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CHE COS’E’ L’OSTEOPETROSI

Nell’ambito delle forme infantili la forma più grave segue una trasmissione genetica autosomica recessiva ed esordisce nel primo anno di vita con grave compromissione oculare per restrizione dei forami ottici, epatosplenomegalia e sintomatologia ematologica rappresentata da anemia grave, piastrinopenia e leucopenia.
Il quadro osseo é rappresentato dalla comparsa di aumento della densità ossea
generalizzato, gravi deformità scheletriche e fratture patologiche. Compare inoltre ipoacusia per progressiva ostruzione dei forami acustici. I pazienti presentano una sopravvivenza media del 30% al sesto anno di età.
Un’altra forma meno grave della precedente é la cosiddetta forma intermedia: i soggetti raggiungono l’età adulta ma i disturbi ortopedici e neurologici possono essere invalidanti.
DeIl’ osteopetrosi sono state descritte numerose altre varianti nelle quali non é presente la compromissione ematologica ma solo quella ossea con fratture patologiche frequenti ed occlusioni dei forami acustici ed ottici con conseguente ipoacusia e riduzione della acuità visiva.
Fino a pochi anni or sono non esistevano possibilità terapeutiche per questi pazienti. Nel 1997 Ballet et al. ottennero un significativo miglioramento delle alterazioni ossee di un bambino con osteopetrosi tramite l’infusione di midollo osseo di un fratello HLA identico.
Da allora il trapianto di midollo osseo ha rappresentato una strategia terapeutica vincente in questi soggetti.
Nella nostra Unità di trapianto di midollo osseo sono stati trapiantati negli ultimi 10 anni tre soggetti affetti da osteopetrosi grave.
Nessuno ha presentato gravi problemi sia di GVHD acuta che cronica e soprattutto abbiamo evidenziato, nel follow-up di questi bambini, una completa ripresa del rimaneggiamento osseo con netta riduzione delle deformità ossee che erano presenti nel periodo pre-TMO. Tutti i nostri pazienti hanno avuto un’ ottima ripresa ematologica con totale ripristino della funzionalità midollare.
Pertanto il trapianto di midollo osseo allogenico rappresenta ora l’unica terapia per i pazienti affetti da osteopetrosi grave ed intermedia con risultati a breve e lungo termine decisamente soddisfacenti.

M. FARACI
Pediatria II
Istituto G. Gaslini (GE)
Luca MANFREDINI
Pediatria IV
Istituto G. Gaslini (GE)
Pubblicazione del 1998

OSTEOMELITE DEL MASCELLARE

La nostra esperienza è stata infatti quella di trattare un numero cospiquo di pazienti con l’osteomelite del mascellare complicata con sovrainfezione batterica, tipo gram positivo antibiotico resistente , con l’ Ossigeno-Ozono terapia per via topica (insufflazione) e sistemica (autoemotrasfusione), prima di prendere in considerazione un eventuale trattamento chirurgico.
I risultati sono stati, che tale trattamento ha dato nel 30% dei casi una completa risoluzione del processo, con chiusura delle fistole e completa eradicazione batterica. Nel 70% dei casi si è invece avuto una notevole riduzione della infezione batterica che ha consentito sucessivamente un più appropriato intervento chirurgico. In conclusione possiamo dire che la Ossigeno-Ozono terapia per via topica che sistematica ha un ruolo decisivo nella guarigione di una grande percentuale di pazienti affetti da osteomelite da mascellare complicata da sovrainfezione batterica antibiotico resistente.

dr. Luigi MONTANO
Seconda Università di Napoli

LATTAZIONE NEI NEONATI FONDAMENTALE E’ LA STIMOLAZIONE

Dagli studi delIa Human Lactation Research Group il punto sulla lattazione pretermine nel corso del congresso internazionale “Nutrizione con latte umano” tenutosi a Venezia i gicrni 7e 8 maggio 2010, promosso da Medela.
L’alimentazione con latte materna possiede indubbi benefici sia per il bambino che per la mamma, per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità da sempre la incoraggia fortemente insieme all’allattamento al seno esclusivo dalla nascita per 6 mesi completi.
I dati epidemiologici documentano il fatto che l’alimentazione naturale e utile non solo per i nati sani a termine, ma anche per i nati che necessitano di cure assistenziali speciali (prematuri, neonati di basso peso, neonati patologici). I prematuri, se nutriti con latte materno, vanno meno soggetti ad infezioni gravi (sepsi, meningiti) ed ad enterocolite necrotizzante, tutte patologie ad elevata mortalità e con possibili conseguenze sulla salute a lungo termine. Nonostante questi innumerevoli vantaggi, l’allattamento esclusivo viene messo in pratica in una percentuale ridotta di casi. Non si tratta solo del fatto che generalmente il bambino pretermine ha difficoltà ad attaccarsi al seno. Infatti, prima che lui sia eventualmente pronto a farlo, manca un incisivo, sistematico incoraggiamento e supporto alle mamme dei bambini prematuri per intraprendere la lattazione, ritenuta magari troppo stressante o addirittura erroneamente controindicata, nel caso in cui le mamme debbano assumere farmaci al parto e nei primi giorni dopo il parto.
Diventa quindi sempre più importante non solo intervenire nella rimozione di eventuali ostacoli all’allattamento, ma promuovere la nutrizione con il materna nelle Unita di Terapia Intensiva Neonatale (UTIN) incentivando le mamme a spremere il proprio latte senza perdere giorni preziosi.
“Riuscire ad allattare un bambino nato alia 30° o alla 27° settimana di gravidanza, a volte anche prima, non è facile, ma e sicuramente possibile, nonostante tutti gli ostacoli – afferma Riccardo Davanzo, Pediatra presso la neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale dell’IRCSS Burlo Garofalo, Trieste –
II primo è rappresentato dalla separazione del neonato pretermine dalla mamma: è difficile allattare da “lontano”, ma e importante riuscirci. Per un buon avvio è fondamentale che il bambino inizi a poppare subito e costantemente, ma ad un neonato ricoverato in terapia intensiva questo non accade quasi mai; perciò la parola d’ordine è: stimolare il seno. L’ideale, se le condizioni di salute della mamma lo permettono, e provare a tirare o spremere il latte nelle prime ore dopo il parto, cominciando così a prendere confidenza con l’operazione di estrazione e assicurando le prime gocce di colostro al bambino. Tutte le mamme potenzialmente producono latte, ma vari fattori, quali lo stress o fattori di tipo organizzativo vanno a diminuirne la qualità .
Ogni giorno in Italia nascono in media 13 nuovi bambini con peso alla nascita inferiore a 1500 grammi che vengono “attaccati ad una macchina anzichè al seno della madre: sono circa 5.000 l’anno.
Le percentuali delle nascite premature sono in aumento, in compenso migliorano le loro condizioni di salute: oggi sopravvive il 90% dei neonati con peso inferiore ai 1.500 grammi, negli anni ’60 non si arrivava al 25%.
“L’alimentazione con latte materno magari mediante sondino è molto importante per un neonato in terapia intensiva – continua Davanzo – perchè gli fornisce una maggiore protezione contro le infezioni, riduce l’incidenza di patologie a carico dell’intestino, stimola la crescita e lo sviluppo neurologico.

II rischio relativo di enterocolite necrotizzante per i nati pretermine nutriti con formula rispetto al latte umano aumenta di 2.46 volte, mentre si riduce dello 0.47% iI rischio di sepsi/meningiti.
Inoltre, allattare aiuta la madre a sentirsi attiva e partecipe, in un momento in cui i genitori sperimentano un forte senso di impotenza. In seguito, l’allattamento al seno potrà contribuire a recuperare un senso di “normalità.
Ma illatte materno è sufficiente a fornire i nutrienti necessari al bambino pretermine?
Recenti studi hanno comparato il latte a termine e quello pretermine ed hanno mostrato che quest’ ultimo tende ad avere alti valori proteici, un contenuto molto diverso di acidi grassi e maggiori livelli elettroliti (ad esempio sodio e potassio). II latte materno è composto da diversi fattori protettivi necessari allo sviluppo che sono indiscutibilmente benefici per il bambino prematuro e, in media, il latte delle madri che partoriscono prima del termine ha una densità calorica maggiore di quello delle madri di bambini nati a termine. Tuttavia la composizione e la densità nutrizionale del latte pretermine variano a seconda della prematurita e in particolare da madre a madre, pertanto nella maggioranza dei casi si rende necessaria l’aggiunta di fortificanti.
“Nascere prematuri implica un brusco arresto della crescita e delle sviluppo intrauterini. II neonato prematuro si configura di conseguenza come un’emergenza anche dal punta di vista nutrizionale, la presa in carico di questi neonati rappresenta una “sfida” per il neonatologo ed il nutrizionista”­afferma Paola Roggero, Pediatra Gastroenterologa della Terapia Intensiva Neonatale delia Clinica Mangiagalli di Milano. – II contenuto proteico ed energetico del latte materno, i cui benefici sono indiscussi, non è sufficiente a supportare la crescita dei neonati prematuri ad un ritmo paragonabile alla crescita fetale. Ne deriva pertanto la necessita di “fortificare”il latte materno per poter garantire una migliore crescita. Dei fortificanti disponibili in commercio, quelli derivati dal latte bovino presentano una composizione in aminoacidi differente rispetto al latte materna e possono essere meno tollerati rispetto ai fortificanti derivati dal latte umano, su cui la ricerca sta concentrando i suoi sviluppi.”

ANATOMIA DEL SENO “AL LAVORO”
La mammella
La mammella è formata da ghiandole lattifere, destinate cioè alla produzione del latte, circondate da tessuto adiposo e da tessuto connettivo (legamenti di Cooper). II latte prodotto dalle ghiandole viene trasportato al capezzolo tramite dotti lattiferi. Durante i mesi di gravidanza, il seno
si prepara all’allattamento e nella maggior parte dei casi aumenta in dimensioni e diventa più teso. Particolari ghiandole, dette di Montgomery, concentrate nell’areola, si ingrossano e iniziano a secernere una sostanza oleosa che lubrificherà e proteggerà il capezzolo durante la poppata.
L’areola diventerà più scura ed è anche possibile che i capezzoli si facciano più prominenti.
II seno e un insieme di diversi tessuti e ognuno di essi ha una sua funzione specifica:
• Legamenti di Cooper: tessuto connettivo e adiposo che sostiene il seno e lo ancora al torace
• Grasso retrommario: cuscinetto adiposo posizionato nella parte posteriore del seno
• Tessuto ghiandolare: produce il latte
• Grasso sottocutaneo: tessuto adiposo che si trova appena sotto la pelle
• Lobulo contenente gli alveoli: ogni lobulo contiene dai 10 ai 100 alveoli raggruppati
• Dotto lattifero: deputato al trasporto del latte

L’alveolo
II tessuto ghiandolare è composto di alveoli. Ogni alveolo è una sorta di sacchettino che contiene il latte prodotto che sarà riversato nei dotti lattiferi. Più alveoli si uniscono a formare i lobuli.
Un modo per visualizzare le strutture del seno e disegnare un albero. Gli alveoli sono le foglie e i dotti sono i rami. Molti rami più piccoli si uniscono a pochi rami più grandi che infine diventano il tronco dell’albero.
La “spremitura” del latte avviene attraverso le cellule mio epiteliali che spremono gli alveoli e forzano il latte ad uscire dalla mammella.
Il lattocita è la cellula produttrice di latte. E’ una sorta di piccola fabbrica deputata alla produzione ed invio del latte nell’alveolo. II dotto lattifero, invece, e il canale che consente al latte di lasciare gli alveoli e passare, attraverso il seno, al bambino.

II lattocita
II lattocita si comporta come una piccola fabbrica in funzione ed ogni sua componente gioca un ruolo importante.

Nucleo: contiene il DNA della cellula, è responsabile di come la cellula appare e di ciò che contiene.
E’ una parte molto complessa, responsabile del metabolismo della cellula stessa.

Reilcolo endoplastico: è una sorta di rete che agisce come un filtro nei confronti delle molecole, soprattutto proteine e lattosio.

Apparato del Golgi: è responsabile del “trasporto” delle proteine

Giunzioni: hanno 3 funzioni principali:
adesione (tengono unite le cellule),
occlusione (controllano it passaggio di alcune sostanze),
comunicazione

II latte materno è vivo e spalanca affascinanti percorsi di ricerca
Gli studi dello Human Lactation Reasearch Group de/l’University of Western Australia hanno fatto luce sulla straordinaria complessità della composizione del latte materno, sul suo mutare costantemente durante le diverse fasi della poppata ma anche nei diversi periodi dell’allattamento, con i conseguenti benefici per il bambino e la mamma.
Dai lavori, infatti, emerge che il latte materno muta in risposta alle esigenze del bambino nelle diverse fasi di crescita, fornendo un nutrimento eccezionale al neonato, che migliora la resistenza alle malattie, oltre a potenziare lo sviluppo intellettuale e altre funzioni vitali. I risultati hanno anche evidenziato i vantaggi fisiologici per la madre.
Gli studi confermano ancora una volta quanta il fluido sia dinamico, adattabile e “vivo” nel vero senso della parola. Negli anni scorsi, i pochi che si occupavano di ricerca in questo settore, credevano che il latte materno fosse un liquido statico e immutabile, simile al latte prodotto in serie che si acquista nei negozi. II latte materno è invece il miglior artista della trasformazione: non sta mai fermo. Per esempio fornisce sempre il giusto apporto energetico. Contiene più calorie nelle prime settimane, quando il bambino cresce velocemente e poi sempre meno, man mano che la crescita rallenta. In seguito, quando il bambino ha bisogno di maggiori energie per gattonare e imparare a camminare, il latte diventa
nuovamente più energetico.
In particolare, il latte materna sembra offrire proprio l’esatto livello di protezione immunitaria.
E’ sempre sufficiente per proteggere i neonati, ma allo stesso tempo non è mai troppo, tale da impigrirne il sistema immunitario e impedirne lo sviluppo.
Per esempio, il colostro, il latte denso e ricco prodotto subito dopo la nascita, abbonda di anticorpi che proteggono il neonato quando il suo sistema immunitario non si e ancora sviluppato. Poi, quando i bambini crescono e il loro sistema immunitario si rafforza, la percentuale di questi anticorpi si riduce.

Riccardo Davanzo, Pediatra presso la Neotologia e Terapia Intensiva Neonatale dell’IRCSS burlo Garofalo, Trieste.

In cosa consista il calo di peso postatale , quando è fisiologico e in alcuni casi si può parlare di calo eccessivo?
Il calo di peso postatale dei nati ani a termine di peso appropriato è fenomeno ben noto, ma poco documentato in letterature.
Esiste un calo di peso massimo comunemente accettato del 10% con un successivo recupero del peso entro 2-3 settimane dalla nascita.
I cali di peso eccessivi sono quelli >10% e dipendono, il più delle volte, da un’alimentazione sub ottimale associata a fattori materni quali primiparità, travaglio prolungato, ritardo della montata lattea e uso di farmaci durante il travaglio nelle multipare.
Tale calo si accompagna ad alterazioni dei sali e, quindi, a disidratazione. Ne sono soggetti maggiormente i neonati allattati al seno, poiché la lattazione umana non implica un successo del 100%.
Va evitata, laddove è possibile, l’aggiunta di latte artificiale che, come è noto, ostacola l’avvio di una buona suzione da parte del bambino. Il latte artificiale, infatti, dovrebbe essere prescritto dal pediatra solo in casi particolari.
Purtroppo, invece, si somministra 2la formula” soltanto per far dormire maggiormente il bambino di notte o per permettere a persone diverse dalla mamma di alimentarlo.
Per uscire a trovare un compromesso tra le buone pratiche neonatologiche e l’entusiastica promozione dell’allattamento è importante la messa in atto di un protocollo di sorveglianza che consenta di monitorare tempestivamente il calo di peso sostenedo , nel contempo, l’allattamento al seno.
In cosa consista il protocollo di sorveglianza attivo presso l’IRCCS Burlo Garofalo?
Il protocollo è attivo con l’obbiettivo di promuovere l’allattamento, ridurre il ricorso a supplementazioni di latte artificiale non necessarie ed evitare la disidratazione ipernatricmica neonatale. Nei casi di peso >10% o nei cali di peso dell’8-10%, ma con neonato con segni di disidratazione l’intervento consiste in:
* supporto all’allattamento al seno (correzione della poppata, al caso),
* spremitura del latte materno e somministrazione al neonato,
* controllo della sodiemia,
* controllo di peso dopo 8-12 ore.
*eventuale supplementazione con formula, quando ritenuto necessario.
La disponibilità di un protocollo operativo ci ha permesso di gestire meglio il supporto alle mamme e, soprattutto, di decidere quando e se dare le aggiunte di formula.
Il calo fisiologico si può riscontrare anche tra i neonati prematuri? Ci sono differenze rispetto ai neonati pretermine. Se si quali?
I neonati pretermine tendono ad avere un calo di peso maggiore rispetto ai nati a termine in quanto hanno molto più acqua corporea. Non è esattamente noto quale sia il loro calo di peso fisiologic, datoo che sono alimentati per via parentale e somministrazione col sondino di latte.
Anche per questi neonati si fa riferimento ad un calo di peso non superiore al 10%.

Pubblicazione giugno 2010

SIDS: COSA NE SANNO I GENITORI

L’obbiettivo era verificare il grado di conoscenza della SIDS da parte dei genitori presenti, la qualità delle informazioni, come vengano diffuse e da quali canali vengano apprese. Questi numeri si vanno ad aggiungere a quelli gia raccolti nei mesi scorsi durante le tappe di Milano e di Bari di Bimbinfiera (in totale i genitori coinvolti sono stati 5.300) e sembrano confermare, in parte, i dati della città pugliese, risultati che si discostano, più meno lievemente a seconda delle domande, da quelli del capoluogo lombardo. In particolare, dai dati romani, risulta evidente che solo una piccola percentuale di genitori ha sentito parlare in modo esaustivo di SIDS. Inoltre, pur avendone sentito parlare, ancora molti genitori hanno risposto di non sapere che e la prima causa di morte dal ventottesimo giorno al primo anno di vita. Evidente quindi che ancora molto c’e da fare e la campagna promossa da MAM Association, con il coordinamento scientifico del dottor Carlo Gargiulo, vuole proprio rappresentare un primo passo in questa direzione, cioè di una miglior conoscenza del problema e la conseguente adozione degli opportuni e semplici comportamenti in grado di ridurre sensibilmente il numero di queste morti ed evitare il dramma di una SIDS. I genitori, infatti, pur sapendo che esi­tono alcune precauzioni, non hanno le idee troppo chiare su quali siano. E così alla domanda “qual è secondo te la giusta posizione per far dormire il bambino per evitare la SIDS durante la nanna?”, ben il 53% dei genitori intervistati a Roma (in linea con la percentuale di Bari, ma quasi il doppio rispet­to a quella di Milano) ha risposto ancora quella di lato. Tra gli altri dati emersi, interessante è quello che riguarda l’uso del succhietto: la metà dei genitori conosce la sua utilità e efficacia, nonostante sia stato tra le ultime raccomandazioni a essere incluse nei comportamenti anti-SIDS. Segno che una corretta e accurata informazione su questa tema è fondamentale per aiutare mamme e papàa a far dormire sonni tranquilli ai laoro piccoli.
I questionari compilati da 5.300 persone a Roma, Milano e Bari in occasione di Bimbinfiera parlano chiaro: nonostante si senta sempre più spesso parlare di SIDS c’e ancora molto da fare per sensibilizzare le mamme e i papà italiani sull’importanza dell’adozione di alcune sane “abitudini” per il bene dei loro piccoli MAM Association nasce in Italia per promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione sulla SIDS (Sindrome della morte imprvvisa del lattante) al fine di dare il proprio contributo nella riduzione del rischio di questa fenomeno. L’Associazione lavora a stretto contatto con importanti organizzazioni e associazioni internazionali impegnate nel settore della salute e dell’infanzia e si propone di portare nel nostro Paese i contributi di specialisti di fama mondiale, frutto dei più aggiornati studi e delle ricerche più innovative.
Per ulteriori informazioni:
Media60 (Ufficio stampa campagna anti-5IDS)
tel. 035 5788871
ufficiostampa@media60.it
pubblicazione aprile 2010

LA VERTIGINE

La vertigine si presenta con caratteristiche variabili da persona a persona e, talvolta, può accadere che in uno stesso individuo le crisi vertiginose siano diverse una dall’altra.
Nella persona normale esistono diversi organi di senso che forniscono corrette informazioni sulla posizione del corpo e sull’ambiente circostante. Nella Fig. 1 sono stati schematizzati gli organi e gli apparati che intervengono per regolare il senso dell’equilibrio, cioè il rapporto tra posizione del corpo e ambiente. E’ sufficiente una sofferenza o una lesione di uno degli apparati sopra indicati perché si verifichi un danno tale da rompere i delicati meccanismi di questo sistema, il risultato è la comparsa di una vertigine.
E’ importante per ognuno di noi capire quando la vertigine è un sintomo preoccupante e quando non lo è.
Non dobbiamo preoccuparci se abbiamo un lieve capogiro, della durata di pochi secondi, specie se compare quando ci alziamo in piedi oppure se la vertigine si verifica successivamente ad eventi precisi.
Vorrei indicare alcune delle più comuni eventualità in cui si può manifestare una vertigine che non deve dare adito a particolari preoccupazioni:
-dopo un pasto abbondante,
-in seguito ad una sudorazione profusa,
-dopo un ballo o un giro in giostra,
-dopo aver bevuto troppi alcoolici,
-in conseguenza di una perdita di sangue.
In tutti gli altri casi la vertigine non deve venire trascurata perché può essere il primo segno di una malattia, a volte importante, in cui una diagnosi precoce può essere fondamentale ai fini terapeutici. In questi casi le crisi vertiginose hanno tendenza a ripetersi e spesso si associano ai sintomi caratteristici della malattia degli organi indicati in Fig 1.

Vediamo ora di esaminare le varie cause di vertigine.
Abbiamo detto che molte parti del nostro corpo concorrono a mantenere una perfetta posizione di equilibrio; quindi diverse affezioni di carattere generale, che indeboliscono molti organi possono provocare una vertigine. Si tratta di malattie di competenza “internistica”, che spesso il medico di famiglia affronta e risolve brillantemente.
Queste si possono suddividere in tre gruppi:
-malattie che portano ad una diminuzione di sangue ed ossigeno nei tessuti,
-introduzione o produzione di sostanze tossiche,
-alterazioni della permeabilità dei vasi capillari che determinano un edema.
Tra le malattie che portano ad una diminuzione di sangue e di ossigeno nei tessuti vorrei ricordare le malattie dell’emoglobina (emoglobinopatie), le malattie che provocano un aumento della coagulabilità del sangue, i restringimenti di vasi arteriosi o venosi (trombosi) e le malattie cardiocircolatorie.
Tra queste ultime sono molto frequenti, come causa di vertigine, quelle malattie che portano ad una diminuzione della pressione arteriosa (sindromi ipotensive).
Numerose sostanze tossiche, agendo con meccanismi diversi, possono portare a vertigine; ricordiamo i tossici industriali, il fumo di sigaretta, l’alcool, le droghe, il caffè e molti farmaci. Tra questi vorrei ricordare i tranquillanti il cui uso è molto diffuso e, quando sono assunti per molto tempo, possono provocare frequenti disturbi di tipo vertiginoso. Possono scatenare crisi vertiginose anche malattie che portano a “produzione di sostanze tossiche”; tra queste annoveriamo il diabete, le gravi infezioni, l’insufficienza epatica ed alcune malattie renali.
Pure le alterazioni della permeabilità dei vasi capillari possono condurre a vertigine, le malattie che agiscono con questo meccanismo sono numerose, ricordiamo le ustioni, le malattie allergiche, le malattie endocrine, le malattie renali, la denutrizione, i tumori, ecc.
Oltre alle suddette cause “generali” di vertigine vi sono molte malattie specifiche dei vari organi indicati nella Fig. 1 che possono scatenare crisi vertiginose; tra queste le più importanti sono senz’altro le malattie dell’apparato vestibolare. Questo apparato, localizzato in prossimità dell’orecchio interno, è fondamentale per la regolazione dell’equilibrio, esso fornisce informazioni al cervello relative alle variazioni di velocità e alla posizione della testa rispetto al corpo. Le parti più periferiche di questo apparato sono i due labirinti (destro e sinistro), i quali, a differenza degli altri organi di senso, funzionano “in coppia” e in modo coordinato. E’ sufficiente una piccola lesione da un lato solo per provocare una vertigine. Spesso le sindromi vertiginose dovute a malattie dell’apparato vestibolare si associano a malattie dell’orecchio, perché i due organi sono anatomicamente molto vicini. I sintomi più importanti di queste malattie sono: la perdita uditiva, la comparsa di rumori strani e fastidiosi (acufeni), la fuoriuscita di secrezione da un orecchio, il dolore (otalgia), la sensazione di “orecchio chiuso” o una alterazione nei movimenti di alcuni muscoli della faccia.
Altre caratteristiche della vertigine dovuta ad alterazione dell’ apparato vestibolare sono il “giramento di testa”, la tendenza a ripetersi periodicamente, l’essere accompagnata da nausea e vomito e il non associarsi mai a svenimenti o perdite di coscienza.
Se il paziente con vertigine presenta alcuni dei sintomi suddetti è bene che consulti uno specialista in otorinolaringoiatria.
Se la vertigine si accompagna a diminuzione della vista o ad una alterazione dei movimenti dell’occhio o a visione doppia (diplopia) o astigmatismo o anche ad altri disturbi della visione è facile intuire che il medico competente a risolvere questi problemi è l’oculista.
Nei casi in cui la vertigine si accompagni a mal di testa (cefalea), tremori, paresi di muscoli della testa, alterazioni della sensibilità della faccia o dell’occhio è probabile che siamo di fronte ad una malattia di competenza neurologica:
Se la crisi vertiginosa si associa a dolore del collo o si verifica in concomitanza di brusche rotazioni della testa, si tratta verosimilmente di una malattia che dovrà essere studiata dall’ortopedico.
Speso è difficile per chi soffre di vertigine poter risolvere da solo il proprio problema. Il primo passo da compiere è quello di rivolgersi con fiducia al proprio medico, il quale, basandosi soprattutto sull’analisi dei sintomi e sulla ricerca dei segni clinici significativi cercherà di inquadrare la vertigine in una delle seguenti aree di competenza:
“internistica”, otorinolaringoiatrica, oculistica, neurologica e ortopedica (tab. 1).
Se l’orientamento diagnostico è chiaro il medico di famiglia potrà richiederre gli accertamenti del caso oppure invierà il paziente dallo specialista competente. Spesso chi è affetto da crisi vertiginose spera di trovare una rapida risposta ai suoi problemi, mentre può accadere che anche lo specialista non riesca immediatamente ad orientarsi.
Vorrei sottolineare che in questo campo le visite affrettate, come frequentemente capita nel nostro sistema sanitario, non sempre possono portare ad una soluzione del problema. Nella maggioranza dei casi la diagnosi è difficile, richiede indagini con apparecchi costosi e sofisticati e può essere necessaria la consulenza di più specialisti. Spesso l’ammalato dovrà sottoporsi a diversi esami, non dolorosi, ma che richiedono tempo.
E’ importante che il paziente accetti le numerose prove che gli verranno proposte e solo dopo che i medici avranno formulato una diagnosi precisa si potrà attuare una terapia appropriata con buone possibilità di guarigione.
Abbiamo visto che sono molti gli specialisti che si occupano della diagnosi e del trattamento delle vertigini, ritengo che l’otorinolaringoiatra sia il medico che più spesso viene chiamato in causa, in quanto molte malattie che determinano questo disturbo sono affezioni dell’apparato uditivo e vestibolare.
NON SEMPRE QUESTE MALATTlE HANNO SINTOMI CHIARI, A VOLTE ESORDISCONO IN MANIERA SUBDOLA ed il paziente non lamenta alcun disturbo alle orecchie.
Il settore della vestibologia è in continua evoluzione e i suoi recenti progressi costituiscono una speranza per tutti i pazienti vertiginosi. Purtroppo il problema vertigine presenta ancora molti lati oscuri ma ciò non deve indurre ad un irragionevole fatalismo. In questo settore è importante per tutti, sia medici che pazienti, non arrendersi ed insistere per arrivare ad un miglioramento, o se possibile, ad una soluzione del problema.

Tabella 1

 

SINTOMI O MALATTIE CHE ACCOMPAGNANO LA VERTIGINE FIGURA PREFERENZIALE DI MEDICO DA INTERPELLLARE
- alterazioni della pressione arteriosa , specie la pressione bassa (ipotensione)

- malattie vascolari (soprattutto trombosi)

- intossicazione: tossici industriali; farmaci

- abuso di: sigarette; alcool; stupefacenti; caffè

-diabete
-malattie del fegato
-malattie renali
-malattie endocri- abuso di:
sigarette
alcool
stupefacenti
caffène
malattie allergiche

 

MEDICO DI FAMIGLIA
in casi particolari:

- spec. in medicina interna
- nefrologo
- endocrinologo
- allergologo

 

 

- perdita uditiva o distorsioni della percezione o dei suoni
- rumori nell’orecchio (acufeni)
- secrezione da un orecchio
- dolore ad un orecchio
- sensazione di orecchio pien
- alterazioni dei movimenti di alcuni muscoli della faccia
- vertigine: a carattere rotatorio; con tendenza a ripetersi; che si associa a nausea e vomito

 

OTORINOLARINGOIATRA

 

 

- diminuzione della vista
- alterata mobilità degli occhi
- visione doppia (diplopia)
- distorsione delle immagini

 

OCULISTA od OFTALMOLOGO

 

 

-mal di testa (cefalea)
-tremori
-alterazioni della sensibilità della faccia o dell’occhio

 

NEUROLOGO

 

 

-dolore al collo
-vertigine che compare dopo brusche rotazioni della testa

ORTOPEDICO

 

Bibliografia
ARSLAN M. : “Sui meccanismi biologici della sensibilità spaziale”. Soc. Ital.di Laringol.Otol. Ri­noI. Gruppo O.R.L. dell’alta Italia. XIX Raduno.Padova. 1961.
DEL Bo M. CESARANI A. : “Anatomo-fisiologia dell’apparato uditivo e vestibolare”. In : Manuale di Audiologia. Del BO M ., Giaccai F .. Grisanti G ., ed. Masson. 4-84. 1980.Milano. DUFOUR A., MIRA E.. PIGNATARO O.: “Vestibologia”. Edizioni Tecniche. 1980. Milano. KATZA. E.: “Vertigine”, In: Terapia medica e chirurgica in otorino. Katz A., Ed. Medical Books ,111-130,1988. Palermo.
ZINI C. , GOVONI C. : “Chirurgia della Vertigine” in : Trattato di Tecnica Chirurgica. Vol.XII, Chirurgia otorinolaringoiatrica, a cura di P. Menzio, U.T.ET .. 60-85. 1989 Torino.
Carlo Govoni
Spec. Otorinolaringoiatria
USSL 58 Cuneo
USSL 62 Fossano
Amb: Via Roma 62- CUNEO
Tel. 0171-693530
Via Ruggeri 9, – REGGIO E.
Tel. 0522-557319
Pubblicazione Novembre 1989

IL RUOLO DEL NASO NELLE MALATTIE RESPIRATORIE

ANATOMIA E FISIO-PATOLOGIA DEL NASO
Nel naso sono presenti tre importanti “centraline fisiopatologiche” (in senso antero­posteriore, iI complesso ostio-meata­e (COM), il recesso sfeno-etmoidale (RSE) e il rino-faringe (RF).

II COM, posta sulla parete laterale del naso, condiziona lo stato di salute dei tre seni paranasali anteriori; il RSE, situato posteriormente al COM, a sua volta lo determina per i seni posteriori.
II RF, posta alla fine delle cavità nasali, è la centralina che merita più  attenzione: in esso confluisce il gocciolamento posteriore di tutto il muco nasale (post-nasal drip), principale causa delle laringo-tracheo-bronchiti discendenti e delle otiti medie (attraverso la tuba di Eustachio, che collega il RF all’orecchio medio); inoltre, il RF è la sede naturale delle adenoidi nel bambino.
La “ventilazione” di queste “tre centraline fisiopatologiche” condiziona la “salute” dell’intero apparato respiratorio. In esse, infatti, I’aria inspirata viene “climatizzata” ed arricchita di un gas (ossido nitrico) capace di disinfettare e dilatare il tratto bronco-polmonare.
La “congestione” delle tre centraline rappresenta la prima tappa delle infiammazioni “rino-sinuso-faringee”, e a loro volta, dell’intero apparato respiratorio.
Le infiammazioni, spesso, sono complicate da infezioni: le infezioni acute sono per la maggior parte virali, a cui si sovrappone, in alcuni casi, una proliferazione batterica.
Se i batteri invadono COM e/o RSE, determinano una rino-sinusite; se, attraverso la tuba di Eustachio, coinvolgono I’orecchio medio, provocano un’otite media.
Spesso rino-sinusite ed otite media coesistono nello stesso paziente e vengono sintetizzate nel termine rino­sino-otite.
La clinica delle rino-sino-otiti acute è caratterizzata, essenzialmente, dalla presenza di uno o più dei seguenti sintomi: dispnea nasale, rinorrea anteriore e, soprattutto, posteriore, iposmia, rinolalia anteriore e/o posteriore, ipoacusia trasmissiva, otodinia.
Le forme infettive ricorrenti e/o croniche, per lo più batteriche, sono secondarie alla mancata guarigione delle infezioni acute, alla cui origine ci sono cause sistemiche e locali, quali: sistemiche: allergia, immunodeficienze; locali, di pertinenza chirurgica, quali: deviazioni settali, turbinati ipertrofici, ipertrofia adeno-tonsillare, poliposi nasale.
Tra le cause di ricorrenza locale meritano di essere menzionati i “biofilm batterici”. I batteri producono una sorta di scudo gelatinoso (biofilm), per resistere all’azione degli antibiotici che, incapaci di penetrare il biofilm, risultano inefficienti nella loro azione battericida. II biofilm, inoltre, rilascia ad intermittenza numerose colonie di batteri in grado, a loro volta, di determinare la ricorrenza dell’infezione.
Uno studio recente ha dimostrato che i biofilm batterici occupano iI 95% del Rinofaringe di bambini affetti da infe­zioni ricorrenti delle V.A.S.: una sorta di “banca microbiologica” che promuoverebbe la ricorrenza delle infezioni respiratorie. Risulta chiaro che I’ ”obiettivo primario” di ogni terapia deve essere mirare all’eliminazione di tali biofilm rinofaringei.

In conclusione, la congestione nasaIe rappresenta il momento iniziale delle flogosi acute rino- sino-otitiche, che, se non curate, possono complicare in infezioni acute. A loro volta esse possono assumere il carattere di ricorrenza per cause sistemiche e/o locali, tra Ie quali i biofilm bafferici rinofaringei, ne rappresentano una delle principali.

DIAGNOSI DEL NASO
In ogni approccio diagnostico è sempre indispensabile raccogliere un’attenta anamnesi per evidenziare I’esistenza di coesistenti manifestazioni allergiche (dermatite atopica, eczema, bronchiti asmatiformi ricorrenti, etc.) e stabilire I’eta di insorgenza dei sintomi, la loro durata ed un’eventuaIe associazione con altre manifestazioni cliniche.
In merito agli esami strumentali non si può prescindere, al giorno d’oggi, dall’ indagine video-fibro-endoscopica. Tale metodica e la sola a poter offrire possibilità diagnostiche in precedenza inimmaginabili, con la possibilità di osservare direttamente Ie tre centraIine: COM, RSE e RF.
La nostra Scuola, anche in ambito pediatrico, preferisce I’utilizzo di ottiche rigide, con diverso campo visivo (0° /30° /90°), ritenendole più maneggevoli e meglio accettate dai pazienti, adoperando Ie ottiche flessibili solo in età neonatale e in pazienti non collaboranti.
Nelle forme ricorrenti e croniche, qualora ne sussistano i presupposti clinico-anamnestici, sarà sempre utile un inquadramento allergologico, mediante I’esecuzione dei tests cutanei (prick test) orientati verso gli aero­allergeni (acari della polvere, pollini, peli di animali domestici, muffe). Le prove cutanee saranno eventualmente supportate dal dosaggio delle IgE­totali (Prist) e specifiche (RAST) in caso di discordanza tra anamnesi, storia clinica e risultato del prick test. L’inquadramento allegologico deve essere opportunamente integrato con lo studio della citologia della mucosa nasaIe (rinocitogramma) per la ricerca di cellule della infiammazione allergica (eosinofili, neutrofili e mastociti) essenziale nel caso di negatività ai precedenti esami allergologici.
In caso di compromissione del distretto otologico, un’attenta valutazione audiologica diventa imprescindibile.
II ricorso alla diagnostica radiologica è legittimato solo dopo un corretto inquadramento clinico-endoscopico­strumentale, laddove è presente un insuccesso terapeutico  un’importante complicanza; risulta, invece, indispensabile in previsione di un intervento chirurgico.
Se la TC e la tecnica di prima istanza in grado di studiare esaurientemente il sistema aria-osso, la RMN è di estrema utilità nella definizione di completezza, in caso di patologie interessanti i tessuti molli.
In caso di congestione nasale cronica, oltre ai sintomi respiratori specifici (dispnea nasale, rinolalia, iposmia … ), è necessario esaminare e valutare con un esame polisomnografico, in previsione di un’eventuale correzione chirurgica, Ie alterazioni del sonno (dal russamento semplice fino alla O.S.A.S.), responsabili di disturbi comportamentali, notturni (son no interrotto, enuresi) e/o diurni (sonnolenza, cefalee, apatia, aggressività, incapacità di concentrazione).

TERAPIA DEL NASO
Nel trattamento delle patologie respiratorie, sia delle VAS. (rino-sinusite, rino-otite, rino-faringo-Iaringite) che delle VAL (tracheo-bronchiti), vorremmo ribadire I’importanza di orientare la terapia, non solo nella cura della malattia dell’organo colpito, che ci interpella, ma anche nella risoluzione dell’ origine nasale, con I’obiettivo di:
- ripristinare la ventilazione nelle tre centraline;
- controllare I’eventuale “allergia mucosale”;
- rimuovere gli eventuali biofilm batterici rinofaringei.
La terapia antibiotica sistemica va sempre presa in considerazione nei casi di rino-sino-otite acuta, che riconoscano un’eziologia batterica certa. I patogeni responsabili di tale quadri infettivi sono principalmente:
- Streptococcus Piogene,
- Streptococcus Pneumoniae,
- Haemophilus Influenzae e Moraxella catarrhalis conosciuti con lo pseudonimo di “quartetto infernale” perché più frequentemente coinvolti nelle infezioni batteriche acute a carico delle VAS ..
In considerazione della maggiore frequenza dell’eziologia virale, il punto cardine della terapia sistemica resta I’uso ragionato dell’antibiotico sistemico, inutile in assenza di infezione batterica.
Pertanto ribadiamo I’importanza della diagnosi clinico-strumentale, senza trascurare la durata della sintomatologia, in termini di numero di giorni, parametro importante da non sottovalutare.
Risulta evidente che partendo dalle indicazioni suggerite dalle linee-guida, il trattamento dovrà essere poi individualizzato e la scelta dovrà ricadere sul farmaco ritenuto più opportuno per quel tipo di paziente.
Alla terapia sistemica, capace di curare la patologia dell’organo interessato, consigliamo in associazione la terapia inalatoria, opzione terapeutica capace di risolvere la patogenesi nasale.
Oltre ad offrire tutti i vantaggi propri di ogni metodica topica (elevata concentrazione del farmaco nella sede dell’infezione, ridotte dosi terapeutiche, minore concentrazione sistemica, rapidità d’azione, riduzione degli effetti collaterali e, cosa ancora più rilevante in età pediatrica, dose terapeutica non dipendente dall’assorbimento gastro-enterico e dalla funzionalità epato-renale) essa interfaccia ottimamente con iI distretto rino-sinuso-faringeo.
La terapia inalatoria, inoltre, è legittimata da una fiorente letteratura, in cui si dimostra che Ie flogosi “nasali” sono sostanzialmente superficiali, a tutto vantaggio di un trattamento topico. Purtroppo, la terapia inalatoria delle V.A.S. è eseguita, troppe volte, con pericoloso empirismo, senza rispettarne tre punti cardine:
- la giusta indicazione terapeutica;
- la corretta tecnica inalatoria;
- i farmaci adatti alla nebulizzazione.

Le indicazioni terapeutiche sono ben precise: tutte Ie flogosi acute, croniche riacutizzate e ricorrenti interessanti il distretto nasale.inoltre, la terapia inalatoria non esclude, ma “sinergizza” ottimamente .con le terapie sistemiche.
La tecnica inalatoria è argomento di estremo interesse. La letteratura scientifica ben poco ha prodotto sulle tecniche inalatorie adatte alla corretta medicazione dei singoli distretti delle vie aeree: è il “terminale inalatorio”, infatti, a condizionare la deposizione delle molecole nebulizzate.
La European Respiratory Society parla dal 2000 di terapia inalator;a. distrettuale, che stabilisce:
• per Ie vie aeree superiori device endonasali;
• per Ie vie aeree medio-inferiori device oro-buccali.

In merito ai farmaci adatti alia nebuIizzazione, è interessante ricordare Ie molecole farmacologiche più utilizzate.
Le soluzioni saline utili per il lavaggio del distretto nasale.
I corticosteroidi, classe d’eccellenza nella terapia inalatoria delle V.A.S. nel trattamento della iperattività mucosale nasaIe.
I mucolitici indispensabili per rimuovere, non solo gli essudati mucosi, favorendo I’azione di altre molecole (specialmente i corticosteroidi, ben noti per la loro lipofilia), ma anche gli eventuali biofilm batterici, veri e propri alberghi a “5 stelle” per i batteri patogeni.
Gli eutrofici capaci di migliorare il trofismo della mucosa respiratoria, spesso insultata da agenti esterni, quaIi i gas inquinanti e gli aero-allergeni.

CONCLUSION I
La funzionalità del naso e delle sue tre “centraline respiratorie” (COM, RSE e RF), è fondamentale per la salute di tutto I’albero respiratorio.
La congestione nasale, rappresenta la prima ed essenziale tappa patogenetica delle infiammazioni respiratorie, spesso complicate da sovrapposizioni infettive.
Se la congestione nasaIe diventa ricorrente o cronica, essa può determinare, oltre ai sintomi respiratori specifici, una serie di alterazioni comportamentali che si traducono in un netto peggioramento della qualità di vita del paziente.
Nel trattamento delle patologie respi­ratorie è importante sottolineare quanto risulti indispensabile, non solo curare la malattia dell’organo colpito, ma anche la risoluzione delI’origine nasaIe. La terapia inalatoria rappresenta una valida opzione terapeutica per tale obiettivo.

Autori: Dr. Attilio VARRICCHIO
Dr.ssa Antonietta DE LUCIA
Dr. Alfonso Maria VARRICCHIO* _
U.D.C. di O.R.L., Ospedale “S. Gennaro”, ASL Na1.
* U.D.C. di O.R.L. dell’A.O.R.N. “Santobono-Pausifipon” di Napoli.
Con il Patrocinio dell’Ass. Italiana Vie Aeree Superiori
www.aivas.it
info@aivas.it
Pubblicazione, marzo 2010

COLPO DI FRUSTA, DOLORI CERVICALI, NAUSEA, CEFALEE…

Prima di presentarvi il caso di un paziente che mi è sembrato particolarmente idoneo a questo articolo, fra le centinaia che presentano tale patologia, desidero rendere più comprensibile la particolarità della mia indagine professionale. Quale chinesiologo e posturologo, infatti considero sempre il paziente sotto varie angolature: ne osservo i limiti del movimento (visione chinesiologica) valuto le alterazioni funzionali della struttura (visione posturologica); e infine valuto il paziente sotto il punto di vista del recupero funzionale e strutturale (visione fisioterapica e posturologica). L’itegrazione di questi diversi punti di vista mi permette di avere un’osservazione più critica ed imparziale, più vantaggiosa, mettendomi in condizioni di avere maggiori possibilità di risultati.
Come ho avuto modo di esprimere in articoli precedenti, il paziente non dovrebbe mai venire osservato con una “visione bidimensionale”, ma “multidimensionale”. Egli non è solo, dal punto di vista anatomico, un insieme di ossa e muscoli organizzati al fine di muoversi, mangiare, dormire, etc., ma esprime anche una serie di reazioni autonome innate, che hanno come scopo quello di mirare ad una maggiore sopravvivenza, come i meccanismi antalgici.
I meccanismi automatici antalgici sono quelli che il corpo escogita e mette in atto pur di non soffrire: si piega, si storta, si irrigidisce, non si flette più… perchè così non soffre più, o quanto meno non soffre nel presente. Poi, però dato che tale sistema è relativamente intelligente, nel corso del tempo succederà che le storture e le posture adottive adottate per non soffrire comporteranno un “prezzo da pagare”, legato proprio all’usura che tali cattive posture (“adattive”) hanno imposto ad altre parti del corpo. Classico è l’esempio della caviglia dolorante che, non venendo più appoggiata a terra per camminare, di fatto impone un super lavoro all’altra gamba e all’anca. Ecco allora che non basta far sparire il dolore alle persone: il dolore deve lasciare il corpo a determinate condizioni e con modalità ben precise. Anche la morfina può far sparire il dolore, ma ciò non sighifica che il problema da cui scaturiva il dolore sia stato risolto solo perchè momentaneamente anestetizzato!
Esiste poi anche un’altra dimensione, che è quella delle emozioni, degli sati d’animo; oggi sappiamo che una condizione emozionale negativa e cronica (ad es. tristezza, preoccupazine, disagio, antagonismo in ambiente di lavoro, paura di non essere all’altezza, dolore per scomparsa di un amico o di un familiare, complesso di inferiorità ect,) , è capace di alterare un sistema biologico, endocrinologico, digestivo, dei neurotrasmettitori, e come conseguenza finale di creare delle patologie, fra cui anche i dolori al sistema muscolo-scheletrico. Vanno aggiunti anche altri fattori, letti in chiave posturologica: sistemi informatori/formatori complessi come la lingua, l’occhio , i denti , l’articolazione temporo-mandibolare, il vestibolo, l’orecchio, il piede, la pelle , l’intestino, etc., che sono in grado di modificare ed alterare il sistema posturale.
La Posturologia “branca trasversale della medicina”, nel corso deglia anni ha cercato di arricchire le conoscenze sulle relazioni esistenti fra i vari sistemi di informazione e la condizione della nostra salute. Nella persona, infatti, tutto è in relazione con il tutto, ed ogni singola parte (pensieri, emozioni, corpo e ciascun distretto corporeo, etc.) influenza il tutto! Ecco perchè se un trauma come il colpo di frusta colpisce una persona già sofferente, il problema diventa molto più complesso e difficile. In genere con buona tenacia, perseveranza e tanta professionalità, si dovrebbe riuscire a dare “sollievo” quasi ad ogni patologia, soprattutto se si interviene in tempo utile. Adesso posso presentarvi il caso del nostro paziente.
Nel mese di novembre 2004 si presentò in studio il signor Luca, 27 anni, insegnante, lamentando un forte blocco a tutta la zona del collo e fastidiose emicranie che a volte gli impedivano di svolgere le sue lezioni. Durante la raccolta dei dati iniziale mi informò che un mese e mezzo prima un incidente in auto gli aveva causato un forte trauma al collo, per cui era stato costretto ad utilizzare il collarino per circa 23 giorni. Dall’analisi posturale e dai test chisiologici appariva discreta limitaizione del collo nella rotazione a destra e a sinistra, imposta dalle tensioni e dai dolori. Il suo collo era come stretto da una morsa fatta di muscoli tesi e corti. Per inciso, ormai sono ben note le strette relazioni fra tensoni dei muscoli del collo, compressioni delle vertrebe e ancor peggio delle radici nervose, le quali possono diventare fronte di disturbi tra i più impensati – alla testa ma anche ad altre parti del corpo – per colpa di compressioni che si trasmettono al midollo spinale. Infatti il midollo spinale del tratto cervicale (collo) ha in sè tutto il passaggio delle vie di comunicazione dalla testa fino ai piedi! E infatti in alcuni casi capita che una protusione, un’ernia o una semplice costante pressione midollare arrivi a disturbare le gambe, il dorso, i visceri, le braccia, la testa con tutte le sue funzioni complesse e delicate. Infatti, molto di frequente i pazienti che hanno subilto un colpo di frusta importante lamentano le più strane reazioni: cefalee , emicranie, capogiri, disiorentaamento, amnesie, sonnolenza, insonia, perdita parziale della memoria, assenze, parestesie al viso o alle braccia, nervosismo, irriquietezza, etc.
Il signor Luca, oltre ad evidenziare il problema al collo, che gli scatenava dei fastidiosi mal di testa, avvertiva anche nausea, dolore agli occhi (soprattutto al mattino) e fortissime tensioni nella parte posteriore delle gambe e della schiena.
Data la delicatezza della sua situazione, le prime sedute furono estremamente leggere e mirate soprattutto a diminuire le tensioni muscolari attraverso un lavoro di rilassamento e di respirazione, sempre tenendo conto dell’insieme delle catene muscolari. Tutto il lavoro di rilassamento, di respirazione e di elongazione muscolare avveniva infatti in postura globale decompensata.
Subito il signor Luca percepì qualche miglioramento, fatto che fece ben sperare per le sedute successive, durante le quali continuammo a decontrarre i muscoli del dorso e della zona lombare. Non era ancora il momento di agire sul collo, punto molto delicato e suscettibile di probabili reazioni indesiderate.
La strada che stavamo percorrendo era valida, prova ne era il fatto che il paziente stava un pò meglio: il mal di testa era diminuito, provava meno fastidio alla luce del sole ed in generale si sentiva più alleggerito. Luca aveva una gran voglia di continuare questo trattamento. Verso la settima/ottava seduta, le condizioni del paziente mi permisero di agire sul collo. Avevo già valutato la situazione del collo: alla palpazione delle cervicali si avvertiva che le vertebre erano disallineate ed era presente una rettificazione della curva fisiologica in direzione dell’inversione della curva stessa. Questo è un atto molto importante, da prendere seriamente in considerazione: le inversioni di curva per tensione muscolare antalgica (contrattura) tendono nel tempo a produrre protusioni ed ernie discali. Il signor Luca riferì che i primi due/tre giorni dopo la seduta il miglioramento era stato netto, ma poi nei giorni successivi il disagio al collo era tornato, se pur in misura inferiore rispetto a prima.
La strada era buona, ma ancora prematura. Così, nelle successive terapie, ci concentrammo sulla respirazione applicando un metodo meno invasivo, che cercava di far prendere coscienza al paziente delle tensioni al collo attraverso una respirazione particolare. Sappiamo che ad ogni trauma il corpo risponde con tensioni e blocchi del muscolo diaframma(il muscolo principale della respirazione, situato nel busto a dividere il torace dall’addome).
Tale situazione, stabilizzandosi, comporta poi inetavibilmente problemi al collo a causa dei muscoli respiratori accessori (collocati proprio nel collo).
E’ come dire che se il diaframma è in blocco o in parzile blocco, la persona respira grazie ai muscoli del collo: Ciò è tollerabile se avviene per qualche ora o al massimo per un paio di giorni, ma se continua nel tempo accade che le tensioni muscolari “si fissano” permanentemente. Quindi il collo ovvero le vertebre, rimangono semptre “compresse”, vittime dei mucsoli del collo stesso. E tale condizione nel tempo e negli anni può portare a processi artrosici.
L’approccio terapeutico appicato portò un 20% di miglioramento, ma ora finalmente il collo era pronto ad essere trattato a fondo, e così facemmo. Il signor Luca, alla sedua successivasi presentò con un sorriso radioso: “Adesso ci siamo!”. Era molto felice mentre ci comunicava che, per tutta la settimana successiva al trattamento, al mattino non aveva più avvertito i soliti giramenti di testa con emicranie, e che durante le ore in università era riuscito a svolgere le lezioni con minor fastidio.
Contemporaneamente anche la flessibilità del corpo aveva iniziato a migliorare. Ripetemmo un ttrattamento simile per le sucessive quattro terapie: Luca percepiva miglioramenti netti e crescenti in direzione di una sempre maggiore libertà tanto che alla quindicesima seduta arrivò addirittura a toccare al terra con le mani, con sua grande gioia (in genere arrivava a 30 cm da terra)!

Prof. Daniele Raggi
Posturologo, Chinesiterapista, Mézièrista
Docente Master in Posturologia
c/o presso la I Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia,
Università “La Sapienza” di Roma
Docente c/o l’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano.
Facoltà di Scienze della Formazione, Scienze Motorie.
Pubblicazione Dicembre 2005

MALFORMAZIONI CONGENITE DELLA MANO

Dal momento che la differenziazione degli arti avviene secondo un ordine sequenziale costituito e che le componenti cellulari sono particolarmente sensibili alle modificazioni introdotte, la comparsa di un difetto formativo sarà una conseguenza inevitabile. L’alterazione di quello sviluppo armonioso e rapido, che in breve tempo conduce alla formazione dell’arto superiore, da origine a quadri patologici caratteristici che vanno in parallelo all’esatto periodo dell’embriogenesi che viene interessato.
La maggior parte delle deformità degli arti si manifesta durante la fase embrionaria della differenziazione tra la 3a e l’8a settimana dal concepimento).
Altre cause malformative che intervengono più avanti nella gravidanza sono quelle fetali legate ad anomalie di posizione o alla presenza di briglie amniotiche.
A causa dell’estrema variabilità di aspetti clinici, negli anni molti Autori hanno stilato proprie classificazioni, facendo uso di terminologia greca e latina che ha creato però incomprensioni e discordanze. Attualmente la classificazione delle malformazioni congenite della mano universalmente seguita e quella di A.B. Swanson, che si basa sull’aspetto descrittivo conseguente al mancato sviluppo embriologico del segmento interessato. Essa identifica 7 gruppi principali di difetti congeniti con relativi sottogruppi:
1) Difetti di formazione:
a) difetti trasversali (amputazioni di braccio, avambraccio, dita ecc.)
b) b) difetti longitudinali (focomelia, difetti radiali, difetti centrali, difetti ulnari, dita ipoplasiche)
2) Difetti di differenziazione:
a) sinostosi
b) lussazione del capitello radiale
c) c) sinfalangismo
d) d) sindanilia
e) e) rigidita delle parti molli (artrogriposi multipla congenita, ipoplasia del pollice, camptodattilia ecc.)
f) d) rigidità dello scheletro(cIinodattilia. ossa a delta ecc.).
3) Duplicazioni:
a) polidattilie
b) trifalangismo
c) mano a specchio.
4) Iperplasia: (gigantismi)
5) Ipoplasia.
6) Sindrome congenita delle bande amniotiche.
7) Anomalie scheletriche generalizzate: (es.displasia diastrofica, acondroplasia etc.)

Dal momento che la causa di molti di questi deficit è sconosciuta, al Chirurgo della mano si richiede estrema cautela nella valutazione del difetto e nella comunicazione con l’ambiente familiare. E’ importante in primo luogo stabilire un rapporto. di fiducia con i genitori. Questi si vengono a trovare di fronte ad una realtà prima non conosciuta , che spaventa per il futuro del figlio e che frequentemente crea dei sensi di colpa.
Le prime attenzioni vanno rivolte perciò ai genitori, ai quali va spiegato, anche in occasione di più incontri, il tipo di malformazione congenita, vanno illustrate le possibilità terapeutiche e si deve rispondere ai dubbi che sorgono sulle cause del difetto e sulla terapia.
E’ importante cogliere le motivazioni che portano all’intervento e le aspettative, dei genitori nel piccolo paziente o quelle proprie, nel paziente più grande.
La valutazione clinica del paziente deve essere estremamente accurata sia dal punto di vista generale che da quello strettamente locale in quanto la malformazione della mano può essere associata con difetti congeniti presenti in altre sedi (es. cardiologici, renali, neurochirurgici, etc.).
Gli evidenti limiti di questo articolo impediscono una trattazione dettagliata di ogni singolo aspetto della patologia malformativa della mano, ma è importante sottolineare che esistono molti livelli di gravità per ciascuno di essi.
Ad esempio nelle sindattilie (mancata separazione delle dita, si va da quadri di semplice fusione cutanea a quadri più complessi. in cui sono interessati diversi elementi digitali per fusione dei segmenti scheletrici ed ovviamente il trattamento deve adeguarsi alla complessità del quadro clinico.
Analogamente nelle polidattilie (presenza di dita in più) i segmenti in eccesso si possono presentare sotto forma di abbozzo di dito o manifestare un completo sviluppo.
La sindrome delle briglie amniotiche, gia citata, è causata dall’azione compressiva e costrittiva di bande presenti nell’utero gravidico. L’ostacolo circolatorio. che la costrizione causa. determina l’amputazione per necrosi da parte degli arti, fino a giungere all’amputazione. La cicatrice che si viene a creare a seguito della necrosi comporta l0 sviluppo di pseudosindattilie tra gli elementi digitali.
Compito del chirurgo sarà quello di risolvere le briglie cicatriziali che creano la costrizione e di separare le pseudosindattilie per fornire al paziente una mano funzionalmente utile.
II terzo elemento da valutare è perciò quello del trattamento. Questo deve raggiungere la sintesi tra correzione funzionale, correzione estetica e potenziale evolutivo proprio del paziente pediatrico.
Considerando l ‘importanza della mano ai fini della vita di relazione, la correzione chirurgica attuata in tempi corretti è importante per raggiungere uno sviluppo psico-motorio adeguato. E’ fondamentale creare quantomeno una pinza efficace della mano per svolgere le funzioni della vita quotidiana.
E’ comunque da ricordare che frequentemente si assiste alla costruzione di compensi spontanei della mano malformata che, in alcuni casi. sono del tutto soddisfacenti dal punta di vista funzionale. nonostante la compromissione anatomica. Si può giungere infatti al paradosso di ricreare una mano che viene esclusa. perchè si sono eliminati i compensi spontanei creati in precedenza.
Esistono casi poi in cui si impone l’adozione di protesi adeguate. sia dinamiche che statiche, in quanto la soluzione chirurgica trova scarsa indicazione. Frequentemente però la correzione chirurgica facilita l’applicazione protesica.
La necessità di intervenire si pone quindi se si può raggiungere un miglioramento di funzione oppure quando lo sviluppo del paziente può condizionare un peggioramento funzionale, o ancora per evitare la strutturazione di atteggiamenti anomali acquisiti secondariamente.
Un ulteriore elemento da considerare e
che il miglioramento dell’aspetto estetico-funzionale può consentire un adeguato inserimento sociale, annullando la “diversità” .
II momento riabilitativo con manipolazioni atte a correggere atteggiamenti viziati e con apparecchi ortopedici e il primo passo verso il trattamento chirurgico.
La correzione chirurgica va valutata in base al tipo di difetto, sia per quanto riguarda l’epoca di inizio del trattamento che per la pianificazione chirurgica. che spesso richiede anche più interventi.
II trattamento chirurgico non è generalmente richiesto nei primi mesi dalla nascita (prima del 6°). ad eccezione di particolari quadri come nella sindrome delle bande amniotiche o in alcune polidattilie, ma va preferibilmente intrapreso tra il 1° ed il 2° anno di vita. L’intervento precoce offre le migliori garanzie per una valida ripresa funzionale e favorisce lo sviluppo psicomotorio del paziente. Quello che caratterizza la chirurgia della mano del bambino rispetto all’adulto sono le ridotte dimensioni delle strutture da trattare, la presenza di un’anatomia spesso anomala, l’obbligo di rispettare il potenziale evolutivo del paziente, le difficoltà dell’eventuale programma riabilitativo post-operatorio.
A titolo di esempio, la separazione delle dita di una sindattilia deve prevedere la copertura plastica della porzione che viene separata. Ciò può avvenire con la preparazione di lembi cutanei disegnati sulla cute delle dita adiacenti, i quali vengono fatti appositamente ruotare a coprire le zone separate.
Dal momento che la cute mobilizzata è sempre insufficiente, si provvede a coprire le zone ancora scoperte con piccoli innesti cutanei (frammmenti cutanei prelevati in altre sedi). E’ sempre sconsigliabile la separazione di più dita adiacenti. Uno dei rischi operatori da calcolare è infatti la sofferenza circolatoria dei tessuti, che può condurre in casi estremi alla necrosi.
In molti casi è necessario percib effettuare un accurato studio preoperatorio della vascolarizzazione della mano con i moderni metodi di diagnostica per immagini, quali l’angiografia digitale di sottrazione, che ci dona efficaci immagini del circolo.
II trattamento deve adeguarsi alla complessità del quadro clinico, per cui l’uso di mezzi ottici di ingrandimento (occhiali di ingrandimento e microscopio operatore) durante l’intervento diventa indispensabile. L’applicazione delle tecniche di microchirurgia permette un maggior rispetto delle strutture anatomiche, permette di effettuare interventi più completi e consente di diminuire il numero degli interventi, spesso molteplici, che questi pazienti devono affrontare.
II trasferimento di elementi digitali dal piede alla mano in determinate simbrachidattil ie (brevità o assenza di più dita ad espressività variabile) può rappresentare una realtà ormai costituita.
Gli interventi apportati sui segmenti scheletrici richiederanno sempre un’adeguata pianificazione radiografica.
L’utilizzo di mezzi di sintesi a minima si afftiancherà all’uso di fissatori esterni di dimensioni ridotte (minifissatori esterni).
Non ultimo va attuato un programma di recupero che deve tendere a far acquisire al paziente la massima destrezza, forza, abilità, resistenza e coordinazione possibile. Gli esercizi vengono proposti sotto forma di gioco di complessità variabile a seconda dell’età del paziente o dalla sua limitazione funzionale.
Sulla base dei principi enunciati, nell’ambito dell’ambulatorio superspecialistico per lo studio ed il trattamento della patologia della mano infantile appositamente istituito presso la I a Divisione di Ortopedia e Traumatologia dell’lstituto Gaslini, viene stabilito il primo indirizzo diagnostico e terapeutico per i nuovi casi di malformazioni congenite della mano.
I casi che lo richiedono, vengono quindi convogliati al Reparto di degenza per gli opportuni accertamenti (clinici, radiografici etc.)
La collaborazione multidisciplinare offerta dall’Istituto Gaslini (ortopedica, pediatrica, fisiatrica, neurologica, radiologica e psicologica etc.), permette di condurre l’iter clinico-diagnostico fino al momento delle necessarie procedure chirurgiche e segue poi il paziente anche dopo l’intervento.
In conclusione la Chirurgia della Mano Infantile consente alla mano malformata di raggiungere un alto potenziale funzionale ed estetico, ma parallelamente richiede un particolare impegno in termini di bagaglio tecnico e di scelte chirurgiche, in un campo in cui l’improvvisazione non trova posto.

Filippo M. Sénès
Ambulatorio superspecialistico “Paralisi ostetriche e patologia della mano infantile”
Ia Divisione Ortopedia e Traumatologia (Primario f.f..: Dott. S.Becchetti)
Istituto Giannina Gaslini
Genova
Tel. 010-5636203
Pubblicazione giugno 1997

SINDROME DOLOROSA CERVICALE

Gli agenti etiologici, che si osservano con maggiore frequenza sono:
Traumatismi: si tratta, in genere, di distorsioni del rachide cervicale, che si verificano in occasione di incidenti stradali, sportivi (tuffi) nell’ambito del lavoro, etc. Particolarmente frequenti i “colpi di frusta”, dovuti ad incidenti automobilistici (tamponamenti), con dislocazione brusca, e, talora violenta, in senso antero-posteriore, a livello delle faccette articolari, oppure, in altri casi, a movimenti in coordinati di rotazione.
Processi Infiammatori: trattasi di flogosi cronica delle strutture legamentose e muscolari, spesso ad impronta reumatica (tipico esempio è il morbo di Becterew).
Difetti di postura: atteggiamenti coatti in ipertensione oppure iperflessione del rachide cervicale, associati spesso ad inclinazione laterale e rotazione, durante l’attività lavorativa (uso continuo del computer e del cellulare).  Deviazioni assiali e torsionali: in presenza di cifosi e/o scoliosi, con lesioni disco articolari.
Processi degenerativi: la nucodiscoartrosi rappresenta la causa più frequente e, talora, anche invalidante; essa ha un’evoluzione cronica. Le lesioni anatomo patologiche risiedono a livello delle strutture articolari, nonchè dei dischi intersomatici, ed in particolare, in corrispondenza dell’anulus fibrosus e del ligamento longitudinale posteriore (strutture riccamente innervate).
Ernia del disco: sostenuta dalla protusione postero-laterale del nucleo polposo, secondaria alla fissurazione dell’anulus fibrosus e compressione della radice nervosa.
Neuropatie rientra nei deficit neurologici di varia eziologia. Di frequente riscontro la mielopatia spondiloartrosica.
Neoplasie, per la presenza di processi osteolitici somatici e somato-arcali e lesioni delle contigue strutture nervose.

Le manifestazioni cliniche
Si tratta di una sindrome rappresentata da dolore, contrattura muscolare, di difesa.
II dolore sarà continuo oppure intermittente, talora sordo, altre volte urente. Se sono interessate le radici nervose, il dolore può irradiarsi, per cui si avrà la cervicocefalalgia o la brachialgia mono o bilaterale, con parestesie e limitazione funzionale sia del rachide cervicale che degli arti superiori. Possono, altresì, verificarsi precordial-
gie, nel corso di una cervicobrachialgia.
Può associarsi cefalea occipitale con sindrome vertiginosa, ipoacusia, turbe della deglutizione, etc. (lesione irritativa ischemica dell’arteria vertebrale). Nel corso dell’evolutività la sindrome irritativa può regredire oppure trasformarsi in una compressione, con deficit motorio. Coesistono modificazioni dei riflessi osteotendinei, nonchè turbe della sensibilità.

Considerazioni conclusive
In una fase iniziale riesce poco agevole individuare l’agente etiologico.
La terapia farmacologica, fisica ed ortopedica incruenta può risultare efficace, anche se, a distanza di tempo si può verificare la ricomparsa della sindrome dolorosa. Se, viceversa persiste e talora, si accentuano i vari disturbi subiettivi, alla luce delle indagini strumentali (T.C, R.M.N, etc … )
Si dovrà ricorrere ad un intervento chirurgico particolarmente indicato in presenza di una sindrome compressiva. (tipo ernia del disco).
Ovviamente dopo una serena valutazione di diagnostica differenziale, un accurato esame clinico dovrà essere sempre prioritario e “mai” trascurato indipendentemente dai referti di particolari indagini strumentali.

Autore: Prof. Salvatore ARDITO
Prof. Associato di Ortopedia e Traumatologia
Università degli Studi di Catania
Pubblicato giugno 2010

Tumori e malattie cardiovascolari, mali che le vitamine possono aiutare a prevenire

tumori e vitamine

Un ruolo fondamentale nell’insorgenza delle malattie cardiovascolari e dei tumori viene svolto dai cosiddetti radicali liberi (anione superossido, radicale idrossile, ossigeno singolo, idrogeno perossido) che si formano spontaneamente nell’organismo o che possono essere introdotti dall’esterno (inquinamento atmosferco, fumo di sigaretta, ecc.). Questi radicali liberi sono estremamente tossici e possono danneggiare sia il DNA cellulare che l’endotelio dei vasi. Il danno al DNA (molecola nella quale sono racchiuse tutte le informazioni che regolano la funzione di ogni singola cellula) può favorire l’insorgenza di tumori, mentre il danno all’endotelio vasale (strato di cellule che riveste internamente vene e arterie) può determinare l’insorgenza di malattie cardiovascolari. Fortunatamente nell’organismo sono presenti una serie di meccanismi di prevenzione ai quali partecipano enzimi (superossido dismutasi, glutatione perossidasi, catalasi e altri) e sostanze antiossidanti (vitamine C, E e betacarotene, ad esempio) che contrastano l’azione dei radicali liberi tossici. L’esistenza di tali meccanismi e l’effetto protettivo che essi svolgono nei confronti del cancro e delle malattie cardiovascolari sono scientificamente provati da numerosi studi.

Vitamine e malattie cardiovascolari
Da tempo si ritiene che i grassi polinsaturi e le vitamine antiossidanti (vitamina C, E e betacarotene) svolgano un’importante azione protettiva nei confronti delle malattie cardiovascolari. Tra i numerosi studi condotti per dimostrare il grado di questa protezione, particolarmente significativi sono uno studio multicentrico internazionale condotto in Finlandia, Scozia, Svizzera ed Italia ed uno studio della durata di 9 anni (1971-1980) condotto a Basilea. I risultati dei due studi hanno rivelato che i soggetti con bassi livelli ematici di vitamina E (meno di 12mg/100 ml) presentano un tasso di mortalità 5 volte superiore a quelli con circa 1 mg o più per 100 ml.
I risultati di questi studi epidemiologici forniscono solo correlazioni statistiche, mentre per provare la relazione causa-effetto è necessario intervenire somministrando a soggetti sani una vitamina e controllando, dopo alcuni anni, se in essi vi sia una più bassa incidenza di mortalità per cause cardiache. Indagini di questo tipo stanno per iniziare o sono ancora in corso, ed i dati non sono ancora disponibili. Vale comunque la pena ricordare i risultati, pubblicati nel 1962, di uno studio comparativo sul tasso di sopravvivenza in pazienti affetti da claudicatio intermittens (grave malattia che colpisce le arterie degli arti inferiori) trattati e non trattati con 400 mg di vitamina E al giorno. Dopo sei anni, il tasso di sopravvivenza risultava decisamente migliorato nei pazienti trattati con vitamina E.

Vitamine e cancro
Anche per quanto riguarda le malattie neoplastiche numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che l’incidenza di tumori è minore nei soggetti con alti livelli ematici di vitamina C, di vitamina E e di betacarotene.
A tale riguardo, particolarmente significativi sono i risultati di uno studio condotto tra il 1968 ed il 1982 per valutare la correlazione tra i livelli ematici della vitamina E e betacarotene e l’incidenza di cancro della mammella, uno studio condotto a Basilea tra il 1971 ed il 1980 sulla mortalità da cancro ed una sperimentazione condotta in Usa per valutare la relazione tra livelli ematici delle vitamine e l’incidenza del cancro al polmone. Volendo riassumere i risultati di questi tre studi epidemiologici si può affermare che:
- buoni livelli di vitamina C svolgono un’azione protettiva nei confronti del tumore allo stomaco e all’esofago nonché della displasia cervicale (stadio iniziale precanceroso del tumore della cervice uterina)
-la vitamina E abbassa il tasso di mortalità da cancro e svolge un’azione protettiva nei confronti del tumore alla mammella
- il betacarotene svolge un ruolo protettivo nei confronti di cancro del polmone, della vescica, dell’esofago e dello stomaco.
Come per le malattie cardiovascolari, anche nel caso delle neoplasie solo gli studi basati sulla somministrazione di vitamine possono provare il rapporto causa-effetto.