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Dolore testicolare: cause e rimedi.

 

Il dolore testicolare rappresenta un’evenienza clinica abbastanza frequente che può riguardare soggetti maschi di qualunque età, anche se si verifica più frequentemente nei giovani. Si dovrebbe più correttamente parlare di dolore scrotale (o algie scrotali) dato che i sintomi possono riguardare non solo i testicoli ma anche altre strutture presenti nello scroto (o borsa scrotale). All’interno dello scroto si trovano infatti anche la parte iniziale delle vie spermatiche (epididimo e vasi deferenti), le varie fasce che circondano i testicoli, diverse strutture vascolari, nervose e muscolari.

Da un punto di vista clinico è fondamentale distinguere il dolore scrotale in base alla modalità di insorgenza:

Si parla di dolore testicolare acuto (o “scroto acuto”) quando l’insorgenza dei sintomi avviene in modo rapido rispetto ad una precedente situazione di completo benessere. In questi casi il dolore è solitamente molto intenso.

Il dolore scrotale cronico ha invece un esordio subdolo: può iniziare come un semplice fastidio e avere nel tempo periodi di remissione e ricadute. Si tratta quindi di un dolore meno intenso che solitamente spinge i pazienti a rivolgersi al medico anche dopo parecchio tempo dall’insorgenza.

Un’altra importante distinzione riguarda la sede responsabile dell’insorgenza dei sintomi:

Il dolore viene definito locale o diretto quando la patologia si verifica a carico di una delle strutture presenti all’interno dello scroto.

un dolore riflesso o indiretto si verifica quando le sensazioni dolorose vengono riferite allo scroto in seguito a irradiazione nervosa in corso di problematiche che riguardano primitivamente zone anatomiche esterne allo scroto.

Il dolore scrotale acuto è molto spesso un dolore locale mentre il dolore cronico può frequentemente essere dovuto ad irradiazione.

Lo scroto acuto è una problematica importante che deve essere sempre valutata dallo specialista urologo in tempi molto rapidi: di solito si riesce ad individuare la causa dell’origine dei sintomi e intraprendere il corretto trattamento per arrivare ad una completa risoluzione e guarigione.

Il dolore scrotale cronico, al contrario, rappresenta una condizione clinica più complessa da inquadrare che spesso comporta notevole angoscia nel paziente e una certa frustrazione nel medico: non sempre si riesce a capire e identificare la causa dei sintomi e l’efficacia delle cure è sicuramente inferiore.

Le cause dello scroto acuto:

Questi sono i quadri clinici più frequentemente responsabili di un dolore testicolare acuto:

La torsione testicolare

Si verifica come conseguenza di una rotazione del testicolo intorno al proprio asse con successiva compressione ed ostruzione dei vasi arteriosi responsabili dell’apporto di sangue al testicolo. La conseguenza è un’ischemia del parenchima testicolare che – in caso di mancata risoluzione – può portare dopo alcune ore ad una necrosi irreversibile del testicolo. Colpisce tipicamente soggetti adolescenti o giovani adulti; l’insorgenza può essere spontanea oppure secondaria a piccoli traumi, per esposizione al freddo, durante i rapporti sessuali o l’attività sportiva.

Il testicolo torto risulta tipicamente spostato verso il canale inguinale, poco mobile lungo il suo asse ed estremamente doloroso alla palpazione. In questi casi è fondamentale essere sottoposti in tempi rapidi a valutazione urologica per arrivare velocemente alla diagnosi e all’intervento chirurgico in urgenza di detorsione e fissazione testicolare. Quando l’intervento avviene entro 6 ore dall’esordio del dolore la possibilità di recupero è vicina al 100%. Tale percentuale scende al 20-50% se l’operazione viene eseguita dopo 12 ore ed è vicina allo 0% dopo 24 ore. L’intervento eseguito tardivamente – una volta constatata la necrosi del parenchima (anche dopo derotazione) – comporta l’asportazione del testicolo.

In alcuni casi può avvenire una detorsione spontanea del testicolo con immediata remissione della sintomatologia dolorosa. In questi casi non è più ovviamente necessario l’intervento correttivo urgente ma resta importante una valutazione urologica per valutare il rischio di una recidiva.

La torsione dell’appendice testicolare o epididimaria

Si verifica quando la torsione non riguarda il testicolo ma una sua appendice. A livello del polo superiore del testicolo è presente l’appendice testicolare (o “idatide del Morgagni”); sulla testa epididimaria è presente una struttura analoga, l’appendice dell’epididimo. Si tratta di dotti residuati dallo sviluppo dell’apparato genitale che si formano durante la vita embrionale e che non hanno alcuna funzione dopo la nascita. La torsione di una di queste appendici può causare un quadro clinico acuto molto simile a quello della tersione testicolare e caratterizzato da dolore molto intenso. La situazione è tuttavia non pericolosa per il parenchima testicolare e non richiede alcun intervento. In alcuni casi può essere difficile riconoscere l’origine appendicolare del dolore (soprattutto quando non c’è la possibilità di eseguire un’ecografia in tempi brevi): in queste situazioni di dubbio – per non correre rischi – si può lo stesso decidere di eseguire un intervento chirurgico esplorativo.

L’epididimite acuta

Si tratta di un’infezione localizzata all’epididimo, una struttura anatomica adiacente al testicolo sede della prima parte delle vie spermatiche. Nella maggior parte dei casi sono coinvolti batteri provenienti dalle vie urinarie o trasmessi durante i rapporti sessuali. Spesso l’infiammazione rimane localizzata al solo epididimo; in alcuni casi può estendersi al vicino parenchima testicolare: si parla in questi casi di “orchi-epididimite”.

Il quadro clinico è caratterizzato spesso da gonfiore, rossore e da un intenso dolore alla palpazione, in alcuni casi difficilmente distinguibile da quello della torsione. Possono essere presente febbre e/o disturbi urinari quando l’epididimite è secondaria ad un’infezione urinaria. Può riguardare soggetti giovani ma anche adulti e anziani.

Il trattamento è basato sulla terapia medica antibiotica e anti-infiammatoria che può solitamente essere eseguita a domicilio. Solo in rari casi – come quando è presente febbre alta – diventa necessario il ricovero.

L’orchite acuta

E’ un’infezione che colpisce primitivamente il testicolo, in cui gli agenti patogeni arrivano di solito per via ematica. Possono essere implicati batteri ma più frequentemente l’origine è virale, come in caso di infezione da virus della parotite. In questi quadri oltre al dolore acuto è presente gonfiore del testicolo (“tumefazione”). In presenza di virus – non essendo disponibile un trattamento anti-virale – la terapia sarà solo sintomatica. E’ importante rivalutare a distanza di tempo la situazione locale, dato che in alcuni casi il quadro può successivamente evolvere in un’atrofia testicolare.

I traumi

Un quadro scrotale acuto può verificarsi in seguito ad un trauma testicolare. In questi casi è importante verificare l’integrità del testicolo ed escludere la presenza di importanti ematomi. Tranne in casi particolari in cui può essere necessario un intervento in urgenza, di solito queste situazioni tendono a guarire spontaneamente nel tempo.

I tumori del testicolo

Nella maggior parte dei casi un tumore testicolare determina la presenza di un nodulo al testicolo completamente indolore (anche durante la palpazione). Solo in casi molto rari può avvenire un evento vascolare acuto all’interno del tumore (come un’emorragia o un’ischemia) tale da provocare dolore. Può essere un dolore acuto o sub-acuto oppure anche un dolore più leggero con andamento cronico e recidivante. Una volta diagnosticata la presenza del tumore bisognerà eseguire l’intervento di asportazione del testicolo (“orchi-funicolectomia”) e gli accertamenti clinici necessari per la stadiazione della malattia.

La calcolosi ureterale

Molto spesso durante una colica renale dovuta alla presenza di un calcolo nelle vie urinarie il dolore – oltre a riguardare il fianco e la fossa iliaca – può irradiarsi alla regione inguinale e scrotale. In alcuni casi il dolore scrotale può essere predominante o addirittura l’unico sintomo: in queste situazioni il quadro clinico richiede una diagnosi differenziale con le altre cause di scroto acuto. La palpazione scrotale risulterà tuttavia normale (non determina un incremento del dolore e non permette di riscontrare gonfiore e tumefazoni). Si tratta pertanto di un quadro scrotale acuto in cui il dolore non è locale ma riflesso.

Valutazione del paziente con scroto acuto:

E’ già stato sottolineato come un quadro di dolore scrotale acuto richieda una valutazione specialistica immediata. Questo è importante per escludere la presenza di una torsione testicolare, condizione patologica in grado di portare alla perdita del testicolo se non identificata e risolta in tempi brevi.

La visita urologica con l’esame obiettivo dei genitali esterni può non essere dirimente: condizioni diverse responsabili dello scroto acuto possono determinare infatti quadri clinici molto simili.

Un esame strumentale fondamentale per valutare questi pazienti e in grado di riconoscere la causa del problema nella quasi totalità dei casi è l’ecografia scrotale con EcoDoppler. Questa indagine radiologica veloce e non invasiva permette infatti la precisa valutazione anatomica dei testicoli e degli epididimi e soprattutto la loro vascolarizzazione. In presenza di torsione testicolare la vascolarizzazione del testicolo risulta infatti assente mentre sarà al contrario incrementata in presenza di epididimiti e/o orchiti.

Dato che non tutte le unità di Pronto Soccorso hanno a disposizione 24 ore su 24 personale radiologico dedicato all’esecuzione di questo esame e dato che solo una minoranza di urologi è in grado di eseguirlo personalmente, può succedere che in situazioni di diagnosi dubbia venga deciso di eseguire comunque un intervento scrotale esplorativo in urgenza. Anche se si tratta di un intervento poco complesso e gravato da poche complicanze, in alcuni casi l’intervento può rivelarsi del tutto inutile.

Le cause del dolore testicolare cronico:

Tutti quadri patologici responsabili del dolore testicolare acuto possono anche essere responsabili di situazioni cliniche meno intense caratterizzate da dolore subacuto o in alcuni casi cronico:

- Situazioni di torsione testicolare seguita da detorsione spontanea con eventuali successive recidive (“torsione intermittente”).

- Quadri infiammatori (epididimiti o orchi-epididimiti) in cui la carica patogena è minore con conseguente dolore meno intenso e con esordio più lento.

- Tumori testicolari.

Altre cause di dolore testicolare cronico di tipo diretto possono essere:

Condizioni con accumulo di liquido all’interno dello scroto: si tratta di quadri in grado di determinare gonfiore scrotale solitamente indolore. In alcuni casi possono determinare disagi o lieve fastidi fino a situazioni di dolore comunque di bassa intensità. Tra queste situazioni rientrano:

Il varicocele: si tratta di un accumulo di sangue secondario a dilazione delle vene spermatiche in cui le valvole anti-reflusso non funzionano in modo corretto. Insorge tipicamente durante la pubertà e molto frequentemente (in più del 90% dei casi) riguarda il testicolo di sinistra. Se trascurato può causare – per motivi ancora non del tutto chiariti – problemi sulla produzione degli spermatozoi e quadri di ridotta fertilità.

L’idrocele: è un accumulo di siero che si viene a formare tra il testicolo e la fascia che lo avvolge (la “tonaca vaginale”). Può essere congenito (presente alla nascita) oppure secondario ad un’infezione epididimaria o testicolare o a un trauma. In molti casi la causa rimane sconosciuta.

Lo spermatocele: si tratta di cisti contenenti siero (o cellule spermatiche morte) localizzate nel testicolo, nell’epididimo o a livello del funicolo spermatico.

La condizione di ipermobilità testicolare: è una situazione in cui uno o entrambi i testicoli tendono a risalire verso il canale inguinale con eventuali episodi di “sub-torsione”. E’ una condizione abbastanza frequente che può predisporre alla vera torsione testicolare.

Situazioni con danno dei nervi scrotali (“fibrosi perineurale”) come complicanza di interventi chirurgici scrotali (come la vasectomia, l’idrocelectomia, l’orchiectomia, l’ectomia di cisti scrotali, ecc). Si tratta fortunatamente di complicanze molto rare della chirurgia scrotale o inguinale.

Come detto in precedenza il dolore scrotale può essere abbastanza frequentemente dovuto all’irradiazione dello stimolo doloroso verso lo scroto in presenza di patologie a carico di organi extrascrotali. In questi casi le strutture contenute nello scroto risultano perfettamente normali e indenni da qualunque problematica patologica.

Le principali cause di dolore testicolare cronico riflesso (o indiretto) sono:

La prostatite cronica e il dolore pelvico cronico: un quadro flogistico cronico che riguarda la prostata e/o la pelvi – spesso non dovuto ad una causa infettiva – in cui oltre a disturbi urinari e fastidi in regione ipogastrica e perineale possono essere presenti dolori testicolari ad andamento cronico.

Gli ascessi perianali e altre problematiche infiammatorie acute a carico della regione anale.

L’ernia del disco a livello dorso-lombare: si tratta di protrusioni del disco intervertebrale con conseguente compressione delle radici nervose lombari. Se la compressione riguarda le radici dei nervi coinvolti nell’innervazione testicolare può determinare dolore testicolare cronico.

L’ernia inguinale: è una protrusione nel canale inguinale di strutture anatomiche normalmente contenute nell’addome (come l’intestino o aree anatomiche adiacenti). A livello inguinale l’ernia può determinare la compressione di strutture nervose o vascolari di pertinenza scrotale con successiva insorgenza di dolore testicolare riflesso.

La pubalgia: rappresenta una condizione infiammatoria / irritativa dei tendini di alcuni muscoli con inserzione sull’osso pubico (in particolare il muscolo adduttore). Tra i vari disturbi che possono essere presenti nei pazienti con pubalgia (come fastidi a carico della regione addominale, inguinale e a livello della coscia) rientra anche un dolore cronico irradiato al testicolo.

Aneurismi dell’arteria iliaca comune.

Calcoli dell’uretere (come già visto in precedenza).

Il dolore testicolare cronico idiopatico:

In altre situazioni (purtroppo non così rare) il dolore testicolare cronico non ha una causa dimostrabile: in questi pazienti (spesso di giovane età) è stata infatti esclusa la presenza di tutte le situazioni patologiche responsabile di dolore scrotale cronico sia diretto che riflesso. Si parla in questi casi di dolore “idiopatico”.

La genesi di questo tipo di dolore è dovuta probabilmente ad alterazioni dell’innervazione e in particolare ad una attività anomala dei recettori del dolore (“nocicettori”). In questi soggetti sembra sia presente una ridotta soglia di attivazione dei nocicettori, in grado di iniziare la conduzione dello stimolo doloroso anche in assenza di un vero e proprio stimolo nocivo (si parla di dolore “neurogeno” o “neuropatico”). I nocicettori, a livello scrotale, si trovano localizzati soprattutto a livello del funicolo spermatico e di una struttura muscolare che circonda il testicolo, il muscolo cremastere.

Valutazione del paziente con dolore testicolare cronico:

L’inquadramento di questi pazienti deve iniziare da un’approfondita anamnesi per la corretta valutazione del dolore testicolare (entità, durata, modalità di insorgenza…) e della presenza di eventuali sintomi associati, come disturbi urinari o dolori in altre regioni anatomiche.

L’esame obiettivo non deve limitarsi ai genitali esterni ma va esteso alla prostata, alla zona inguinale, alla regione pubica e quella anale e perineale. E’ sempre opportuno eseguire un esame delle urine con urinocoltura e spermiocoltura. L’ecografia scrotale può essere utile per escludere condizioni locali potenzialmente causa del dolore. In presenza di particolare sospetto clinico si potranno richiedere ulteriori accertamenti strumentali per riconoscere un eventuale problema di ernia discale o di calcolosi urinaria.

Una volta escluse tutte le possibili cause di dolore scrotale cronico diretto e riflesso, può essere ipotizzata la presenza di un dolore idiopatico di tipo neurogeno. Per confermare la diagnosi può essere effettuata un’infiltrazione del funicolo spermatico con anestetico locale e verificare l’immediata scomparsa del dolore.

Trattamento del dolore testicolare:

La terapia più efficace per la rimozione del dolore consiste nel trattamento diretto della patologia scatenante, sia essa scrotale o extra-scrotale. Come terapia di supporto possono essere utilizzati farmaci ad azione analgesica (“terapia sintomatica”).

La terapia sintomatica è invece l’unica possibile in caso di dolore idiopatico (in cui la causa non è nota). In queste situazioni si possono utilizzare farmaci capaci di agire sul sistema nervoso e in grado di ridurre il dolore di origine neuropatica. In casi estremi si può ricorrere ad interventi di microchirugia volti a realizzare una denervazione testicolare.

Conclusioni:

Il dolore testicolare rappresenta una condizione clinica abbastanza frequente che può avere molteplici cause. Si distinguono quadri con dolore intenso ad insorgenza acuta da altri con dolore più lieve ad andamento cronico o recidivante. Il dolore testicolare acuto – o scroto acuto – richiede sempre una valutazione specialistica immediata poiché può essere causato da situazioni potenzialmente pericolose per la salute del testicolo se non risolte velocemente. Anche il paziente con dolore testicolare cronico dovrà essere sottoposto ad una completa valutazione urologica volta a riconoscere eventuali cause scrotali del dolore oppure condizioni patologiche extra-scrotali con dolore testicolare irradiato. Il trattamento deve essere ovviamente rivolto ad eliminare la causa del dolore. Una terapia di supporto sintomatica-analgesica può essere associata alla terapia causale mentre rappresenta l’unica terapia possibile in caso di dolore idiopatico neurogeno.

 

AMBIENTE DI LAVORO E RISCHIO CARDIOVASCOLARE

 

Lo stress da lavoro aumenta il 78% il rischio di infarto del miocardio. Questi e altri dati sono stati presentati nel corso della settima Conferenza Internazionale di ICOH (International Commission on Occupational Health) sull’ambiente di lavoro e le malattie cardiovascolari, per la prima volta ospitata in Italia, all’Università degli Studi dell’Insubria, a Varese, da 3 al 5 maggio 2017, dopo le edizioni di Tokyo (2013), Cracovia (2009), Newport Beach (2005), Dusseldorf (2002), Tel Aviv (1998) e Copenaghen (1994). Lo studio condotto in Italia dalla Univesità dell’ Insubria è durato 20 anni

Hanno preso parte all’evento oltre centocinquanta tra relatori e partecipanti ai lavori, medici esperti di medicina del lavoro, epidemiologi, cardiologi esperti in riabilitazione cardiaca e prevenzione provenienti da tutto il mondo. Presidente della conferenza è stato il professor Marco M Ferrario, docente di Medicina del Lavoro, dell’Università degli Studi Insubria.

Obiettivo della Conferenza aggiornare le conoscenze sui fattori di rischio per i lavoratori nei confronti delle malattie cardiovascolari e fare il punto sullo stato dell’arte e sugli interventi possibili su stress, attività fisica e screening, al fine di colmare il divario esistente tra le conoscenze e gli interventi preventivi, anche con lo sviluppo di politiche pubbliche di sostegno che migliorino le condizioni di lavoro sia a livello locale che globale.

«Grazie alla collaborazione tra il Centro Epimed (Epidemiologia e Medicina preventiva) dell’Università degli Studi dell’Insubria e la struttura complessa di Medicina del Lavoro dell’Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi di Varese, abbiamo portato a termine uno studio ventennale su un campione di popolazione formato da oltre 4100 lavoratori della Brianza, uomini appartenenti alle categorie dei colletti bianchi e colletti blu – spiega il professor Ferrario –. Quello che è emerso è che esiste il 78% in più di rischio di infarto del miocardio tra coloro considerati ad alto stress da lavoro percepito; basato sulla rilevazione del metodo proposto da Karasek che individua 4 livelli di stress – il livello maggiore, cosiddetto appunto di “alto stress”, che si riferisce a coloro che hanno carichi di lavoro molto altro, scarso potere decisionale e scarse risorse (ossia basse skills e poca possibilità di ripartire il lavoro). In questa categoria di lavoratori, indipendentemente dal fatto di essere colletti blu o bianchi, l’incidenza del rischio di infarto del miocardio è molto più alta rispetto ai “colleghi”.

 

Maternità e malattie rare

In Italia ogni anno nascono circa cinquecentomila neonati e con essi altrettante nuove mamme.  Secondo le stime 1 bambino ogni 2581  è affetto da fenilchetonuria o altra forma di iperfenilalaninemia, e questa è solo una delle tante malattie rare metaboliche esistenti che, se non immediatamente diagnosticate, possono comportare disabilità gravissima.
[Fonte: Rapporto SIMMESN 2015].

Prevenzione primaria
Per garantire la salute del proprio bambino e ridurre fino al 70% il rischio di malformazioni fondamentale è la prevenzione primaria che passa attraverso uno stile di vita sano, una corretta assunzione di folati condotta secondo le indicazioni del Ministero della Salute.

Importante è anche il monitoraggio della gravidanza che il nostro SSN offre gratuitamente unitamente alla possibilità della diagnosi prenatale durante il primo trimestre.Sul sito del Ministero è possibile trovarne la descrizione.  .

Prevenzione secondaria

Da non dimenticare poi la prevenzione secondaria: oggi in aiuto delle mamme e dei loro piccoli viene lo screening neonatale.

Il test di screening consiste nel prelievo di una goccia sangue dal tallone del neonato entro le prime 72 ore di vita: un metodo minimamente invasivo che permette di individuare precocemente oltre 40 patologie metaboliche rare ed evitarne le peggiori conseguenze, come disabilità gravissime e morti precoci.

Lo screening neonatale esiste in Italia dal 1992 quando divenne obbligatorio per tre patologie: ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica e fenilchetonuria. Oggi l’obbligo è stato allargato a circa 40 malattie metaboliche rare grazie all’approvazione della legge 167/2016.

“Grazie alla battaglia combattuta in prima linea dall’Osservatorio Malattie Rare, dalle associazioni pazienti,  dalle società scientifiche e dalla Sen. Paola Taverna – ha dichiarato Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttore  di Omar – dal 15 settembre 2016 lo screening metabolico allargato gratuito per tutti i neonati è legge nazionale . Ora questo diritto deve essere tradotto in pratica, e su questo c’è ancora molto da fare. Dall’approvazione della legge ad oggi nulla è cambiato nell’offerta delle regioni: solo la metà (50,3%) dei neonati ha accesso gratuito a questo test.  Gli altri rischiano di non avere la diagnosi e patirne le conseguenze. Non si possono permettere altri ritardi, ognuno deve fare bene e velocemente la sua parte, dal Centro di coordinamento screening costituito presso l’ISS alle singole regioni.  Ci auguriamo che le Regioni dove lo screening non è ancora attivo si adeguino presto, facendo il più bel regalo alle mamme e ai loro bambini”.

O.Ma.R. – Osservatorio Malattie Rare
www.osservatoriomalattierare.it
info@osservatoriomalattierare.it
P.IVA: 02991370541

Colica renale: come riconoscerla e come comportarsi

Si dice che il dolore del parto sia fortissimo ma che si dimentichi rapidamente, lo stesso non avviene per il forte dolore provocato dalla presenza di calcoli nelle vie urinarie, la cosiddetta colica renale.

Si definisce colica renale un quadro clinico e sintomatologico caratterizzato dalla comparsa improvvisa di dolore al fianco che non concede posizioni o posture antalgiche.

Qual sono le cause della colica renale?

Generalmente è causata dalla presenza di un calcolo lungo il decorso delle vie urinarie.

Il calcolo costituisce un ostacolo al normale deflusso dell’urina ne consegue una dilatazione delle vie urinarie a monte, definita idroureteronefrosi che, se trascurata, può esitare in un danno permanente della funzionalità renale.

Non in tutti i casi la colica renale è associata a calcolosi. Neoplasie ureterali ostruttive o vescicali, compressione sull’uretere dovute alla presenza di masse solide addominali, di natura linfonodale, endometriosica o pertinenti l’apparato gastroesterico possono infatti esprimersi con coliche renali. Va da se’ che la colica renale non deve essere sottovalutata, non solo per lo stato di prostrazione e di ansia provocate dal forte dolore ma anche perché può essere il primo segnale di quadri patologici importanti.

Come distinguere la colica renale da un comune “mal di pancia”?

Il dolore della colica renale ha un andamento caratteristico detto sinusoidale cioè con fasi acute molto forti che persistono per qualche minuto alternate a momenti di parziale benessere.

Le sedi del dolore sono la regione lombare, i quadranti inferolaterali dell’addome, le aree genitale, inguinale e perineale fino alla coscia.

Perchè avviene la colica renale?

La dilatazione dell’uretere e della pelvi renale e la distensione degli strati muscolo-fasciali che li rivestono stimolano le numerose terminazioni nervose sensitive e motorie in essi contenute. Si attivano quindi stimoli dolorifici e una contrazione involontaria della pelvi renale e dell’uretere detta peristalsi che rappresenta il tentativo dell’organismo di far progredire il calcolo verso l’espulsione.

La colica può essere accompagnata da altre manifestazioni?

Spesso nausea, vomito, sudorazione, pallore cutaneo, stimolo minzionale frequente accompagnano il forte dolore della colica renale. Questi sintomi derivano dall’iperstimolazione del sistema nervoso detto simpatico che regola gran parte delle funzioni automatiche dell’organismo.

Perchè la sede del dolore è variabile?

Perchè varia in relazione alla sede del calcolo. Ad un dolore lombare corrisponde un calcolo localizzato nella pelvi renale, nel giunto pieloureterale o nel primo tratto dell’uretere. Ad una progressione del calcolo verso le porzioni più distali dell’uretere seguirà un dolore irradiato verso il basso addome, l’inguine, il perineo e l’interno coscia.

Cosa fare in caso di sospetto di colica?

La gestione, per così dire, casalinga di un dolore acuto come quello della colica renale è, oltre che difficoltosa, sconsigliabile. E’ bene recarsi quindi presso il proprio medico di famiglia o un presidio sanitario ove in genere vengono effettuati come primo provvedimento una terapia antalgica e antibiotica in caso di febbre. A seguire un percorso diagnostico che prevede: esami ematici, esame urina, ecografia addome ed eventuale TC addome.

Connotati colica

Diagnosi

Trattamenti

-Dolore improvviso

-Assenza di una posizione antalgica

-Dolore con andamento sinusodale

Calcolosi uretere

Calcolosi rene

Compressione ureterale

Displasia giunto pieloureterale

ESWL

Litotrissia endoscopica laser

Litotrissia percutanea

Laparoscopia

Calcolosi dell’uretere, quale trattamento?

Piccoli calcoli dell’uretere possono essere espulsi con una terapia farmacologica detta proespulsiva, che favorisce cioè la progressione e l’espulsione del calcolo.

Nel caso questa non avvenga in un ragionevole lasso di tempo sono indicate la litotrissia extracorporea (ESWL) oppure la litotrissia endoscopica ureterale con il laser. (URS)

Calcolosi del rene, quale trattamento?

Anche i piccoli calcoli del rene possono essere trattati con la litotrissia extracorporea oppure la litotrissia endoscopica intrarenale laser (RIRS).

Per i calcoli maggiori di 2 cm i trattamenti indicati sono la litotrissia percutanea (PNL), un intervento mininvasivo che consente di estrarre il calcolo attraverso un piccolo canale di accesso che si pratica sulla regione lombare, oppure la laparoscopia che consente di asportare calcoli di dimensioni ragguardevoli e correggere eventuali malformazioni come la displasia del giunto pieloureterale (un restringimento delle vie urinarie al confine tra rene e uretere), che possono esserne la causa.

Si può prevenire la formazione di calcoli?

Un corretto stile di vita costituito da una buona forma fisica, una idratazione sufficiente (1,5 litri di acqua al giorno), un’alimentazione che preveda uno scarso apporto di proteine e di sale sono le regole di base per evitare di trovarsi a combattere con il fastidioso problema dei calcoli urinari. Anche il succo diluito di un mezzo limone con un po’ di zucchero o con té verde, da bersi alla mattina può aiutare a prevenire la calcolosi.

Esistono farmaci che prevengono la formazione di calcoli?

Più che di farmaci si tratta di integratori che dissolvono i microaggregati che precipitando nelle urine danno luogo ai calcoli, sono a base di citrati con l’aggiunta di estratti vegetali come té verde, curcuma, fillanto e capsico, questi ultimi dotati anche di forte potere antiossidante.

Dott. Marco Garofalo
medico chirurgo specialista in Urologia - Clinica Urologica del Policlinico S.Orsola-Malpighi.

Italiani affetti da “fegato grasso”

Un italiano su 4 è affetto da ‘fegato grasso’, ovvero da ‘steatosi epatica non alcolica’ (Nafld), una patologia un tempo ritenuta innocua ma che è ormai noto essere un fattore predisponente alle malattie croniche di fegato (fino alla cirrosi) e alle malattie cardiovascolari. Ecco la conclusione a cui sono giunti gli esperti della Società Italiana di Gastroenterologia (Sige)

Assetto genetico

“Nel corso degli ultimi millenni – spiega Antonio Craxì, presidente SIGE – l’evoluzione costante della specie umana ha selezionato gli individui più capaci di accumulare grassi, premiandone la maggiore resistenza alla malnutrizione. Questo assetto genetico “’frugale’ costituiva un importante vantaggio in tempi di fame e carestie, ma si è trasformato in uno svantaggio potenzialmente letale, per le conseguenze metaboliche (diabete, malattie cardiovascolari) nel momento in cui il nostro profilo alimentare si è arricchito a dismisura di fonti caloriche e nel contempo l’attività fisica si è ridotta. Il fatto poi che si viva assai più a lungo, grazie ai progressi nel curare malattie e traumi, favorisce ulteriormente la comparsa delle malattie degenerative legate all’accumulo di grassi in molti organi e sistemi del nostro corpo”.

Se dunque nasciamo già predisposti ad accumulare troppo, a peggiorare le cose generando una vera e propria epidemia di ‘fegato grasso’ (al momento è la più comune malattia di fegato nel mondo, presente nell’80-90 per cento degli obesi e nel 30-50 per cento dei diabetici) interviene un fattore potenzialmente correggibile, e cioè una dieta ricca di grassi e di calorie, tipica dei regimi dietetici di tipo ‘occidentale’, che si sono troppo discostati dalle nostre radici alimentari, dal regime dietetico amico della salute per eccellenza, la dieta mediterranea. Negli ultimi anni tuttavia ci si è resi conto che questo effetto negativo delle diete piene di ‘cibo spazzatura’ non è sempre diretto, ma anche mediato da un ospite silenzioso e importantissimo per la salute, il microbiota intestinale.

Il Microbioma intestinale

 “Per microbiota intestinale – spiega Ludovico Abenavoli, professore associato di gastro-enterologia dell’Università Magna Graecia di Catanzaro – si intendono quei miliardi di batteri localizzati in particolare nel piccolo intestino, che possono raggiungere una massa di 2-3 chili”. Il microbiota facilita la digestione e l’assorbimento degli alimenti che passano dallo stomaco nell’intestino. Ma la relazione tra il microbiota e il suo ospite, cioè l’uomo, è ‘bidirezionale’, nel senso che il tipo di alimenti che compongono la dieta abituale di un individuo è in grado di ‘modellare’ la composizione del microbiota.

Di anno in anno si vanno moltiplicando i lavori a conferma di questa osservazione, che risale ad uno studio molto importante di Carlotta De Filippo e colleghi pubblicato nel 2010 su PNAS. Questa ricerca ha valutato la flora batterica intestinale di un gruppo di bambini di Firenze, paragonandola a quella di un gruppo di bambini del Burkina Faso. I bimbi africani, che hanno una dieta a base di verdura, frutta e fibre, presentavano una maggiore variabilità nella composizione del microbiota intestinale, rispetto a quello dei bambini italiani, che seguono un regime alimentare ricco di carne, fruttosio e altri zuccheri complessi. “E oggi sappiamo – spiega Abenavoli – che una ridotta variabilità del microbiota intestinale predispone ad una serie di patologie: aumenta la suscettibilità allo stress ossidativo, altera il metabolismo degli zuccheri e dei grassi e quindi predispone al sovrappeso-obesità, in particolare a livello viscerale, all’insulino-resistenza e al diabete mellito, alle patologie cardiovascolari, ai tumori e, come scoperto più di recente, anche alla steatosi epatica non alcolica.

Chi consuma una dieta ricca di frutta e verdura – aggiunge Abenavoli – ha un microbiota ricco di tante specie batteriche diverse (Actinobatteri, Bacteroides, Firmicutes, Proteobatteri), mentre chi indulge in una dieta occidentale o nel cibo da fast food presenta un microbiota ricco solo di Firmicutes. Questo squilibrio predispone a maggior stress ossidativo, ad un aumento della permeabilità a livello dell’intestino (soprattutto del piccolo intestino), con conseguente passaggio delle tossine batteriche (soprattutto del lipopolisaccaride batterico) e di altre componenti tossiche nel circolo portale, che le veicola al fegato,dove provocano danni e facilitano l’infiammazione.

Questo microbiota dalla composizione squilibrata e dalla scarsa variabilità induce un aumento dei livelli circolanti di citochine infiammatorie, che predispongono alla formazione della placca ateromatosa e favoriscono l’aggregazione piastrinica; fattori questi che a loro volta predispongono allo sviluppo di eventi cardiovascolari nel medio-lungo termine. Avere il fegato grasso (cioè le cellule epatiche piene di trigliceridi) va dunque considerato un campanello d’allarme non tanto per oggi, quanto per gli anni futuri. Secondo stime americane, entro il 2030 il fegato grasso sarà la principale causa di cirrosi e la prima causa di ricorso al trapianto di fegato, superando le epatopatie croniche da virus dell’epatite B e C (che grazie alle nuove terapie e al vaccino sono destinate a ridursi nel tempo) e la cirrosi alcolica.

La dieta mediterranea

Ma il modo per contrastare questa epidemia di malattie epatiche e cardiovascolari dei prossimi decenni esiste. “La dieta mediterranea – afferma Abenavoli – è una nostra caratteristica culturale e la nostra ricchezza, anche da un punto di vista economico. Investire in dieta mediterranea significa avere un importante ritorno in salute per la società. La dieta mediterranea, bilanciata e facilmente accessibile, non determina quegli squilibri nutritivi tipici delle diete vegetariane o peggio di quella vegana, che a lungo andare possono avere importanti ripercussioni sulla salute (anemia, problemi neurologici, possibile predisposizione dei vegani all’Alzheimer). Allo stesso tempo ci consente di ‘coltivare’ il nostro amico microbiota intestinale che è molto importante, ci accompagna per tutta la vita e ci protegge da una serie di malattie”.

Di recente si è visto che la dieta vegana può influenzare la salute di un individuo, agendo sul suo microbiota intestinale. Ma non si può certo affermare che questa sia una dieta ideale. “Dieta mediterranea o dieta vegetariana/vegana – afferma Abenavoli – hanno effetti simili per quanto riguarda il microbiota intestinale, anche se gli studi pubblicati non hanno fatto confronti diretti tra queste tre diete, ma tra dieta vegana-vegetariana o dieta mediterranea e dieta occidentale, piena di grassi e cibi da fast food.

Posto che dieta vegetariana, vegana e mediterranea hanno tutte un effetto positivo sulla composizione del microbiota intestinale, esistono tuttavia grandi differenze tra questi tre regimi alimentari per quanto riguarda il deficit di alcuni nutrienti. Una dieta mediterranea bilanciata non determina deficit nutritivi, cosa che invece è possibile osservare nei soggetti che seguono una dieta vegetariana e ancor di più in quelli a dieta vegana. Non consumare carne determina un deficit di vitamine del gruppo B e di ferro. Nei vegani stretti si possono verificare deficit di vitamine del gruppo B, D, ferro, zinco e altri micronutrienti.

Classificazione del peso: andare oltre il BMI

Per classificare i vari gradi di sovrappeso si utilizza l’Indice di Massa Corporea (IMC) o BMI (Body mass index) che è un indice risultante dal rapporto tra il peso corporeo espresso in kg e l’altezza dell’individuo espressa in m2.
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Il BMI è un valido indice di rischio di morbilità e mortalità per osservazioni di popolazione mentre nella valutazione del sovrappeso, nel singolo soggetto, nasconde in sé dei grossi limiti soprattutto quando viene riferito a persone che praticano regolarmente sport e hanno una massa muscolare sviluppata (atleti). Questo indice infatti, deriva da un calcolo “approssimativo” che non tiene conto della composizione corporea dell’individuo e quindi della distribuzione di massa muscolare, massa grassa, acqua e massa ossea.

Un classico esempio è quello nell’immagine riportata a sinistra:

Entrambi presentano un valore di IMC classificabile come obesità di I grado (33.9 kg/m2), ma la composizione corporea dei due soggetti è ben differente, essendo molto ben sviluppata la massa muscolare nel body Builder.

Non è più sufficiente quindi definire il sovrappeso e l’obesità usando solo delle formule ma è indispensabile conoscere la composizione corporea di un soggetto perché il peso misurato dalla bilancia è in realtà il risultato di massa grassa, muscoli, ossa e acqua.

Pertanto possiamo dire che l’IMC non è un predittore accurato della massa grassa di un individuo perché il suo numeratore cioè il peso corporeo in kg non esprime solo la massa grassa.

Come stimare dunque la percentuale di massa grassa e muscolare di un individuo?

Tecniche radiografiche quali la DEXA (Dual-energy X-ray Absorptiometry), la TAC (tomografia computerizzata) e la RMN (risonanza magnetica nucleare) si prestano a questo scopo.

La DEXA, per esempio, permette di effettuare una valutazione sia in peso che in percentuale della massa magra e della massa grassa nei differenti distretti corporei; individuando le zone di accumulo di grasso e quantificando il loro peso in grammi.

I limiti di queste attrezzature sono il costo elevato e la scarsa accessibilità.

Pertanto viene più spesso utilizzata la Bioimpedenziometria (BIA):

La BIA è un esame di tipo bioelettrico per l’analisi quantitativa e qualitativa della composizione corporea e dello stato nutrizionale del soggetto. In rapporto alla percentuale di massa grassa, al di là del peso corporeo, si possono classificare i vari gradi di sovrappeso. Paradossalmente possono esistere persone normopeso per BMI che sono in uno stato di sovrappeso e viceversa persone sovrappeso per BMI che possono avere una composizione corporea ottimale.

Ai fini della valutazione del rischio malattia è bene considerare non solo l’eccesso di massa grassa ma la sua distribuzione. Il grasso sottocutaneo, quello visibile, ha un significato principalmente estetico, funzionale mentre quello interno a livello addominale e viscerale si associa al rischio relativo per le malattie cardiovascolari e metaboliche . Quest’ultima, definita anche obesità viscerale o androgena, è caratterizzata dall’accumulo preferenziale di grasso in sede intra-addominale e periviscerale, a differenza dell’obesità ginoide o periferica nella quale il tessuto adiposo è maggiormente localizzato a livello sottocutaneo.

Si deduce perciò l’importanza della misurazione della circonferenza vita, un metodo semplice e veloce per stimare la quantità di grasso presente nella regione addominale.

Questa misura antropometrica diventa un parametro particolarmente utile nella valutazione di soggetti classificati come normopeso e sovrappeso in base all’IMC.

I valori di circonferenza vita consigliati sono <80 cm per le donne e <94cm per gli uomini.

Si parla di obesità addominale se la circonferenza vita è superiore a 88 cm nelle donne e a 102 cm negli uomini.

La circonferenza addominale, secondo il protocollo di NHANES III viene misurata appena al di sopra della porzione superiore del bordo laterale della cresta iliaca posizionando il nastro tutto intorno all’addome senza comprimerlo.

Per avere una stima ancor più precisa del grasso addominale si utilizza il VISCAN:

Il VISCAN è uno strumento che analizza il grasso intraddominale (viscerale), la massa grassa totale a livello del tronco e misura automaticamente con la tecnologia laser la circonferenza ombelicale.

È un esame non invasivo che viene effettuato in pochi minuti in posizione supina.
E’ una condizione che interessa l’area metabolica energetica ma anche quella psicocomportamentale particolarmente compromessa nel 30/40% di soggetti obesi che presentano un disturbo da fame compulsiva, il Binge Eating Disorder ( BED)Utilizzare solo il BMI per valutare il grado di sovrappeso può indurre, quindi a grossolani errori. Essendo il sovrappeso una condizione multidimensionale, non ci si può limitare al solo rapporto peso altezza senza indagare le varie dimensione coinvolte.

l soggetti affetti da BED sperimentano l’incapacità di potersi fermare, subiscono il cibo, il senso di disgusto e la colpa che segue l’abbuffata. Non vanno trattati con la dieta ma con specifici programmi di riabilitazione psico nutrizionale.

Di recente un notevole interesse è rivolto al campo della Food addiction ( dipendenza da cibo) che interessa un altrettanto numero cospicuo di soggetti con obesità che hanno un comportamento alimentare impulsivo che li porta ad assumere grandi quantità di cibo alla ricerca del piacere più mentale che fisico. Programmano l’abbuffata e l ‘attesa ne procura piacere come l’atto del mangiare, non hanno sensi di colpa a differenza dei soggetti con BED.

Il cibo come temporaneo medicamento, balsamo per le emozioni che non si riescono a gestire altrimenti, è presente in altri soggetti che potrebbero essere collocati nella categoria del confort eating.

Alla luce di quanto sopra è bene guardare ai numeri della bilancia, del metro e degli esami strumentali ma anche e ,forse vale di più, alle persone, ai vissuti e al funzionamento perché solo soffermandoci su questo possiamo fare una valutazione completa e dare risposte mirate .

Essere in sovrappeso interessa l’area estetica, funzionale e delle malattie, la valutazione pertanto dovrebbe essere sempre fatta in ambito medico, specialistico e multidisciplinare. Professionisti coinvolti sono i medici ma anche psicologi, dietisti e nutrizionisti inseriti in un contesto unitario.

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Le carie

 

Il termine “carie” nel passato era riferito solamente alla lesione distruttiva della struttura del dente che provocava una rottura nella superficie creando una cavità; con la diagnosi si andava, invece, ad indicare la scoperta del deterioramento con perdita della sostanza dentale

Oggi vediamo la carie sotto un’altra luce: questa viene trattata come un’infezione, più precisamente l’ultimo stadio del processo è il buco o la cavità che richiede una terapia per il recupero ed è proprio l’identificazione delle fasi di questo processo che è la diagnosi attuale.

Al fine di porre un’informazione corretta è bene evidenziare come viene definita la carie dagli enti di ricerca a livello mondiale.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito la carie dentale come un “processo patologico localizzato, d’origine esterna, che compare dopo l’eruzione del dente e che si accompagna ad un rammollimento dei tessuti duri ed evolve verso la formazione di una cavità”.

La patologia cariosa è l’infezione cronica più comune in età pediatrica nelle Nazioni Europee con prevalenza del 68% tra gli 8 e i 9 anni e dell’85% tra i 13 e i 14 anni considerando la dentizione permanente. L’Italia presenta valori inferiori a quelli appena definiti: 20% nei bambini di 4 anni e 43% nei ragazzini di 12.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità si è posta un obiettivo per il 2020: 85% dei bambini di 4 anni e il 65 di 12 non dovrà più avere il problema carie. L’OMS raccomanda quindi, affinché si possa realizzare questo obiettivo, programmi di prevenzione rivolti ai bambini aventi tra gli 1 e i 6 anni, dal momento è questo il periodo di massimo apprendimento.

L’eziologia (la causa) della patologia cariosa è molto diversificata, ma sicuramente la più importante delle cause della carie è la presenza della placca batterica.

Inoltre la non corretta igiene orale permette ai batteri di depositarsi sull’elemento dentale innescando il meccanismo che porta all’insorgenza della carie. Oltre alla mancanza di igiene orale vi sono altri fattori che sono concausa dell’insorgenza della malattia.

Tra le cause della carie, da alcuni autori, vengono posti anche fattori ereditari. Un’alta cariorecettività, ovvero il grado di predisposizione di ognuno di noi alle infezioni cariose, può essere imputata al nostro DNA che ha impedito la formazione corretta dello smalto dentale.

Ma come fa un odontoiatra a diagnosticare una carie?

Si inizia con un esame visivo:

Il cavo orale viene osservato direttamente

La cavità aperta senza struttura del dente intatta viene osservata senza esplorazione

Un getto d’aria debole potrebbe essere sufficiente per rimuovere biofilm e detriti per migliorare la visione

Strumenti:

Si utilizza una sonda o un explorer (non necessari se la cavità è in posizione occlusale, vestibolare e palatale/linguale)

Sono necessarie delle radiografie per identificare la profondità di eventuali carie interprossimali

Esame radiografico:

Le cavità profonde necessitano di questo esame per osservare un eventuale coinvolgimento della polpa del dente

Utilizzo di bitewings:

utilizzati principalmente per cavità interprossimali

Le immagini radiografiche sono fondamentali per la valutazione e utili per pianificare un corretto piano di cura per il paziente. Il paziente deve essere esposto alla minor quantità possibile di radiazioni sufficienti a produrre radiografie del più alto valore interpretativo.

Un’immagine radiografica possiede gradazioni che vanno dal bianco (radiopacità) al nero (radiotrasparenza). Un materiale denso che impedisce il passaggio di raggi X appare bianco su una radiografia sviluppata. Il tessuto molle che non offre resistenza appare nero o tendente al grigio. In una radiografia del cavo orale appariranno bianchi: smalto, dentina, restauri metallici, impianti; si mostreranno neri: polpa, cisti, carie dentali e legamento parodontale.

Le radiografie che principalmente utilizzate nell’ambito odontoiatrico sono: le panoramiche e i bitewins. La prima è una proiezione radiografica che è posta al di fuori della bocca durante l’esposizione alle radiazioni e viene usata per esaminale mandibola e mascella del paziente. I secondi sono particolari radiografie effettuate posizionando la lastrina all’interno delle arcate dentarie in modo che vengano impressionate sia le corone dei denti superiori che degli inferiori; è una delle lastre tipiche che il dentista può effettuare per la diagnosi delle carie coronali, in particolare per rilevare la presenza di carie interdentali.

Per valutare la cario recettività è stato prodotto un set dedicato alla valutazione della di questa e allo stesso tempo dell’HPV permette una doppia opzione usufruendo di un unico kit. Questo test, contenente un tampone leggermente abrasivo, viene effettuato in studio dal team odontoiatrico

Per valutare la cario-recettività il tampone deve essere “sfregato” solo sulla gengiva aderente superiore e inferiore con un’azione mirata che dura circa 30 secondi per arcata. I pazienti candidati sono i bambini che presentano cario-recettività ad esordio precoce , i ragazzi in trattamento ortodontico e gli adulti con rischio carie elevato, nei pazienti portatori di Handicap che influenzano le normali manovre di igiene orale. Costoro dovranno astenersi dall’assumere qualsiasi sostanza alimentare, collutori e non dovranno spazzolarsi i denti almeno 30 minuti prima dell’esame. Questo test permette la valutazione dei patogeni tipici più il patogeno che è maggiormente associato a cario-recettività nel Sud Europa. (revisione PubMed).

La carie rappresenta una via di accesso per i vari microrganismi che possono stimolare infezioni locali e compromettere lo stato di salute dell’intero organismo.

È una malattia che coinvolge cinque fattori: microrganismi, dieta, saliva, resistenza dei denti e, ultima ma non meno importante, l’igiene personale del cavo orale

Bisogna sapere, inoltre, che la carie è una malattia infettiva che può essere trasmessa da un individuo ad un altro. Come tale è possibile prevenirla e, là dove la prevenzione non ha avuto effetto, l’infezione è controllabile.

Il termine flora orale indica l’insieme di batteri ed altri microrganismi che abitano la cavità orale. L’aggregazione di popolazioni batteriche aderenti alle superfici forma il biofilm dentale che gioca un ruolo rilevante nell’avvio e nella progressione della carie.

Il processo della carie inizia infatti con determinati batteri, definiti acidogeni, che agiscono metabolizzando i carboidrati fermentabili che il paziente assume. Si formano, dunque, degli acidi che a loro volta procedono nella demineralizzazione dello smalto, cemento o dentina, creando così delle cavità.

Con il termine demineralizzazione si intende lo stadio più importante del processo di carie dentale nel quale i minerali vengono sciolti dalla struttura del dente a causa degli acidi prodotti dai batteri cariogeni. L’acido prodotto dal batteri agisce sulla superficie del dente passando attraverso i microcanali dello smalto. Quando sopraggiungono le demineralizzazioni possono rilevarsi clinicamente delle macchie bianche

Vediamo ora uno schema della sequenza di formazione della carie all’interno del cavo orale:

 schema

Se nella prima metà del ‘900 la gestione della carie dentale prevedeva l’utilizzo di restauri o addirittura l’estrazione di molti denti compromessi (che venivano sostituiti da elementi protesici), il piano di cura odierno prevede un appuntamento con il medico per il restauro.

Negli ultimi anni si è evidenziata una riduzione di questa malattia infettiva correlata principalmente all’uso domiciliare di dentifrici contenenti fluoro, collutori e all’applicazione topica da parte del team odontoiatrico di soluzioni, gel e vernici.

Tuttavia la carie è ancora la maggiore minaccia per la salute e il benessere nella vita quotidiana di adulti e bambini. È necessario quindi che fornire alla popolazione cura ed educazione in modo che la salute dentale sia duratura ed effettuare controlli periodici dall’odontoiatra e dall’igienista dentale per prevenire la formazione delle lesioni dentali.

La prevenzione inizia già ancora prima della nascita del futuro componente della famiglia. La gravidanza, infatti, è una delicata situazione temporanea, che porta ad una serie di cambiamenti fisici e psichici, tra cui una tendenza maggiore a gengivite e parodontite con un maggior rischio di carie e lesioni orali. Si documenta un innalzamento del rischio di carie in queste pazienti a causa dell’aumento del pH dovuto alle nausee, legato all’assunzione di cibi particolarmente ricchi di zuccheri e della minor attenzione alla salute orale. Se nella saliva della madre è, inoltre, presente un elevato numero di patogeni orali, vi è un forte rischio di trasmissione madre-figlio.

Un ruolo fondamentale nella terapia della carie è la figura dell’igienista dentale che ha il compito di istruire e motivare il paziente all’igiene orale corretta e quotidiana controllandone in studio il mantenimento con la profilassi professionale.

Il principio fondamentale di qualsiasi programma di prevenzione è la continuità. Sono dunque necessari controlli e richiami frequenti per monitorare la salute del paziente, per motivarlo nell’utilizzo di corrette tecniche di spazzolamento e per impedire lo sviluppo e l’aggravamento di patologie croniche quali la parodontite o la perimplantite.

Un paziente, prima di terminare la sua seduta di igiene orale, si trova ad affrontare con il proprio igienista dentale le tecniche di spazzolamento e gli strumenti utili per il controllo meccanico e chimico della placca. La tecnica che maggiormente viene consigliata prevede l’utilizzo di uno spazzolino a setole di media durezza che vanno posizionate a livello del solco gengivale, inclinando lo strumento di 45° rispetto all’asse lungo del dente. Si prevedono dei piccoli movimenti vibratori ripetuti 6/7 volte con lo scopo di disgregare la placca batterica, seguiti poi da un movimento semirotatorio in direzione apico-coronale (“a rullo”) ovvero dal rosa della gengiva al bianco del dente. Ogni cavo orale ha la sua conformazione quindi sarà a discrezione dell’igienista dentale scegliere la tecnica più adatta ogni paziente. A prescindere dalla tecnica prescelta bisogna ricordare:

1. La sequenza: si prevede un percorsi che lo spazzolino deve compiere sulle superfici dei denti per non dimenticare di ripulire alcuna zona del cavo orale. Solitamente si insegna ad iniziare inferiormente, esternamente dal molare per andare a terminare al molare del lato opposto; la stessa procedura sarà da effettuarsi internamente e superiormente. A livello masticatorio sono indicati movimenti orizzontali.

2. Frequenza: 3 volte al giorno dopo i pasti principali: colazione, pranzo e cena.

3. Durata: almeno 2 minuti

4. Pressione: attenzione a non eccedere con la pressione perché altrimenti si potrebbero andare a ledere i tessuti molli.

Gli strumenti indicati per una corretta detersione della bocca sono

- Spazzolino (manuale/elettrico/sonico/ortodontico/sulculare/monociuffo/per protesi)

- Filo interdentale

- Scovolino

- Dentifricio

- Collutorio

- Sostanze rivelatrici di placca

Il paziente ortodontico è da considerarsi ad alto rischio di demineralizzazione e carie dentale. Gli apparecchi fissi, in particolar modo, tendo ad ostacolare un’adeguata igiene orale e a favorire la formazione di placca nelle zone dei bracket e delle bande. Per mantenere una buona igiene orale nel paziente ortodontico esistono alcuni presidi che sono fondamentali:

- Spazzolini ortodontici: ideati appositamente con un dislivello centrale delle setole per facilitare la rimozione della placca nelle zone adiacenti ai bracket

- Filo interdentale (superfloss o ultrafloss): caratterizzati da una parte di filo spugnosa che permette la detersione al di sotto delle bande

- Scovolini: utili nella pulizia delle superfici dei denti tra un attacco e l’altro

- Pastiglie rivelatrici di placca: consentono un controllo visivo immediato dell’igiene del cavo orale facendo risaltare eventuali accumuli di placca non detersi adeguatamente

Nei pazienti più piccoli si consigliano, invece, le sigillature dei solchi. Solchi e fessure di molari e premolari sono, per via della loro forma anatomica, l’habitat ideale per la colonizzazione e la crescita batterica (non a caso sono questi i denti più colpiti dalle lesioni cariose). A livello dei solchi lo spessore dello smalto risulta ridotto rispetto a quello delle cuspidi e di conseguenza più vulnerabile agli insulti dei batteri cariogeni. Sempre per motivi anatomici è i solchi sono una zona più inaccessibile e saliva, lingua e spazzolino. Lo scopo di questo procedimento preventivo è quello di creare una barriera fisica, di bloccare l’accesso ai batteri della cavità orale e alle sostanze che li alimentano creando un ambiente acido e sfavorevole. L’igienista dentale durante una seduta utilizza quindi un sigillante, un polimero organico che fluisce nella cavità o nella fessura e aderisce alla superficie dello smalto nel punto di massima profondità senza andare ad interferire con la funzione masticatoria; la maggior parte dei sigillanti è composta da Bis-GMA e le tre tipologie in commercio sono con riempitivo, senza riempitivo e con riempitivo rilascianti fluoro. Tendenzialmente questa operazione viene effettuata a seguito dell’eruzione dentaria dei molari permanenti per proteggere lo smalto ancora poco maturo.

Il fluoro è un altro elemento che viene utilizzato nell’ambito della prevenzione odontoiatrica soprattutto nei bambini per evitare la demineralizzazione dello smalto ne denti decidui. Secondo l’OMS il fluoro è un utile presidio nella prevenzione della carie ed è stata dimostrata la sua maggior efficacia quanto più precoce e duratura nel tempo è la sua assunzione. I principali meccanismi d’azione sono:

1. Inibire il metabolismo batterico attraversando la membrana batterica sotto forma di acido fluoridrico determinando così la diminuzione della loro capacità di adesione al dente

2. Inibire la demineralizzazione dei tessuti duri del dente

3. Facilitare la remineralizzazione dello smalto

L’assunzione di fluoro è consigliata anche alle mamme agli inizi della gravidanza (a partire dal terzo mese) dal momento che avrà affetti sulla dentizione del nascituro.

È possibile trovare il fluoro sia in gel, collutori, vernici e dentifrici (in questo caso si parla di fluoro topico) sia in compresse o gocce da somministrare al paziente (via sistemica).

Anche l’alimentazione influenza la salute del cavo orale condizionando l’insorgenza della carie, lo sviluppo dello smalto e di erosioni dentali

È ormai noto che la carie sia direttamente correlata al consumo di zuccheri semplici; le principali fonti sono: bibite zuccherate, dolciumi, suchi di frutta, zucchero, miele e alcuni tipi di frutta (candita, castagne, uva, fichi…). Dopo aver assunto zuccheri semplici è di estrema importanza lavarsi accuratamente i denti.

Grassi e proteine hanno invece un effetto protettivo. Anche se i grassi hanno un effetto protettivo nei confronti della carie, è comunque consigliabile assumerli con moderazione in quanto il loro eccesso favorirebbe obesità e patologie cardiovascolari. I grassi si trovano soprattutto nel lette, nei latticini, nella panna, nel burro nei formaggi, nella frutta secca ma anche in carni particolarmente grasse, nei salumi, nell’olio e nello strutto. Le proteine sono, invece, contenute in pesci, molluschi, crostacei, latte yogurt, formaggi, uova, carne e legumi. Alcuni legumi sono inoltre alcalinizzati e aiutano quindi a mantenere un corretto equilibrio del cavo orale.

Non bisogna dimenticarsi di frutta e verdura! Esse contengono vitamine, sali minerali e fibre; devono quindi essere sempre presenti nella nostra alimentazione. Consumare frutta e verdura cruda favorisce la masticazione e un’adeguata secrezione salivare che aiuta a mantenere una bocca più pulita.

È fondamentale idratare il nostro corpo bevendo spesso durante il corso della giornata (2 litri al giorno) dal momento che rappresenta il 70% del nostro organismo. È preferibile bere dell’acqua minerale in quanto ricca di minerali tra cui il calcio assai utile ai nostri denti. Le acque italiane sono anche sufficientemente ricche di fluoro

 

Il sole e i suoi segni

Macchie scure, chiazze rosse, bollicine e prurito. Sono le grida d’allarme della pelle: troppo sole, sole sbagliato… Quali sono le cause e le contromisure per un’abbronzatura sicura e invidiabile?

La sfida è quella che si ripresenta ogni anno, fra luglio e agosto: riusciremo a riportare dalle vacanze un’abbronzatura perfetta? Si accorgeranno tutti di quanto ci dona la tintarella, di come accende lo sguardo, fa risaltare il sorriso, cancella le piccole imperfezioni, insomma ci fa “più belle”? Per esibire una pelle dorata, si sa, siamo disposte a tutto: anche a rischiare di danneggiare l’epidermide. Magari costringendola a un’indigestione di sole, che poi pagheremo con la comparsa di macchie, eruzioni cutanee, rossori.

Tutti sintomi che testimoniano che con il sole abbiamo esagerato…
Un bel colorito in breve tempo, senza eritemi o scottature è quello che si chiede ad un buon abbronzante, perché la protezione della pelle è la parola d’ordine anche per chi ama l’abbronzatura più selvaggia…
E, a proposito di solari, raggi, filtri, fototipi (e non solo!) rispondete al test che segue effettuato con la consulenza del Dottor Dario Tartaglini, Direttore Sanitario di BETAR MEDICAL, un Centro Specializzato in Medicina Estetica di Milan. Vi aiuterà a “saperne di più” sull’amata tintarella…

Quando la giornata è nuvolosa non ci abbronza.

FALSO. In una giornata con il cielo nuvoloso, ma abbastanza luminosa è necessario proteggersi lo stesso, magari con un solare a fattore di protezione inferiore al solito, poiché anche attraverso uno strato leggero di nuvole l’irradiazione solare è ugualmente efficace e senza protezione la scottatura è in agguato.

Dall’inizio alla fine delle vacanze, si può usare un solo solare a filtro medio.

FALSO. È un errore tra i più comuni. Ogni tipo di pelle, nei primi giorni di tintarella, ha bisogno di una protezione maggiore per dare tempo alla melanina (la sostanza che produce l’abbronzatura) di salire alla superficie gradualmente. Una volta acquistato il colorito desiderato si può ridurre l’indice di protezione solare.

Ora che disponiamo di solari ad azione idratante, si può fare a meno del doposole.

FALSO. Altro luogo comune da sfatare se volete bene alla vostra pelle. Il doposole non solo rinfresca la pelle, ma restituisce acqua, sali minerali e altri elementi indispensabili per mantenerne l’elasticità e conserva l’abbronzatura più a lungo.

La tintarella ottenuta con le lampade UVA non protegge dai raggi solari.

VERO. Il colore che la lampada UVA regala alla pelle non è una vera abbronzatura e non protegge dagli effetti dei raggi solari. Una volta al mare o in montagna potete già sfoggiare un bel colorito, ma i filtri di protezione sono necessari.

Chi usa le lenti a contatto può prendere il sole senza problemi.

VERO. A patto di usare qualche precauzione: un paio di occhiali con lenti scure, magari del tipo che lascia filtrare i raggi UVA, o un paio di comuni occhialini di plastica (in questo caso si provvede a uniformare le chiazze bianche lasciate dagli occhialini stendendo sulle palpebre pochissima crema autoabbronzante).

Il sole fa bene a chi soffre di acne e brufoli.

VERO. È un’ottima cura solo se ci si espone con la dovuta prudenza: sempre nelle prime ore del mattino e nel tardo pomeriggio con una protezione adeguata (esistono dei solari testati per questo tipo di pelle), per evitare arrossamenti o scottature che potrebbero aggravare l’infiammazione.

Un’abbronzatura selvaggia non ha come conseguenza soltanto qualche giorno di scottatura e un po’ di spellatura.

VERO. Gli effetti di una tintarella scriteriata incidono pesantemente, danneggiando in profondità il derma. Le case farmaceutiche si sono impegnate per mettere a punto prodotti capaci di proteggere l’epidermide e allo stesso tempo consentirci di stare al sole senza patemi. Ma per potercelo permettere, bisogna imparare a muoversi con disinvoltura e competenza tra i diversi filtri solari.

L’eritema solare che provoca rossore, sensazione di calore e pruriti, altro non è che un’indigestione di sole.

VERO. Le cellule cutanee rispondono con una massiccia produzione di istamina (la stessa che interviene nelle reazioni allergiche o nell’asma). Ne conseguono una vasodilatazione e un’irritazione fastidiosa. Per alleviare i sintomi, niente sole per un paio di giorni e uso di pomate antistaminiche leggere, che eliminano il bruciore e il prurito. Sempre il sole può essere il responsabile di una vera e propria reazione allergica, l’orticaria attinica, che provoca macchie rosse, prurito e la comparsa di bollicine.

Le piccole macchie bianche che compaiono sulla cute non sono provocate dal sole, ma da una depigmentazione, cioè dalla mancanza di melanina in alcune parti circoscritte del corpo.

VERO. Il sole, abbronzando regolarmente le zone che hanno una normale produzione di melanina, fa risaltare maggiormente, ma senza peggiorarle, le chiazze di vitiligine. Questo disturbo della pelle è sgradevole a vedersi, ma innocuo. L’unica precauzione da prendere riguarda la protezione dal sole: poiché mancano di melanina, bisogna proteggere le aree colpite, per evitare scottature, con solari a indice di protezione piuttosto alto, meglio ancora se del tipo waterproof.

Pelle sensibile oppure non più giovane. Gli integratori sono utili.

VERO. Assunti con regolarità prima dell’esposizione al sole aiutano la pelle e migliorano la tintarella.

Info: Dottor Dario Tartaglini – Direttore Sanitario BETAR MEDICAL – Studio Polispecialistico di Medicina e Chirurgia – Via Melzi D’Eril, 26 – 20154 MILANO – Tel. 02/36684785/6 info@betarmedical.it – www.betarmedical.it

Stefania Bortolotti

 

Le cure naturali per gli studenti

Studiare, ovvero applicarsi metodicamente su qualcosa, è un’azione che può essere suddivisa in diverse fasi, tra le quali le più importanti sono la conoscenza, la comprensione e la memorizzazione.

Applicarsi sul piano mentale e intellettuale richiede uno sforzo e un notevole impegno psico-fisico; a prescindere dal tipo di studi e dalle modalità individuali, c’è un particolare periodo in cui l’impegno diventa più intenso e approfondito: quello delle prove e degli esami.

Durante queste fasi, anche chi non è predisposto va incontro ad affaticamento e ad un calo della concentrazione a causa dello stress. Lo stress è un fenomeno che rappresenta una serie di eventi psicologici e fisici che causano nell’organismo una reazione di adattamento mirato a preservare il l’equilibrio interno.

I sintomi da sovraccarico da stress (in questo caso dello studente) si manifestano a diversi livelli: neurologico, con ansia, agitazione, crisi di panico; polmonare, con asma, iperventilazione; cardiaco, con tachicardia, irregolarità del battito, ipertensione; gastrointestinale, con nausee, digestione lenta e difficile, crampi, bruciori di stomaco.

L’applicazione mentale nei periodi di studio intenso è un fattore che determina un elevato consumo di energie. Ma l’esaurimento mentale e fisico è legato per lo più al continuo stato di allerta in cui si trova chi studia per obiettivi specifici, come ad esempio per una prova d’esame.

Lo studente che ha l’ansia per l’esame fa dei pensieri catastrofici riguardo all’evento che è in procinto di affrontare; la prova rappresenta una prestazione e il sentimento di apprensione deriva dal timore di essere esposti al giudizio altrui. Proprio da questo pensiero ha origine una tensione irrazionale, che induce lo studente ansioso ad attribuire all’esame un’eccessiva importanza. In tal senso, il voto rappresenta una conferma delle capacità e delle risorse personali e il canale attraverso il quale passa l’approvazione degli altri. Il soggetto non riesce a pensare all’esame associandolo alla sola valutazione scolastica: per questo vive male un possibile esito negativo, che viene confuso con una valutazione sul proprio grado d’intelligenza e sulle capacità individuali.

Questo dialogo interiore che gravita intorno all’ossessione sul risultato, genera un carico difficile da gestire; tutte le energie e le forze destinate alla preparazione, alla concentrazione e alla memorizzazione, vengono sottratte dalla tensione emotiva e dal forte e costante stato di ansia.

OMEOPATIA

Gelsemium  sempervirens 30 CH

Rimedio d’elezione per le paure e le fobie bloccanti che precedono eventi, prove ed esami. Lo studente è timido, insicuro, stanco, angosciato fino alla paralisi e si chiude nel silenzio. Resta in un angolo in attesa della prova ed è infastidito dalle domande. Prima di un esame ha crisi di panico con diarrea emotiva. Il rimedio agisce anche sui sintomi che accompagnano il panico quali tremori, palpitazioni, turbe della memoria, poliuria emotiva, insonnia nei giorni che precedono la prova.
Uso: 3 granuli sublinguali 3-4 volte al dì.

Argentum nitricum30 CH

Ha un’azione simile a Gelsemium e si usa per l’ansia anticipatoria, molto frequente tra gli studenti. Il rimedio è indicato per i soggetti ansiosi, emotivi e ipocondriaci che hanno un’agitazione febbrile. Argentum continua a ripassare prima della prova e teme talmente tanto il momento dell’esame che vorrebbe evitarlo. Tuttavia, a differenza di Gelsemium è meno inibito. La fretta e l’ansia lo rendono inconcludente e la tensione emotiva si accompagna a diarrea, vertigini e gastrite nervosa con eruttazioni.
Uso: 3 granuli sublinguali 3-4 volte al dì.

Aconitum napellus9 CH

Il rimedio agisce sulle crisi di panico improvvise e acute con palpitazioni, tachicardia e affanno e angoscia. Lo studente è fortemente ansioso e fobico.
Uso: 3 granuli sublinguali 3-4 volte al dì.

Ignatia amara 9 CH

Il rimedio si utilizzase l’ansia deriva da una frustrazione e si esprime con uno stato d’animo più definito come irritabilità, angoscia e sensazione di nodo alla gola (bolo isterico che si manifesta nella tarda mattinata). Ignatia ha un’azione sia antidepressiva che calmante. Lo studente si sente agitato, sospira, ha sbalzi d’umore e la notte non dorme per le palpitazioni.
Uso: 3 granuli sublinguali 3-4 volte al dì.

Phosphorus 30 CH

Il rimedio è indicato per gli studenti che accusano una tipica ansia che si accentua nelle ore serali accompagnata da alternanza tra eccitazione intellettuale e depressione con angoscia. Il soggetto è molto vulnerabile e quando si stanca mentalmente e fisicamente si scoraggia fino a perdere la concentrazione, diventando incostante nello sforzo intellettuale. Nei periodi di intenso studio tende a caricare molto stress e ad affaticarsi facilmente. La conseguenza è una forte astenia, soprattutto a ridosso dell’esame.
Uso: 3 granuli sublinguali 3-4 volte al dì.

Phosphoricum acidum 15-30 CH

Si utilizza quando lo studente è fortemente esaurito dall’eccessivo affaticamento intellettuale; è debole, indifferente, taciturno, ha un indebolimento della memoria.
Uso: 3 granuli sublinguali 3-4 volte al dì.

China rubra 7-9 CH

Rimedio utilizzato frequentemente nella cura dell’astenia che compare nei periodi di intenso studio (soprattutto durante l’estate), quando il soggetto è sovraeccitato a livello mentale e dorme poco la notte. I sintomi di China hanno un andamento ciclico. L’insonnia è una causa importante dell’astenia degli studenti che tendono a passare notti in bianco o a sostenere frequenti veglie notturne. Il sintomo è aggravato dal consumo di sostanze eccitanti (tè e caffè) volte a combattere la stanchezza e ad aumentare la concentrazione. La scarsa qualità del sonno determina irritabilità, calo dell’attenzione, lentezza, difficoltà nell’apprendimento e nella memorizzazione.
Uso: 3 granuli sublinguali 3-4 volte al dì.

Nux vomica 15-30 CH

Rimedio utile quando lo studente nei periodi di impegno intenso ha un’alimentazione sregolata; spesso mangia davanti al pc o sui libri e abusa di sostanze eccitanti e stimolanti per sostenere la fatica. Nux vomica agisce come un antistress e cura sintomi quali le nausee, la diarrea alternata a stipsi ostinata, sonnolenza dopo i pasti e malessere gastrico con sensazione di “pietra sullo stomaco”.
Uso:
3 granuli sublinguali 3-4 volte al dì.

Baryta carbonica 15-30 CH

Rimedio indicato sia nel bambino che nell’adulto. Nel primo caso lo sviluppo intellettivo è tardivo: il bambino ha scarsa memoria, torpore mentale che blocca la concentrazione e difficoltà di apprendimento. Spesso i progressi scolastici si fermano per scarsa applicazione o per problemi legati alla dislessia. Nell’adulto il rimedio si utilizza efficacemente per difficoltà di concentrazione, perdita di memoria, confusione mentale e deficit intellettivo. Il soggetto Baryta carbonica è molto infantile e timido, ha scarsa fiducia in se stesso e difficoltà a relazionarsi con gli altri in modo sereno.

Nota: Tutti i rimedi elencati vanno presi in maniera preventiva prima della prova per almeno due volte al giorno e il giorno stesso dell’esame, al bisogno e con maggiore frequenza.

SALI DI SCHÜSSLER

Kalium phosphoricum D6 (fosfato di potassio)

Il rimedio agisce principalmente sul sistema nervoso e la mente. Si utilizza negli esaurimenti mentali e fisici causati dall’eccessivo sforzo mentale che determina una riduzione delle capacità di concentrazione e memorizzazione. L’affaticamento è accompagnato da cefalea, vertigini, spossatezza, angoscia e abbattimento. E’ presente anche insonnia da iperattività mentale con sonnolenza diurna. Uso: 1 o 2 compresse sublinguali, 2 o 3 volte al dì.Nei bambini fino a 10 anni utilizzare metà dose.


FITOTERAPIA

Eleuterococco (Eleutherococcus senticosus Maxim) TM

Noto anche come ginseng siberiano, viene spesso erroneamente confuso con il Panax Ginseng. Pianta adattogena, antistress e immunostimolante, è molto utilizzata come tonico psico-fisico in caso di astenia e stanchezza, ridotto rendimento, difficoltà di concentrazione e convalescenze

La sua azione ottimale si esplica a livello dell’asse ipotalamo-ipofisi-ghiandole surrenali che si traduce in un aumento della resistenza dell’organismo agli stimoli stressanti; inoltre favorisce la memoria e le funzioni cognitive.
Uso: 20-30 gocce di TM 1-2 volte al dì in poca acqua, al risveglio.
Controindicazioni: per la sua azione cardiotonica è controindicato in caso di ipertensione, tachicardia, aritmia. Non somministrare in caso di diabete e febbre.
Effetti collaterali: l’utilizzo della pianta ad alti dosaggi e per periodi prolungati provoca insonnia, tremore alle mani, irritabilità ipereccitabilità e cefalea.
Raccomandazioni: l’Eleuterococco interagisce con i contraccettivi orali, con gli steroidi, con gli anticoagulanti, gli antibiotici e i sedativi. Non somministrare nelle ore serali, ai bambini, in gravidanza e in allattamento. Assumere solo dietro consiglio medico.

Rodiola (Rhodiola rosea L.)

Questa pianta, il cui nome deriva dai fiori gialli che emettono un odore simile a quello della rosa, è un concentrato di virtù: adattogena, energizzante e rinvigorente, antidepressiva e antistress; stimola le performance fisica e mentale, modula l’umore e aiuta la ripresa in caso di spossatezza legata a periodi di vita intensi e faticosi. Grazie alla sua capacità di innalzare i livelli di serotonina nel sangue, è particolarmente efficace per contrastare gli effetti nocivi del cortisolo, prodotto dai surreni in caso di stati di stress. Ottima pianta per gli studenti perché ha un’azione tonica e stimolante delle funzioni mentali, della concentrazione, della lucidità e della memoria, grazie alla capacità di indurre un aumento dei livelli di due importanti neurotrasmettitori: dopamina e noradrenalina.

Uso: da 180 a 300 mg pro dose di estratto secco, 1-2 volte al giorno,da assumere sotto forma di compresse o capsule, suddivisa in due dosi, una al mattino al risveglio e l’altra nel primo pomeriggio. Evitare la somministrazione nelle ore serali.
Controindicazioni:
non somministrare in gravidanza, allattamento e ai bambini.
Interazioni:
non assumere la Rodiola in associazione con antidepressivi, ansiolitici e barbiturici.
Effetti collaterali: la somministrazione di alte dosi per periodi prolungati può provocare irritabilità e insonnia.Assumere solo dietro consiglio medico.

Guarana’ (Paullinia cupana H.B. Kunth)

Il Guaranà, pianta originaria dell’Amazzonia, è utilizzata per le sue proprietà stimolanti e toniche del sistema nervoso centrale. I principi attivi che caratterizzano questa pianta sono le metil-xantine, ovvero la caffeina e la teofillina, le stesse contenute nel tè e nel caffè. E’ un rimedio molto indicato per gli studenti, soprattutto prima degli esami, poiché stimola le funzioni celebrali, l’attività intellettuale e combatte stanchezza e debolezza. E’ impiegata efficacemente anche in caso di emicranie da sforzo intellettivo e nelle nevralgie. Uso: 400 mg pro dose di estratto secco, 1-2 volte al giorno.
Tintura madre: 20-40 gocce in poca acqua, 1-2 volte al giorno. La posologia consigliata non deve superare i 9 mg di caffeina al giorno, per non più di 45 giorni consecutivi di trattamento.
Controindicazioni: non somministrare in gravidanza e allattamento, nei bambini e nei soggetti con ipertensione arteriosa, stati ansiosi, cardiopatie, ipertiroidismo, ulcera peptica, ernia iatale.
Effetti collaterali: la somministrazione di alte dosi può provocare ipereccitazione, palpitazioni, nausea, diarrea, ansia e nervosismo. Raccomandazioni: non assumere Guaranà dopo o durante i pasti, nelle ore serali e in concomitanza con caffè e tè. Assumere in associazione con altri farmaci solo dietro consiglio medico.

Ginko Biloba (Ginko biloba L.)

E’ una delle più antiche piante conosciute e il suo nome, biloba, deriva dalla conformazione delle foglie divise in due lobi (bilobate). Il Ginko ha un’azione specifica sui vasi della circolazione venosa e arteriosa e sul microcircolo celebrale, vestibolare e distale; aumenta la vascolarizzazione dei tessuti e attiva il metabolismo energetico. Viene utilizzata per gli studenti e per l’applicazione mentale per la sua capacità di migliorare l’attività dei trasmettitori chimici del cervello, potenziando l’apprendimento, la memoria, l’acutezza mentale e l’abilità cognitiva.
Uso: 20-30 gocce di TM in poca acqua 1-2 volte al giorno, lontano dai pasti. Estratto secco: da 20 a 30 mg pro dose, 2 volte al giorno. Controindicazioni: non somministrare in gravidanza, allattamento e durante le mestruazioni.
Effetti collaterali: l’assunzione può provocare irritabilità, insonnia, diarrea cefalea, allergie, disturbi gastrointestinali.
Interazioni: il Ginko interagisce con anticoagulanti, antiaggreganti, contraccettivi orali, steroidi, sedativi ansiolitici, IMAO (antidepressivi). Non utilizzare in associazione con aglio, salice e vitamina E.
Raccomandazioni: è sconsigliata l’assunzione nel tardo pomeriggio o di sera poiché il Ginko può provocare insonnia ed aumentare l’eccitabilità nervosa e mentale. Assumere solo dietro consiglio medico.

Per l’ansia e tensione emotiva che interferiscono su concentrazione, assimilazione e memorizzazione:

MELISSA (Melissa officinalis L.) TM

Grazie alla sua azione tranquillante e antispasmodica, interviene in caso di ansia e preoccupazione per lo studio accompagnata da disturbi del sonno, palpitazioni, cefalea e somatizzazioni dello stress a livello dell’apparato gastrointestinale (dispepsia, gastralgie, colon irritabile). La Melissa dona benessere e tranquillità rilassando il Sistema Nervoso Centrale.
Uso: 20-30 gocce di TM in poca acqua 1-2 volte al giorno.
Controindicazioni: non somministrare in presenza di ipotiroidismo, terapia con ormoni tiroidei e nei soggetti affetti da glaucoma. Assumere in gravidanza, allattamento e in associazione con altri farmaci solo dietro consiglio medico.

Per l’insonnia legata all’agitazione per gli esami e le prove:

PASSIFLORA (Passiflora Incarnata L.) TM

Il rimedio è utile per gli stati d’ansia, per le palpitazioni, il nervosismo e lo stress che accompagnano lo studio e precedono gli esami. Negli studenti è indicata soprattutto per i disturbi del sonno legati alla tensione nervosa poiché la Passiflora, grazie alla sua azione sedativa e lievemente ansiolitica, non crea sonnolenza al risveglio e non procura dipendenza o assuefazione.
Uso: 20-30 gocce di TM in poca acqua prima di dormire.
Controindicazioni: non assumere in gravidanza e allattamento, in associazione con ansiolitici ed antidepressivi, psicofarmaci in generale, sonniferi e alcol.
Effetti collaterali: nausea, vomito, vertigini; in caso di sovraddosaggio si può verificare un effetto paradosso. Non somministrare nei soggetti ipersensibili o allergici. Assumere solo dietro consiglio medico.

GEMMOTERAPIA

Betulla (Betula verrucosa semi) MG 1 DH

Il macerato glicerico ricavato dai semi della Betula verrucosa ha un’azione tonica e stimolante a livello delle funzioni intellettive. Si utilizza efficacemente per le turbe della memoria, per l’astenia mentale, sia nell’anziano che nel giovane, e nelle difficoltà di concentrazione. E’ consigliata agli studenti nei periodi che precedono gli esami.
Uso: 30-40 gocce di MG in poca acqua al risveglio. Iniziare circa 30 giorni prima di prove o esami.
Controindicazioni: non somministrare in gravidanza, allattamento, nei soggetti con edemi, ridotta funzionalità cardiaca e renale e in presenza di allergia ai salicilati (ad es. Aspirina).
Interazioni: il rimedio interferisce con l’assunzione di FANS, diuretici, ipotensivi, anticoagulanti, antiaggreganti piastrinici, barbiturici e altre sostanze psicoattive, sedativi, ansiolitici e antidepressivi.
Effetti collaterali: può provocare fenomeni allergici. Assumere solo dietro consiglio medico.

OLIGOTERAPIA

Manganese- Cobalto (Mn-Co)

I due oligoterapici agiscono in sinergia per trattare tutti i sintomi causati da distonie neurovegetative. Sono molto indicati per il soggetto ansioso, emotivo, astenico che soffre di cali di memoria e scarsa concentrazione a causa di ansia e stress. Il sonno è poco ristoratore, spesso con risvegli notturni. I sintomi sono quelli tipici della diatesi distonica: infiammazioni, disturbi cardiocircolatori, pesantezza agli arti inferiori, colite, ulcera gastro-duodenale, eczemi, herpes.
Uso: 1 fiala sublinguale a giorni alterni.

Dott.ssa Marta Chiappetta
Operatrice olistica
Web content
poesisnet@gmail.com

Dott. Rocco Carbone
Farmacista e Naturopata
www.naturafelicitas.it

 

 

La calendula

CALENDULA (Calendula Officinalis), famiglia delle Asteraceae.

Pianta biennale che cresce spontaneamente soprattutto lungo i cigli delle strade assolate o nei campi aperti fino a 600 m. di altitudine
È più diffusa nell’ Italia meridionale.

Ci sono due diverse ipotesi di origine del nome “calendula”
Una la fa derivare dal Latino  “calendae”, cioè “primo giorno del mese”, a indicare che fiorisce il primo giorno di ogni mese per tutto l’anno.
L’altra ipotesi è che derivi da “calendario”, poiché segna il ritmo del giorno aprendosi al mattino e chiudendosi al tramonto.

Fiore: è una infiorescenza a capolino cioè composta da un insieme di piccoli fiori compatti tra loro.  compaiono a maggio e novembre con colore variabile dal giallo all’arancione
Sono commestibili, con gusto amarognolo e leggermente salato; i petali si possono mangiare in insalata o canditi, i boccioli si usano come sottaceti

Foglie: lanceolate a margine intero o leggermente dentato, prive di picciolo, leggermente acuminate all’apice e di un bel colore verde chiaro.

Frutti: acheni di forme diverse: quelli posti più esternamente sono arcuati e con il dorso dentato, quelli medi hanno ali laterali e con una forma che ricorda una barca, quelli più interni ricordano dei lombrichi in quanto stretti e lunghi.

Fusto: ramificato e ricoperto da peluria

Radice: a fittone

Semi: numerosissimi e piccolissimi, germinano dopo due mesi dalla semina

Droga: le parti utilizzate in medicina sono i fiori e talvolta le foglie

Principi attivi:  oli essenziali con potente azione antinfiammatoria,  resine, acidi grassi, acido salicilico, saponina, carotenoidi, , triterpeni pentaciclici, flavonoidi, polisaccardi, fitosteroli e mucillagini.

Indicazioni terapeutiche:

- antinfiammatorie del decotto (mal di gola, gengiviti, punture di insetti, prurito, tosse ecc)
- anticoagulanti
- cicatrizzanti dell’ olio ( per ripulire piccole ferite o punti colpiti da herpes zoster)
- emollienti  dei prodotti cosmetici  (pelle secca, eritema, verruche)
- regolatorie di tintura madre e macerato glicerico,  nelle  mestruazioni disfunzioni dell’apparato genitale femminile, (aumenta le mestruazioni scarse e diminuisce quelle abbondanti).
- anti zanzare: infatti le zanzare non ne sopportano l’odore.