LA MENOPAUSA

Se questa considerazione la si estende, pur con le dovute differenziazioni all’intero pianeta si può avere un’idea di ciò che la menopausa rappresenta e rappresenterà in termini medici, sociali, politici ecc. (si calcola che nel 2000 circa 700 milioni di donne si troveranno in questa fase della vita). 

Dal punto di vista definitorio l’Organizzazione mondiale della Sanità ha indicato col termine di pre­menopausa quel periodo caratterizzato da disordini metabolici ed endocrinologici e dalle modificazioni fisiche che precedono la “menopausa” vera e propria che sarebbe identificabile con l’ultima mestruazione registrata (e quindi definibile soltanto a posteriori).
Col termine di perimenopausa si indica invece quel periodo che inizia con le prime modificazioni endocrine, biologiche e cliniche e termina circa 12 mesi dopo con la cessazione permanente delle mestruazioni.
Infine la postmenopausa è quel periodo che segue la menopausa.
Occorre infine distinguere la menopausa spontanea da quella indotta che può essere chirurgica (dovuta cioè all’asportazione delle ovaie con conservazione o meno dell’utero) o non chirurgica (es. da radiazioni, da chemioterapici ecc.).
L’età media attuale della menopausa oscilla intorno ai 50-52 anni e, al contrario di quanto si riteneva fino ad alcuna anni fa, fattori come l’età della prima mestruazione, il numero di figli o l’età dell’ ultimo parto, non sembrano influenzare minimamente l’età della menopausa mentre fattori come lo stato civile o il fumo anticiparla ed altri come l’obesità, ritardarla.
E’ infine un dato acquisito che l’età menopausale sia simile in membri dello stesso nucleo familiare.

FISIOLOGIA ED ENDOCRINOLOGIA DELLA MENOPAUSA
La caratteristica fondamentale del fenomeno menopausale è costituita dall’esaurimento funzionale dell’età ovarica.
Poiché le gonadotropine ipofisarie (FSH e LH), le quali hanno normalmentelo scopo di stimolare l’ovaio alla produzione ormonale che gli è propria (estrogeni, progesterone e, in minor misura, androgeni), sono correlate all’attività ovarica attraverso un meccanismo di retroregolazione positivo e negativo al fine di garantire una sorta di “omeostasi”, di equilibrio ormonale, con la menopausa accade che tale sistema venda messo in crisi. Infatti il progressivo esaurimento funzionale dell’attività ovarica determina una minor produzione ormonale il che induce un altrettanto progressivo aumento della produzione di gonadotropine (soprattutto di FSH). Tutto ciò finisce col provocare irregolarità dei cicli con modificazione di ritmo, quantità e durata.
Quando la produzione estrogenica scenderà al di sotto di determinati livelli, scatterà un’ aumentata conversione periferica di androgeni (specie androstenedione) in estrogeni a livello principalmente del tessuto adiposo e, in minor misura, di muscolo, rene, fegato e cervello.
Tutto ciò ha lo scopo di surrogare in parte la deficitaria produzione estrogenica ovarica; ecco perchè, in genere, donne che giungono alla menopausa un po’ in sovrappeso (e quindi con un tessuto adiposo più abbondante) accusano meno disturbi soggettivi ed oggettivi tipici di questa condizione e che prenderemo in esame tra poco.

CLINICA DELLA MENOPAUSA
Possiamo suddividere i sintomi clinici che contraddistinguono la menopausa in tre gruppi principali.
a) sintomi neurovegetativi: fra questi meritano di essere sottolineate le vampate ci calore che sono presenti in almeno il 70% dei casi. Esse hanno una durata variabile ( da qualche secondo a qualche minuto), sono stimolate in genere dal caldo e dallo stress, sono più frequenti nella notte e nel 75% dei casi si esauriscono in 1 anno o poco più.
Complessa è la loro etiopatogenesi: basterà ricordare che, di base, vi è una accentuata attività di sistemi neuroendocrini e neurotrasmettitoriali che modulano sia l’attività dei centri termoregolatori che quella dei centri deputati alla regolazione della funzione riproduttiva.
Altri sintomi di natura neurovegetativa sono costituiti dalla sudorazione (65% dei casi), parestesie (57%), palpitazioni (55%), cefalee (43%) vertigini (38%), precordialgie (22%)
b) sintomi di natura psicologica: tra questi ricorderemo principalmente l’ansia e l’irritabilità (64% dei casi), la depressione (44%) e l’insonnia (44%) seguiti da disturbi di minore importanza come la perdita di concentrazione, la labilità dell’umore, l’astenia ecc.
c) sintomi di natura distrofica o degenerativa: a questo proposito bisogna ricordare che un po’ tutto il distretto cutaneo risente delle modificazioni endocrine e biochimiche della menopausa.
Vi è un assottigliamento dell’epidermide, una riduzione dell’attività delle ghiandole sebacee e sudorifere, con conseguente secchezza della cute e maggiore vulnerabilità ai traumatismi.
Per quanto riguarda le mucose vanno ricordate una fastidiosa sensazione di “bocca asciutta” ed una progressiva modificazione del timbro della voce.
Ma le modificazioni più evidenti, forse, le troviamo proprio a livello dell’apparato genitale esterno ed interno.
A livello vulvare si nota un assottigliamento della cute e sottocute, diradamento dei peli, rimpicciolimento delle grandi labbra e, in epoca più avanzata, scomparsa delle piccole.
A livello della vagina si va incontro ad un suo accorciamento con progressiva obliterazione di fornici.
Riduzione delle dimensioni riguardano anche utero, tube e ovale.
Infine la perdita di tono del tessuto elastico della zona perineale predispone a modificazioni anatomiche di vescica, retto (cistorettocele), ed incontinenza urinaria, cistiti atrofiche, uretriti ecc.

CONSEGUENZE CLINICHE A LUNGO TERMINE
Sono rappresentate da:
a) osteoporosi
b) malattia aterosclerotica
c) neoplasie dell’endometrio e della mammella.

Osteoporosi: l’etiopatogenesi di questa condizione è piuttosto complessa per cui potremo così schematizzarla.
La ridotta produzione di estrogeni riduce. la sintesi dell’idrossilasi renale che trasforma la vitamina D nel suo metabolita attivo (1,25 idrossivitamina D) che A SUA volta, è importante costituente della calcium binding protein utile all’assorbimento del calcio a livello intestinale.
Tutto ciò, riducendo l’assorbimento del calcio nell’intestino, porta ad una sua minore fissazione a livello osseo; inoltre, per compensare il ridotto tasso di calcio circolante nel sangue, si verifica una aumentata ricettività tessutale del paratormone (PTH) che determina un accresciuto rimaneggiamento dell’osso che diventa così meno compatto e più fragile.
Tutto questo, unitamente ad una ridotta increzione di calcitonina (ormone che inibisce il riassorbimento osseo) è alla base dell’osteoporosi postmenopausale.
Ovviamente intervengono anche altri fattori quali la razza (le donne di colore, ad esempio, sono meno esposte), l’anamnesi familiare positiva, la mancanza dell’effetto protettivo dovuto all’esposizione ai raggi solari, gli squilibri alimentari, fumo, caffè (più di 5 tazze al giorno), alcool, e soprattutto la ridotta attività fisica.
Quello che comunque ci preme ricordare è che l’osteoporosi è alla base non soltanto di sindromi dolorose spesso associate a situazioni artrosiche ma soprattutto di pericolose fratture patologiche: si calcola che il 25% delle donne dai 60 anni in avanti vanno incontro a fratture spontanee patologiche (soprattutto del collo del femore e della colonna vertebrale).

Malattia aterosclerotica: è ormai conoscenza piuttosto diffusa il fatto che il colesterolo risulta essere costituito da 2 frazioni trasportate nel sangue da due differenti tipi di proteine per cui si distingue l’ HDL colesterolo (che sembra avere una funzione più protettiva sulla parete vascolare) e l’ LDL colesterolo (che sembra esercitare un’azione più dannosa, aterosclerotica appunto sui vasi).
Ebbene, è stato dimostrato che gli estrogeni eserciterebbero un ruolo protettivo nei confronti della malattia aterosclerotica proprio in virtù del fatto che innalzerebbero la quota di HDL a scapito dell’ LDL colesterolo. In menopausa, come è ovvio intuire, avverrebbe esattamente il contrario la carenza di estrogeni determinerebbe , di conseguenza, un aumento della frazione aterogena del colesterolo.
A ciò si aggiungerebbero altri due fattori: una ridotta produzione di Prostaglandine, sostanze che, tra le molteplici attività, esercitano anche una azione vaso-dlatatrice ed antiaggregante piastrinica, ed aumentata increzione di cortisolo e TSH con conseguenti alterazioni del metabolismo glucidico. Tutto ciò però non sembra spiegare in modo completo e certo, almeno in base a recenti studi epidemiologici, la patogenesi della malattia arteriosclerotica e delle sue conseguenze cardio- vascolari.
Senza dubbio grande attenzione meritano anche altri fattori di rischio quali diabete, ipertensione, obesità, fumo, dislipidemia.

Neoplasia dell’endometrio e della mammella.
Tali possibili conseguenze cliniche sono legate all’eccesso relativo degli estrogeni. Durante la menopausa, come abbiamo visto, aumenta la conversione periferica degli androgeni in estrogeni. L’estrogeno che circola in più alte concentrazione è l’estrone solfato che, entrato nelle cellule endometriali, viene convertito in estradiolo la cui successiva metabolizzazione è inibita dal deidro-epiandrosterone (DEA) per cui permane in attività più a lungo che di norma. Ciò spiega anche perchè donne obese hanno una percentuale di rischio maggiore di sviluppare neoplasie endometriali e mammarie.
Altro fattore importante è la dieta e, in particolare, la quota di verdure presenti nella dieta; infatti la dieta vegetariana riduce l’assorbimento degli estrogeni a livello intestinale, dove vengono eliminati in quantità due- tre volte superiori a quelli eliminati dalle donne onnivore.

TERAPIA
Attualmente lo specialista ginecologo ha la possibilità di orientarsi con maggior facilità e precisione di un tempo, nel panorama farmacologico. Infatti oggi è possibile un approccio terapeutico molto più “personalizzato” ai problemi indotti dalla situazione menopausale.
Per semplificare possiamo distinguere tre momenti terapeutici
Durante una prima fase caratterizzata da una condizione di iper- estrogenismo relativo alla ridotta produzione di Progesterone,la scelta farmacologica più adeguata può essere quella di ricorrere alla somministrazione di associazioni estro-progestiniche a basso dosaggio oppure di un progestinico che incida in scarsa misura sul metabolismo lipidico.
Durante le due successive fasi di ipo-estrogenismo e poi di definitiva carenza di produzione estrogenica, (per agire soprattutto sui disturbi di natura vegetativa, psicologica e distrofica) si può ricorrere a prodotti ormonali per via generale o locale oppure a prodotti non ormonali (veralipride bromocriptina) quando le condizioni generali lo consentano.
Cicli di trattamento con estrogeni coniugati sono consigliati in casi più particolari, a seconda dell’ entità della sintomatologia obbiettiva e soggettiva.
Altre frecce sono presenti nella faretra del ginecologo che voglia e sappia affrontare con attenzione, esperienza e buon senso i problemi legati alla menopausa soprattutto in considerazione delle sue conseguenze future, ma qui il discorso si fa tecnico e non più divulgativo.
Quello che ogni donna che entra in questa delicata fase della vita deve ricordare è che un controllo specialistico è sempre opportuno anche se le buone condizioni generali, apparentemente, non lo giustificherebbero.

Sandro VIGLINO
Ginecologo
Pubblicazione Ottobre 1990

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