momento del concepimento, del percorso gestazionale e dell’esito di tale processo, la nascita di un nuovo individuo diverso da sé. Per altro è ancora molto radicata la credenza che al primo rapporto non può succedere nulla e soprattutto si tende a pensare che a noi non può succedere. Questo è tanto più valido quanto più siamo giovani e “invincibili”. Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per le malattie sessualmente trasmesse (MST) che sicuramente sono legate anche ad una condizioni di vita particolare, ma possono comunque essere contratte già nel corso dei primi rapporti, quando ancora l’agito sessuale non è inserito all’interno di una scelta di vita a due, ma risponde più al bisogno di conoscere se stessi anche in termini di potenzialità seduttive. Riteniamo che la conoscenza rivesta una funzione determinante nell’orientare le esperienze verso canali più sicuri e rispettosi di sé e dell’altro. Conoscere i metodi contraccettivi e mettere in atto strategie per prevenire le malattie sessualmente trasmesse può essere di aiuto nel far vivere la sessualità più sicura e consapevole.
Come prevenire la gravidanza
Analizziamo quindi le metodiche di prevenzione di una gravidanza, cioè quali caratteristiche devono avere i contraccettivi per essere accettabili il più possibile, pur consapevoli che non basta il sapere per orientare l’agire. La contraccezione, che ha lo scopo di controllare la fecondità evitando il concepimento, deve possedere alcuni requisiti fondamentali: – essere innocua, cioè non deve arrecare danni all’organismo – essere efficace, cioè prevenire in maniera sicura il concepimento – essere accettabile nel senso di una facilità d’uso senza interferenza con l’attività sessuale e i valori ad essa connessi – essere reversibile e quindi in grado di ripristinare la fecondità alla sospensione del trattamento. La scelta del metodo più idoneo dovrebbe essere il frutto di una decisione della coppia, dopo una attenta valutazione dei metodi che la scienza ha messo a disposizione negli anni, dei loro vantaggi e degli eventuali inconvenienti, ricorrendo comunque sempre al consiglio del medico. La contraccezione interferisce in diverse maniere sui vari momenti della fecondazione: impedendo che lo spermatozoo venga in contatto con l’ovulo, contrastando i fattori che ne assicurano l’annidamento una volta fecondato, agendo a livello ormonale sulla maturazione del follicolo nell’ovaio o in maniera più naturale cercando di capire qual’é il periodo fertile del ciclo. Si parlerà cioé di metodi contraccettivi ormonali, meccanici, di barriera, comportamentali e naturali. Uno dei requisiti fondamentali di un contracettivo, come abbiamo già detto, é l’efficacia che in maniera matematica é stata espressa dagli studiosi con un indice numerico (indice di Pearl): più basso é questo indice più il metodo é sicuro,cioé efficace. In realtà questo numero indica il numero di gravidanze indesiderate rilevate su 100 donne che hanno utilizzato quel metodo per 12 mesi.Quindi non risponde a verità assoluta. Nella tabella successiva sono riportati gli indici di insuccesso per i principali metodi contraccettivi.

nessun metodo
55-65
ogino-knaus
26-40
billings
15-30
coito interrotto
10-18
temperatura basale
8-15
spermicidi
7-15
profilattico
7-15
diaframma
5-14
spirale
1-3
pillola
0.02-0.8

Dalla tabella si può vedere come, non usando alcun metodo contraccettivo, si ha un alto indice di Pearl, mentre se si usa la pillola questo é molto basso. Notevoli passi in avanti sono stati compiuti dagli anni 60 ad oggi in campo contraccettivo e molti debbono ancora essere fatti per una contraccezione anche al “maschile”, ma non é stato ancora scoperto il contraccettivo infallibile. Prendiamoli comunque in considerazione un po’ tutti singolarmente:

METODI ORMONALI

Pillola:
E’ sicuramente il metodo contraccettivo più efficace per prevenire le gravidanze non desiderate, ha comunque un piccolissimo margine di fallimento che può essere legato ad un uso scorretto (per esempio le dimenticanze) e/o per l’assunzione contemporanea di farmaci che ne riducono l’efficacia. E’ però proprio la pillola il metodo che é stato più studiato e che ha subìto più trasformazioni, passando da confezioni caratteristiche da alti dosaggi ormonali a quelle di ultima generazione, molto più simili come dosaggio a quello che naturalmente é prodotto durante il ciclo mestruale di una donna (per es. le pillole trifasiche) o a basso dosaggio di estrogeni o con progestinici differenti rispetto al passato. Tutte queste novità hanno permesso una migliore tollerabilità in termini di effetti collaterali e indirettamente hanno contribuito ad avvicinare a questa metodica un numero maggiore di donne rispetto agli anni precedenti. L’utilizzo di preparati a basso dosaggio ha permesso anche di rivedere le indicazioni all’uso della pillola da parte delle giovani e delle meno giovani (in passato era sconsigliata la pillola alle donne sopra i 35 anni come anche alle giovanissime). Naturalmente per la pillola bisogna escludere patologie che ne controindichino l’uso, per cui alcuni accertamenti medici sono necessari prima della sua prescrizione, come pure durante il suo utilizzo. 
Minipillola
: rispetto alla pillola classica (composta da due sostanze: estrogeni e progestinici), la minipillola é costituita unicamente da un progestinico ed ha una minore efficacia contraccettiva (indice di Pearl 0.9 e 3), perché non inibisce l’ovulazione, ma esplica la sua azione agendo prevalentemente a livello del muco cervicale, in modo da renderlo ostile alla penetrazione degli spermatozoi. Spesso é accompagnata dalla comparsa di irregolarità mestruali e perdite ematiche intermestruali durante la sua assunzione che ne limitano l’uso oppure comportano un basso indice di continuazione. Pur non esistendo controindicazioni assolute per questo tipo di contraccezione (che può essere una valida alternativa in caso di controindicazioni all’uso della pillola classica) non é comunque un metodo utilizzato per la difficoltà a volte di reperirla e per le perdite ematiche intermestruali di cui si diceva.
Pillola “del giorno dopo”: Con questo termine si intende un preparato ormonale (pillola od altri composti) che é usato per l’intercezione post coitale; può succedere che ci siano rapporti sessuali occasionali e non previsti senza l’uso di alcun metodo contraccettivo. Il rischio di insorgenza di una gravidanza per un rapporto sporadico é stato calcolato tra il 2% ed il 14%. Irrigazioni con soluzioni chimiche o con svariate altre sostanze sono inutili perché già dopo pochi secondi dall’eiaculazione in vagina gli spermatozoi sono presenti nel muco cervicale e quindi sono irraggiungibili ed inattaccabili da qualsiasi sostanza chimica introdotta in vagina. Vari composti sono stati utilizzati come contraccettivi post coitali con variabili risultati.L’intercezione post coitale deve comunque essere considerata una metodica contraccettiva di emergenza e ristretta all’intervallo di tempo compreso tra l’ovulazione e l’annidamento; inoltre bisogna ricordare che, per ottenere l’effetto voluto, devono essere utilizzati alti dosaggi ormonali e quindi la possibilità di effetti collaterali é alta, senza per contro che ci sia una sicurezza assoluta del risultato. L’indice di Pearl é variabile a seconda del preparato usato.

METODI MECCANICI

Dopo la pillola, come sicurezza cotraccettiva, si colloca lo IUD (spirale) dispositivo che viene inserito all’interno dell’utero impedendo così l’annidamento di un ovulo eventualmente fecondato. Anche per la spirale sono stati fatti passi importanti per migliorarne la tollerabilità e la sicurezza, ma questo non é un metodo indicato per tutte le donne. Per inserire lo IUD occorre infatti una normalità dell’apparato ginecologico (per esempio non é indicato in caso di malformazione dell’utero o di un suo iposviluppo o in presenza di fibromatosi). Nelle donne che non hanno mai partorito il dispositivo potrebbe non essere tollerato, potrebbe causare difficoltà all’inserimento e determinare patologie infiammatorie della pelvi. Tutte queste ragioni ne hanno limitato, rispetto al passato, il suo utilizzo. Gli ultimi dispositivi introdotti sul mercato hanno cercato di ridurre al massimo gli effetti negativi di questa metodica oltre ad aumentare la durate contraccettiva (fino a cinque anni).

METODI DI BARRIERA

Al terzo posto come sicurezza contraccettiva si trovano i metodi di barriera (diaframma e preservativo). Questi metodi hanno il vantaggio di essere più utili dei precedenti nella prevenzione anche delle malattie sessualmente trasmesse (MST).
Diaframma: é una calotta di materiale plastico che viene inserita in vagina prima di un rapporto e serve per impedire che gli spermatozoi raggiungano l’ovulo. Oltre ad essere una barriera meccanica, con il diaframma si consiglia l’utilizzo di creme spermicide, le quali svolgono una sorta di barriera chimica nei confronti degli spermatozoi, e ne aumentano la sicurezza come contraccettivo. Inoltre alcune sostanze chimiche come il Nonoxinolo 9, contenuto negli spermicidi, sembrano avere una notevole efficacia anche contro i virus, come nel caso dell’HIV che determina l’AIDS. Quest’ultimo aspetto ha contribuito a rivalutare l’utilizzo di questa metodica che rispetto al preservativo presenta alcuni vantaggi: é costituito da materiale più “robusto”, nel senso che é più difficile una sua rottura, può essere inserito in qualunque momento prima di un rapporto (anche ore) e può essere riutilizzato varie volte se ben conservato. Per il suo utilizzo é necessaria una visita medica e un tempo adeguato per l’addestramento all’uso.
Profilattico o preservativo: é tra i metodi sopracitati l’unico di pertinenza al sesso maschile. E’ uno dei metodi anticoncezionali più antichi. Era usato dagli Egizi, ma probabilmente solo a scopo decorativo; più tardi attorno al 1500 il suo uso fu descritto quale mezzo utile a prevenire le malattie veneree allora molto diffuse e difficilmente curabili. Nonostante sia ancora oggi il metodo consigliato per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, non viene ampiamente utilizzato. Probabilmente il suo impiego viene collegato all’amore mercenario e risente comunque di troppe pregiudizievoli critiche. Non necessita di particolari accertamenti o istruzioni d’uso per essere utilizzato eccetto la raccomandazione di essere ben conservato (lontano da fonti di calore che potrebbero alterarlo) e maneggiato con cura per prevenire alterazioni che potrebbero causarne la rottura.

METODI CHIMICI

Questa ampia categoria di contraccettivi comprende creme, gelatine, schiume, ovuli, films solubili, ecc. che hanno lo scopo di immobilizzare gli spermatozoi il più rapidamente possibile dopo la loro eiaculazione in vagina e di ostacolarne il passaggio a livello del muco cervicale. Queste sostanze devono essere introdotte in vagina all’inizio del rapporto sessuale (15 – 30 minuti prima) e la loro applicazione deve essere ripetuta ad ogni successivo rapporto in quanto la loro efficacia é limitata ad un periodo di 30 – 60 minuti. Anche se gli effetti collaterali sono rari, a parte alcune forme di allergia, ed i vantaggi sono rappresentati da un basso costo ed un libero acquisto, gli spermicidi sono insufficienti se usati da soli sul piano dell’efficacia, rispetto al solo diaframma o profilattico. Queste metodiche dovrebbero servire ad aumentare l’efficacia di altri sistemi contraccettivi, quali il diaframma, lo IUD o il profilattico.

METODI NATURALI

I metodi naturali si basano sull’individuazione del momento dell’ovulazione, per cui richiedono una preventiva determinazione del periodo fecondo del ciclo per una astensione dai rapporti sessuali in quel periodo.
Ogino-Knaus: é stato sviluppato e proposto da due ricercatori che hanno considerato come “sicuro” ai fini contraccettivi astensione dai rapporti sessuali tre giorni prima e un giorno dopo l’ovulazione, che avviene sempre quattordici giorni prima delle mestruazioni. Questo calcolo teorico dovrebbe essere fatto analizzando in un arco di dodici mesi il ciclo mestruale più corto e quello più lungo onde farne una media più attendibile. Molti fattori esterni perciò possono far variare il giorno dell’ovulazione e molte donne non hanno cicli regolari, per cui questo calcolo é risultato empirico e quindi poco sicuro.
Metodo Billing: é detto anche metodo del muco cervicale. Si basa sull’analisi del muco cervicale che viene prodotto sotto lo stimolo degli estrogeni. Questo durante l’ovulazione, si modifica diventando più fluido e filante per facilitare il cammino degli spermatozoi attraverso la cervice. L’ultimo giorno in cui il muco mantiene queste caratteristiche corrisponde al periodo di massima fertilità (“giorno del picco”). Come periodo a rischio si considera l’arco di tempo compreso tra l’inizio della secrezione di muco ed i quattro giorni seguenti “il giorno del picco”. I limiti della metodica sono dati dalla soggettiva capacità di ogni donna di valutare le variazioni di muco.
Temperatura basale: si basa sul rilevamento della temperatura di base misurata tutte le mattine a riposo. Dopo l’ovulazione si assiste infatti ad un innalzamento della temperatura di base misurata tutte le mattine a riposo. Dopo l’ovulazione si assiste infatti ad un innalzamento della temperatura corporea di circa mezzo grado rispetto ai rilevamenti precedenti. Dopo tre giorni da questo innalzamento della temperatura non dovrebbero esserci più rischi di incorrere in una gravidanza. I limiti di questo rilevamento sono dati dalle ampie variabilità individuali di questo parametro oltre che da possibili interferenze con stati febbrili. Oggigiorno queste metodiche sono comprese in quella che viene chiamata regolazione naturale della fertilità con il metodo sintotermico. Questa metodica si propone di dare alla donna la capacità di conoscere le modificazioni che avvengono nel suo organismo durante il ciclo mestruale, riconoscendo qual é il periodo fertile del suo ciclo per permetterle di adottare precauzioni solo nei periodi fertili. In questa maniera si sono notevolmente ridotti i rischi di una gravidanza non desiderata nelle coppie che si attengono correttamente agli insegnamenti di personale appositamente preparato.

METODI COMPORTAMENTALI

Coito interrotto: l’efficacia di questa metodica dipende esclusivamente dal partner maschile. Spesso questa metodica é quella usata per prima dalla coppia, anche se é caratterizzata da un alto livello di fallimento. Gli spermatozoi infatti, possono venire emessi dall’uretra maschile prima dell’eiaculazione ed indipendentemente dalla sua consapevolezza. Inoltre la retrazione del membro maschile dalla vagina deve essere tempestiva, in modo che il liquido non sia depositato troppo vicino all’orifizio vaginale e, in caso di ripetizione del rapporto a breve distanza, bisogna ricordare che nell’uretra maschile possono trovarsi ancora spermatozoi della precedente eiaculazione. L’impiego di questa metodica pertanto, per dare risultati accettabili richiede un notevole controllo da parte del partner maschile.

Malattie a trasmissione sessuale
Per tornare al tema generale della pericolosità insita in un rapporto sessuale, non si può trascurare di parlare ancora della malattie a trasmissione sessuale. Per quanto ci sia già il rischio di contrarle nel corso di un unico rapporto sessuale, anche se fosse il primo, bisogna puntualizzare che sono in larga parte malattie curabili e, se la diagnosi é tempestiva, non danno luogo a sequele a distanza. Si consiglia quindi, in caso di secrezioni anomale dai genitali, ulcerazioni o piccole escrescenze sull’apparato genitale o anche solo quando si hanno dei dubbi sui rapporti sessuali avuti, di ricorrere ad una consulenza con il proprio medico o con lo specialista. Il medico é senz’altro in grado di fare diagnosi o suggerire gli accertamenti indispensabili per farla e consigliare poi la terapia più opportuna. In ogni modo é opportuno ricordare che le malattie sessualmente trasmesse riguardano entrambi i partner ed é quindi la coppia che deve essere trattata per una eradicazione della malattia impedendone così l’ulteriore diffusione. Le uniche malattie per le quali la guarigione é in dubbio ed a maggior rischio di evoluzione sono quelle a trasmissione virale. Tra queste l’AIDS é sicuramente quella più conosciuta, ma per la quale non esiste ancora un rimedio efficace. Quindi l’unica maniera per evitarla consiste nella prevenzione dei comportamenti a rischio. Concludendo le metodiche contracettive ed i comportamenti sessuali non a rischio sono sicuramente in grado di far vivere la sessualità in una maniera più tranquilla e serena all’interno delle coppie, tenendo in considerazione le esigenze di ognuno e salvaguardando la propria integrità, anche nel rispetto delle proprie credenze religiose. Qualora si volesse proprio rischiare, almeno l’uso del profilattico dovrebbe essere preso in considerazione. In ogni modo esistono strutture sanitarie, i Consultori Familiari, dove é possibile effettuare, con l’aiuto del medico, la scelta del contracettivo più idoneo per la coppia o avere chiarimenti in merito alle malattie sessualmente trasmesse. Con la consulenza dello psicologo inoltre, é possibile sostenere l’individuo nell’acquisizione di un comportamento sessualmente consapevole e rispettoso di sé e dell’altro. Inoltre, per i giovani che sono forse le persone più a rischio sia di incorrere in gravidanze premature o, per via della più frequente occasionalità dei rapporti, di contrarre malattie a trasmissione sessuale, esiste in alcune realtà, un servizio specifico, il Consultorio Giovani, che può essere di aiuto per queste problematiche. Gli operatori di questi servizi incontrano i ragazzi anche nelle scuole e nei luoghi di naturale aggregazione, per trasmettere loro conoscenze mirate e favorire il confronto sui temi della sessualità e del rapporto tra i sessi al fine di divulgare una cultura del rispetto di sé e dell’altro.

Enzo SAVIOTTI -ginecologo
Consultorio Giovani A. USL di Ravenna
pubblicazione del 1999

L’ESAME DEL MUCO CERVICALE

Nel periodo ovulatorio, a causa dell’elevata concentrazione degli estrogeni circolanti, la secrezione delle ghiandole cervicale uteri ne aumenta notevolmente e il muco che queste secernono diventa poco vischioso, filante, solo nel periodo ovulatorio si può osservare il fenomeno della cristallizzazione del muco cervicale, rappresentato da un “aspetto a foglia di felce” che assume il muco quanto é disteso su un vetrino da laboratorio e, dopo essicazione, viene esaminato al microscopio. Durante il periodo ovulatorio il muco diventa più abbondante, più fluido, meno vischioso tutto ciò ha la funzione di facilitare la penetrazione degli spermatozoi attraverso il muco stesso e la loro risalita attraverso l’utero e le tube per fecondare l ‘ovocita femminile. Durante il periodo ovulatorio il muco cervicale fuoriesce dai genitali esterni. Questo, insieme alle variazioni della temperatura basale corporea e del monitoraggio ecografico dei follicoli ovarici, permette alle donne di venire a conoscenza del loro periodo fertile e di poter praticare un metodo contraccettivo naturale basato sulla astensione dai rapporti sessuali in questo periodo. Questo metodo contraccettivo presenta vantaggi (assenza di costi e assenza di effetti collaterali negativi) e svantaggi (mancanza di una sicurezza totale).
Questo metodo presuppone un ciclo femminile molto regolare, di 28 giorni. Purtroppo molte donne hanno cicli mestruali molto irregolari più lunghi o più corti di 28 giorni.
Il muco cervicale forma un tappo con funzione di difesa contro i germi che, localizzati nella vagina, potrebbero risalire nella cavità uterina .
Il muco tuttavia può diventare infetto nei processi infiammatori del collo uterino e presentare caratteristiche alterate. G l i agenti infettivi più comuni sono il gonococco, il trichomonas, candida albicans e altri germi banali. L’esame del muco cervicale é molto importante nella diagnosi delle infezioni vaginali e uterine. Per poter attuare una corretta terapia bisogna eseguire un tampone vaginale con prelievo delle secrezioni e del muco cervicale. Una piccola parte del materiale prelevato con il tampone vaginale viene strisciato e fissato su un vetrino da laboratorio; il vetrino viene colorato con vari metodi (colorazione gram, o con blu di metilene) e viene osservato al microscopio. Il materiale prelevato con il tampone vaginale viene seminato in terreni colturali e in caso di crescita di germi, viene eseguito un antibiogramma (cioé viene ricercato e testato l’antibiotico più adatto per quel tipo di germe).
La terapia consiste nella somministrazione di antibiotici e/o antimicotici per via locale e per via generale. In alcuni casi é utile estendere la terapia anche al partner, anche in assenza di sintomi clinici, perché spesso queste patologie sono silenti. L’esame del muco cervicale é anche molto importante nella diagnostica dell’infertilità di coppia. Le caratteristiche quantitative e qualitative del muco cervicale cambiano a seconda del periodo del ciclo mestruale.
La quantità del muco cervicale aumenta molto nel periodo periovulatorio (12°-15° giorno del ciclo), diminuisce nella fase postovulatorio e nella fase premestruale. L’esame del muco nel periodo periovulatorio valuta alcune delle principali caratteristiche:
l) la quantità: normalmente é aumentata
2) la viscosità: é diminuita
3) il pH: diventa leggermente alcalino
4) il muco strisciato su un vetrino da laboratorio, lasciato essiccare e osservato al microscopio, presenta un aspetto a forma di foglia di felce.
Sono state stabilite tabelle con vari punteggi inerenti ai quattro punti sopracitati. In base a questi punteggi il muco cervicale può venire definito: ottimo, buono, favorevole, sfavorevole riguardo alla penetrazione degli spermatozoi. Il muco può essere scarso e di scadente qualità: in questi casi per migliorarlo e normalizzarlo si usano terapie a base di estrogeni dal 3° al 9° giorno del ciclo. Il muco può presentare caratteristiche alterate anche perché infetto: in questo caso, come già detto sopra, va instaurata una adeguata terapia antibiotica.
Il “post-coital test” (P.C.T .= test post coitale) é un test molto importante per la diagnosi di infertilità di coppia: studia la interazione tra gli spermatozoi e il muco cervicale, una corretta esecuzione del test prevede alcune avvertenze:
l) test di penetrazione in vitro
2) test di penetrazione su vetrino.
Il primo test consiste nell’esaminare al microscopio la capacità di penetrazione degli spermatozoi attraverso una colonna contenente muco cervicale situata dentro un capillare (un sottilissimo tubicino di vetro). Il secondo test consiste nel porre a contatto su un vetrino da laboratorio una goccia di muco cervicale e una goccia di liquido seminale: si coprono le due gocce con un vetrino copri oggetto e si esamina il vetrino al microscopio; dopo 15 minuti si contano gli spermatozoi penetrati nel muco e validamente mobili.
Il risultato negativo o sfavorevole del P.C.T. e dei test in vitro può essere attribuito a cause cervicali: il muco può essere scarso quantitativamente e scadente qualitativamente, ciò può essere dovuto sia a fattori infettivi sia a fattori ormonali, come già sopra menzionato.
Cause seminali: in alcuni casi abbiamo un P.C.T. negativo in presenza di muco cervicale normale e con spermatozoi assenti o scarsi e poco mobili con mobilità non valida, non progressiva. In questi casi bisogna pensare ad una infertilità maschile o ad una causa di infertilità immunologica. In questi casi può trattarsi di cause seminali: azoospermia (assenza totale di spermatozoi nel liquido seminale), oligoastenospermia (spermatozoi scarsi e poco mobili).
Quando siamo in presenza di un P.C.T. con risultato negativo pur avendo un muco cervicale normale e un liquido seminale con parametri normali, dobbiamo pensare ad una causa immunologica di infertilità.
La causa immunologica di infertilità consiste nella presenza di anticorpi antispermatozoi. Sono particelle che aderiscono agli spermatozoi impedendo la loro mobilità efficace e quindi la loro progressione attraverso l’utero e le tube. Spesso gli anticorpi, localizzati sia sulla testa sia sulla coda degli spermatozoi, causano delle agglutinazioni (sono piccoli ammassi di spermatozoi).
Gli anticorpi antispermatozoi possono essere presenti nella donna nel muco cervicale e nel sangue; a volte questi anticorpi non sono presenti nella donna, ma nell’uomo sia nel liquido seminale, sia nel sangue; in questo caso si parla di autoanticorpi. In questi casi con particolari tecniche é possibile evidenziare gli anticorpi e procedere alle idonee terapie.

Luciana CASTAGNOZZI – androloga
pubblicazione del 2001