Bisogna tener presente infatti che durante la gravidanza avvengono profondi cambiamenti del sistema cardiovascolare materno e che non è facile definire con precisione il punto limite in cui questi cambiamenti possono essere considerati ancora normali o già patologici.
Per questo motivo esistono numerose classificazioni in cui le differenze vertono essenzialmente sui valori di pressione arteriosa (diastolica e sistolica) da considerare come elevati, e sulla possibilita’ o meno di associare la perdita di proteine nelle urine e la presenza di edemi nella sindrome pre-eclamptica .
In un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è stato proposto, sulla base di dati clinici epidemiologici, il valore di 90 mmHg di pressione minima come punto di separazione tra gravidanza normale ed ipertensione gravidica.
Occorre tenere inoltre presente che la gravidanza di per sè provoca inizialmente un abbassamento dei valori pressori, e quindi se 90 mmHg può essere considerato un valore limite corretto nella seconda metà della gravidanza, non può esserlo nelle prime 20 settimane, in cui la diastolica può essere fisiologicamente anche di 15 mmHg.
Il secondo segno importante, rilevabile in presenza di disturbi di tipo ipertensivo in gravidanza è la perdita di proteine attraverso le urine.
Anche se non è inusuale riscontrare una modesta quantità di proteine nelle urine della gravida, proprio perché i già citati cambiamenti nell’assetto circolatorio, presenti anche a livello renale, rendono possibile questa evenienza, facilitata dallo stare molto in piedi e dal maggior peso.
Quindi se si riscontrano proteine nelle urine, prima di allarmarsi, è bene fare una successiva verifica, raccogliendo le urine prodotto nell’arco delle 24 ore: in questo caso valori non superiori ai 300 mg sono da considerare ancora normali, altrimenti siamo in presenza di un eccesso di perdita proteica.
Altri segni della patologia possono essere la comparsa di edemi e l’eccessivo aumento di peso.
Bisogna tuttavia tener presente che la presenza di edemi non è facile da valutare e che la comparsa dei singoli segnali isolatamente non deve allarmare; inoltre è sempre solo il medico che è in grado di valutare se si è veramente in presenza di una gravidanza a rischio.
Sono da considerarsi a rischio le gravidanze in presenza di :
-disturbi renali della gravida o di parenti stretti
-diabete
-prima gravidanza
-età avanzata della gravida
,-pre-eclampsia nella precedente gravidanza
Infatti la molteplicità e la sfaccettatura con cui si presentano i vari fattori in gioco, la non ancora completa conoscenza delle cause che conducono a questa patologia non rendono semplici diagnosi e profilassi.
Negli anni passati qualche tentativo di cura è stato fatto, ma con scarso successo.
Si pensava che potesse essere utile ridurre l’apporto di sale, si sono impiegati diuretici, sono stati utilizzati anticoagulanti quali eparina e suoi derivati, ma il risultato non è stato soddisfacente.
Si è pensato quindi di attuare una profilassi che si basi essenzialmente su una diagnosi precoce ed un attento monitoraggio della gravida.
Negli ultimi anni così si è fatto qualche passo avanti anche nella comprensione dei meccanismi fisiopatologici che sono alla base del disturbo.
E’ stato così evidenziato l’evento scatenante: uno squilibrio della normale produzione di due sostanze, il trombossano (aggregante piastrinico e vasocostrittore) e la prostaciclina (potente vasodilatatore e inibitore dell’ aggregazione piastrinica.
Durante la gravidanza normale aumenta la sintesi di entrambi e quindi l’equilibrio viene mantenuto.
Viceversa nella gravidanza complicata da ipertensione si verifica uno squilibrio, con aumento di trombossano e diminuzione di prostaglandina.
Queste sostanze derivano entrambe dall’acido arachidonico attraverso l’azione dell’enzima cicloossigenasi.
Si è scoperto che l’acido salicilico, la comune aspirina, è in grado di bloccare la cicloossigenasi e, se somministrato a basse dosi, può agire selettivamente sopprimendo solo la produzione di trombossano senza interferire con quella della prostaglandina.
Si è così verificata l’efficacia di un trattamento con aspirina a basso dosaggio (60 mg/giorno), iniziato a partire dalla 28 settimana, in primipare che presentavano ancora pressione normale, ma giudicate a rischio.
Si è così giunti a ridurre a metà i casi di ipertensione in gravidanza e di conseguente ritardo nella crescita intrauterina.
Uno studio analogo viene proposto anche dall’Istituto Mario Negri , in collaborazione con diversi Centri di Ostetricia in tutta Italia, attualmente in corso.
Da questo studio si è rilevato anche che la parziale inibizione dell’aggregazione piastrinica presente anche a livello fetale non sembra interferire sui meccanismi di emostasi, come confermato clinicamente dall’assenza di complicanze emorragiche nel neonato.
Studi paralleli hanno inoltre escluso la possibile associazione tra utilizzi di aspirina ed eventuali difetti congeniti del neonato.
Lo sforzo ancora da compiere ora è quello di verificare se i benefici di un simile trattamento sono usufruibili anche da donne gravide il cui rischio di presentare questa patologia è meno elevato.
L’importanza di questi studi è data dal fatto che questa patologia (preeclampsia) ed il ritardo di crescita intrauterina restano tuttora tra le più frequenti patologie della gravidanza e tra le più importanti cause di prematurità, morbosità e mortalità neonatale e di mortalità materna.
Dott. A. Bodrato
Farmacista
Pubblicazione Aprile 1990