Il seno è sempre stato, comunque, un elemento essenziale della bellezza femminile, celebrato in tutte le età da pittori e scultori. Oggi si assiste certamente a un apprezzamento esagerato della desiderabilità di un seno voluminoso, rispetto alle altre parti del corpo, con notevoli implicazioni psicologiche in caso di deformità o scarso volume.
ASPETTI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLA MAMMELLA
Nelle donne le mammelle contengono una quantità variabile di tessuto adiposo: ciò determina una grande variabilità nella grandezza delle mammelle e nella posizione dei capezzoli.
Per questo il capezzolo non può essere assunto come punto di riferimento anatomico. Usualmente nella donna la mammella è situata in una area compresa tra la terza e la sesta costa. In caso di obesità, nell’ipertrofia mammaria (ad esempio durante l’allattamento) e nell’età avanzata (per perdita dell’elasticità dei tessuti ed atrofia del tessuto ghiandolare) la mammella scende al disotto dei limiti descritti.
Nelle giovani donne magre, il capezzolo, circondato dall’areala, è situato poco sopra il quarto spazio intercostale, approssimativamente in corrispondenza della linea emiclaveare. In caso di obesità e nelle donne anziane il capezzolo è dislocato più in basso. Nella donna un aumento del volume delle mammelle si ha, in condizioni fisiologiche, nella pubertà, nella gravidanza e durante l’allattamento.
Lieve aumento di volume, con sensazioni di tensione dolorosa, è avvertito in fase pre-mestruale.
Un aumento del volume delle mammelle, accompagnato a dolorosità, si riscontra in alcuni giovani di sesso maschile durante la pubertà: in questi soggetti la ginecomastia scompare dopo la pubertà.
Giovani donne normali possono presentare sia dall’adolescenza un abnorme sviluppo della grandezza di entrambe o di una sola mammella, sviluppo che si accentua ulteriormente in corso di gravidanza: non è noto se in questi casi siano in gioco fattori ormonali o una particolare reattività tessutale.
Un ritardo nello sviluppo delle mammelle si ha nella maturazione sessuale ritardata. Uno sviluppo prematuro delle mammelle in bambine di 9-10 anni, in assenza di altri segni di maturazione sessuale, è piuttosto frequente e non riveste significato patologico. Lo sviluppo è usualmente bilaterale ma in qualche caso appare monolateralmente.
Normalmente le mammelle e i capezzoli sono simmetrici; occasionalmente, anche in assenza di malattie, può esservi una lieve asimmetria di volume e di posizione.
In alcuni casi sono presenti isole di tessuto . ghiandolare aberrante, della grandezza di pochi centimetri di diametro, in posizione laterale rispetto alla ghiandola mammaria verso l’ascella.
Le cause più frequenti di asimmetria sono rappresentate dalla scoliosi spinale e dalle altre condizioni con deformazione della gabbia toracica.
In questi casi una mammella scende più in basso della controlaterale.
Nella grande maggioranza delle donne i capezzoli sono sporgenti; in alcune donne normali appaiono introflessi, ma si estroflettono comprimprimendo l’areola fra le dita.
ESAME FISICO E MORFOLOGICO DELLA MAMMELLA
La palpazione fornisce i dati essenziali per scoprire le principali affezioni che interessano la mammella. Devono essere valutati:
- CAPEZZOLO
- AREOLA
- QUATTRO QUADRANTI
Il capezzolo adulto consta di tessuto erettile ricoperto da cute pigmentata; all’apice o presso l’apice possono essere osservate le aperture dei dotti galattofori. Le areole attorno al capezzolo sono pure pigmentate e l’intensità del pigmento varia direttamente con il colorito scuro dei capelli della paziente. La pigmentazione è minore nei soggetti biondi, è invece aumentata nella gravidanza e nella insufficienza surrenale.
Ogni mammella può essere suddivisa in quattro quadranti, come un orologio al cui centro sia situato il capezzolo; l’esaminatore procedendo allora in senso orario ha a disposizione numerosi punti di riferimento per localizzare determinate lesioni.
CAPEZZOLO: va valutata la elasticità che, ad esempio, si perde precocemente nel carcinoma subareolare.
AREOLE: una lieve pressione può essere esercitata sulle zone areolari al fine di mettere in evidenza eventuali secreti normali o patologici.
GHIANDOLA MAMMARIA: la palpazione procede, come detto, a spirale, in senso orario, mentre la paziente si trova in posizione eretta e supina, con gli arti superiori prima liberi sui fianchi e poi elevati sopra la testa.
Occorre valutare alcune caratteristiche:
Consistenza ed Elasticità: l’aumento di consistenza e la perdita di elasticità suggeriscono una infiltrazione di natura flogistica o neoplastica del tessuto sottocutaneo.
Dolorabilità: è solitamente indizio di processo flogistico e talora di mastopatia cistica. E’ comune una dolenzia nel periodo precedente le mestruazioni, che fa parte del quadro di “tensione premestruale”. Le lesioni maligne sono raramente dolenti.
Presenza di Masse: la palpazione di eventuali masse consente di definire alcuni caratteri:
Sede: utile sistema di localizzazione è il quadrante orario adeguatamente applicato alla ghiandola mammaria.
Volume: va valutato possibilmente nelle tre dimensioni (lunghezza, ampiezza e spessore) al fine di stabilire l’evoluzione in senso progressivo o regressivo della massa.
Contorno: regolare (liscio) o irregolare.
Consistenza: molle, cedevole, moderatamente dura, dura, calcarea, a seconda che si tratti rispettivamente di lesione, di cisti, di processo flogistico o di neoplasia.
Dolorosità: come precedentemente detto, le mastiti sono dolenti e così pure, talora, le mastopatie cistiche; indolenti invece le lesioni maligne.
Mobilità: Occorre valutare la mobilità sui piani superficiali e profondi. la maggior parte delle lesioni benigne sono mobili; le alterazioni flogistiche sono meno mobili o moderatamente fisse. I processi maligni possono essere mobili nelle fasi precoci, ma sempre più fissi negli stadi successivi.
Il sopraelevamento delle braccia può consentire all’osservatore di completare l’ispezione delle mammelle alla ricerca di eventuali rientramenti cutanei. Infine, la palpazione·della ghiandola mammaria va sempre completata con l’esplorazione del relativo cavo ascellare e della regione sopraclavicolare.
MEZZI E METODI DIAGNOSTICI
La palpazione di un nodulo mammario è il metodo più semplice e importante per la rilevazione precoce di un tumore mammario.
La possibilità di cura di una neoplasia è determinata soprattutto da un fattore: la diagnosi più precoce possibile.
La diagnosi precoce consente di valutare la possibilità di procedere ad un intervento chirurgico meno demolitivo; inoltre, consente in molti casi di eseguire una ricostruzione del seno con buoni risultati estetici.
Nonostante la maggioranza delle donne sia consapevole che la diagnosi precoce aumenta la possibilità di guarigione e che l’autoesame del seno è il più semplice ed importante mezzo diagnostico, una indagine condotta in USA da Gallup (per conto della American Cancer Society) indica che meno del 20% delle donne esegue periodicamente l’autoesame del seno.
Un autoesame corretto si esegue ponendosi di fronte a uno specchio in posizione eretta, osservando accuratamente eventuali asimmetrie, infossamenti della cute o retrazioni dei capezzoli. Quindi, si passa alla palpazione delle mammelle, iniziando dal quadrante superiore esterno e procedendo medialmente e verso il basso. L’esame va poi ripetuto in posizione sdraiata. Dovrebbe essere eseguito alla stessa epoca di ogni mese, circa 10 giorni dopo l’inizio del periodo mestruale.
MAMMOGRAFIA
E’ il più importante strumento diagnostico in campo senologico, anche se messo spesso in discussione da molti ricercatori. Infatti, secondo le varie casistiche darebbe una accuratezza diagnostica intorno al 70-90%. Si dovrebbe eseguire dopo i 40 anni, con periodicità triennale. Superati i 50 anni la periodicità dovrebbe essere annuale.
Indicazioni per l’esecuzione immediata sono:
- sintomatologia mammaria di recente insorgenza;
- presenza di noduli;
- anamnesi famigliare
di tumore mammario;
- incertezza diagnostica dell’esame obiettivo;
Un particolare tipo di esame mammografico è la xeromammografia, dove l’immagine viene trasferita su carta.
La termografia si effettua in pochi minuti e non comporta l’esposizione a radiazioni.
Altri esami diagnostici:
- agobiopsia, cioè aspirazione, dopo puntura con ago sottile, di una massa mammaria, al fine di eseguire l’esame citologico del liquido e delle cellule aspirate;
- esame citologico di eventuali secrezioni di liquido dai capezzoli.
TERMOGRAFIA
Questa tecnica consente di ottenere una immagine fotografica delle emanazioni termiche (infrarosse) di ciascuna mammella. Dal momento che la maggior parte delle neoplasie determina un aumento del tasso metabolico, con incremento della temperatura del sangue venoso proveniente dal tumore, si può evidenziare un incremento della attività infrarossa alla superficie della mammella, che può essere registrata su una speciale pellicola termosensibile.
CHIRURGIA DELLA MAMMELLA
Prescindendo dagli interventi effettuati per finalità estetiche, le principali operazioni chirurgiche sulla mammella hanno lo scopo di:
- drenare o asportare cavità ascessuali;
- eseguire biopsie di tumefazioni che clinicamente hanno o potrebbero avere carattere di malignità;
- asportare parte della ghiandola e/o masse costituite da cisti, adenomi , fibromi, papillomi intraduttali, ecc.;
- essere il trattamento di elezioni di tumori maligni;
- essere un mezzo palliativo nella cura di tumori maligni;
- correggere la ginecomastia maschile.
In sintesi, gli interventi chirurgici più comunemente effettuati consistono in asportazioni parziali o totali dei diversi componenti anatomici mammari:
A) RESEZIONI PARZIALI:
- resezione parziale o segmentaria, cioè di una porzione di solo tessuto ghiandolare;
- mastectomia sottocutanea, ovvero asportazione di tutta la ghiandola mammaria con rispetto della parte tegumentaria soprastante, dell’areola e del capezzolo;
- quadrantectomia, cioè resezione parziale o segmentaria della ghiandola mammaria con la corrispondente porzione di cute;
B) RESEZIONI TOTALI:
- mastectomia semplice, mediante asportazione di tutta la ghiandola mammaria con la porzione di cute sovrastante e con rispetto dei muscoli pettorali e senza dissezione linfonodale;
- mastectomia parziale secondo Patey, che consiste nella asportazione di tutta la ghiandola mammaria con ampia porzione di cute sovrastante, conservazione del muscolo grande pettorale e dissezione linfonodale al primo livello ascellare;
STRATEGIE TERAPEUTICHE DOPO LA SCOPERTA DI UNA LESIONE MAMMARIA
La decisione terapeutica da prendere nella paziente in cui sia stato appena diagnosticato un carcinoma alla mammella presenta numerose difficoltà, soprattutto in considerazione dell’entità e della rapidità dei cambiamenti di strategia che si sono verificati recentemente. A partire dalle prime esperienze di Halstead, che circa 100 anni or sono stabilì i criteri di esecuzione della mastectomia radicale, il concetto da lui propugnato di radicalità loco-regionale dell’intervento chirurgico è stato progressivamente criticato, modificato ed adattato all’attuale ed ancora in evoluzione approccio terapeutico.
L’accurata valutazione dell’estensione della malattia e dei possibili fattori in grado di influenzare la prognosi è indispensabile per stabilire la strategia terapeutica ottimale nel singolo caso clinico. Essenziali a questo proposito sono un’anamnesi ed un esame obiettivo particolarmente dettagliati, nonchè l’esame di dati citoistologici, radiologici e laboratoristici a disposizione.
Circa il 40% delle pazienti con carcinoma mammario esordiscono con un semplice nodulo mammario, di piccole dimensioni e generalmente mobile. Non è però raro osservare casi asintomatici o sintomatici di malattia localmente avanzata con fissazione o ulcerazione della cute, erosione delle coste, linfoadenopatia ascellare massiva o retrazione del capezzolo, della cute o della mammella. Meno frequenti sono il dolore o altri sintomi riferibili ad una metastatizzazione ai polmoni, alla pleura, allo scheletro, al fegato o all’encefalo, ma il loro riconoscimento è comunque importante per la precisione della stadiazione.
Le dimensioni della lesione primitiva, il tipo ed il grado istologico, l’invasione linfatica o vascolare e, soprattutto, le condizioni dei linfonodi regionali, sono tutti fattori cruciali per la valutazione prognostica della paziente con carcinoma della mammella. La presenza di recettori per gli estrogeni e di quelli per il progesterone, d’altra parte, oltre ad avere implicazioni prognostiche, fornisce utili informazioni sul tipo di terapia da utilizzare.
Allo scopo di studiare la malattia è consigliabile in pratica eseguire una radiografia del torace, alcuni esami ematochimici (esame emocromocitometrico, funzionalità epatica, fosfatasi alcalina, calcemia, azotemia e creatininemia) e la mammografia bilaterale, che consente di escludere la presenza di lesioni nella mammella controlaterale e sarà di notevole aiuto al radioterapista. La bassa incidenza di metastasi ossee (2-4%) in assenza di sintomi specifici, o di alterazioni degli esami ematochimici, sconsiglia l’esecuzione di una scintigrafia ossea, e, analogamente, non è indicato alcuno studio particolare dell’encefalo in assenza di una sintomatologia neurologica sospetta.
AI termine delle indagini descritte è finalmente possibile determinare lo stadio della malattia e decidere la strategia terapeutica ottimale.
In passato la terapia consigliata per tutti i casi di carcinoma mammario localizzato era invariabilmente rappresentata dalla mastectomia radicale. Oggi si preferisce invece optare per una mastectomia radicale modificata, che conservando il muscolo grande pettorale e limitando l’entità della dissezione ascellare facilita la ricostruzione mammaria e riduce i rischi di successivo linfoedema del braccio. Le pazienti esposte ad un alto rischio di recidiva locale possono essere sottoposte ad un ciclo di radioterapia sulla parete toracica e sui linfatici regionali. Per quanto non vi siano dati che depongano chiaramente per un miglioramento della soprawivenza o della percentuale di guarigione con la radioterapia post-operatoria, è ormai accertato che tale terapia è in grado di diminuire il rischio di recidiva loco-regionale, con tutti i problemi ad essa associati.
L’efficacia della radioterapia post-operatoria nel ridurre l’incidenza delle recidive loca-regionali, ha condotto all’ esecuzione di interventi chirurgici sempre meno estesi, associati però a terapie radianti sempre più consistenti, nel tentativo di migliorare sostanzialmente i risultati cosmetici senza perdere terreno in termini di controllo locale della malattia e, naturalmente, di sopravvivenza.
Più di una modalità di esecuzione di queste tecniche chirurgiche conservative sono state descritte in vari centri oncologici americani ed europei; indipendentemente dal fatto che venga asportata solo la massa tumorale (nodulectomia, tumorectomia o tilectomia) oppure una porzione più ampia di tessuto ghiandolare mammario (quadrantectomia o mastectomia subtotale), i risultati in termine di controllo locae della malattia e di sopravvivenza sono analoghi.
L’associazione di un intervento chirurgico conservativo e di un trattamento radiante presuppone alcune importanti differenze nei risultati e nelle caratteristiche dell’eventuale recidiva che sia la paziente che il suo medico di famiglia, devono ovviamente conoscere nell’accingersi alla scelta fra l’approccio chirurgico conservativo e quello più tradizionale.
In particolare la paziente deve realizzare il fatto che, nel caso dell’intervento conservativo, il rischio di recidiva locale persiste per un tempo più prolungato rispetto all’eventualità di un intervento tradizionale: mentre infatti nelle pazienti che vanno incontro ad una recidiva locale dopo una mastectomia radicale tale evento si verifica entro 5 anni dall’intervento, nelle pazienti sottoposte ad intervento conservativo la recidiva può verificarsi anche 15 anni dopo tale trattamento.
La percentuale di recidive è comunque analoga per i due tipi i trattamento.
Alcune pazienti possono scegliere l’approccio conservativo ritenendolo vantaggioso in virtù del maggior periodo di tempo a rischio e quindi del presumibilmente più prolungato intervallo libero da malattia.
Anche se i risultati cosmetici ottenibili dagli interventi conservativi sono chiaramente superiori a quelli successivi ad una mastectomia, occorre ricordare che le nuove tecniche di chirurgia plastica, se programmate all’inizio di tutto l’iter terapeutico, possono consentire risultati del tutto accettabili anche dopo la mastectomia.
CHIRURGIA RICOSTRUTTIVA DELLA MAMMELLA
Dopo la terapia demolitiva, il chirurgo plastico dovrà valutare quali sono i parametri morfologici mancanti, al fine di reintegrarli nel modo più completo dal punto di vista sia anatomico che estetico. Nella maggior parte dei casi è possibile effettuare una ricostruzione immediata, senza provocare impedimenti nei successivi controlli ambulatoriali, effettuati a distanza di tempo dall’asportazione del tumore. In genere, la donna che ha subito un intervento demolitivo al seno si presenta depressa e profondamente provata per la grave mutilazione subita. Ha bisogno della massima comprensione, senza falsi pietismi. E’ necessario, pertanto, che la donna che si sottopone alla ricostruzione sia ben decisa a volerla e sappia esattamente quali sono le modalità e i tempi: non deve infatti essere portata a pensare a sfolgoranti risultati estetici, e neppure essere intimorita dalla complessità dell’intervento. Si deve affidare con serenità e fiducia al chirurgo plastico, con il quale dovrà collaborare per ottenere i risultati migliori.
Prima di procedere alla ricostruzione è indispensabile valutare i seguenti parametri:
Parametri psicologici
- Grado di accettazione della mutilazione.
- Rapporto tra aspettative e possibilità ricostruttive.
- Precisa conoscenza dell’iter chirurgico ricostruttivo.
- Indagine tipologica (test, colloqui).
Parametri clinico-oncologici
- Ragionevole intervallo dal tempo demolitivo e da eventuali trattamenti complementari (Rx terapia e chemioterapia).
- Precedenti clinici (tipo di intervento chirurgico, tipo e stadio della neoplasia primitiva, compromissione dei linfonodi).
Parametri morfologici
- Condizione loco-regionale (cute, difetto muscolare, cicatrice).
- Esame del seno controlaterale.
In linea di principio si può dire che tutte le pazienti, dall’età più giovane fino a circa 70 anni, possono essere sottoposte a ricostruzione del seno.
Le controindicazioni assolute sono essenzialmente due:
- recidiva e metastasi in atto;
- sospetto di tumore nel seno sano;
A seconda del diverso tipo di intervento praticato per l’asportazione del tumore, esistono tecniche di ricostruzione diverse. I parametri morfologici che il chirurgo plastico deve ricostruire sono:
- cute;
- ghiandola mammaria;
- strato muscolare (se asportato);
- complesso areola-capezzolo.
Per la ricostruzione di cute, muscolo e areola-capezzolo si utilizzano tessuti biologici, mentre per sostituire la massa ghiandolare si ricorre all’impianto di protesi al gel di silicone.
A prescindere dalle controversie attualmente in atto, che hanno determinato la messa al bando delle protesi al silicone a scopi cosmetici (cioè per aumentare il volume di seni normali), in chirurgia ricostruttiva della mammella la maggior parte delle tecniche si basa sull’inserimento di protesi al silicone.
In commercio esistono
-protesi gonfiabili costituite da un involucro vuoto da riempire con soluzione fisiologica (expander);
-protesi monovolume a corpo pieno di gel di silicone, disponibili in diverse forme (rotonde, ovali, a goccia, a basso o alto profilo);
-protesi a doppio volume, formate all’interno da una quantità fissa di gel di silicone, mentre l’esterno può essere riempito con soluzione fisiologica fino a ottenere il volume desiderato.
In presenza di una demolizione che abbia conservato abbondanza di cute e il muscolo pettorale, l’unico elemento morfologico da ricostruire è la ghiandola mammaria, verrà quindi utilizzata una protesi al gel di silicone, di volume appropiato rispetto alla mammella sana, la quale verrà inserita in una tasca adeguatamente allestita sotto il muscolo grande pettorale.
Tale intervento, di facile e breve esecuzione (mezz’ora di intervento), con una breve degenza post-operatoria (4 giorni), trova applicazioni nella mastectomia sottocutanea e nella mastectomia secondo Patey (qualora esista cute sufficiente e muscolo grande pettorale trofico).
Si dovrà invece ricorrere a lembi cutanei o fascio-cutanei (lembo toraco-epigastrico) qualora la cute sia carente ma sia presente un muscolo grande pettorale trofico. Anche in questo caso la protesi verrà inserita sotto il muscolo ed il lembo cutaneo ottempererà alla carenza di cute.
Tale intervento è di facile esecuzione; di media durata è la degenza post-operatoria, leggermente più lunga rispetto al precedente (7 giorni).
Qualora invece sia carente sia il mantello cutaneo che lo strato muscolare, bisognerà ricorrere a tecniche operatorie più sofisticate che prevedono l’utilizzo di lembi miocutanei, cioè lembi che in un unico tempo, una volta ruotati in sede di ricostruzione, sopperiscano alla carenza cutanea e muscolare; tali lembi sopravvivono grazie al loro fascio vascolo-nervoso che deve essere scrupolosamente conservato. Il lembo più utilizzato in tale caso è il lembo del muscolo grande dorsale. Una volta disegnata l’isola di cute necessaria, tale lembo viene ruotato anteriormente in sede di mastectomia, il muscolo verrà fissato alla parete toracica a ricostruire il muscolo grande pettorale mancante e la cute del dorso sopperirà alla carenza del mantello cutaneo. Tale intervento è di media difficoltà, di lunga durata e con degenza post-operatoria intorno ai 14 giorni.
Esiste anche la possibilità di non ricorrere all’ uso di protesi.
Questo richiede però interventi chirurgici complessi, quali il lembo miocutaneo del muscolo retto addominale o il lembo libero, con anastomosi microvascolare, del muscolo gluteo. Questo è possibile perché le zone di prelievo sono ricche di tessuto adiposo sottocutaneo e provvedono quindi da sole a ricostruire la ghiandola mammaria. Sono interventi di difficile esecuzione e di lunga durata, ma garantiscono un ottimo risultato estetico.
Per la loro complessità sia operatoria che post-operatoria devono essere eseguiti in centri altamente specializzati.
Per la ricostruzione del complesso areola-capezzolo, differenti sono le tecniche, le quali prevedono l’utilizzo del complesso controlaterale o di altre zone anatomiche.
Areola:
- areola controlaterale (in caso di mastoplastica riduttiva);
- cute della regione inguinocrurale.
Ambedue i metodi sfruttano la tecnica dell’innesto libero cutaneo.
Capezzolo:
- parte del capezzolo controlaterale;
- sfruttando la cute in sede di ricostruzione;
- utilizzando uno spicchio di cute delle piccole labbra;
Tali tecniche sono di facile esecuzione e necessitano di una breve degenza post-operatoria (3 giorni). Quasi tutte le tecniche ricostruttive danno risultati adeguati come volume e dimensioni, ma non sempre la forma adatta, poiché nella maggioranza dei casi la mammella sana è ptosica (secondo età) mentre quella ricostruita è di tipo giovanile a cono. E’ quindi necessario ricorrere ad una correzione della mammella sana tramite una delle diverse tecniche di mastoplastica riduttiva.
CHIRURGIA ESTETICA DEL SENO
La chirurgia estetica si occupa elettivamente di tre situazioni, che determinano spesso problemi psicologici nelle pazienti:
- ipertrofia delle mammelle, cioè conseguenza di tessuto mammario notevolmente abbondante, che in alcuni casi raggiunge dimensioni tali da essere considerata una vera malformazione, sia nel caso di ipertrofie ghiandolari pure (frequenti nella giovane età) che nelle ipertrofie postgravidiche o nelle ipertrofie adipose associate ad adiposità generalizzata;
- ptosi delle mammelle, che si verifica quando un cedimento dei tessuti di sostegno della ghiandola determina un notevole abbassamento del capezzolo; anche se di norma si ha ptosi in caso di ipertrofia mammaria, si può verificare il caso di ptosi di mammelle normali per forma e dimensione o addirittura di mammelle ipotrofiche;
- ipoplasia delle mammelle, che può essere primitiva (cioè costituzionale), o dipendere da disturbi endocrino-metabolici, oppure secondaria a gravidanza, cure dimagranti, menopausa.
Per il trattamento dell’ipertrofia mammaria sono state proposte numerose tecniche operatorie; tutte sono basate su tre momenti fondamentali:
- la resezione di una porzione cutaneoghiandolare;
- il rifacimento della normale mortologia del cono mammario.
Preliminarmente alla parte chirurgica è necessario eseguire un disegno sulle mammelle, secondo modelli standard ( in riferimento alla dimensione desiderata), nonché stabilire l’esatta ubicazione del capezzolo.
Molti Chirurghi Plastici consigliano di disporlo a una distanza ideale di 22 cm. dall’incisura superiore dello sterno, in corrispondenza della 6° costa o del IV° spazio intercostale .
Le cicatrici devono essere situate in posizione sottomammaria, effettuando, a seconda delle varie tecniche chirurgiche, una cicatrice orizzontale che deve essere il più corta possibile.
Il Chirurgo deve decidere la quantità di tessuto da rimuovere caso per caso, valutando esattamente la differenza di dimensione tra le due mammelle prima dell’intervento, a paziente in posizione seduta. L’intervento da eseguire in caso di ptosi mammaria è detto mastopessi, basato sui medesimi principi tecnici delle mastoplastiche riduttive, escludendo il tempo della resezione in caso di seno ipotrofico.
La corretta esecuzione della tecnica consente di riportare le mammelle a una forma gradevole, con cicatrici in genere poco visibili, disposte lungo il margine dell’areola o lungo l’emisfero inferiore della mammella.
Nei casi di ipoplasia mammaria le indicazioni all’intervento di mastoplastica additiva dipendono nella generalità dei casi da considerazioni di ordine psicologico.
Molte donne con aplasia, ipoplasia, asimmetria o atrofia secondaria delle mammelle, soffrono di un profondo senso di menomazione che può anche interferire con i rapporti sentimentali.
Inoltre, soprattutto in nord America, negli ultimi anni si è assistito a una vera e propria corsa alla mastoplastica additiva, unicamente per esibire misure da maggiorate fisiche. Infatti, la Food and Drug Administration degli USA stima che solo in nord America un milione di donne si sarebbe sottoposto a interventi chirurgici per aumentare il volume del seno. Tenendo presente i desideri della paziente e il suo aspetto fisico, il Chirurgo Plastico consiglia alla paziente l’entità dell’ingrandimento e il risultato finale che ella può attendersi.
Si devono prendere in considerazione la corporatura, l’altezza e il peso della paziente; le mammelle devono essere esaminate con la massima cura, potendo variare dall’appiattimento completo ( con il capezzolo e areola), fino a mammelle ben sviluppate che non hanno alcun bisogno di aumento, oppure essere asimmetriche nella forma o nelle dimensioni.
In generale, la parola d’ordine dei più seri chirurghi del settore è: “moderazione”. Infatti, un aumento eccessivo determina problemi, dovuti allo scarso rivestimento cutaneo.
Le mastoplastiche additive sono classicamente eseguite inserendo protesi in materiale sintetico.
I risultati estetici di tale tecnica sono ottimi, a condizione che la protesi non evochi reazioni infiammatorie, tali da costituire una capsula fibrosa che ingloba la protesi, determinandone spesso la necessità di asportazione chirurgica.
A tale inconveniente si è ovviato, secondo diverse tecniche, inserendo la protesi tra il piano del muscolo grande pettorale e quello del muscolo piccolo pettorale (impianto subpettorale).
Tuttavia, l’era delle maggiorate fisiche con seno al silicone sembra essere finita, da quando all’inizio del 1992 la Food and Drug Administration degli USA ha messo al bando le protesi al silicone a scopi cosmetici. L’obiettivo dichiarato è l’avvio di ricerche adeguate sulla sicurezza delle protesi, verificando se possano provocare disturbi al sistema immunitario, nonché stabilire il rischio di rotture dell’involucro di plastica che contiene il silicone, con spandimento di quest’ultimo nei tessuti. Anche in Italia sono state poste in atto sospensioni cautelative. Comunque, in attesa di ulteriori studi, la raccomandazione per Ie portatrici di impianti al silicone consiste in un controllo attento delle mammelle protesizzate, per valutare in tempo ogni variazione di consistenza e forma, segnale inconfondibile di un cedimento dell’involucro. In alternativa, si possono usare protesi da adattare con l’immissione di soluzione salina, che però non offrono gli stessi vantaggi, essendo poco stabili e facilmente rilevabili, soprattutto in caso di mammelle con scarso tessuto adiposo. Altre tecniche si basano sull’uso di autoinneschi dermoadiposi, cioè prelevati dalla stessa paziente in aree ricche di tessuto adiposo (addome, glutei).
Dott. Barone Angelo
Specialista in Chirurgia Plastica
Vigevano (PV)
Pubblicazione Dicembre 1993