E’ mia opinione che chi si occupa di Sessuologia dovrebbe sempre dedicare la prima parte del suo intervento ad identificare qual’è l’ atteggiamento culturale ed educativo di chi ha di fronte e partire da lì.
Ancora poco tempo fa, chi soffriva di disturbi psichici (fossero anche semplicemente di natura nevrotica) si rivolgeva raramente ed in casi estremi allo psichiatra o allo psicanalista: preferiva recarsi da un neurologo perché ciò gli confermava indirettamente di soffrire di un disturbo prevalentemente organico e che, su questa base, sarebbe stato affrontato e risolto. La stessa cosa avviene ancora oggi nei confronti del sessuologo cui si accede come estrema ratio, superando con fatica il disagio di varcare la porta del suo studio.
Quando una persona che ha un problema sessuale si presenta al proprio medico di famiglia o al ginecologo (se donna), la richiesta di “aiuto” è sempre mascherata da altre richieste o viene presentata per ultima, quasi per caso. Questa della sofferenza è una caratteristica comune a tutti coloro che presentano disturbi psicosessuali: un soggetto che soffre a causa di un disturbato del comportamento sessuale soffre proprio perché lo giudica inadeguato e ciò incide sempre di più nella valutazione di sè e questo rende sempre più inadeguato quel comportamento. Si instaura cioè un circolo vizioso tale che certi atteggiamenti, dirette conseguenze del sintomo, finiscono proprio per rafforzare il sintomo stesso.
D’ altra parte i vari disturbi sessuali sono caratterizzati da profili anamnestici e da storie individuali di sviluppo che possono presentare delle analogie legate, ad esempio, al fatto che la sessualità appare come un’ area debole del sistema che cede prima di altre, ma sono in genere sostenute da esperienze individuali del tutto opposte (caratterizzate ad esempio da ansia, rabbia, colpa, depressione, ecc) nei confronti di uno stesso obbiettivo (che potrebbe essere l’ atteggiamento nei confronti delle donne). Comune è soltanto il meccanismo etiopatogenico che, ad esempio, in caso di impotenza erettiva maschile è dovuto ad un’iperattivazione del sistema nervoso simpatico che finisce per antagonizzare il sistema parasimpatico responsabile della vasodilatazione e, quindi, in ultima analisi dell’ erezione.
Gli esami che si potrebbero fare sono numerosi (sia per l’uomo che per la donna) ma ciò che preme sottolineare è che colui che soffre di un disturbo sessuale venga messo dal terapeuta sessuale nelle condizioni di comprendere che psiche e soma sono un’ unità imprescindibile e che solo armonizzando queste due componenti è possibile affrontare la soluzione del proprio disagio.
Da questo punto di vista il medico sessuologo ha forse una marcia in più rispetto, ad esempio, allo psicologo o allo psicoterapeuta: la possibilità di visitare, di esaminare, di richiedere indagini diagnostiche da interpretare, dà al o alla paziente (o alla coppia) la garanzia di avere o non avere un disturbo organico. Tale valutazione richiede un periodo di tempo durante il quale il/i soggetti interessati hanno modo di capire se si trovano di fronte alla persona giusta oppure no, se accettare il “contratto terapeutico” che viene proposto oppure no: questo è estremamente importante per la soluzione del problema, indipendentemente dalla causa e dalla metodologia di intervento adottata.
In una società “miracolistica” come la nostra, dove sembra esserci una soluzione tecnica per tutto (e subito), comprendere che, ad esempio, dietro un’impotenza erettiva, un’eiaculazione precoce, un’impossibilità a raggiungere l’orgasmo ci stanno senza dubbio fattori di ordine nervoso, vascolare, biochimico, endocrino, ecc. ma anche la propria educazione, la propria storia personale, la propria relazione di coppia è fondamentale per superare il problema. Nel contempo bisogna comprendere che non esiste sempre la pillola che fa “guarire” presto e bene, che spesso non si può medicalizzare tutto, ma che ogni tanto occorre fermarsi a riflettere un po’ su noi stessi, sulla nostra vita, sulle nostre relazioni con gli altri, sulle nostre prospettive. Ricordo un paziente che venne da me per un problema di eiaculazione precoce, presente da molto tempo ma che si era accentuato negli ultimi tempi; la descrizione che egli faceva della sua vita sembrava giustificare pienamente il disturbo: professione impegnativa che si era accresciuta ultimamente di nuove responsabilità, conflitti con i figli adolescenti, incomprensioni sul lavoro con i propri superiori, pochi periodi di riposo durante l’anno, ecc. A questo andava aggiunto l’uso eccessivo di tabacco, il ricorso a numerosi caffè, una preoccupante (per lui) ipercolesterolemia non giustificata dalla dieta. I colloqui condotti dapprima con lui e poi insieme alla moglie dimostrarono che egli, in pratica, viveva “di corsa”; la sua giornata “doveva” essere piena, non esisteva spazio per fermarsi a riflettere, per tirare il fiato, per tenere un po’ di tempo per sè: pochissimo tempo in bagno al mattino, velocissima colazione, spostamenti rapidissimi in auto, pranzi e cene rapidi e senza gusto. Anche il rapporto di coppia, che veniva da entrambi descritto come molto buono, si rivelò, ad un maggiore approfondimento, problematico: i “gusti” di entrambi si rivelarono molto diversi in termini di interessi culturali, di metodi educativi dei figli, di tempo libero e, ovviamente, di sesso. Il difetto reale stava nella difficoltà di comunicare con franchezza, a verbalizzare ciò che era racchiuso nel cuore o nel cervello, ad esprimere con naturalezza ciò che si desiderava o si sarebbe desiderato dall’altro. Per la cronaca si dirà che in un periodo di tempo non troppo lungo, il problema di lui fu superato ma non senza migliorare prima la relazione di di coppia. Non sempre queste storie finiscono bene, ma spesso ciò accade.
Tutto dipende dalla “ricetta” che si segue: un insieme ben amalgamato di ingredienti spesso difficili da riconoscere e da descrivere ma in grado di raggiungere l’obbiettivo.
pubblicazione del 1994